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Autore: avalon9    18/10/2014    6 recensioni
“Sono una guerriera, Anissa” scandisce poi Shaina, quando il respiro torna regolare, negli occhi il luccichio di lacrime senza spiegazione. “Non una prostituta.”
“Ma lo ami.”

Post-Hades; Saint Seiya Omega: intermezzo; in 73 episodio, poco prima che Saori lasci il Tempio.
Saori e Shaina. Un incontro prima di scendere sul campo di battaglia. Due donne che decidono di raccontarsi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ophiuchus Shaina, Saori Kido
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Crescendo'
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Autore: Avalon9

Autore: Avalon9

Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of live

Personaggi Principali: Saori-Atena; Shaina dell’Ofiuco

Altri Personaggi: Seiya solo nominato

Rating: verde

In proposito: Sono una guerriera, Anissa” scandisce poi Shaina, quando il respiro torna regolare, negli occhi il luccichio di lacrime senza spiegazione. “Non una prostituta.”

“Ma lo ami.”

Post-Hades; Saint Seiya Omega: intermezzo; in 73 episodio, poco prima che Saori lasci il Tempio.

Saori e Shaina. Un incontro prima di scendere sul campo di battaglia. Due donne che decidono di raccontarsi.

Disclaimer: i personaggi sono di Masami Kurumada; la situazione la rivendico come mia^^

Note: one shot; missing moments

Cose: ok. Prima o tardi questa serie troverà la sua conclusione. Voglio-devo-posso. E tutti gli annessi imperativi categorici di kantiana memoria. Intanto, questo incontro era già un bel bel po’ di tempo che si affastellava nella mia testa. Le donne di Seiya, quasi. La dea e la guerriera; e le donne appunto. Cosa ne è venuto fuori? Veramente non lo so bene nemmeno io. Saori e Shaina hanno iniziato a parlare e. E punto.

Non era proprio così, che doveva andare. Ma il risultato mi piace. Parecchio!

Poi: a voi l’ardua sentenza.

 

 

 

 

 

 

Crescendo V - bis

Interludio

 

 

 

“Anissa.”

Shaina se ne accorge in quel momento, nel sole tiepido di aprile, nel lucore del marmo della grande terrazza alla Tredicesima.

Lì, con il ginocchio a terra; con le sue vestigia a sfrigolare di cosmo forte e battagliero. Lì, nell’ombra ieratica della grande statua che tutto sovrasta e protegge. Lì, se ne accorge.

Atena è cresciuta. Saori è cresciuta.

Lo vede per la prima volta; lo realizza per la prima volta.

La ragazzina. La ragazzina che ha detestato, perseguito, disprezzato. La ragazzina che Seiya ha stretto fra le braccia, una notte di troppi anni prima; la ragazzina per cui Seiya ha dato e sangue e vita.

Quella ragazzina non esiste più, e al suo posto c’è solo la donna.

Bella. Troppo bella.

Soprattutto per lei.

“Anissa” ripete, e nella voce avverte con disperazione il sibilo sordo del serpente, il tendersi del suo corpo. “L’aspettano. I cavalieri d’oro.”

Doveva solo riferire il messaggio. Doveva solo presentarsi a lei e dirle che tutto era pronto: le armate del Tempio e i cavalieri a lei fedeli. Doveva solo andare da lei, inginocchiarsi e ripetere quelle tre parole che le sono esplose nella testa come una supernova, assieme al crescere dell’adrenalina.

È tutto pronto.

Facile; veloce; indolore. Doveva solo scortarla da Kiki, e poi avrebbe potuto pensare alla battaglia. Lei è nata per la battaglia. Il suo cuore; la sua mente; il suo corpo. Tutto. Tutto, senza rimorsi né rimpianti.

Non è questione di sopravvivenza. È una questione di sangue. E lei la tenacia, la resistenza, ce l’ha nel sangue. L’ha sempre avuta. Come l’aveva sua nonna, quando restava aggrappata alle assi di una vecchia soffitta di Roma, fra urla preghiere e imprecazioni. Ce l’ha come ce l’aveva la sua trisnonna, che se ne è andata su un piroscafo che vomitava fumo e speranza, una stella a sei punte al collo e i figli per mano. Ce l’ha come ce l’hanno tutte le donne della sua famiglia, tutte le donne della sua gente.

Gatte aggrappate alla vita, con determinazione e ferocia. E orgoglio. Perché senza orgoglio con vai da nessuna parte; perché gli artigli ti tengono a galla, ma è l’orgoglio a farti andare avanti. Quando sai che hai tutto il diritto di tenere la testa alta; anche se non hai niente addosso.

Quell’orgoglio Shaina se lo sente scorrere nelle vene, una carezza elettrica.

Ed è con quell’orgoglio che è sempre andata sul campo di battaglia; da quando aveva tredici anni e l’armatura era troppo larga. Soprattutto sul seno.

Da quando è andata sul campo a tredici anni e ha imparato che la maschera è la salvezza e la dannazione. E possono andare al diavolo le regole e le tradizioni, ma quella maschera in battaglia le ha spesso salvato la vita.

Perché chi ti sta di fronte non capisce dove vuoi attaccare; perché il tuo avversario non intuisce la paura fottuta che provi e tu poi fingere una spavalderia, una sicurezza che non vuoi nemmeno chiederti da dove venga. Ma è lì, e risale dalla pancia assieme all’adrenalina e a quel primordiale ferino istituto di autoconservazione che ti spinge ad attaccare. Per prima. Alla ricerca di quel vantaggio, di quella minima increspatura, di quell’insicurezza di un istante negli occhi dell’avversario che significa la vittoria per te, e la morte per lui.

Shaina sa di appartenere al campo di battaglia; lo ha sempre saputo.

E riconosce quel fremito che avverte nelle mani, l’eccitazione e la paura. La consapevolezza di poter far qualcosa, forse la differenza.

Ma sa anche che, in quel momento, ha solo voglia di alzare la testa e guardare negli occhi la dea, la donna, per cui tutti stanno combattendo.

È tutto pronto.

Doveva solo dirglielo; e poi tornare fra gli altri cavalieri, nell’avanguardia giù nell’arena. La stanno aspettando per andare; la stanno aspettando per scendere in battaglia e preparare il campo per l’arrivo di Anissa. E lei. Lei li guiderà. Lei: donna fra gli uomini, donna fattasi uomo. Lei. E nessun altro.

Invece.

Invece se ne resta lì. Il ginocchio premuto a terra, e tutto il corpo in equilibrio sulla mano. Sente il marmo poroso; sente la sabbia finissima sotto le unghie lunghe, unico piccolo vezzo. Sente il cosmo agitarsi, aggrovigliarsi su se stesso in spire sinuose e tendersi, pronto a saltare. Ad attaccare.

E sente rabbia.

Una folle blasfema inammissibile rabbia.

Verso Anissa. E la consapevolezza che dovrebbe essere un’altra, la parola da usare. La consapevolezza di averci convissuto per quasi vent’anni, con quel pulsare sordo in fondo allo stomaco.

Pensava di essersene fatta una ragione; pensava di aver imparato ad accettarlo. Di esser riuscita a trovare un equilibrio, una risposta logica ed accettabile ad ogni perché che si era posta. Pensava di non risentirlo più, quel ringhio rauco a gorgogliare in gola, simile all’istinto dell’animale che si sente braccato. E sa che l’unica possibilità rimasta è l’attacco.

Quant’era che non lo sentiva più?

Troppo davvero. Tanto da persuaderla che tutto fosse finito, che tutto fosse stato accettato. E invece non è cambiato nulla.

È tutto ancora come quella notte. La notte in cui Seiya ha rifiutato di lottare contro di lei; la notte che Seiya ha rifiutato di guardare lei. La notte in cui Seiya ha scelto Saori.

Saori.

Non Anissa.

Shaina lo sa. Lo ha sempre saputo. Se Seiya avesse scelto Anissa, se ne sarebbe fatta una ragione. Perché è la fedeltà ad Anissa ad avere la precedenza, per ognuno di loro. È Anissa ad occupare il primo posto; prima di tutto. Dell’amore; della vita; anche del proprio onore.

Se Seiya avesse scelto Anissa.

Ma Seiya non l’ha fatto.

Seiya ha scelto Saori. O almeno ha scelto di continuare a servire Saori, di combattere e di morire per Saori.

E quella consapevolezza. Quella profonda sconfitta senza appello le è rimasta dentro fin da quel lontano giorno, ed è cresciuta come un cancro. Nonostante tutto quello che c’è stato dopo; nonostante ogni singolo istante che è venuto dopo.

Ma sa anche che non si tratta più di quel folle insano sentimento; sa che quel sentimento non ha più senso per lei. Perché ad Anissa non rimprovererà mai l’amore che Seiya ; ma le rimprovererà sempre l’amore che lei prova e che lo sta lentamente consumando.

“Non ti chiederò di perdonarmi.”

La voce di Anissa è simile al mormorio dell’acqua.

Non assomiglia alla sua, dura e abituata ad urlare in battaglia. La voce di Anissa è una carezza gentile che incoraggia; la sua lo stridore del metallo di armature che si scontrano.

Non c’è nulla in lei che assomigli al corpo umano di Anissa. A Saori.

Saori ha pelle lucida e viso altero; Saori ha capelli dal profumo di olio d’oliva e voce di miele. Shaina ha braccia toniche e fisico asciutto; ma ha cicatrici sulla pelle brunita dal sole e capelli annotati dal vento e occhi di metallo indifferente che raccontano l’audacia della guerriera.

No. Shaina non ha nulla per paragonarsi a Saori.

Lo sa.

Ma sa anche che, se entrambe sono lì, se entrambe sono pronte a scendere in battaglia, rischiando la vita e gli equilibri del mondo, è anche per un uomo.

Per me è solo per un uomo. Seiya.

Lo sa Shaina. E lo sa anche Saori.

“E io non intendo farlo.”

Saori sorride.

Un sorriso sottile, di molti sottintesi. Mentre fissa Shaina negli occhi; mentre immagina la fierezza di quella risposta nei lineamenti duri della maschera sacerdotale. E dietro lo sfrigolio elettrico del cosmo dell’Ofiuco, il lento sublime aggrovigliarsi delle sue spire che stanno per colpire.

È sfacciata, Shaina. Sfacciata e impudente. Di quella indomita sublime sfrontatezza che Anissa predilige, di quella arrogante sicurezza che sfiora la blasfemia. E che non cederà mai. Come non ha ceduto Shaina alle nevi di Asgard o al cosmo di divino di Posidone dei Mari.

È caparbia, Shaina. Ostinata; e fedele.

Nonostante tutto, Saori sa che Shaina le è e le sarà sempre fedele.

Anche se è per lei che Seiya è sul campo di battaglia; anche se è per una sua decisione che Seiya avrebbe accettato di macchiarsi di infanticidio; anche se è per proteggere lei, e il bimbo che stringeva al seno, che Seiya ha scelto l’oblio di quindici anni di maledizione. Anche se è per lei il primo pensiero di Seiya, Saori sa che Shaina non l’abbandonerà mai.

Le ha affidato Kouga, nei lunghi anni di incertezza. Le ha affidato il riflesso di una vita normale, di una vita umana abbandonata sulle scalinate del Tempio, molti anni prima. Le ha affidato quello che Seiya aveva scelto di proteggere, e Shaina lo ha custodito e allevato.

Fra addestramento e parole dure e schiette; nel rigore della battaglia e nella determinazione caparbia di Pegasus. Ma lo ha allevato. Proteggendolo; custodendolo; crescendolo. Come una madre. Come quella madre che lei non si è mai sentita pronta ad essere.

Ed è fra le braccia di Shaina che Seiya ha trovato un po’ di tranquillità.

Saori lo sa.

Lo sa da quella notte in cui tutto è precipitato. Quella notte. Quando ha guardato la schiena di Seiya allontanarsi; quando ha fissato le protettive ali di Sagitter distendersi, il cosmo sfavillare e il baluginio del pugnale deicida saldo nelle mani di Seiya.

Quella notte non lo ha fermato; non ha avuto la forza di fermarlo.

E quando Seiya, nel crepuscolo dell’alba, le si è inginocchiato di fronte, Saori ha percepito il cambiamento. Ha avvertito che qualcosa, quella notte, si era spezzato. E che lei non avrebbe mai potuto ricostruirlo.

L’ha capito. Dagli occhi di Seiya.

Negli occhi tristi di Seiya c’era qualcosa; qualcosa che non era né felicità né rassegnazione. Negli occhi di Seiya, quella mattina di settembre, c’era disperazione. E sulla sua pelle il profumo di mirra e sandalo. Il profumo di Shaina.

Perché era da lei, che Seiya era andato quella notte. Era con lei che Seiya aveva cercato di colmare l’abisso che si trascinava dentro, e cresceva giorno dopo giorno. Era con lei che.

Saori socchiude gli occhi.

Non è quello il momento.

Dovrebbe concentrarsi sulla battaglia; dovrebbe conservare le forze e prepararsi nello spirito e nel cosmo ad affrontare Pallas. Dovrebbe pregare. Per Seiya; per Hyoga; per Shiryu; per Shun; per Kouga; per ognuno dei cavalieri che stanno combattendo e morendo per lei, con il suo nome sulle labbra e la ferrea determinata consapevolezza che Anissa riserverà loro un pensiero, un sorriso, una lacrima.

Dovrebbe.

Dovrebbe vestire la sua armatura divina e scendere nell’arena, lo sfavillio di Nike nella mano e la fiera pacate determinazione a rifulgere negli occhi di mare.

Dovrebbe mostrare la sua sicurezza, la sua forza che nemmeno le spire di quel maledetto bracciale sono riuscite ad intaccare. Dovrebbe mostrare, ora più che mai, la fermezza di Atena, il suo fulgore in battaglia.

E invece.

Invece ha solo la consapevolezza che Seiya non ci sarà.

Se vacillerà di nuovo, sa che saranno altre le braccia che la sorreggeranno; sa che altre saranno le spalle che le regaleranno pochi secondi di debolezza; sa che negli occhi che la scruteranno, non vedrà gli occhi di Seiya, la sua feroce dolce determinazione.

“Anissa.”

Gli occhi di Shaina sono verdi.

Hanno il colore della menta selvatica, che cresce a ciuffi fra i rododendri e il rosmarino. Hanno il colore della ferocia e della sicurezza, con quella punta di impertinenza che accarezza le labbra piene e belle.

Si è tolta la maschera e la fissa. Dritta negli occhi. Senza timore o sottomissione. L’ha chiamata Anissa, ma è alla donna che si è rivolta. Saori lo comprende.

E in quegli occhi che la stanno osservando, come se volessero scavarle nell’animo; in quegli occhi che non conoscono vergogna, Saori avverte il riflesso di una parola che non ha il coraggio di accettare, che non ha la forza di pronunciare.

E sceglie.

Non le chiederà perdono per averle sottratto l’uomo che ama; non si scuserà per aver mandato al fronte il ragazzo che le ha affidato come un figlio; non cercherà giustificazioni perché adesso, di nuovo, pretende da lei sangue e fedeltà, gettandola su un campo di battaglia senza la certezza di chi farà ritorno.

Saori sceglie.

E accetta che Shaina scavi nel sorriso triste incastonato nei suoi occhi; accetta che raccolga la consapevolezza della sua vittoria e la disarmante verità di una sconfitta.

Non piangerà; non supplicherà.

Seiya ha scelto lei.

È per lei che è sul campo di battaglia, l’animo lacerato e una nuova opprimente responsabilità sulle spalle. È per lei che ha scelto Sagitter e ha rinunciato a tutto. Non lo umilierà cedendo agli ultimi capricci della ragazzina viziata e indisponente che è stata un tempo.

“Tornerà” scandisce, un sorriso di altera fierezza sulle labbra pallide. “Lo riporterò al Tempio” le promette, e il suo cuore urla di strazio per una consapevolezza che non vuole accettare.

Shaina annuisce, la maschera stretta nel pungo.

Anissa ha promesso; e la parola di Anissa è giuramento che scava la roccia e non può essere infranto. Ha promesso: Seiya ritornerà.

Come l’ha ridestato dall’Ade; come l’ha sottratto ai Cieli; come l’ha strappato alla prigione di tenebra di Marte; come allora ancora Anissa riporterà il primo dei suoi cavalieri di nuovo al suo fianco. Nonostante il sangue e il sudore versato, Seiya di Sagitter tornerà.

Anissa l’ha promesso.

“Sagitter tornerà al Tempio. Te lo prometto.”

“Tornerà anche fra le mie braccia” sibila Shaina, senza livore. Un sussurro nell’aria fresca di aprile, mentre le nuvole trascorrono rapide nel cielo di primavera.

Perché ha scelto che non le nasconderà mai niente; perché ha scelto l’onestà verso la donna che ospita la sua dea. Perché se ha giurato fedeltà ad Anissa, vuole che anche Saori possa avere rispetto di lei.

“Lo so.”

E fa male.

Fa male l’immagine di un letto, una coperta ruvida e due corpi avvinghiati.

Fa male la consapevolezza che Seiya non la sfiorerà mai più, e stringerà fra le braccia un’altra donna. Fa male sapere che quel folle viscerale blasfemo amore che le porta è lo stesso che gli impedisce di osare ancora, di superare di un passo ancora quella impercettibile linea che ha posto a confine fra l’accettabile e il proibito.

Offrigli un po’ di pace. Te ne prego, Shaina.

Non glielo dirà; non con le parole.

Ma il cosmo che rilascia lieve ad abbracciarla vuole essere una quieta richiesta di sostegno. Vuole essere l’invito ad essere il ristoro di un cavaliere, di un uomo che ha scelto la sofferenza di amare lei che non potrà, che non oserà mai soddisfarlo. Non come donna.

“Sei generosa.”

“Sono egoista. Come tutti gli dei” soffia Saori, lo sguardo a smarrirsi nelle ombre tremulo della grande statua e poi giù, lungo la gola tagliata dalla scalinata fino all’arena, dietro al costone di roccia.

Perché è degli dei voler godere alla vista della felicità umana; è degli dei concedersi il piacere di decidere della soddisfazione degli uomini. Perché è degli dei giocare e torturarsi, raccogliendo preghiere e soddisfacendo i propri capricci.

E Saori, in fondo, sa di possedere ancora una piccola vena di quella crudeltà che aveva da piccola. La dolce carezzevole crudeltà di Atena, la crudeltà di una dea.

E se non può avere Seiya, può concederli una blanda felicità. Se non può soddisfare Seiya, può procurargli in rifugio in cui svestire Sagitter. Se non può piegare Seiya e la sua determinazione, può imporgli braccia che sanno stringere e frenare e labbra che sanno tentare e occhi che possono sedurre e incatenare.

Perché Seiya è anche un uomo; e nei suoi occhi, quando la guarda, Anissa vede ardere il desiderio e la passione mescolati alla devozione e all’amore. E se lei può essere per Seiya solo il desiderio proibito, allora gli imporrà un corpo da stringere, dei fianchi in cui affondare, un seno da accarezzare.

E quel corpo sarà Shaina, con la sua passione selvaggia e viscerale. Con la sua forza indomita e primordiale. Con la sinuosità delle sue movenze di donna e serpente seducente.

“Seiya avrà bisogno di conforto. Tu glielo offrirai.”

La risata ha il sapore della liberazione.

Risuona alta nel silenzio della Terrazza, fresca come il tintinnio dei cimbali. Ad Anissa ricorda il suono cristallino dei vetri che si incontrano in un brindisi.

Perché Shaina sta ridendo, di cuore. Perché Shaina ha gettato la testa al cielo, e si è seduta di fronte a lei in modo informale, come mai prima ha osato fare. Perché in quel momento Anissa vede in Shaina la donna fra le cui braccia Seiya ha cercato di dimenticare l’annichilimento prodotto da Mars e la passione suscitata da lei. Perché in Shaina vede la donna libera e fiera, vede la femminilità prorompente e aggraziata che lei non potrà mai possedere.

E ne resta sorpresa, compiaciuta e turbata.

“Sono una guerriera, Anissa” scandisce poi Shaina, quando il respiro torna regolare, negli occhi il luccichio di lacrime senza spiegazione. “Non una prostituta.”

“Ma lo ami.”

Anissa attende, lo scettro di Nike a riposarle accanto, contro la balaustra di marmo, mentre le labbra di Shaina si tendono in un sorriso amaro che sa di sconfitta e assieme di orgoglio.

“Se Seiya verrà da me, gli offrirò il conforto che vorrà” sussurra alla fine. “Come ho fatto le altre volte.”

E ricorda una sera di settembre, l’odore della pioggia nell’aria secca e il lucore di Sagitter sotto le stelle. Quella è stata la prima volta che Seiya si è recato da lei. Stringeva ancora fra le mani la daga di Saga e non la guardava in faccia.

Lo ha fatto entrare, nella sua casa e nel suo letto. Stringendoselo al petto mentre sul suo corpo si andavano formando gli ematomi di uno scontro di cui non voleva parlare. Quella notte hanno dormito assieme per la prima volta, con Seiya a mormorare nel sonno e lei a carezzargli la testa, osservando le ore scorrere sul soffitto della camera.

La seconda volta Seiya gli si è inginocchiato di fronte, il dolore e l’impotenza negli occhi sconvolti. Non sono riuscito a proteggerla le ha detto, e l’ha abbracciata forte ai fianchi, premendo la fronte contro il suo ventre. Quella volta ha trascorso le ore seduta sul suo letto, le spalle di Seiya fra le mani, con il loro tremito forse di un pianto silenzioso forse di rabbia repressa.

La terza volta è stata la notte prima che partisse per il fronte.

Seiya aveva negli occhi una febbre insana, una determinazione malata mescolata all’ira e al rimpianto, e sulla pelle il profumo di incenso e olio d’oliva di Anissa.

Quella notte hanno fatto l’amore per la prima volta, come solo due guerrieri possono farlo. Nell’ansia della morte che incombe, con la ruvidezza di chi è abituato al campo di battaglia.

Shaina ricorda il corpo muoversi nelle sue mani, le cicatrici che incontrava accarezzando i muscoli tesi, la sua bocca sulla cicatrice che le deturpa la schiena; ricorda gli ansiti e i gemiti e il nome Saori rantolato fra i denti.

E ricorda le parole che le ha sussurrato sulle labbra, l’oro di Sagitter a rivestirlo nella debole luminescenza di una candela che andava agonizzando. Quel Mi sei cara, Shaina. Molto cara, soffiato al suo orecchio, e l’ultimo bacio che le ha lasciato, all’angolo della bocca, dove le labbra le si arricciano sempre in un piccolo sorriso quando la stuzzica. Non volevo umiliarti. E nemmeno usarti.

Lei lo aveva abbracciato, il freddo dell’armatura ad appannarsi contro il calore del suo seno nudo. Lo aveva baciato mordendogli forte il labbro inferiore, accarezzando con la bocca la cicatrice sottile, quasi invisibile, che gli aveva procurato al loro primo incontro, quando lui le aveva strappato la maschera.

Se provi a chiedere scusa, te ne farò pentire a vita gli aveva sussurrato, ridendo.

Questa notte aveva provato lui, accarezzandole gli zigomi con dolcezza.

Seiya lo aveva interrotto, alzandosi a sedere e mostrandogli senza pudori la sua nudità. Siamo adulti; entrambi. Di questa notte tu avevi bisogno; e io la volevo. Mi vuoi bene, lo so. Ma non mi ami.

E io non sono più la ragazzina che aspetta il suo primo amore. Io sono una guerriera. È questa la scelta che ho fatto si era detta mentre lo baciava un’ultima volta e gli sistemava l’elmo sulla testa, litigando con i suoi capelli scompigliati. Non aveva mai immaginato che sentirseli addosso sarebbe stata una sensazione così erotica.

Vai adesso. L’alba è vicina gli aveva detto, e si era lasciata baciare un’ultima volta, sulla fronte. E mentre lo aveva visto, fra le listelle di legno scostato delle imposte, risalire il crinale con passo sempre più sicuro e marziale, si era detto che no, non era stato un errore accoglierlo nel suo letto.

Perché da quando Marin non c’era, era con lei che parlava. Perché da quando Marin aveva scelto di restare accanto a Touma, solo lei gli era rimasta, al Tempio, degli antichi compagni. Perché il dolore di Seiya dopo la prigionia di Mars non aveva cure, nemmeno nel sorriso di Anissa, ma con lei riusciva a trovare un po’ di riposo semplicemente nel silenzio di ore seduti accanto o nel sudore degli allenamenti. A volte gli raccontava degli anni in cui aveva addestrato Kouga; a volte era lui a raccontarle qualcosa, dei rari momenti di quiete con gli amici o dei pochi giorni strappati alla compagnia di Seika.

No. Non ho sbagliato aveva deciso, mentre indossava la sua corazza e sistemava una pezzo di stoffa nello scollo dell’armatura, a coprire il livido di un bacio violento. Sarebbe andata a salutare lui e gli altri cavalieri che partivano per il fronte, offrendogli l’imperturbabilità dell’argento della sua maschera e il crepitio suadente del suo cosmo. Nell’attesa che anche per lei giungesse il momento di scendere in battaglia.

Quando lo aveva visto spiegare le ali al vento e al sole nascente, il braccio alzato e negli occhi un saluto verso un punto bianco in cima alla scalinata dell’arena, l’alalai le era salito dalle viscere con forza e liberazione, gridandolo al cielo infinito che andava schiarendosi. E si era giurata che, se Seiya fosse tornato da lei, avrebbe trovato sempre una spalla da abbracciare o un corpo da amare, anche con il nome di Saori sulle labbra. Si era giurata che lo avrebbe amato più di un amico e meno di un amante, offrendogli il conforto delle sue parole e del suo silenzio o delle sue braccia, vivendo la sua vita senza costrizioni.

“È vero. Lo amo.”

Shaina respira piano, la maschera di nuovo sul suo viso. Lo ha detto dopo un lungo silenzio, quando entrambe ormai erano certe che non ci fosse nient’altro da dire. Lo ha detto con la semplicità e l’orgoglio con cui in battaglia dichiarava il suo nome, senza acredine o livore.

“Lo amo” ripete. “Ma non come credi tu, Anissa. O come lui ama te.”

“Ma lo hai amato.”

“Sì. L’ho amato” sussurra accarezzando ogni ricordo, ogni parola confidata, ogni illusione alimentata. “L’ho amato. Lo amo ancora; ma soprattutto lo desidero.”

“Il suo corpo?”

“Anche. Forse” scrolla le spalle, ridendo piano di se stessa. “Ma soprattutto desidero lui. Desidero Seiya come quando l’ho incontrato la prima volta. Te lo ricordi, Anissa?”

Saori sorride, un sorriso aperto e sincero, complice. Perché per entrambe Seiya è ancora anche quel ragazzino impertinente e sfrontato, il ragazzino dalla battuta pronta e da una passione inesauribile. Il ragazzo, l’uomo, che per caparbio ostinato amore ha osato sfidare gli dei, ha osato scalare i Cieli.

“Quel ragazzo non esiste più. Lo sai, Shaina. Lo hai visto” sussurra Saori, le mani strette fra loro a sfogare la rabbia e la frustrazione. Lo sconforto per la tristezza che Seiya adesso di porta sempre addosso, per le ferite e i sacrifici che gli gravano sull’anima, per la disillusione e la solitudine che cerca di mascherare dietro un sorriso troppo cresciuto.

“Io ho visto solo l’amore che ti porta. E quello non è cambiato.”

“Lo distruggerà.”

“È possibile. Anzi: è probabile” concorda Shaina, mentre il vento le porta il profumo lontano del mare e gli echi di ordini impartiti giù nell’arena. “Ma è tutto ciò che lo tiene ancora in piedi. Non toglierglielo.”

“Non ho intenzione di farlo” afferma sicura, la testa a sollevarsi fiera e altera.

E nel dirlo, Saori la guarda e Shaina sente la maschera sciogliersi, l’armatura andare in pezzi e le sue vesti diventare polvere di luce. Sotto gli occhi azzurri di Anissa, limpidi e tranquilli, con quella punta di rassegnata accettazione, Shaina avverte il proprio cosmo e la propria anima nudi e inermi, schiacciati a terra da una forza potente e antica che sembra volerla avvolgere in un agghiacciante bozzolo di luce calda e rassicurante.

“Allora mi avrai al tuo fianco.”

 

 

 

  
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