Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: PerseoeAndromeda    18/10/2014    4 recensioni
Aver trovato le parti macanti del proprio cuore può rendere piena e felice la vita, ma può anche causare grande sofferenza quando gli altri frammenti di tale cuore si trovano dispersi in cinque angoli diversi e distanti del Giappone.
[Fanfic scritta per il compleanno della mia amica Sakura e... di Touma;P leggero shonen-ai per una coppia inedita, ma non così improbabile^^]
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kento Rei Faun, Rowen Hashiba
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La tua presenza

 

Shu osservava, tristemente, il traghetto che solcava il fiume Sumida, lasciando dietro di sé una scia torbida, come i pensieri del ragazzo.

Non erano pensieri del tutto tristi, caso mai contrastanti, complessi: c'era la felicità perché, presto, avrebbe incontrato uno dei suoi nakama, c'era il dolore e anche un po' di rabbia, perché gli altri tre non erano riusciti a liberarsi per quell'incontro.

Il dramma della distanza.

Il destino aveva voluto il loro incontro e si era anche preso gioco di loro, perché li aveva fatti giungere da cinque angoli ben distanti del Giappone, dal nord, dal centro, dal sud, sperduti per tutta la lunghezza dell'arcipelago.

E purtroppo erano ancora dei ragazzi, nonostante si fosse preteso da loro che compissero imprese al di là di ogni sopportazione e, in quanto ragazzi, avevano impegni familiari, scolastici e determinati obblighi da rispettare.

Ryo doveva recuperare alcuni voti pessimi, Seiji era rimasto bloccato dal dojo di famiglia, Shin, più avanti di un anno rispetto a tutti loro, doveva superare dei test molto importanti per riparare a tutte le lezioni perse durante la battaglia contro Arago.

Touma...

Be', lui non faceva testo; una famiglia assente, nessuna preoccupazione in ambito scolastico... una grande solitudine che tuttavia, in quel caso, significava libertà.

Libertà di potersi incontrare, almeno loro due, seppur per un solo giorno, perché poi anche Shu sarebbe dovuto tornare ai doveri quotidiani, doppi nel suo caso: la scuola e il ristorante di famiglia che pretendeva la sua presenza.

Un sospiro e fece per voltarsi, quando due mani si posarono sui suoi occhi, trasformando in tenebra la luce del mattino.

“Touma!” esclamò, girandosi del tutto verso il ragazzo dai capelli corvini che, arretrando di un passo, scoppiò a ridere nel vedere la sua espressione infuriata.

“So farmi riconoscere”.

“Non è che ci fossero molte alternative”.

Nel cogliere il tono un po' malinconico del nakama, Touma smise di ridere e si fece serio anche lui.

“Ci hanno abbandonati, eh?”.

Shu si strinse nelle spalle.

“Non è colpa loro, però”.

“Tutto perché sono troppo ligi ai doveri”.

Shu ritrovò un'ombra di sorriso davanti all'espressione di Touma, così ostentatamente critica da risultare buffa.

“Per te è facile parlare, a scuola non avrai mai problemi e...”.

Si morse la lingua, ma Touma intuì comunque cosa stava per dire, così concluse al suo posto, tranquillamente:

“E non ho una famiglia che rompe le scatole...”.

Gli occhi di Shu fuggirono a terra.

“Sono uno scemo”.

Avrebbe meritato rabbia, insulti, perché Shu sapeva quanto quella famiglia assente gli mancava, per quanto cercasse di non darlo a vedere.

Invece, Touma allungò sì una mano, ma non per picchiarlo; gliela mise tra i capelli e glieli arruffò con energia.

“Non fare quella faccia, in fondo hai detto unicamente la verità. Io sono l'unico tra noi a poter fare pressoché tutto quello che voglio”.

Shu infilò le mani in tasca e scrollò le spalle:

“Hai sempre fatto tutto quello che dovevi, come tutti noi”.

“E meno male, altrimenti non vi avrei mai incontrati”.

Shu sospirò, gli diede le spalle ed appoggiò di nuovo le braccia al parapetto del ponte, tornando a guardare traghetti e scie d’acqua, ma senza porre realmente attenzione a nulla.

“In momenti come questo, conoscerci è persino un tormento... maledette distanze!”.

“E per questo, lo rimpiangeresti?” commentò Touma, il tono malinconico e anche un po’ allarmato, portandosi al suo fianco, in una posizione speculare.

I suoi occhi blu, tuttavia, non guardavano il fiume, ma si fissarono, insistenti, sul nakama.

Non era possibile non percepire quell’occhiata penetrante; Touma poteva essere simile a Seiji in questo, osservarti, per farti capire che non avrebbe accettato una risposta non soddisfacente, farti sentire... giudicato?

No, lo sapeva bene Shu che nessuno dei suoi nakama l’avrebbe giudicato, ma lui era semplice, non era capace di scrutare in quel modo le persone e, quando lo facevano con lui, non gli era possibile non sentirsi a disagio. Così rintanò ancor di più la testa tra le spalle e puntò i propri occhi sul volteggio di un gabbiano che rasentava l’acqua.

“Avanti, Touma, lo sai che non lo rimpiangerei mai... solo... mi dispiace, ecco. Dopo tutto quello che abbiamo passato, se almeno i prescelti fossero stati scelti un po’ più vicini gli uni agli altri...”.

Touma ridacchiò ed allungò una mano, a dargli un buffetto sulla guancia.

Il gesto riuscì, finalmente, a strappare un sorriso anche a Shu.

“È che mi dispiace anche per loro, so che erano molto dispiaciuti di non poter venire. Shin...”.

A quel punto, il samurai della terra si fermò, ingoiò un grumo fastidioso che gli ostruì all’improvviso la gola e la voce, quando riprese, si fece più bassa, un poco tremolante. “Era triste... davvero...”.

“Per lui sarà drammatico aver perso un' occasione di poterti strapazzare a dovere”.

Touma cercava di sdrammatizzare, ma era evidente che anche a lui metteva tristezza il pensiero dei loro nakama, costretti a casa, lontani da loro due che, invece, avrebbero trascorso qualche ora insieme.

Seguì qualche istante di silenzio un po' imbarazzato.

Era strano, tra loro l' imbarazzo non avrebbe più dovuto avere senso, eppure c' era una logica: avrebbero dovuto essere tutti insieme e invece si ritrovavano in due. Il senso di incompletezza non poteva che generare disagio.

“Allora, che vogliamo fare?” disse d'un tratto Touma, dando le spalle al fiume ed assumendo un tono e un atteggiamento più decisi, “sprecare queste ore che abbiamo nell'autocommiserazione, o sfruttarle in qualcosa di costruttivo? I nostri nakama pretenderebbero da noi un minimo di entusiasmo, lo so!”.

“A loro cosa piacerebbe fare, secondo te?”.

Shu lo chiese molto seriamente e Touma comprese le sue intenzioni.

“E brava scimmietta!” la mano dispettosa andò di nuovo a tormentare i capelli del nakama, “fare quello che loro vorrebbero fare, ci farà sentire un po' come se fossero qui”.

Con uno sbuffo, Shu cacciò via la mano molesta.

“Sarebbe bello se potessero sentirlo anche loro”.

“Io dico che lo sentiranno”.

Shu rifletté qualche istante.

“Però prima...” borbottò.

Le labbra di Touma si piegarono verso l'alto, in un ghigno che implicava furberia e complicità:

“Facciamo qualcosa che piace a noi?”.

Shu ghignò di riflesso: in certe cose loro due si capivano al volo.

“Inauguriamo il pomeriggio con un pranzo abbondante”.

Il sorriso di Touma si fece grato e radioso, mancava solo la bavetta all'angolo della bocca per evidenziare la sua felicità:

“Ho voglia di okonomiyaki”.

Shu sgranò gli occhi, incredulo:

“Cosa? Vieni da Osaka per mangiare gli okonomiyaki a Tokyo?”.

Le labbra di Touma si arricciarono in un broncio e si mise a piagnucolare, senza remore né vergogna:

“Che ci posso fare se non li mangio da tanto?”.

“E vada per l'okonomiyaki” ridacchiò Shu, mettendosi a giocare, con un dito, sul labbro inferiore di Touma che sporgeva.

“Se non stai attento mi divoro te”.

Il dito di Shu si immobilizzò, poi, dopo qualche attimo di perplessità, il suo proprietario scoppiò a ridere e saltellò indietro di qualche passo.

“Conosco un localino, a Ebisu, dove fanno okonomiyaki degni di Osaka”.

“Prima di dirlo aspetta di sentire il giudizio di un abitante del Kansai doc”.

“Vogliamo scommettere?”.

Touma si infilò le mani in tasca e assunse un’espressione saccente:

“Mai scommettere sul cibo, non si sa mai cosa potrebbe succedere”.

“Succederebbe che vincerei, perché so già che ti piacerà tantissimo!”.

Touma infilò il proprio braccio sotto quello di Shu e prese a camminare, trascinandoselo dietro:

“Non lo saprò mai se mi lasci qui a morire di fame, avanti, guidami!”

“Fino alla stazione ci sai arrivare da solo, credo” lo apostrofò Shu, annaspando dietro al nakama che se lo stava tirando dietro senza troppa grazia.

Il battibecco terminò con loro due che si rincorrevano tra la gente, ridendo e attirando anche qualche sguardo di disapprovazione, ma anche qualcuno divertito, finché presero al volo il primo treno per Ebisu, sempre imbeccandosi l’uno con l’altro.

Non era molto affollato, gli uomini erano a lavoro, gli studenti a scuola, dove avrebbero dovuto trovarsi anche loro due, ma in quel momento non era certo il loro pensiero prioritario. Seduti lungo i lati della carrozza, alcuni anziani e qualche casalinga con i bambini piccoli li scrutavano curiosi.

 

Anche le strade di Ebisu erano tranquille, i grattacieli svettavano intorno a loro, ma meno preponderanti rispetto ad altre zone della capitale, numerosi angoli verdi facevano capolino tra il cemento e locali caratteristici. Gli odori nell'aria ricordavano, agli smemorati, che era ora di pranzo.

Per i due ragazzi che avanzavano ancora a braccetto non era assolutamente un problema ricordarlo, d'altronde erano lì apposta.

“Se è troppo lontano morirò di fame” si lamentò Touma, con quel bizzarro accento del Kansai che rendeva, in alcuni momenti, la sua cadenza piuttosto buffa.

Non aveva ancora terminato la frase che Shu lo strattonò di lato.

“Ci siamo!”.

Entrarono in un locale pieno di gente, accolti dal profumo degli okonomiyaki e dal calore delle piastre che sfrigolavano ai tavoli. Un giovane cameriere si precipitò ad accoglierli, con un inchino e un sorriso radioso ed indicò loro uno dei pochi posti ancora liberi.

“È l'unico posto dove trovare okonomiyaki a Tokyo che richiama così tanta gente?” domandò Touma, guardandosi intorno, il naso sollevato per aria, simile a un segugio decisamente interessato agli odori.

Shu si strinse nelle spalle, mentre prendeva posto:

“No, ma sicuramente è uno dei luoghi dove lo fanno meglio; non l'unico, ma decisamente meritevole”.

Ordinarono i loro okonomiyaki e, nonostante la mole di lavoro, furono serviti piuttosto velocemente. Rimasero ad osservare, con l'acquolina in bocca, la pastella che cuoceva poi, al momento di girarla, Touma ci mise troppa energia ed alcune gocce di preparato si dispersero intorno.

Shu scoppiò a ridere di gusto:

“Per essere un abitante del Kansai, sei piuttosto imbranato con gli okonomiyaki, come per tutto ciò che riguarda la cucina, d'altronde”.

“Che ci posso fare se sono più abile a mangiare?” protestò Touma, storcendo le labbra in una smorfia.

Shu rise ancora, con più gusto; la tristezza era decisamente scemata. Non sapeva spiegarsi perché, ma anche la nostalgia aveva finito per attenuarsi. Erano solo loro due ma, per un istante, gli sembrò di udire le risate degli altri nakama, lì intorno a loro.

Il fatto che con Touma gli fosse così facile divertirsi, di sicuro era un aiuto non indifferente.

Stava bene con lui, come con gli altri, chiaramente, eppure si stava creando qualcosa, nell'atmosfera che li circondava, di leggero, gradevole.

Finirono di divorare, con gusto, i loro okonomiyaki, a tempo di record e, tirandosi indietro sulla sedia, Shu si mise ad indagare l'espressione di Touma, con un sorriso sornione, in attesa.

Il ragazzo di Osaka emise un'esclamazione soddisfatta.

“Farei il bis!”.

“Allora ti è piaciuto” rise Shu, una mano davanti alla bocca.

“Mettiamola così: avresti vinto la scommessa... se avessimo scommesso qualcosa”.

Si sporse in avanti, nel tentativo di afferrare, tra due dita, il naso di Shu, il quale fu lesto a spostarsi e a scostare, con la propria, la mano invadente.

“Comunque anche io farei il bis”.

Detto fatto, dopo pochi minuti altri due okonomiyaki sfrigolavano davanti ai loro volti estasiati e a quelli, tanto per non rischiare di lasciare qualche spazio vuoto nello stomaco, seguirono due porzioni di soba e anche il dolce finale.

Sazi e soddisfatti, si misero comodi sulle sedie, la mano poggiata sul ventre ma, a un certo punto, Shu osservò Touma con una certa invidia:

“Io non capisco dove la metti tutta la roba che ingurgiti, non prendi un etto”.

“Ma via, mica abbiamo mangiato tanto”.

Shu sbuffò una risata:

“Sarà come dici, ma mentre mangiavamo io sentivo il grasso che si formava in tempo reale”.

“Evidentemente il tuo organismo sopporta meno”.

“O il tuo è semplicemente una fogna che assorbe tutto senza problemi”.

Il naso di Touma si arricciò:

“Stiamo sconfinando nel disgustoso”.

Shu rise e si alzò:

“Se riesci ancora a trascinarti in giro direi che possiamo muoverci”.

“Sei tu quello che ingrassa, non io”.

Touma raggiunse il nakama, pronto a tirare fuori il portafoglio dal marsupio legato intorno alla vita, ma Shu lo fermò:

“Offro io, tu hai già speso i soldi del viaggio”.

“Ma che c'entra?”.

“C'entra che ho deciso così, fattene una ragione”.

Senza dare al nakama il tempo di ribattere, Shu si diresse alla cassa e si fece dare il conto per entrambi.

Rassegnato e sbuffante, Touma alzò gli occhi al cielo e andò ad attenderlo fuori.

“Grazie” borbottò, quando il compagno lo raggiunse.

“Vedrai che avrai occasioni di ricambiare... in qualunque modo”.

“Lo sai che detta così suona piuttosto ambigua?”.

Shu, che si era messo a camminare, si bloccò e lo fissò con occhi sgranati.

“In che senso?”.

Touma non poté trattenere una risata:

“In certi momenti mi ricordi Shin in maniera preoccupante”.

Sotto gli occhi diventati enormi, le guance del ragazzo di Yokohama si infuocarono.
Touma rincarò la dose:

“E adesso ancora di più”.

“Smettila!” ringhiò Shu, precipitandoglisi addosso con il pugno sollevato. Touma si scostò, gli circondò il collo con un braccio e, tanto per non smentirsi, gli arruffò i capelli, suscitando ulteriori mugugni indispettiti.

Il tutto finì con un inseguimento per le strade di Ebisu, fino alla stazione dove, finalmente, con il fiatone, si fermarono.

“A chi tocca adesso?”.

Shu pose la domanda con il volto sollevato al tabellone dei treni, cercando l'ispirazione per decidere dove andare.

Touma giunse in suo aiuto:

“Al grande capo, direi; abbiamo accontentato noi due, ora lui sta nel mezzo”.

Shu approvò e sorrise:

“Secondo te, cosa piacerebbe fare a Ryo? Se fosse qui, quale desiderio esprimerebbe?”.

Touma incrociò le braccia e pose due dita sotto al mento, il suo classico atteggiamento da genio in riflessione. Ma, in quel caso, non c'era da usare la testa, quanto l'istinto ed il cuore; non doveva pensarci troppo, Ryo doveva essere lì, doveva far sentire la sua voce.

“Un parco, animali, soprattutto uccelli e avrebbe con sé una macchina fotografica”.

“La macchina fotografica non l'abbiamo, ma di parchi c'è l'imbarazzo della scelta”.

“Però... quando si parla di parco...”.

Shu annuì raggiante:

“Ueno! In questo periodo dell'anno il lago Shinobazu è bellissimo, Ryo si perderebbe a contemplarlo”.

Aveva gli occhi lucidi.

“E noi glielo faremo vedere, andiamo a Ueno!”.

Touma lo prese per mano e, come in una sorta di pellegrinaggio, si prepararono a raggiungere la successiva tappa.

 

***

 

Le acque del lago Shinobazu, in piena estate, si ricoprivano delle piante di loto che ne rivestivano la superficie in quasi tutta la sua interezza.

In lontananza, un raggio di sole accendeva di un bagliore accecante la pagoda del tempio Bentendo, accentuando l'aura mistica del luogo.

Touma e Shu trovarono un luogo abbastanza appartato sulla riva e lì rimasero, imitando un anziano signore che, poco distante da loro, distribuiva cibo ad anatre, gabbiani, corvi, colombi ed altre svariate specie di uccelli che popolavano quell'oasi selvaggia nel bel mezzo di Tokyo.

“Ryo lo adorerebbe” commentò Touma, tendendo una grossa fetta di dorayaki ad un gabbiano che scese a picco verso la sua mano.

Shu lo osservò con aria un po' divertita, un po' tenera:

“Anche tu sembri in particolare sintonia con gli animali alati”.

“Ti stupisci?”.

“Effettivamente no”.

Rimasero in silenzio, pensierosi, in parte nostalgici, in parte sereni. Touma raccolse le ginocchia sul petto e, su esse, posò il mento.

“Starei qui tutto il giorno... e anche tutta la notte... eppure è già pomeriggio inoltrato”.

Era chiaro a entrambi cosa significassero quelle parole: tra poche, pochissime ore, Touma avrebbe dovuto prendere un treno che lo avrebbe riportato a Osaka.

“Abbiamo ancora tanto da fare, ma se ce ne stiamo qui, non riusciremo”.

Shu aveva ragione.

Touma si alzò in piedi, si ripulì i pantaloni e tese gambe e braccia per stirarsi.

“Allora, adesso tocca a Seiji”.

“Lui è facile... un tempio! Deve avere sempre un po' di tempo per raccogliersi in meditazione”.

“E... fammi capire... noi dovremmo metterci a meditare come farebbe lui?”.

“Il tempio lo abbiamo qui a due passi” asserì Shu, puntando il dito verso il Bentendo. “Quello che ci serve è un po' di volontà”.

“Quella non mi manca, ma lui non è mai contento di come medito”.

“Perdi troppo tempo a brontolare”.

Shu gli afferrò il polso e il pellegrinaggio li condusse, in pochi minuti, al tempio, piuttosto tranquillo, come tutta la zona in quel momento. Forse era dovuto anche al caldo: l'estate era iniziata da poco, ma risultava già impietosa.

“Non invidio i ragazzi, chiusi in casa o a scuola, chini sui libri... o a sudare in una palestra di kendo” borbottò Touma, asciugandosi la fronte, dopo aver posto i piedi sull'ultimo scalino che portava al tempio.

“Pensa che domani dovremo tornare anche noi a quella vita”.

“Non farmici pensare” tagliò corto Touma, dirigendosi, a passo sicuro, verso la fonte per le abluzioni.

“Dunque” prese a ragionare, un po' tra sé, un po' condividendo con Shu le proprie elucubrazioni, “la prima cosa che Seiji farebbe è purificarsi”.

Prese uno degli hishaku posati ordinatamente davanti a lui ed attinse l'acqua, quindi compì, un po' goffamente, il rituale.

“Mi sento sempre un po' idiota quando faccio questa cosa davanti a tutti” mormorò, lasciando il posto a Shu che, intanto, se la rideva.

“Guarda che è una cosa seria, Seiji non riderebbe mai”.

Le parole di Touma volevano essere di rimprovero ma, a dire il vero, neanche lui riusciva a mostrarsi del tutto fermo e composto.

Solo nel momento in cui si raccolsero in preghiera, la solennità del luogo ebbe la meglio e il silenzio si instaurò mentre loro, occhi chiusi e mani giunte, si persero in una dimensione che, al contempo, li divideva e li faceva sentire ancor più profondamente uniti. Lo seppero entrambi, senza alcun dubbio che qualcuno, lontano, stava condividendo quegli istanti.

Forse per questo fu nello stesso momento che aprirono gli occhi e si cercarono, riflettendo la commozione l’uno nello sguardo dell’altro.

Fu Touma il primo a trovare il coraggio di esprimere ciò che era accaduto:

“Io credo... che Seiji fosse qui. Altrimenti non sarei riuscito a concentrarmi così tanto”.

“È lui che ci ha guidato” annuì Shu, la voce bassa e tremante.

Lasciarono il tempio senza aggiungere altro: ad entrambi il suono di voci umane sembrava stridente in quell'atmosfera che si era impregnata di sacralità.

Solo quando i loro passi li condussero fuori dal parco si resero conto che il pomeriggio avanzava, inesorabilmente, verso la sera.

“Viene buio troppo presto” sospirò Touma.

“Non possiamo farci nulla”.

Shu lo diceva più a se stesso: cercava di rassegnarsi, ma la malinconia era troppo forte.

Infilò le mani in tasca:

“Quanto tempo passerà, prima di poter passare un'altra giornata così?”.

Touma deglutì; quegli improvvisi cambiamenti d'umore del nakama lo coglievano di sorpresa, non lo conosceva così. Tuttavia, al tempo stesso, capiva e condivideva il suo stato d'animo.

Proprio per questo cercò di non lasciarsi contagiare e fece prevalere, invece, l'istinto protettivo che spesso Shu tirava fuori da lui... e ancora una volta, in questo, gli sembrò tanto simile a Shin. Nel loro gruppo erano sempre stati Shu e Shin a suscitare tenerezza, a rendere, gli altri tre, una sorta di fratelli maggiori. Non contavano le età, tutti loro erano coetanei, ma che importava? Touma, il più piccolo, voleva abbracciare Shu come avrebbe fatto con un fratello minore e stringerlo forte, pregandolo di non essere triste.

“Shu... abbiamo ancora qualche ora... se vuoi prendo un treno dopo...”.

Riuscì a suscitare, nell'altro, un sorriso di gratitudine:

“No, davvero, non vorrei avere i rimorsi di coscienza se domani non riuscissi a svegliarti in tempo per andare a scuola o, peggio, se ti addormentassi durante il viaggio finendo chissà dove”.

“Male che vada potrei arrivare da Shin”.

“Tu non ci vai da Shin senza di me!”.

Neanche da prendere in considerazione, certo. Touma rise, felice di aver suscitato in Shu una reazione giocosa.

“A proposito di Shin... ora tocca a lui scegliere”.

“Credo che indovinare la sua scelta sia così semplice da risultare scontato”.

 

***

 

Erano fortunati, davvero.

Come poco prima il parco e il tempio, anche l'acquario era tranquillo e silenzioso; si perdevano a contemplare ogni vasca e una fantasia comune attraversava le loro menti: Shin, con la sua grazia da delfino, che nuotava insieme alle creature acquatiche, felice e ridente, perché niente gli dava più gioia che trovarsi nell'elemento con cui era in simbiosi.

“Se fosse qui” commentò Shu, il naso incollato ad una vetrata dietro alla quale volteggiavano pesci tropicali dalle squame multicolore, “sarebbe pressoché impossibile trascinarlo via da ogni vasca”.

“Esattamente l'atteggiamento che stai avendo tu”.

Shu si massaggiò la nuca, ridacchiando imbarazzato:

“È che soffermarmi mi fa pensare a lui... e a me...”.

“A te piace pensare a lui, lo so”.

Non c'era derisione nel tomo di Touma: solo partecipazione e tenerezza.

Shu abbassò lo sguardo, con un sorriso talmente dolce che Touma pensò stesse per squagliarsi lì, davanti a lui.

Lo scrutò con tanta insistenza che, sentendosi osservato, Shu gli diede le spalle:

“Sbrighiamoci a finire il giro, o non faremo in tempo”.

Touma esitò qualche istante, poi gli saltellò dietro, gli si affiancò e cercò la sua mano, intrecciando le loro dita. Percepì il suo irrigidirsi, dettato più dallo stupore che da qualunque altra cosa.

“Cosa penserà la gente?”.

“Ti importa qualcosa? Non mi sei mai sembrato il tipo che si fa problemi simili”.

La risposta fu solo un ampio rossore e la completa accettazione; terminarono il giro così, vicini, avvinti l'uno all'altro ed erano ancora così quando uscirono, le strade ormai illuminate dalle luci notturne della metropoli che si animava, pian piano, di giovani in cerca di divertimenti.

“Adesso, direi che ci resta solo da andare in stazione”.

Fu Shu ad esprimere ciò che nessuno dei due aveva ancora avuto il coraggio di affrontare.

“E sembra che dobbiamo andare al patibolo”.

Touma provò, di nuovo, a sdrammatizzare, ma senza molto successo; fu come una forzatura dissonante e la sua risata, rimasta solitaria, si spense quasi subito.

Salirono sul treno che li avrebbe condotti alla stazione di Tokyo e trovarono due posti liberi adiacenti. Si sedettero e rimasero a fissare, per un po' i loro riflessi nel vetro opposto. Poi Shu sospirò, reclinò la testa di lato e la appoggiò alla spalla di Touma.

Gli occhi di Touma si inclinarono, incontrarono la chioma scura del nakama e, dopo qualche istante di esitazione, non resistette oltre: posò le labbra, dolcemente, sui ricci scomposti, poi affondò in essi il naso.

Shu non si mosse, non ebbe apparentemente alcuna reazione a quel gesto, solo, dopo un po', la sua mano scivolò fino a quella di Touma e la prese, stringendola forte.

Nel frattempo, dal suo viso abbassato, invisibile agli occhi di Touma, si levarono alcune parole:

“Prima di conoscervi, non ho mai capito cosa significasse sentirsi soli...”.

Touma sbatté le palpebre, aprì le labbra, le richiuse, incerto. Poi si concentrò sulle loro due figure riflesse:

“Perché non sapevamo cosa significasse stare gli uni senza gli altri; io conoscevo la solitudine e forse, rispetto a te, ci sono più abituato... ma stare senza di voi è diverso”.

“È un pezzo di cuore che manca”.

Touma non avrebbe mai creduto che Shu potesse deprimersi a tal punto.

L'idea di lasciarlo in quello stato lo faceva sentire ancora peggio.

“Ascolta, Shu” esclamò all'improvviso, costringendolo a cambiare posizione, per poter scorgere il suo volto.

Poté così vedere gli occhi lucidi ed umidi di lacrime pronte a sgorgare.

“Tutto questo vuol anche dire che prima il nostro cuore non era completo, non credi?".

Le labbra di Shu si schiusero, ma lui rimase in silenzio, lasciando che fosse Touma a proseguire, con sempre maggior convinzione:

“Prima non potevamo essere tristi per la mancanza, perché non ci conoscevamo ma, al tempo stesso, eravamo inconsapevoli che frammenti del nostro cuore mancavano. Trovarli e poterli riunire ci ha resi più felici, ma ci ha fatto conoscere anche la tristezza della lontananza. Tuttavia...".

Si bloccò, notando l'espressione perplessa di Shu.

“Tuttavia?” lo incalzò, invece, il compagno.

Touma abbassò lo sguardo, intimidito da se stesso. Di sicuro non era abituato a parlare così e in simili termini.

Riprese con maggior pacatezza:

“Tuttavia, quando ci separiamo, il nostro cuore resta integro. La distanza fisica non c'entra, perché il nostro cuore unito ci tiene legati”.

Lo stupore, sul volto di Shu, si sciolse in un malinconico sorriso:

“Se io prima ti ho ricordato Shin, tu adesso mi ricordi Seiji”.

E dopo aver fatto sentire tante volte Shu in imbarazzo, per una volta toccò a Touma: arrossì e fece correre lo sguardo ovunque, pur di non incrociare quello di Shu. A lui, però, l'imbarazzo non toglieva la parola:

“Questa è la dimostrazione, no? Ci influenziamo a vicenda. In realtà siamo tutti qui, non ci siamo solo noi due”.

“E... non stiamo davvero per separarci, è questo che vuoi dire?”.

“In... in un certo senso...”.

Touma lo stava dicendo a Shu, ma in realtà cercava di convincere anche se stesso. Le parole che aveva pronunciato gli erano venute dal cuore, e stava pensando davvero a Seiji...

“Forse... è stato proprio Seiji a parlare” disse all'improvviso, sia a se stesso che a Shu.

Shu emise una risatina sottile:

“Ti credo sulla parola”.

“Tu... Shu... non li hai sentiti davvero, oggi?”.

Il nakama si rifece serio, riflessivo, impiegò un po' a rispondere.

“Sì che li ho sentiti. Sono sempre stati qui. Per me, essere con uno di voi, significa essere con tutti”.

E amare uno di loro, significava amarli tutti.

Non espresse l'ultimo pensiero ad alta voce, ma fu come un'eco nel cuore di Touma; si trattò di un messaggio che echeggiò tra loro e fu chiaro ad entrambi.

Si fissarono per un lungo istante, senza sapere cosa dire e senza riuscire a staccare gli occhi l'uno dall'altro.

“La... la prossima è la nostra” balbettò Touma, senza poter interrompere, tuttavia, quel flusso di emozioni.

Shu, invece, si sforzò di farlo e si alzò in piedi, costringendo anche Touma a tornare alla realtà.

 

***

“Ho lo shinkansen tra pochi minuti”.

Fu il primo abbozzo di dialogo, avviato da Touma, appena furono scesi dal treno.

“Lo so... anche io ho il treno per Yokohama tra poco”.

Si fermarono.

“Allora... io vado dall' altra parte. Dobbiamo separarci qui”.

Shu annuì. Avrebbe dovuto dire qualcosa ma, all'improvviso, temette di non essere più in grado di parlare.

“Ciao, Shu”.

“Cia... ciao”.

“Non fare quella faccia, non passerà un'eternità”.

Ma giorni sì... forse mesi... di sicuro troppo tempo per essere sopportabile.

Shu annuì ancora.

“Allora vado” disse velocemente e diede le spalle al compagno, mettendosi quasi a correre. Veloce, più veloce che poteva, senza voltarsi, o sarebbe stato peggio.

Ma fece solo pochi passi e dovette fermarsi. Si girò, un grido nella gola:

“Touma!”.

Touma era ancora lì, non si era mosso. Sembrava in attesa, si era immaginato che Shu non ce l' avrebbe fatta ad andarsene così.

Lo guardò, serio; anche lui aveva temuto quel momento.

“A me non basta” cominciò Shu, la voce arrochita dal pianto. “Non mi basta il cuore, sono un tipo fisico io e... ho bisogno della fisicità, ho bisogno di vedervi, di... di toccarvi... di...”.

Touma si mosse, in qualche passo lo raggiunse, le sue braccia si chiusero intorno al nakama, che quasi precipitò in quella stretta, tanto era stata impetuosa e tanto era il bisogno che ne avevano entrambi.

“Abbiamo superato di peggio, non sono riuscite a dividerci la morte e la guerra, di sicuro non ci dividerà la vita”.

“Questo era ancora Seiji” rise Shu, sollevando verso il viso di Touma gli occhi pieni di lacrime.

“Eravamo tutti” lo corresse Touma, rispolverando il suo atteggiamento più spocchioso.

Tornò tuttavia subito serio, negli occhi una luce intensa mentre posava le mani sulle guance di Shu, per forzarlo a sollevare il volto.

Gli occhi enormi, intrisi di uno stupore prossimo allo sgomento, Shu vide il viso del nakama abbassarsi, le labbra sempre più vicine.

“Tou...” fece in tempo a sussurrare, prima che esse si incollassero alle sue, con forza, persino con una certa prepotenza, un bisogno forse trattenuto troppo a lungo.

A Shu sfuggì un mugolio, non di protesta; era più sorpresa, un bizzarro senso di irrealtà che lo portava a chiedersi se stesse accadendo davvero.

Quando si staccò, Touma stava sorridendo, ma senza ironia. D'altronde, Shu non aveva pensato neanche per un istante che volesse prendersi gioco di lui, ormai era perfettamente in grado di cogliere, per intuito, le intenzioni dei suoi nakama.

Touma fece qualche passo indietro, tenendo le mani di Shu tra le proprie.

“Portalo con te” gli disse, prima di staccarsi, lasciando che le loro dita si sfiorassero per un ultimo istante.

Camminò ancora un po' all'indietro, infine si decise a voltarsi e ad allontanarsi definitivamente.

Shu rimase a guardarlo finché la sua figura snella non scomparve. Si sfiorò con due dita le labbra: sentiva ancora il sapore di Touma.

Lui era già sparito, ma Shu continuava a percepirlo lì accanto.

Si voltò e si incamminò verso il suo binario. Si sentiva felice, non riusciva a smettere di sorridere.

Già pregustava il prossimo incontro e, allora, nessuno sarebbe mancato.

“A presto”.






 

 

   
 
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