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Autore: Lucy_Dawson96    12/10/2014    2 recensioni
"Io stavo male, e lui giocava alla play, magari più felice che mai".
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Sapevo che non sarebbe stato facile.
Erano le due di notte, mi svegliai dopo un incubo, mi sedetti davanti allo scrittoio in ciliegio e mi misi a scrivere qualcosa di sensato da inviare a Francesco; era ora di precisare molte cose.
Nella casa in campagna dei miei nonni materni tutto suonava nostalgico, come le foto appese alle pareti, i pupazzi in fila nella libreria rossa, e il baule dove c’erano tutti i miei giochi estivi, insieme a quelli dei miei cugini.
Le scorpacciate dopo il mare con tutta la famiglia, i giochi sulla collina di sabbia, il laghetto artificiale con le anatre, la stalla ormai vuota, le passeggiate dentro il bosco con i cugini più grandi, quelli responsabili, che potevano anche andare al mare con gli amici, da soli, senza i genitori... erano riti obbligatori, che da qualche anno erano diventati dei ricordi agrodolci, e riaffioravano nella mente di ognuno di noi. I miei nonni erano troppo anziani per stare lì d’estate, così mi diedero le chiavi della casa. Furono felicissima di darmi la loro piccola reggia, costruita con i sacrifici di una vita. Sapevano quanto tenessi a quella casa.
I miei zii si limitavano a badare all’orto, agli animali e a dare qualche volta una pulita alla casa, non si preoccupavano dei preziosi libri, quei meravigliosi libri che mi avevano fatto compagnia nell’estate in cui i miei si separarono e io e i miei fratelli passammo tre mesi lontano da casa per sfogarmi un po’, l’anno dei miei tredici anni. Quando ci trasferimmo in città, portai qualcuno dei libri con me, nella mia camera nuova, con una libreria alta poco più di mio fratello maggiore, che all’epoca era un metro e ottanta, l’uomo di casa, l’unico che mi proteggesse veramente, geloso, premuroso e dolce.
I fogli dentro lo scrittoio profumavano di vecchio, erano lì da almeno vent’anni, ma erano inutilizzati.
Non l’avevo mai aperto, addirittura c’erano ancora una decina di penne d’oca e qualche calamaio ancora confezionati. A me pareva proprio un capriccio di zio Mimmo, a cui piacevano molto le cose antiche, com’era antico lui d’altronde.
Intrisi la piuma d’inchiostro e cominciai a scrivere la bozza di quella lettera che avrei inviato a Francesco come mail; la mia grafia era come al solito confusa ma quasi comprensibile.
Perdonami se ti rubo ancora del tempo...” iniziava così.
Le parole scorrevano come un fiume, sui fogli ormai ingialliti dal tempo. Riflettevo, e scrivevo senza pensare agli errori, una cosa che mi capitava raramente, da adulta soprattutto.
Rilessi la lettera e dovetti ricopiarla velocemente per poi buttare la brutta, nascondendo così le lacrime che avevano reso le righe un impiastro di nero sul foglio.
Smisi di piangere e andai a lavarmi la faccia, quella sera ero  tornata da una serata con i miei vecchi amici del mare, e mi ero addormentata senza struccarmi.
Uscii dal bagno ed entrai nella camera dove dormivo con Marco, il mio migliore amico. Entrai il più silenziosamente possibile, ma vidi che stava rigirandosi nelle lenzuola. Accese la luce e farfugliò qualcosa di incomprensibile, dopodiché mi guardò struccata.
«Perché sei ancora sveglia?» mormorò.
«Stavo scrivendo... »
«Non un nuovo romanzo, vero? »
«No...»
«Scrivevi a Francesco? »
«Esatto».
Inarcò il sopracciglio.
«Gli invierò una mail»
«Sei sicura?»
« Sì, al cento per cento».
«Non sei obbligata a farlo»
«È ora di chiudere questa storia, Marco. Ho capito che non ho più speranza, e sono anni che gli sto dietro. Non si ricorda neppure di me»
«Non fare la tragica! Ne parliamo domani. Buonanotte, Piccolina» mi disse, dandomi un bacio sulla fronte.
«Notte, Marcolino».
Francesco era il mio compagno di banco in prima liceo scientifico.
In una classe dove nessuno poteva essere diverso, lui era riuscito a cambiare il meccanismo, ma troppo tardi. Venne bocciato per la seconda volta e si trasferì in un’altra scuola.
Frequentavo la sua stessa compagnia, ma non lo vidi mai. Non lo sentii più, e dopo averlo invitato ad una serata con tutto il gruppo, seppi che rifiutò perché c’ero io.
Mi sentivo una stupida, ad avergli dato tutto il mio tempo. E dopo di lui, trovai solo tradimenti da parte del mio ex. Avevo perso le speranze, così per quel periodo mi dedicai alla scrittura, e allo studio.
Quella mattina mi svegliai presto, fumai una sigaretta all’alba e colsi la frutta per la colazione.
C’erano ancora le fragole e i lamponi, una bontà infinita. La rugiada mi bagnava le mani, rinfrescandomi un po’.
Marco, Lisa, Dan, Giulia e Luca erano ancora addormentati.
Sistemai il mobile in soggiorno, in cerca di qualche vecchio libro; ne trovai uno con la copertina in pelle, tinta di blu, con alcune pagine pinzate.
Un flash mi avvolse, facendomi poi trasalire: era il libro che mi regalò Francesco, l’anno prima del nostro addio.

Al liceo, facemmo subito amicizia. Parlavamo di tutto; mi sentivo me stessa, eravamo molto simili e non avevo paura di mostrarmi com’ero: magicamente,  l’insicurezza che avevo durante le interrogazioni o i saggi di canto, scompariva non appena il mio sguardo incrociava il suo, come fosse un calmante. Capii subito  che non sarebbe stato facile essere ricambiata.
Era un ragazzo timido, però molto simpatico e gentile. Era alto, e aveva le spalle larghe ; all’inizio portava i capelli corti quasi rasati a zero, poi iniziò a farseli crescere. Aveva gli occhi color nocciola mischiati col grigio, col verde scuro e capelli neri come la pece.
Era un sognatore, uno scrittore tra le nuvole, me ne accorsi da quando lessi il suo primo tema; la cosa che mi colpì di più durante le ore buche furono i suoi sorrisi quando scriveva; fu anche quello il motivo per cui mi cossi completamente di lui.
Eravamo entrambi dei lettori assuefatti dai libri, ed entrambi eravamo aspiranti scrittori. Lui di gialli, io di romanzi rosa.
Per il mio quindicesimo compleanno mi regalò un libro che, disse lui, aveva trovato in un mercatino. Era stato scritto da aspiranti scrittori come me, e aveva un che di speciale, ne aveva preso una copia anche lui.
Ma il quinto capitolo era pinzato. “Quando sarai pronta, lo leggerai”.
Fino ad allora, non mi ero sentita pronta.
I miei ricordi vennero interrotti da Luca.
«Ehi, tutto a posto? Edo ha già chiamato?»
«Oh , ciao. No, arriva stasera. Sei l’unico sveglio?»
«No, Giulia si è alzata, e ho sentito Lisa e Dan parlare»
«Marco?» chiesi. Rise.
«Ci pensi tu?»
«So fare miracoli. Sono le otto del mattino e Marco si sveglierà tra cinque minuti!»
«Cinque euro che rimane a letto»
«Dieci se si alza. Perderai miseramente!»
Accesi il fornello, dove c’era una caffettiera già pronta.
Quando il caffè cominciò a salire, si sentì uno scalpitare dalla mia camera: Marco aveva sentito il richiamo della sua bevanda preferita, il caffè.
«Il bell’addormentato! Dormito bene?»
«Caffè». Mi rispose, con le occhiaie fino alle ginocchia.
«Arriva subito, tu siediti a tavola»
Apparecchiai, la tavola era piena di ogni leccornia: marmellata, frutta, cornetti, merendine, biscotti, succo d’arancia, cereali, yogurt...
Lisa, Dan e Giulia uscirono dalle loro stanze, ancora assonnati.
«Buongiorno, avete fame?»
Non feci in tempo a chiederlo, che Dan si avventò sui cornetti al cioccolato, facendone fuori mezza dozzina.
Versai il caffelatte nelle tazze, e feci colazione pure io.
Mio fratello gemello sarebbe arrivato quella sera, insieme al suo migliore amico e un loro compagno d’università. Non conoscevo quest’ultimo, sarebbe stata la prima volta che l’avrei visto.
Toccò a Lisa e Dan sparecchiare, mentre io mi diressi verso il divano, dove avevo lasciato il mio libro incustodito.
Lessi tutto d’un fiato i primi tre racconti, poi il quarto, e arrivai al quinto. Non era un racconto, era una lettera di Francesco. Capì che quel libro l’aveva scritto lui.
“La verità è che io sono troppo vigliacco per dirti che tengo a te, più di qualsiasi altra cosa. Non mi stancherò mai di fissare quella foto di classe dove tu hai la maglietta azzurra, quella maglietta che ti dona così tanto, e il tuo sorriso, raro come la neve nel tuo paese.
Mi dispiace che tu mi consideri soltanto un divertimento, mi dispiace che tu mi dica “ti voglio bene”, io non ti voglio bene. Non riesco nemmeno a disprezzarti, non posso.
Quando me l’hanno detto, sono rimasto senza fiato, e così ho scritto questo libro. Spero che la copertina ti piaccia, sai, l’ho vista in una vetrina e ho pensato subito a te. Un azzurro dipinto e un blu notte, potremmo essere una bella coppia, io e te. Sotto un cielo stellato a indicare quei puntini gialli e bianchi, o sopra una panchina, a fumare tutte le sigarette del pacchetto e tossire come dannati, oppure sul divano, magari davanti a un bel film di Tim Burton.
Potremmo vivere come Jack e Sally, se tu lo vorrai.
Ho pinzato questo, perché sapevo che prima o poi l’avresti letto. Mi allontanerò dalla tua vita lentamente, così sentirai meno la mia mancanza, la mancanza di chi t’ha amato, e ha ricevuto solo un “ti voglio bene”, o peggio, offese alle spalle.
Ricordi quando ti presentasti? Eri la persona più timida che avessi mai conosciuto. Arrossivi facilmente, e all’inizio non me ne curavo, finché quel rosso non è diventato la mia ragione di vita.
Le tue guance così perfette, e i tuoi capelli così profumati.
Scusami se ti abbandonerò così, ma non posso stare vicino alla persona che amo, senza poterla amare pienamente...”
Questa è solo una parte della lettera, che non compresi del tutto. Avevano detto a Francesco che per me era solo un divertimento?
Così mi tornò in mente la festa di fine anno scolastico.
Stavamo ballando, eravamo brilli e andammo fuori a fumare. Provai a baciarlo, ma lui mi respinse. Ci rimasi male, ma gli confessai comunque i miei sentimenti. Lui mi respinse.
Da quel giorno parlammo solo di musica e libri. E man mano che passavano i mesi, ci allontanammo sempre di più, fino a diventare dei perfetti sconosciuti.
Mi rispondeva in malo modo, sembrava mi odiasse. E invece, cercava di non amarmi.
Però, mi aveva dimenticata in fretta, visto che qualche anno dopo, lo vidi con una ragazza. Sembravano innamorati.
Quando era ancora single, gli chiedevo di uscire, ma lui non mi rispondeva, e se lo faceva, reagiva male.
Io stavo male e lui giocava alla play, magari più felice che mai. Feci leggere la lettera a Lisa.
«Non è possibile. È stato così scemo da credere a qualcuno, senza parlarti in prima persona?»
«A quanto pare...» risposi, svogliata.
 
Verso le sei di sera, finalmente rividi mio fratello, dopo un anno di assenza.
Io stavo riposando, era stata una nottataccia e la sera successiva non riuscii a rimanere sveglia.
Mi alzai, con le urla di Edoardo.
«Oh la padroncina! Muoviti, siamo carichi di bagagli! Aiuta Andrea e Francesco a scaricare tutto»
Per un attimo ebbi lo stupido pensiero “Vuoi vedere che è quel Francesco?”, ma poi uscì e il mio pensiero divenne realtà.
Avevo Francesco Parchi davanti. Teneva delle valigie, che scaraventò per lo sgomento davanti a me. Sgranammo gli occhi.
«Che ci fai qui?»
«Parchi, che ci fai “tu” qui?»
Edoardo  guardò entrambi. Ci domandò se ci conoscessimo. Rispondemmo di sì, timidamente.
Mio fratello mi abbracciò forte e mi disse che gli ero mancata. Portò le valigie dentro, mentre io e Francesco continuammo a fissarci, senza dire nulla.
Ero assente; non avevo ancora realizzato che ero tutt’altro che addormentata, purtroppo ero sveglia. Tre mesi infernali mi avrebbero attesa.
«Parchi»
« Io...»
«Sh. Sto cercando di pensare un modo carino per insultarti pesantemente» risposi, fingendo di essere arrabbiata.
Rise, e io sorrisi, a mio malgrado.
Mi diede due baci sulle guance e mi abbracciò, io mi schiodai immediatamente.
«Hai letto tutto?»
«Sì, carino il quinto racconto, davvero carino».
Mi disse che aveva dato retta alle persone sbagliate, gli ci vollero otto anni per capirlo. Otto anni, e dopo tante peripezie, eravamo di nuovo amici.
Una situazione bizzarra, si trasformò nell’estate più felice della mia giovinezza.
Gli mostrai il terreno, senza poi preoccuparmi che fosse troppo noioso raccontargli la storia di quel posto, cosa significava per me, cosa significava dopo il nostro addio.
La notte stessa uscimmo tutti insieme, e mi presi una bella sbronza. Francesco mi portò a casa, noncurante delle mie parole.
«Sei stato uno stronzo a crederci, sai? Ti ho odiato»
«Lo so. Anche tu sei stata una stronza, però. Mi hai criticato, e io non c’ero nemmeno»
«Tu non sei uscito quando te l’ho chiesto»
Mi ricordo solo questo, dopodiché mi svegliai il mattino seguente con un gran mal di testa. Mi aveva portata in stanza, e mi aveva affidata a Marco.
Tutto sembrava così strano, da quando c’era lui.
Passarono due settimane, luglio era ormai finito, e tutti avevano voglia di rimanere per sempre in quel terreno incantato, pieno di sorprese.
Durante le pulizie settimanali, Francesco trovò per caso la mia lettera, e la lesse. Avevo dimenticato di stracciarla, ma capivo ben poco. L’argomento “mi piacevi, ti piacevo” era bandito dai nostri discorsi, principalmente basati sui nostri nuovi romanzi, o su letture particolarmente piacevoli.
Io ero spaparanzata sulla sdraio, all’ombra, e fumavo una sigaretta mentre leggevo un mio racconto delle elementari. Parlava di un posto magico, situato proprio dov’era la casa in campagna. E a distanza di anni, la magia non era diminuita affatto.
Arrivò con quella pila di fogli in mano, mi chiese spiegazioni. Io non riuscii a pronunciare una parola. Mi guardò, dicendomi che ero una delusione.
«Non sono io quella che ha creduto alle voci. O sbaglio?»
«Non sbagli, mi odi così tanto?»
«Puoi giurarci»
«L’odio e l’amore sono due facce della stessa medaglia, ricordi il terzo racconto?»
«Sì, me lo ricordo perfettamente» risposi.
«Che caratteraccio...»
«Tu! Mi hai sostituita benissimo, con quella là!»
«Ci ho fatto sesso e basta».
«Oh, certo. “amore” di qua, “amore” di là, soprattutto quando c’ero io»
«Potrei fare l’amore con te»
«Sesso»
«Perché non l’amore?»
«Fare l’amore fa male, ti distrugge pian piano».
Francesco mi baciò sulle labbra e poi sul collo, sentii un brivido.
Stavo per cedere, ma lo fermai: avevo avuto un altro dei miei flashback.
Rimase sorpreso dalla mia reazione.
«Se non sbaglio ti piace... »
«Non sbagli, ma non sai cosa mi piace veramente.»
Sorrise, mi fissò negli occhi e mi disse con tanta naturalezza: « So che ti piace un mazzo di rose rosse con dedica chilometrica, un bicchiere di tè freddo alla pesca e un cornetto alla crema sul tavolo il giorno del tuo compleanno.
Ti piacciono i baci sul collo, e il brivido che ti provoca quando succede».
«Come lo sai?»
«Lo so e basta. E tu hai il collo più bello del mondo.
Vorrei ricominciare dalla parte in cui ti ho detto “Piacere, Francesco.”»
Mi baciò di nuovo, ma non lo respinsi più.
Mi strinse forte, e pianse anche lui. Sembravamo due bambini che avevano ritrovato il loro compagno di giochi.
L’avevo odiato così tanto, che alla fine l’amore per lui era rimasto. Due facce della stessa medaglia.
Era la notte di San Lorenzo, e insieme al resto del gruppetto, piazzammo le tende in spiaggia.
Io e Francesco mettemmo gli asciugamani l’uno a fianco all’altro e osservammo le stelle, in attesa di vederne una cadere. Né io, né lui conoscevamo le costellazioni, era una materia a noi sconosciuta.
Non ne vedemmo nemmeno una cadere. Il mio desiderio si era già avverato.
Quella notte facemmo l’amore, una settimana dopo il nostro primo bacio.
Mi strinse forte a sé, dandomi un senso di protezione e sicurezza che provavo solo fra le sue braccia.
Successe così tutto in fretta, da non accorgermi che avevo perso la cognizione del tempo: era quasi l’alba. Marco aprì la tenda: eravamo ancora abbracciati.
«Buongiorno, raggi di sole. Dobbiamo smontare le tende e andare a casa. Avete dormito?»
«No...» risposi, sorridendo.
Ci fece l’occhiolino, poi chiuse la tenda. Ci rivestimmo, e smontammo la tenda in fretta, prima che l’alba sorgesse. Mettemmo tutto nella custodia, poi mi prese la mano.
«È ora di dirlo agli altri, che dici?»
«Sì.» sorrisi.
«Ti brillano gli occhi, dovresti sorridere più spesso. So che con me hai sorriso poco, ma recupereremo»
«Sicuro?» fece una smorfia compiaciuta, poi mi abbracciò e iniziò a farmi il solletico.
«Sei sleale!» rise malignamente, poi mi prese in braccio e cademmo sulla sabbia, infarinandoci tutti.
Eravamo sporchi e stanchi. Mi prese in braccio nuovamente e si diresse verso il mare.
Facemmo il bagno, e mentre io ero tra le sue braccia, mi baciò con passione. Non avevo mai smesso di amarlo, e lui mi aveva conquistata, di nuovo.
Dimenticai otto anni in un minuto.
Potremmo vivere come Jack e Sally, io lo voglio, lui pure.
Fine
   
 
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