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Autore: DeadlyPain    11/10/2014    2 recensioni
Ispirata a "Il gatto nero" di E.A.Poe, la storia tratta la pazzia di un uomo sconvolto dall'imperturbabile sguardo fisso e vacuo del suo Xatu.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
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Era una notte estiva, la notte in cui tutto sarebbe cambiato.
Era una notte estiva ed io ero seduto sul portico insieme a Cathleen, sulle sue gambe quel piccolo Natu trovatello che mai ha lasciato il nostro nido.
Cathleen, mia moglie, l'aveva trovato 3 anni prima, in mezzo al giardino, piccolo e spaurito, quasi senza piume, come fosse appena nato e caduto dal ramo di una albero. Albero che non possedevamo.
Piangeva e gracchiava come un corvo e la mia amata moglie, che tanto aveva a cuore gli animali, l'ebbe subito portato in casa e curato e nutrito.
Da allora quel Natu non ha mai lasciato il nostro nido, non ha mai spiccato il volo.
Cathleen era ferma e accarezzava sul suo ventre quell'ammasso di piume arruffate. Era il suo bambino. Era il bambino che non era mai stata destinata ad avere.
Ma lui teneva lo sguardo fermo sul vuoto.
Non potrei dire con convinzione che guardasse un punto preciso, come una foglia o una piccola Ledyba che volava nel giardino, il suo era uno sguardo vacuo e vuoto. Come se guardasse oltre la nostra siepe, oltre la nostra magione, oltre l'orizzonte.
Guardava un mondo tutto suo, in cui noi, forse, non ne facevamo parte.
Un brivido senza alito di vento, e arruffò il verde piumaggio.
Eppure... eppure.. non faceva freddo in quella calda notte estiva.
Nemmeno quell'improvviso alito immaginario di brezza riuscì a distogliere il suo sguardo dal nulla e dal tutto che solo lui sembrava in grado di vedere.
“Dimmi piccolo Natu, cosa fissi con così grande interesse?”
Con grande lentezza girò il suo corpicino minuscolo e mi fissò.
Non gracchiò.
Non mosse un muscolo.
Ma rimase fermo a fissarmi.
Quando la notte stava per prendere il sopravvento sulle nostre stanche membra, ci alzammo per andare a letto, e sebbene Cathleen si fosse mossa con grande rapidità il volto del Natu rimase fermo, immobile e impassibile a fissare il mio volto.
“Sono proprio l'oggetto dell'interesse di questo piccoletto” dissi mentre chiudevo la porta dietro le mie spalle.
Una risatina di mia moglie e due occhi, gialli come l'oro, che mi scrutavano nell'oscurità.

Quella fu la sera in cui tutto iniziò.
Da allora passarono anni ed il Natu non smetteva un giorno di puntarmi il suo becco ed il suo sguardo addosso.
Non era uno sguardo accusatorio, o di sfida, fissava me, nei miei occhi color miele e guardava un punto imprecisato oltre le mie pupille. Come se riuscisse a scandagliare il buio ed il vuoto dell'anima oltre il mio sguardo.
Per i primi momenti credetti fosse solo una mia fantasia, una fandonia da ragazzini che un pokèmon riuscisse a guardami l'anima attraverso i miei occhi.
Molto più probabile che quell'uccello fosse affetto da autismo.
Ma col passare del tempo non ne fui più tanto sicuro.
Come possiamo noi esseri umani sapere cosa si nasconde nell'animo dei pokèmon? Cosa vedono? Cosa sentono?
E se ciò che noi vediamo non valga anche per gli altri?
Se già la nostra realtà non è reale ma cambia da persona a persona, in quanto ciò che vedo e percepisco io è diverso da ciò che viene visto e percepito da altri sebbene si parta da uno stesso stimolo, come si può desumere che i pokèmon non vedano cose totalmente diverse da noi?
Vedano cose che noi non vediamo e non vedono ciò che noi vediamo?
Come se vedessero le nostre sole ombre.
Le nostre sole paure?
Era forse così?
Che quel Natu riuscisse a vedere le mie paure?
Natu crebbe e si evolse in Xatu.
Ed il mio terrore crebbe.
Lui era sempre lì, immobile come una statua egizia a fissarmi con tutti e quattro i suoi occhi. Cosa vedi Xatu? Cosa guardi in me con così tanto interesse? Cosa ti ha spinto a guardarmi così?
Non ti ho forse accudito con amore? Non ti ho forse considerato come quel figlio che non siamo mai riusciti ad avere?
Dimmi, Xatu, cosa fissi con così tanta determinazione in me?
Una sera la mia dolce Cathleen mi disse che mi trovava strano. Mi disse che non sembravo più apprezzare la sua cucina come se mi fosse mancato l'appetito. Mi disse che mi trovava smagrito. Mi chiese se il capo al lavoro era diventato troppo pressante nei miei confronti.
“No.”
“Cosa ti turba allora, caro?”
“Quello Xatu.”
“È solo un pokèmon, ed è pure mansueto e innocuo, cosa ti preoccupa sul suo conto?”
“Continua a fissarmi come a volermi mangiare l'anima”
Ovviamente non mi credette, ma come biasimarla, chi mai crederebbe ad un povero pazzo che afferma che un uccello gli stia mangiando l'anima?
Ecco. Ora mi do anche da solo del pazzo.
Pazzo sono io che mi considero pazzo. O sono l'unico sano ma costretto a pensare alla mia pazzia in quanto l'unico sano in un mondo di pazzi?
Sto impazzendo forse?
Chiusi gli occhi nel buio, ma non riuscii a dormire.

Per tre giorni non andai al lavoro.
Non mi feci la barba.
Non curai il mio aspetto.
Ero un ammasso informe di camicie sudate, barba incolta e occhiaie.
E Cathleen, la mia dolce Cathleen, era preoccupata per me.
Ma non volevo parlare. Oh no, avrei fatto il suo gioco.
Lui era lì. Lo vedevo, lo percepivo anche se i miei occhi annebbiati dalla mancanza di sonno non riuscivano a vederlo.
Lui era lì.
Mi fissava.
Mi stava fissando.
Mi sentiva.
Mi stava sentendo.
Stava scrutando con i suoi occhi il mio passato. Il mio presente. Il mio futuro.
Le mie emozioni, le mie sensazioni, i miei sentimenti.
Oh, stupido uccello cosa guardi in me con così grande interesse?
La mia amata Cathleen capì che io con quell'uccello non potevo più vivere. Mi si avvicinò e mi disse che non poteva più vedermi in quelle condizioni. Mi disse che mi amava.
Mi disse che l'indomani avrebbe portato Xatu al nipote di una sua amica, un giovane ragazzino di 16 anni il cui sogno era di studiare i pokèmon. Diceva che sarebbe andato all'università e che un giorno sarebbe diventato così bravo che tutti avrebbero dovuto riconoscergli il titolo di Mister. Per incoraggiarlo Cathleen voleva regalargli quello Xatu, così che oltre allo studio avrebbe anche amato i pokèmon, non solo come strumento di ricerca.
“Tanti auguri per i tuoi 17 anni. Mr. Pokèmon”
Questo aveva scritto sul biglietto. Quant'era amorevole la mia dolce e bella Cathleen.
Era.

Erano le 5 di pomeriggio quando, dopo una doccia rilassante, una lunga dormita ed un buon thè verde, suonò la porta.
Mi sentivo fresco, pulito, perfetto. Senza l'ombra di quell'uccello infernale che mi pendeva come una spada di Damocle ero felice e rilassato come un tempo.
Andai ad aprire la porta con una rosa rossa in mano.
Immaginavo che la mia bella moglie si fosse dimenticata le chiavi in casa.
Volevo aprirle con tutto il rispetto e l'amore che meritava per il grande sacrificio di separarsi da quell'uccello che le era tanto caro.
Ma quando aprii la porta non mi trovai davanti Cathleen, nel suo vestito verde charleston e nella sua collana di perle.
Mi trovai davanti un uomo, sulla trentina, nella sua divisa blu scura.
Si tolse il cappello e mi guardò negli occhi, con i suoi che trattenevano a stento le lacrime.
“Sono costernato di doverle dare questa notizia” fu l'incipit, e già sentii il sangue raggelarmi nelle vene. “Il conducente dell'auto ha detto di aver visto solo una grande luce bianca. Per questo ha sbandato. Non si ricorda nulla, solo del tonfo sordo dell'impatto”
Impatto. Che parola curiosa.
“È morta sul colpo, stritolata tra la macchina e l'albero”
Stritolata.
“Il corpo è già stato portato via e non sarebbe stato un bello spettacolo”
Corpo.
È così che si diventa?
Da vivi, da persone, da esseri viventi, con sentimenti a “corpo”. Corpo. Ammasso inutile di carne e sangue e organi non più in funzione. Una macchina spenta. Un oggetto. Corpo.
“Le ho recuperato questa. Ho pensato che volesse tenere un suo ricordo”.
Mi prende la mano e ci lascia scivolare sopra una cascata di perle bianche e impastate di rosso.
Solo in quel momento realizzo davvero.
Cathleen.
La mia Cathleen.
La mia dolce, unica e preziosa Cathleen è andata per sempre. Per sempre.
La mia Cathleen ora è un corpo.
Un corpo vuoto e morto, un corpo senz'anima. Un oggetto da laboratorio.
“Sono costernato di doverle dare questa notizia, signore. Entro tre giorni si diriga all'ospedale a ritirare il corpo per la sepoltura, altrimenti verrà gettata in una fossa comune”
Ritirare.
Ritirare.
La mia dolce Cathleen è ora forse solo un pacco? Un pacco postale da ritirare quando non fa più comodo a loro? Era una persona! Era la mia dolce moglie! Provate un minimo di rispetto! Ritirare!
Cado in ginocchio sull'uscio. Esausto. Stremato.
Piango. Piango lacrime di sale e sangue.

Quella notte, ancora addolorato dalla perdita della mia dolce moglie, dormii abbracciato al suo cuscino per percepirne il dolce profumo dei suoi capelli. Un odore che sapeva di fiori di campo e fiordalisi.
Dormivo con il cuore leggero e a pezzi, quando all'improvviso sentii qualcosa battere sullo spesso vetro delle finestre.
Quando mi voltai, là, immerso nell'oscurità un essere mostruoso, un diavolo alato dai quattro occhi mi fissava nel buio.
Tu! Tu possa essere maledetto stupido uccello del demonio!
Tu! È colpa tua se la mia amata è morta. Tua! Se tu non fossi esistito, se tu fossi morto, tu, ora la mia amata Cathleen sarebbe ancora viva e dormiente qui al mio fianco.
Ti odio inutile Xatu.
Xatu. Perfino il tuo nome mi ricorda le fiamme dell'inferno dalle quali sei sicuramente sbucato.
È colpa tua, tua. Tu potevi prevedere il futuro. Tu potevi salvarla ed invece l'hai lasciata morire nel dolore e nell'agonia mentre tu guardavi dall'alto come un tragico spettatore.
L'automobilista aveva detto di aver visto una luce prima dell'impatto. L'hai accecato tu, malefico diavolo! L'hai accecato tu con i tuoi poteri psichici.
L'hai accecato tu per farlo schiantare contro la mia splendida moglie, facendola rimanere in mezzo tra la carcassa di metallo e l'albero.
Albero su cui tu hai trovato casa per difenderti.
Dovevi morire tu nell'impatto.
Stupido, orrendo uccello!
Ora cosa farai Xatu? Ucciderai anche me?
Sei riuscito ad uccidere l'unica persona, l'unico essere che ti abbia mai amato. Perfino la tua vera madre ti ha lasciato agonizzante e morente nel nostro giardino, ma tu no, tu non sai provare riconoscenza. Tu l'hai uccisa. Hai ucciso l'unica persona che ti amava.
E ora?
Cosa farai a me?
Rimarrai fisso a fissarmi godendoti ogni attimo della mia lenta agonia mentre muoio negli anni di vecchiaia e pazzia o mentre rimango schiacciato tra le lamiere e il dolore come hai fatto con la mia splendida Cathleen?
Qual è il mio destino inutile uccello?

Passarono tre giorni e tre notti da quel giorno e quella notte.
Notti insonni, con la consapevolezza che quel dannato Xatu mi stesse fissando con tutti i suoi occhi al di la della finestra. Anche se non l'avevo mai visto, io sapevo che lui era lì.
Nel buio.
E il giorno lui era lì. Fuori dalla mia finestra, fuori nel giorno a nella luce che mi fissava. Ed io ero chiuso in casa, mi chiudevo nel buio della mia casa terrorizzato dall'idea di uscire.
Terrorizzato dall'idea di cosa quell'ammasso di odio e rancore potesse farmi.
Oh dimmi uccello odiato, cosa hai in serbo per me?
Cosa mi farai?
Ma sai... cosa farò io a te?
Da qui non mi vedi, oh no.. tu non mi vedi, ma io vedo te. Ti vedo là fuori pronto ad attaccarmi, ti vedo là fuori a cercare di scrutarmi con i tuoi impenetrabili occhi, ma forse puoi guardarmi nell'anima, ma non nella mia casa. Oh no, qui no. Qui sono al sicuro, con te chiuso fuori.
Non riuscirai a prendermi, non riuscirai a prendermi uccello dell'inferno, non mangerai la mia anima, non pasteggerai sul mio cadavere esanime.
Oh morirò. Io morirò.
Lo so.
Sono costretto a morire lo so, ma tu... tu non vedrai la mia morte ne' ne sarai il fautore.
Non mi costringerai a morire, non prima che la mia ora sia venuta.
Oh, invoco la morte per me e per te. No, senza la mia amata Cathleen non posso più vivere, ma tu, Xatu, cadrai nelle grinfie di Ade con me, bestiaccia demoniaca!
Ti poterò giù con me, negli abissi della nera morte tu cadrai con me, così come tanto godrai della mia dipartita anche io godrò nel vederti morire tra le mie mani.
Afferrai un attizzatoio e uscii di casa, lui era lì. Fermo. Immobile.
Dall'alto di un albero di baccaliegia mi fissava fermo come un totem con tutti i quattro malefici occhi girati verso di me. Il suo sguardo era vacuo e vuoto e subito ebbi l'impressione che lui cercasse di entrarmi nell'anima.
Hai paura piccolo inutile uccello?
Lo vedi?
Lo leggi?
Leggi nella mia anima cosa voglio farti?
Lui planò dolcemente davanti a me e ancora i suoi occhi fissavano i miei, fissavano oltre i miei, oltre me, ma cosa stesse davvero cercando ancora non saprei dire.
Strinsi con più vigore l'attizzatoio e cercai di fracassargli la testa.
Lui, stranamente, non si mosse.
Lasciò che la fredda e coperta di cenere punta di metallo gli colpisse il cranio, lasciò il suo sangue scorrere e non emise un suono.
Lo colpii.
E lo colpii di nuovo, fino al punto di vedere sangue violaceo colargli dalla nuca.
Oh, stupido essere del peccato, così ti lasci sconfiggere facilmente?
Così hai deciso per la tua fine?
Oh, gioia e gaudio! Così hai finalmente capito il tuo peccato? Il tuo peccato nell'essere al mondo? Così hai finalmente capito che la tua sola esistenza è causa della morte di Cathleen? Così hai finalmente capito che senza di te il mondo sarebbe un posto migliore?
Meriti la morte Xatu e forse l'hai capito, ma non ti preoccupare, sarò generoso nell'elargirtela e presto cadrai nel sonno della morte che tanto invochi.
Sorrisi all'idea che finalmente quel dannato essere stesse per esalare l'ultimo respiro e in un eccesso di vanagloria lasciai cadere l'attizzatoio.
Volevo sentirlo.
Sentire il suo sangue.
Sentire la sua vita spezzarsi sotto le mie mani.
Mi lanciai sopra di lui e gli strinsi le mani intorno al collo.
Mi aspettavo che l'insulso animale rimanesse fermo, a fissarmi con i suoi occhi in modo che da essi potessi vedere la vita scorrere via dal suo corpo.
Non lo fece.
Improvvisamente urlò e si mosse e mi costrinse a stringere le mie forti mani con più vigore e forza intorno al fragile collo dell'uccello.
Lui si dimenò e notai per un secondo che, sebbene gli occhi sul suo volto roteassero e cercassero una via di fuga, quelli sul suo petto ancora erano rivolti verso l'alto, verso il mio volto, incredibilmente vacui e fissi.
Rimasi shockato da quello sguardo che per un momento mollai la presa, per un momento. Momento che bastò allo Xatu per colpirmi con il suo duro becco in volto.
Mi colpì dritto in un occhio accecandomi.
Il dolore fu come se centinaia di spilli mi colpissero puntuali nel cervello, urlai e sanguinai, ma non lasciai la bestia. Mentre con una mano tenevo ancora stretto il collo di quell'orrendo essere con l'altra recuperai l'attizzatoio, e, girando lo spuntone metallico verso il volto dell'essere, cominciai a colpire con quanta più forza avevo in corpo.
Morirai stupido animale.
Non mi porterai con te nella tomba!
Non mi farai fare la fine di Cathleen!
Urlai dallo sforzo. Urlai dal dolore. Urlai di rabbia.
Urlai e mi coprii di sangue violaceo, dall'intenso odore di fiordalisi e fiori di campo. Oh mia dolce Cathleen, cosa ti ha fatto questo mostro?
Quando l'orrenda bestia non si mosse più capii che doveva essere morta.
Mi alzai dal corpo e osservai il misfatto.
Il suo essere. Il suo corpo era integro, la testa, mancante, un mucchio di carne informe violacea. Io. L'aguzzino. Io. Il liberato.
Mi sbrigai subito a seppellire il cadavere, a ripulirmi, a lavarmi via l'immagine e l'odore di Cathleen dal sangue della mostruosa fiera.

Quella notte, ricordo, dormii come un pupo in fasce.
Ero libero.
Ero libero dal mio persecutore.
Ero libero di vivere.
Fu il mattino dopo che capii che non sarei mai stato libero.
Accanto a me, là, dove un tempo dormiva la mia splendida moglie c'erano delle piume verdi e bianche, macchiate di un sangue violaceo e un forte, intenso odore di fiori di campo e fiordalisi.
Malvagio uccello delle tenebre, perchè ancora mi perseguiti anche dopo la tua morte?
Sei morto, lasciami vivere!
Andai nel panico. L'idea di cercare una soluzione logica all'accaduto non mi sfiorava nemmeno, perchè io sapevo, io sapevo che era stato lui. Lui. Lo Xatu del diavolo!
Lasciami in pace!
Mi hai portato via Cathleen, cos'altro vuoi da me?
Uscii di casa e la luce del sole alto mi abbagliò.
Volevo andarmene, volevo fuggire da quella casa, ma non era la casa che mi preoccupava, ma lo spettro dello scomodo coinquilino.
Dove potevo andare?
Cosa potevo fare?
Feci pochi passi fuori dal mio vialetto, volevo vedere Patrick, caro amico d'infanzia, volevo parlargli dell'accaduto e ricevere da lui una buona dose di conforto e di whiskey, che tutte le ferite lenisce.
Ma feci solo pochi passi fuori dal vialetto che sentii il rumore di un clacson, mi girai appena in tempo per vedere un'auto sfrecciarmi incontro a gran velocità.
Caddi indietro e per poco l'auto non mi falciò, trascinandomi con se' in un'orrenda corsa verso il buio eterno.
Si fermò a pochi metri da me, schiantandosi contro un albero. Il conducente scese subito e mi venne incontro.
“State bene? Vi ho ferito?”
Io stavo fortunatamente bene, e ancora non seppi spiegarmi com'era possibile questa mia fortuna.
“Le chiedo scusa signore, ma sono stato abbagliato da una forte luce e appena ripreso l'uso della vista l'ho vista davanti alla mia traettoria. Ho provato a frenare, ma sembrava che i freni fossero fuori uso. Com'è possibile non saprei, fino a poco fa funzionavano. Spero di non averla ferita, signore”
Quelle parole mi pietrificarono.
Stava succedendo di nuovo.
Così era morta la mia amata e così stavo per morire io.
Ed è tutta opera di quel dannato uccello infernale. Così come ha ucciso lei ora sta tentando di uccidere me, dannato! Che tu sia dannato!
Dissi a quell'uomo di non preoccuparsi che la mia buona stella mi aveva protetto e tornai in casa di corsa.
Non posso uscire, non posso uscire. Morirò qui? Chiuso tra queste quattro insulse mura temendo la mia morte qualora uscissi?
E se fosse solo un caso?
Ah no, non può essere un caso, non così simile alla morte della mia dolce Cathleen, non può essere un caso, qui c'è lo zampino di quella bestia, di quello Xatu, del suo spirito, risalito dagli inferi per odiarmi e condurmi alla follia e alla morte.
Oh dannato, che tu sia dannato Xatu!

Passarono i giorni ed io riuscivo a dormire solo sotto l'effetto di pesanti oppiacei, ma ogni giorno, svegliarmi era un dolore eterno. Ero terrorizzato, ogni cosa, ogni luce era per me motivo di spavento.
Ogni porta che sbatteva nella mia testa si trasformava nel fantasma di quell'essere ripugnante che veniva a prendermi per trascinarmi nell'oblio.
Non potevo uscire di casa.
Non potevo stare in casa.
La mia vita era in bilico su un capello tra pazzia e follia.
Non sentivo altro che quel grido disperato quando lo colpii, unico verso mai sentito.
Non vedevo altro che i suoi occhi fissarmi cupi e vacui dall'oscurità.
Non sentivo altro odore che quello di fiori di campo, un tempo profumo tanto amato, ora odiato perchè mi ricordava l'odore del sangue di quella bestia immonda.
Se un piatto cadeva lo bruciavo nel fuoco.
Tentai di bruciare anche l'attizzatoio, credendo che fosse lui a tenere l'anima e la cattiveria del pokèmon ancora tra i vivi.
Lasciami andare, imploravo ogni notte prima di dormire e di sognare incubi di sangue, e grida e occhi gialli fissi che mi scrutavano l'anima.
Quanto ancora posso andare avanti così?
Riuscivo perfino a vedere la sua ombra muoversi. Riuscii perfino a vedere la sua ombra muoversi tra le mie tende.

Da allora vivo nel buio, aggirandomi per casa con una candela come un recluso.
Prigioniero.
Prigioniero della mia stessa vita.
Prigioniero della mia stessa anima.
Cosa fare? Cosa fare per essere libero, libero da questa vita, libero da questa maledizione?
Un rumore sordo colpì le mie orecchie, tremai, e non seppi che fare.
Andare a controllare? Oh, è lo Xatu demoniaco, è lo Xatu demoniaco, lui ti mangerà, ti caverà anche l'occhio buono e divorerà la tua anima nelle fiamme dell'inferno.
Non controllare? Si sta forse avvicinando quell'essere malvagio? Forse sono io così codardo da non andarvi incontro, incontro al mio destino?
Cos'è il destino?
Cos'è il destino per me?
È forse essere qui rinchiuso, qui, costretto a vivere da prigioniero della mia stessa vita nella mia stessa casa?
Oh no, non era questo il destino che mi ero prefigurato 15 anni fa, quando aspettavo la mia Cathleen all'altare. Sognavo una casa bucolica, sognavo un mondo felice ed una vita felice con la mia bella moglie. Sognavo dei bambini, teneri pargoli che avrebbero portato avanti la stirpe del mio nome.
Poi 10 anni fa scoprimmo che Cathleen era sterile, e non poteva dare alla luce un figlio. Oh, il fatto distrusse più lei che me, lei, così innamorata delle creature del mondo, lei che amava così tanto dare amore al prossimo non poteva avere un figlio suo, un figlio nostro, da allattare al seno e da accudire.
Mi hanno portato via i miei bambini.
Xatu mi ha portato via la mia Cathleen.
Xatu mi ha reso la mia bella casa in collina una prigione.
Xatu mi ha reso la mia vita un inferno.
Xatu mi ha portato via tutto.
È quindi questo il mio destino?
Soffrire?
Soffrire e continuare a soffrire finchè il mio martoriato corpo non sarà stanco e morirò di stenti e mancanza di sonno?
Oh, no, meglio morire da uomo che vivere in quest'agonia.
Questa non è nemmeno vita, questa è sopravvivenza.
È respirare.
Una macchina meccanica senz'anima potrebbe compiere lo stesso gesto, una macchina vuota, un corpo vuoto.
Il mio corpo, io, ridotto ad un oggetto, un corpo, una bambola di carne e ossa e organi che ancora funziona, ma senza vita.
Un morto che cammina.
Un morto che respira.
Oh morte, qui ti invoco, prendimi con te nel tuo gelido abbraccio e lasciami dare una fine a questi patimenti.
Presi in mano la candela e mi diressi verso l'origine di quel tonfo.

Sono qui in piedi, fermo e terrorizzato. A terra, davanti ai miei piedi fasciati della pantofole di cotone, vedo un piatto. Un piatto, ma non uno qualsiasi. Era uno dei piatti ornamentali, quelli su cui erano disegnati paesaggi bucolici e agresti, uno di quelli che la mia Cathleen amava così tanto.
Ne avevamo presi cinque, durante un nostro viaggio a Fiordoropoli.
Uno era a terra.
Rotto.
I cocci però formano la scritta “D-I-E”
Muori.
Decedi.
Liberaci dalla tua presenza.
Oh Xatu sei tu vero? Oh sei tu ad averlo fatto cadere?
Sei tu che continui a irrompere nella mia vita e non lasciarmi via di fuga.
Era questo ciò che volevi?
Oh si, era questo. Tu volevi farmi impazzire, mi hai tolto piano piano ogni mio desiderio, ogni mia gioia lasciando di me solo un involucro vuoto e scarno.
Tu non hai mai voluto uccidermi, tu non hai mai voluto che morissi davvero. Per questo non ti sei ribellato ai miei colpi, sapevi, oh sapevi che avresti potuto osservarmi e scrutarmi anche nell'oscurità del mondo dei morti. Sapevi tutto questo e hai lasciato che ti infierissi ferite mortali, mentre io, stupido credevo volessi la morte.
O forse la volevi?
Forse avevi bisogno di liberarti del tuo corpo reale per diventare uno spirito vendicatore e demoniaco in grado di torturarmi le meningi al fine di farmi impazzire.
Tu non volevi donarmi una fine veloce e indolore.
Per questo mi hai salvato dall'auto.
Per questo mi hai lasciato tutti questi segni.
Oh uccello demoniaco, dimmi, cosa mai ti ho fatto di così terribile da meritarmi tutto questo?
Era già nei tuoi piani?
Hai deciso per me questa fine quella calda notte estiva in cui ti chiesi cosa stavi scrutando nel vuoto dell'ombra?
Oh ma ora basta.
Ora basta, non mi importunerai più angelo alato del male, bestia satanica.
Mi chino e raccolgo da terra uno quei cocci, poso gentilmente la candela sul caminetto.
Oh non mi torturerai più essere immondo, non mi avrai più e finalmente la smetterai di giocare con la mia anima e la mia mente.
Smetterai di divorarmi e trascinarmi nell'agonia e nella pazzia.
Ho ancora un briciolo di anima e posso ancora decidere cosa farne, prima di diventare la tua bambola umana da torturare per i tuoi fini sconosciuti.
Poso la punta del coccio nell'incavo molle del polso, là dove si riuniscono le vene della mano, e pingo con forza disegnando con la punta una lunga strada nella mia carne. Una strada nera e vischiosa che parte dal polso e raggiunge l'incavo del gomito.
Non sento nemmeno dolore, non sento nulla, se non la consapevolezza che questa è l'ultima strada.
Un brivido freddo lungo la schiena.
L'ho fatto.
L'ho fatto davvero, mai, mai avrei creduto di averne il coraggio. Mai avrei creduto che un giorno mi sarei spinto a tanto, eppure, eppure, eccomi qui con un braccio tagliato.
Ormai è fatta.
Impossibile tornare indietro.
Con la mano insanguinata afferro il coccio e lo passo anche sull'altro braccio.
Più sangue perdo, più velocemente lascerò questo corpo.
Più sangue perdo, più velocemente sarò libero.
Non mi avrai dannato uccello del male.
Ormai è fatta.
Muori. Sono morto.
Muori. Sto morendo.
Ah, che dolore, che dolore dover lasciare il proprio corpo dopo che si è già morti.
“Assicurati di essere vivo il giorno che morirai” mi disse una volta mio padre, e mai, mai prima d'ora capii così precisamente quella frase.
Mi sembrava senza senso.
Com'era possibile morire da morti?
Ecco, come.
Quando l'anima dentro il corpo muore e ci lascia qui, scheletri corporei di noi stessi, senza vie di fuga se non la morte del corpo stessa.
Una morte auto-inflitta dovuta alla perdita prematura dell'anima.
La mia testa ciondola e cado al suolo come un sacco vuoto.
Un sacco di pelle, contenente ossa e organi.
Una grossa bambola dell'orrore.
Sento freddo, ma non dolore.
Ditemi, un corpo senz'anima può ancora sentire dolore?
Sento freddo.
Sento il sonno che mi pervade.
Oh eccola, eccola la morte tanto invocata.
Oh dea funerea prendimi tra le tue nere braccia alate e lasciami libero.
Un'improvviso odore di fiordalisi e fiori di campo pervade il mio ultimo respiro.
   
 
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