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Autore: lalla_wolf    13/10/2014    3 recensioni
Due gemelle. NO. Una gemella. Una vecchia casa. Uno specchio.
Non sei più sola Alice.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutt! Questo è in effetti il mio primo horror in assoluto; è nato da un compito che la nostra professoressa ci ha chiesto di svolgere per la fine di questa settimana. Detto ciò spero vi piaccia, vi sarei anche molto grata se mi diceste cosa ne pensate :) Ci tengo a precisare che i personaggi, i luoghi e i dialoghi SONO MIEI, lo so che la trama può risultare simile a quella di svariati fil horror ma vi assicuro che non era mio intento copiare.



Alice non era mai stata una ragazzina nomale. Nessuno lo aveva mai capito, così come non capivano i sui sussurri, le sue ninnananne canticchiate sommessamente. Lei non era pazza, non fraintendetemi, cantava per sua sorella gemella, morta.
Era solita aggirarsi per casa, con  lo sguardo perso dei suoi penetranti tristi occhi grigi che si soffermava su tutto ma non guardava nulla e i capelli rossi che le ricadevano sulla schiena come una nuvola. Nonostante fosse sempre stata strana, le cose peggiorarono quando, nella primavera del 1923, lei e a sua famiglia si trasferirono  a New York.  E’ sbagliato pensare che l’orrore sia indissolubilmente legato al buio, alla solitudine e al silenzio: la loro villa era luminosa, rivestita di mattoni, con decorazioni in legno e marmo il cui splendore era indice di benessere e raffinatezza. Nelle camere, alte e spaziose, tappezzate da un’assurda carta da parati, stazionavano muffe; ma i pavimenti erano puliti e c’era l’acqua calda. Quanto ai suoi genitori, i coniugi Scott , loro non c’erano anche quando c’erano. Non tanto suo padre che rincasava tardi dal suo prestigioso lavoro che era, in fin dei conti, l’amore della sua vita; lei non avrebbe mai capito perché la medicina lo affascinasse tanto o il perché si ostinasse tanto a salvare vite. Forse se fosse stato più presente avrebbe capito il problema di sua figlia. Forse. Sua madre invece era il classico, cupo esempio di donna finta e sottomessa, bionda e posata era una fissa presenza silenziosa al fianco del marito negli incontri importanti nei quali, tanto, non avrebbe saputo argomentare nulla. Alice era profondamente convinta che sua madre fosse depressa, anche se non era lei ad essere abbandonata dai genitori come un pacco. Eppure Alice non era mai, mai, sola.
Lo capì la prima volta a quindici anni mentre, cercando la sua balia, passò davanti ad uno specchio e vide … qualcosa, sogghignare. Fu solo un attimo, è sempre solo un attimo, ma ormai il dubbio per quello che aveva visto l’avrebbe tormentata.
“Paige? Paige dove diavolo sei?”- sbraitò ancora scossa.
“Qui miledy…”-sussurrò con gli occhi bassi.
Paige era “la sua balia” o meglio, il suo regalo per il sesto compleanno; solitamente si aggirava per la casa come uno spettro e sfaccendava, faceva tutto ciò che la sua sciocca madre non aveva tempo per fare.
“Paige muoviti, ho bisogno che tu vada a comprare un altro libro, non importa quale, basta che vai”
“Si signorina” a quel punto, se avesse ascoltato, l’avrebbe sentita prendere il cappotto e uscire, ma poco le importava: era tornata davanti allo specchio per cercare di capire.
Restò lì davanti per i seguenti tre anni prima di capacitarsi di cosa le stesse accadendo. Vedeva se stessa riflessa ma non sorrideva, o meglio Alice non sorrideva, la sua immagine invece ghignava e si muoveva con rumori sinistri come a volerle sottolineare sempre “Guarda cosa posso fare, guarda, io ci riesco”; era uguale in tutto e per tutto a lei ma il corpo sembrava fermarsi  al bacino e i suoi occhi... i suoi occhi erano neri come l’oblio. Le prime volte lei se ne restava immobile paralizzata dalla paura per ciò che stava accadendo ma poi, con il passare degli anni quel mostro nello specchio le faceva quasi compagnia. Fino a quando non uscì. Per prime le dita, poi tutto il corpo. Alice si accorse di non essere sola troppo presto o molto tardi, resta il fatto che, ve lo posso assicurare, l’urlo che lanciò appena si voltò riecheggia ancora tra i muri della vecchia casa.
“ciaao” disse con la sua voce graffiante, sembrava che stesse facendo le fusa.
“tu…” riuscì solo ad articolare balbettando Alice.
“Già io, sono sempre stata io, sempre noi; eppure hanno scelto te”- “lei ha scelto te!” urlò, le corse incontro e la inchiodò al muro. Sentiva le sue sporche, sanguinanti braccia premerle sul collo, gli occhi grigi, i suoi occhi grigi che la fissavano strabuzzati e poi puzzava, puzzava tanto, puzzava di morte.
“Immagino che tu non sappia cos’è successo, non è vero principessa? Immagino che non ti abbiano detto di come hanno deciso di salvare te e di lasciarmi morire non è vero?” I suoi occhi iniettati di sangue e le sue parole cariche d’odio la paralizzarono; lei non sapeva, o meglio sapeva ma non ricordava, no lei non ricordava.
“Forse l’avrai capito, forse no, non sembri molto sveglia” ribatté sprezzante “noi siamo gemelle” aggiunse con un sorriso troppo tranquillo per non risultare terrificante.
“Sai come mi avrebbero chiamata? Mi avrebbero chiamata Scarlett; scarlatta, la rossa, rossa come il sangue se ci pensi… saremmo state noi sorelle conto il mondo, ma hanno scelto te” spinse ancora di più il braccio sulla sua gola ed estrasse un coltello continuando a ripetere canticchiando “hanno scelto te”
“E come è giusto fare, da brava sorelle, condivideremo; quello che è tuo è mio e quello che è mio è tuo, non è vero?” aggiunse, “Ti sei presa il mio corpo la mia vita… ora faremo a cambio anzi no! Condivideremo!” aggiunse con un sorriso sinistro ed un’ espressione diabolica, pacifica, terribile e tranquilla. “Eh principessa? Ti va?”
Avrebbe voluto gridare, ma le lacrime e il dolore del Suo braccio piantato in gola minacciavano di soffocarla.
Iniziò a passare il coltello sulle sue braccia, sulla sua pancia, sulle sua gola fino a farla urlare e, con un veloce gesto, le recise le gambe, proprio sotto al bacino come era successo a lei. Dire che Alice desiderasse morire era un eufemismo, non aveva mai provato un dolore così grande in vita sua, lo sentiva crescere ed attanagliarle le viscere come fosse vivo.
Infine la uccise. O meglio la guardò con quella sua faccia grigiastra, chinò appena la testa, fissò gli occhi nei suoi e, con un grido disumano, le si buttò addosso, prendendo pieno possesso del suo corpo.
Alice muore, Scarlett vive.
“Adesso” sentì nella sua mente “saremo insieme, sarò viva, noi … condivideremo” la costrinse a girarsi verso lo specchio e tutto ciò di cui riuscì a capacitarsi fu che i suoi occhi erano neri, neri come l’oblio.
 
“Paige?” domandò la signora Scott
“Si signora?”
“Apri la porta! Muoviti! È arrivato il parroco!”
   
 
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