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Autore: beagle26    17/10/2014    7 recensioni
Londra. Elena Gilbert, giovane scrittrice di belle speranze, dopo mille porte in faccia è riuscita a pubblicare con successo il suo primo romanzo.
Il merito è dovuto soprattutto all'intervento del giovane editore titolare della casa editrice “Tristesse”, che tra consigli non richiesti e qualche modifica di troppo, ha portato il libro in vetta alle classifiche di vendita.
Ma cosa succederà quando Elena verrà colta improvvisamente dal famigerato blocco dello scrittore?
AU - TUTTI UMANI
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline Forbes, Damon Salvatore, Elena Gilbert, Elijah, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena, Damon/Katherine
Note: OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 6 – LA TUA YOKO ONO
 
 
Words are flowing out like endless rain into a paper cup
They slither while they pass, they slip away across the universe
Pools of sorrow, waves of joy are drifting through my open mind
Possessing and caressing me
 
Jai Guru Deva Om
 
Nothing's gonna change my world
 
***
 
Le parole volano come pioggia senza fine in una tazza di carta
Scivolano mentre passano, si diffondono per tutto l'universo
Pozzanghere di dolore, onde di gioia fluttuano nella mia mente aperta
Si impossessano di me e mi accarezzano.
 
Jai Guru Deva Om
 
Niente cambierà il mio mondo
 
Across the universe – The Beatles
 
 
 
Damon
 
Quando sono uscito di casa diretto al pub con la speranza di trovarci Elena, Stefan, come al suo solito, ha blaterato di qualche stronzata psicanalitica che avrebbe a che vedere con i miei sensi di colpa verso di lei, solo per il fatto che sto cospirando alle sue spalle per renderla appena un po’ infelice e farle terminare il dannato secondo romanzo, il quale rappresenta la mia unica possibilità di non finire sul lastrico – o peggio – a Cavallo Magazine.
 
Si, certo. Come se si potessero prendere sul serio i discorsi di un tizio travestito da Sherlock Holmes con tanto di walkie talkie e binocolo, che si sente il figlio segreto di Alain Ducasse[1] e dispensa consigli psicologici a destra e a manca nonostante la sua penosa situazione sentimentale sia palese a chiunque.
 
E poi io ho agito con le migliori intenzioni. Volevo solo che Elena tornasse nella condizione mentale più idonea per scrivere, che ritrovasse la malinconia tipica di ogni artista che si rispetti.  Non potevo mica immaginare che se la sarebbe presa tanto per quello stupido bonsai.
 
Ovviamente, se ora sono qui, non è perché ho dato retta a mio fratello. Certo che no.
Devo solo verificare che Elena non sia precipitata in una spirale di autodistruzione.
Fa parte dei miei doveri di editore.
Ok, ammetto che forse, quando l’ho vista appollaiata senza troppa grazia sullo sgabello, la testa fra le mani e lo sguardo perso nel vuoto, un pochino mi è dispiaciuto.
 
Quando ha tirato su il viso e si è voltata, ho notato subito la sua espressione da cucciolo ferito e per un attimo ho riconosciuto quella sensazione fastidiosa allo stomaco, la stessa che ho provato poco fa, a casa sua, quando era così giù e per la prima volta in vita mia ho desiderato non essere proprio io il responsabile di tanta incomprensibile disperazione.
 
E ora continua a fissarmi con quegli occhi scuri e lucidi, mentre suo labbro inferiore gonfio di morsi (Non che la cosa mi interessi, ma la conosco. Si massacra sempre il labbro quando è nervosa per qualche motivo) comincia a tremare in modo impercettibile.
Poi tira su col naso piuttosto rumorosamente come se fosse sul punto di piangere.
Possibile che se la sia presa così a male?
E pensare che all’inizio, quando ho cominciato a ragionare sull’operazione spleen, avevo addirittura ipotizzato di avvelenarle  il cane, giusto per farla deprimere un po’.
Ok, Elena non ha un cane, ma avrei potuto comprargliene uno e poi ucciderlo.
Mica un cucciolo, un cane vecchio e moribondo magari, così sarebbe stata più che altro un’eutanasia.
 
“Che diavolo vuoi?” esordisce lei appena si accorge di me.
 
Sarà pure depressa, ma questo non le impedisce di essere fastidiosamente irritante come al suo solito, e io non sono certo abituato ad essere trattato in questo modo da una donna.
Eppure quel non so che di malinconico nel suo sguardo mi trattiene dal risponderle a tono. Continuo a tenere gli occhi fissi nei suoi, alla ricerca di qualcosa che nemmeno io so di preciso. Lei socchiude appena le labbra di stupore, si lascia sfuggire un mezzo sospiro.
 
“Ho bisogno di parlarti Elena.”
 
Per un attimo sono tentato dall’idea di costituirmi.
 
Scusa Elena, ma devo confessarti che la tua pianta non è appassita per morte naturale: sono stato io. Perdonami… se avessi saputo che era così importante per te…
 
Che poi, tecnicamente non è andata davvero così. L’ho solo sequestrata.
L’ho perfino abbeverata prima di uscire.
E si, ho usato lo spruzzino apposito per bonsai che ho comprato al minimarket dietro casa. Quando faccio una cosa la faccio bene, io.
 
“Stai bene?” dico invece.
 
“A meraviglia…” risponde.
 
E il labbro le trema ancora di più.
 
“Non sembrerebbe… insomma, sei qui che bevi tutta sola.” continuo, indicando la pinta mezza vuota.
 
“Elijah… doveva… lavorare.” si giustifica.
 
Poi abbassa lo sguardo sulle sue mani, con un’espressione vagamente imbarazzata.
 
Ogni tanto mi dimentico che Elena ha qualcosa di meglio di un animaletto domestico: ha uno sceneggiatore con i capelli impomatati.
Quel pirla egocentrico, se tutto va bene, non si sarà nemmeno reso conto che la sua donna è bloccata da settimane e si è trasformata nella versione femminile del Boss delle torte.
Lui non è affatto la persona che può renderla felice, solo che lei non l’ha capito.
Ma per questo ci sono io.
In men che non si dica cambio idea. Altro che consolare Elena, qui bisogna battere il ferro finché è caldo: sono pronto per l’operazione Spleen2.
 
Senza fare troppi complimenti mi accomodo sulla sedia accanto alla sua, mi sfilo la giacca e faccio un cenno alla barista che si affretta a prendere il mio ordine, lanciandomi uno sguardo eloquentemente lascivo al quale rispondo con un mezzo sorriso ammiccante, provocando un’immediata alzata d’occhi al cielo di Elena. Che colpa ne ho se faccio quest’effetto a tutte le donne? Quasi tutte, a quanto pare…
 
“Allora… Elena. Condividere lo stesso tetto con un altro scrittore dev’essere affascinante. Scommetto che avete un sacco di discussioni interessanti sulle vostre opere, scambi di vedute. Stimolante, no? Elijah deve essere fantastico.” la incalzo, invadendo prepotentemente il suo spazio vitale e facendola arretrare di qualche centimetro.
 
“L-lo è.” balbetta lei, frettolosa. Troppo frettolosa.
 
“Allora, che ne pensa il grande sceneggiatore del tuo nuovo romanzo?” chiedo a bruciapelo.
 
Il silenzio che ne segue non fa che confermare tutti i miei sospetti.
 
“Non ti ha mai chiesto di leggerlo. Neanche una pagina, non è così?”
 
Altro silenzio. Bingo!
 
“Dove vuoi arrivare Damon?”
 
“Ti sta usando Elena. Elijah Mikaelson è uno scrittore fallito e privo di ispirazione, che vive a casa tua come uno scroccone e sfrutta la tua popolarità. Scommetto che ti copia pure le idee.”
 
“Non sai di che parli… Elijah non è affatto come lo descrivi tu.”
 
“Invece lo so eccome!” sbotto, alzando automaticamente la voce di tre ottave.
 
Elena mi guarda con gli occhi sgranati, le guance di un colore tra il rosso e il fuxia e l’espressione attonita. Solo adesso mi rendo conto di trovarmi a mezzo centimetro dal suo viso e averla afferrata per un polso, mentre lei respira in modo sempre più convulso.
Non capisco se sta per scoppiare a piangere di nuovo o…
 
“Ecco le vostre birre ragazzi.”
 
La voce della cameriera. Noto gli occhi di Elena spalancarsi un po’ di più. Poi si divincola bruscamente dalla mia presa e…
 
“Ouch.”
 
Non vedo più niente.
 
 
Elena
 
“È un hamburger quello?” bisbiglia Damon, le braccia incrociate sul petto e la testa reclinata all’indietro, sul bordo della sedia di legno, mentre indica con l’indice il cartoccio di cellophane che gli sto tamponando sull’occhio da qualche minuto.
 
“Potevi scegliere fra questo e una confezione formato famiglia di patatine fritte surgelate…” rispondo, accennando un timido sorriso di scuse.
 
Lui fa una smorfia incomprensibile, sposta piano la mia mano e tira su la testa.
Ho fatto veramente un ottimo lavoro: il suo occhio sinistro è gonfio come una pallina da golf e riesce a malapena ad aprirlo.
 
Non che questo lo renda meno bello.
Non che io lo consideri bello, comunque.
Lo dicevo così… da un punto di vista… ehm… scientifico.
Il fatto è che lui ha la capacità di mettermi a disagio e quando sono a disagio mi agito e quando mi agito…
 
“Mi dispiace di essermi innervosita, di aver urtato la cameriera che ti ha urtato col vassoio e averti dato una gomitata che…”
 
“Lascia perdere,” mi interrompe “forse ho un tantino esagerato a dirti quelle cose. In realtà quando sono partito da casa avevo tutt’altre intenzioni.”
 
Sbatto le palpebre un paio di volte, confusa. “Cioè?”
 
“Volevo che tu sapessi che mi dispiace.”
 
Mi soffia addosso quelle parole inattese con una voce bassa, appena un po’ roca, che mi contrae qualcosa dentro. Sembra così diverso adesso, così simile al Damon che avevo imparato a conoscere. Scorbutico si, e anche complicato, ma in grado di comprendermi, tirare fuori il meglio di me e polverizzare le mie resistenze in un istante.
 
“Per cosa?” bisbiglio, incerta.
 
“Beh, Elena, volevo dirti che… sei una scrittrice straordinaria. Non te lo avevo mai detto, ma lo penso. Lieto Fine è davvero buono, il miglior romanzo su cui io abbia speso dei soldi"

"Praticamente l'unico..."

"Non perderti nei dettagli... quante volte te lo devo dire? E poi…”
 
La frase rimane in sospeso, ma per un momento non me ne curo.
Sono troppo concentrata a metabolizzare quello che mi ha detto, troppo presa dal suo sguardo insistente e magnetico, che riempie il mio campo visivo.
Me lo sento addosso e mi stordisce, specie quando si sofferma sulle mie labbra per una manciata di secondi, costringendomi a deglutire.
Soprattutto quando mi rendo conto che le sue dita stringono ancora il mio polso, stavolta con una presa molto più delicata di prima, ma che non mi impedisce di sentire ben distinto il calore che quel contatto produce dentro di me, proprio al centro del mio corpo.
Sto qui, imbambolata, con lo stupidissimo hamburger congelato in mano e non riesco a smettere di fissargli la bocca, ora contratta in un’espressione pensosa – ok, ok… dannatamente provocante –  come se stesse vagliando le parole più giuste da utilizzare.
 
Dannazione, che hai da dire? E perché adesso mi sento in preda a una crisi ormonale?
 
La sua bocca si piega lieve in un mezzo sorriso, appena accennato, forse un po’ divertito, mentre con l’altra mano cattura una ciocca di capelli che mi è scivolata davanti agli occhi e la sposta dietro il mio orecchio, sfiorandomi il lobo e poi il collo con calcolata, estenuante lentezza.
Senza distogliere l’attenzione da lui, mi mordo il labbro. Non posso farne a meno.
Poi, improvvisamente, il suo sguardo si concentra su qualcosa oltre le mie spalle.
 
“…che cos’è quella cartellina?”
 
Mi volto di scatto e anche i miei occhi mezzi ipnotizzati incrociano il rettangolo di cartone che spunta dalla borsa di cuoio che ho posato senza riguardo sopra al tavolo quando ho tentato di soccorrere Damon dopo averlo steso a suon di colpi di vassoio e gomitate.
 
“Oh… quella…” minimizzo. Damon scatta in piedi, mi guarda incredulo mentre i suoi occhi di dilatano di rabbia e le pupille si riducono a due punte di spillo.
 
“Sei stata alla ABP.” sbotta, puntandomi contro un indice accusatorio.
 
“Beh… si.”
 
“Dannazione Elena… perché lo hai fatto! Sono dei mercenari quelli. Non ti capiranno mai… NON VANNO BENE PER TE!” mi urla contro, spalancando le braccia come se avesse appena detto una cosa ovvia.
Per un momento rimango di stucco. Poi, improvvisamente, favorita dal mio ritrovato spazio vitale, incomincio a ragionare di nuovo. Ho capito il suo gioco. Ma certo! Come ho fatto a non arrivarci prima? I complimenti, le maniere gentili, i suoi tentativi di confondermi.
 
“Adesso ci sono, razza di bastardo. Vuoi che resti alla Tristesse, che scriva ancora per te per salvarti dalla bancarotta. Solo questo ti importa.” lo accuso, esasperata. Senza rendermene conto sono già saltata in piedi e ho afferrato la borsa, stringendomi la cartellina rossa al petto quasi come fosse un’ancora di salvezza in mezzo all’oceano di bugie che questo sbruffone mi ha propinato fino ad ora.
E io stavo per cascarci… povera illusa.
Nel frattempo Damon, in piedi di fronte a me, sembra metabolizzare lentamente le mie ultime parole, come se non le avesse capite fino in fondo.
Posso notare i lineamenti del suo viso irrigidirsi poco a poco.
 
“Non hai capito proprio niente. Cosa ti fa pensare che io voglia così tanto male a me stesso da rivolerti indietro?” mi sibila contro.
 
Non faccio in tempo a constatare i danni che quella sua ultima affermazione ha prodotto dentro di me. I miei occhi incrociano la figura alta e sottile di mio padre, in piedi davanti a noi, che ci osserva perplesso, ma con un sorriso a trentadue denti che gli va da un orecchio all’altro.
 
“Elena! D.! Scusate… non volevo interrompervi…” fa lui, tutto imbarazzato.
 
“Non si preoccupi Mr. G.. Me ne stavo andando.”
 
 
Damon
 
Parcheggio l’auto un po’ più distante del solito. Ho bisogno di fare due passi, smaltire la rabbia.
Sbatto entrambe le mani sul volante, pieno di frustrazione.
 
“Dannazione Elena!”
 
Possibile che mi sia fatto bere il cervello da quella ragazzina isterica?
Possibile che prima fossi addirittura sul punto di dirle che non mi importa niente del secondo fottuto romanzo, purché lei non se ne vada?
Deve essere colpa della botta in testa. Per fortuna mi sono fermato in tempo.
 
Mentre mi incammino, spedisco un veloce messaggio a Stefan, digitandolo in tutta fretta sull’i-phone.
 
Abbiamo chiuso con la moderata infelicità. Da domani si passa alle maniere forti.
 
Se ho un piano? Certo che si! E probabilmente avrei dovuto seguirlo fin dal primo giorno, senza farmi influenzare da Stefan, dai suoi metodi soft e dal fottuto spleen.
No, con quella testarda di Elena ci vuole ben altro.
Prima farò fuori Elijah, poi Mr. G.
La risposta di mio fratello arriva puntuale, come le tante cambiali che ho firmato in questo periodo e che si ripresentano a scadenza regolare sopra la mia scrivania, finendo regolarmente insolute.
 
Damon, conosci un sinonimo di psicotico?
 
Spengo il telefono. Ci penserò domani.
Arrivato a destinazione, controllo la situazione della mia faccia sullo specchietto di una macchina parcheggiata a lato della strada. L’occhio è ancora un po’ gonfio, ma di certo Kath non ci farà caso.
 
Suono il campanello. Quando spalanca la porta, indossa la camicetta nera di seta trasparente che le ho regalato l’anno scorso, quando ancora le mie finanze beneficiavano dell’effetto Lieto Fine.
 
“Hai ricevuto i dati che ti ho mandato per mail sulla tiratura di Cav…”
 
“Lo sai che non sono qui per questo.”
 
“Certo che no.” risponde lei ammiccante, infilandomi una mano nei pantaloni che hanno già iniziato a tirare all’altezza del cavallo, mentre con l’altra mi slaccia la cintura.
Una volta dentro il suo appartamento, la prima cosa che faccio scomparire è la camicetta di seta, per poi tapparle la bocca con un bacio prima che possa pronunciare di nuovo la maledetta parola che ha a che fare con gli equini.
Non devo farmi pregare: mi asseconda subito, schiacciandomi fra il muro e il suo corpo e continuando l’opera iniziata poco fa.
Quando mi ritrovo con le sue tette in mano, ne ho l’assoluta certezza: Kath è esattamente la donna per me. Con lei è tutto così semplice…
 
 
Elena
 
“Sono stato un idiota Elena. Potrai mai perdonarmi? Voglio dire, con tutto il male che ti ho fatto non avrei mai dovuto permettermi di trattarti in quel modo…”
 
“È tutto a posto papà, davvero. Non pensarci più.” sorrido.
 
Ok, questa giornata è stata un vero disastro ma per lo meno io e lui abbiamo chiarito.
Era così mortificato per la scenata di oggi pomeriggio che proprio non me la sono sentita di tenergli il muso. In fondo il nostro rapporto è rinato da poco dalle proprie cenere, è normale che possano esserci delle incomprensioni.
Sono felice di aver risolto almeno questo problema.
 
Mentre mio padre termina la sua birra (io no, per oggi ho dato..) scorro col dito sul mio I-phone. Sto consultando una app di cucina dove ho trovato la ricetta di una crostata al triplo cioccolato che non vedo l’ora di provare.
Per questo non mi accorgo subito del foglio che nel frattempo mi ha piazzato davanti.
 
Lo osservo di sfuggita, poi guardo mio padre. Sul suo viso si è dipinta un’espressione a dir poco entusiasta.
 
“Leggi!” mi esorta.
 
Perplessa, prendo il foglio in mano. È il testo di una canzone dei Beatles, la grande passione di papà, che non ricordo di conoscere.
Sembra carino, ma i miei occhi si soffermano soprattutto su alcune parole in corsivo che ricordano una specie di mantra.
 
Jai Guru Deva Om?
 
Che roba è? Cinese forse?
Quell’Om finale mi fa tornare in mente l’unica lezione di yoga a cui ho partecipato, nel vano tentativo di debellare lo stramaledetto Toro Blanco che si ostina a pascolare nelle praterie deserte della mia mente, vanificando ogni tentativo di finire il mio secondo romanzo.
 
Il corso era tenuto da una vecchietta sulla settantina tutta vestita di bianco, che però poteva vantare un corpo più elastico di Tira e Molla. Io invece, solo per sedermi sul tappetino, avevo prodotto un cigolio arrugginito che aveva fatto inorridire tutte le presenti.
Subito dopo la nonnina aveva iniziato a sproloquiare su fantomatici fasci di luce che discendevano dal cielo direttamente fino al coccige, esortandoci ad espirare dalla vagina. Nessuno sembrò stupirsi. Io ancora mi chiedo come sia possibile fare una cosa del genere.
Ovviamente ho preferito non approfondire, scegliendo la via del divano e preferendo aprire pacchetti di patatine davanti alla tv piuttosto che i miei chakra[2].
 
“Che c’è? Non ti piace?” chiede mio padre, notando la mia espressione perplessa.
 
“Di che si tratta?”
 
“Del testo per la finalissima di karaoke. È un duetto Elena… ti andrebbe di partecipare alla gara insieme a me? Sarebbe bellissimo vincere il primo premio accanto a mia figlia.”
 
Lo guardo ancora. È così eccitato e speranzoso che dirgli di no mi sembra un peccato, nonostante io non sia certo famosa per le mie doti canore o particolarmente appassionata di karaoke.
 
“Mi stai chiedendo di essere la tua Yoko Ono [3]?”
 
“Una cosa del genere.”
 
Sorrido. Sorride anche lui.
 
“Ci sto.”
 
 
 
[1] Famoso chef francese.
[2] Concetto inerente allo yoga e alla medicina ayurvedica. I chakra sono punti nel corpo in cui risiede energia e vanno appunto “aperti” per poterla liberare.
[3] Yoko Ono è la seconda moglie (giapponese) di John Lennon, il leader dei Beatles. In realtà questa canzone è dedicata alla sua prima moglie, che a quanto pare era logorroica, dato che ha ispirato il verso sulle parole senza fine.
 
*********
So che quasi un mese di assenza è davvero tanto per pretendere che qualcuno si fili ancora questa storia, ma proprio non sono riuscita a far di meglio. Proverò ad essere più puntuale con gli ultimi capitoli.
Continuano gli equivoci e le incomprensioni fra questi due... immaginavate qualcosa di diverso? Tranquille, nel prossimo tornano Elijah e Stefan a dare una mano a complicare le cose.

Intanto ringrazio di cuore chi arriva fino a qui, vi mando un bacione e vi auguro buon week end.
A presto (ci provo giuro!)
Chiara
 
 
  
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