Autore: Avalon9
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice
of live
Personaggi Principali: Saori-Atena; Shaina dell’Ofiuco
Altri Personaggi: Seiya solo nominato
Rating: verde
In proposito: “Sono una guerriera, Anissa” scandisce poi Shaina, quando il respiro torna
regolare, negli occhi il luccichio di lacrime senza spiegazione. “Non una
prostituta.”
“Ma lo ami.”
Post-Hades;
Saint Seiya Omega: intermezzo; in 73 episodio, poco prima che Saori lasci il Tempio.
Saori e
Shaina. Un incontro prima di scendere sul campo di battaglia. Due donne che
decidono di raccontarsi.
Disclaimer: i personaggi sono di Masami
Kurumada; la situazione la rivendico come mia^^
Note:
one shot; missing moments
Cose: ok. Prima o tardi questa serie troverà
la sua conclusione. Voglio-devo-posso. E tutti gli annessi imperativi
categorici di kantiana memoria. Intanto, questo incontro era già un bel bel po’
di tempo che si affastellava nella mia testa. Le donne di Seiya, quasi. La dea
e la guerriera; e le donne appunto. Cosa ne è venuto fuori? Veramente non lo so
bene nemmeno io. Saori e Shaina hanno iniziato a parlare e. E punto.
Non era proprio così, che doveva
andare. Ma il risultato mi piace. Parecchio!
Poi: a voi l’ardua sentenza.
Crescendo V - bis
Interludio
“Anissa.”
Shaina se ne accorge in quel
momento, nel sole tiepido di aprile, nel lucore del marmo della grande terrazza
alla Tredicesima.
Lì, con il ginocchio a terra; con
le sue vestigia a sfrigolare di cosmo forte e battagliero. Lì, nell’ombra
ieratica della grande statua che tutto sovrasta e protegge. Lì, se ne accorge.
Atena è cresciuta. Saori è
cresciuta.
Lo vede per la prima volta; lo
realizza per la prima volta.
La ragazzina. La ragazzina che ha
detestato, perseguito, disprezzato. La ragazzina che Seiya ha stretto fra le
braccia, una notte di troppi anni prima; la ragazzina per cui Seiya ha dato e
sangue e vita.
Quella ragazzina non esiste più, e
al suo posto c’è solo la donna.
Bella. Troppo bella.
Soprattutto per lei.
“Anissa” ripete, e nella voce
avverte con disperazione il sibilo sordo del serpente, il tendersi del suo
corpo. “L’aspettano. I cavalieri d’oro.”
Doveva solo riferire il messaggio.
Doveva solo presentarsi a lei e dirle che tutto era pronto: le armate del
Tempio e i cavalieri a lei fedeli. Doveva solo andare da lei, inginocchiarsi e
ripetere quelle tre parole che le sono esplose nella testa come una supernova,
assieme al crescere dell’adrenalina.
È tutto pronto.
Facile; veloce; indolore. Doveva
solo scortarla da Kiki, e poi avrebbe potuto pensare alla battaglia. Lei è nata
per la battaglia. Il suo cuore; la sua mente; il suo corpo. Tutto. Tutto, senza
rimorsi né rimpianti.
Non è questione di sopravvivenza.
È una questione di sangue. E lei la tenacia, la resistenza, ce l’ha nel sangue.
L’ha sempre avuta. Come l’aveva sua nonna, quando restava aggrappata alle assi
di una vecchia soffitta di Roma, fra urla preghiere e imprecazioni. Ce l’ha
come ce l’aveva la sua trisnonna, che se ne è andata su un piroscafo che
vomitava fumo e speranza, una stella a sei punte al collo e i figli per mano.
Ce l’ha come ce l’hanno tutte le donne della sua famiglia, tutte le donne della
sua gente.
Gatte aggrappate alla vita, con
determinazione e ferocia. E orgoglio. Perché senza orgoglio con vai da nessuna
parte; perché gli artigli ti tengono a galla, ma è l’orgoglio a farti andare
avanti. Quando sai che hai tutto il diritto di tenere la testa alta; anche se
non hai niente addosso.
Quell’orgoglio Shaina se lo sente
scorrere nelle vene, una carezza elettrica.
Ed è con quell’orgoglio che è sempre
andata sul campo di battaglia; da quando aveva tredici anni e l’armatura era
troppo larga. Soprattutto sul seno.
Da quando è andata sul campo a
tredici anni e ha imparato che la maschera è la salvezza e la dannazione. E
possono andare al diavolo le regole e le tradizioni, ma quella maschera in
battaglia le ha spesso salvato la vita.
Perché chi ti sta di fronte non
capisce dove vuoi attaccare; perché il tuo avversario non intuisce la paura
fottuta che provi e tu poi fingere una spavalderia, una sicurezza che non vuoi
nemmeno chiederti da dove venga. Ma è lì, e risale dalla pancia assieme
all’adrenalina e a quel primordiale ferino istituto di autoconservazione che ti
spinge ad attaccare. Per prima. Alla ricerca di quel vantaggio, di quella
minima increspatura, di quell’insicurezza di un istante negli occhi
dell’avversario che significa la vittoria per te, e la morte per lui.
Shaina sa di appartenere al campo
di battaglia; lo ha sempre saputo.
E riconosce quel fremito che
avverte nelle mani, l’eccitazione e la paura. La consapevolezza di poter far
qualcosa, forse la differenza.
Ma sa anche che, in quel momento,
ha solo voglia di alzare la testa e guardare negli occhi la dea, la donna, per
cui tutti stanno combattendo.
È tutto pronto.
Doveva solo dirglielo; e poi
tornare fra gli altri cavalieri, nell’avanguardia giù nell’arena. La stanno
aspettando per andare; la stanno aspettando per scendere in battaglia e
preparare il campo per l’arrivo di Anissa. E lei. Lei li guiderà. Lei: donna
fra gli uomini, donna fattasi uomo. Lei. E nessun altro.
Invece.
Invece se ne resta lì. Il
ginocchio premuto a terra, e tutto il corpo in equilibrio sulla mano. Sente il
marmo poroso; sente la sabbia finissima sotto le unghie lunghe, unico piccolo
vezzo. Sente il cosmo agitarsi, aggrovigliarsi su se stesso in spire sinuose e
tendersi, pronto a saltare. Ad attaccare.
E sente rabbia.
Una folle blasfema inammissibile
rabbia.
Verso Anissa. E la consapevolezza
che dovrebbe essere un’altra, la parola da usare. La consapevolezza di averci
convissuto per quasi vent’anni, con quel pulsare sordo in fondo allo stomaco.
Pensava di essersene fatta una
ragione; pensava di aver imparato ad accettarlo. Di esser riuscita a trovare un
equilibrio, una risposta logica ed accettabile ad ogni perché che si era posta.
Pensava di non risentirlo più, quel ringhio rauco a gorgogliare in gola, simile
all’istinto dell’animale che si sente braccato. E sa che l’unica possibilità
rimasta è l’attacco.
Quant’era che non lo sentiva più?
Troppo davvero. Tanto da persuaderla
che tutto fosse finito, che tutto fosse stato accettato. E invece non è
cambiato nulla.
È tutto ancora come quella notte. La
notte in cui Seiya ha rifiutato di lottare contro di lei; la notte che Seiya ha
rifiutato di guardare lei. La notte in cui Seiya ha scelto Saori.
Saori.
Non Anissa.
Shaina lo sa. Lo ha sempre saputo.
Se Seiya avesse scelto Anissa, se ne sarebbe fatta una ragione. Perché è la
fedeltà ad Anissa ad avere la precedenza, per ognuno di loro. È Anissa ad
occupare il primo posto; prima di tutto. Dell’amore; della vita; anche del
proprio onore.
Se Seiya avesse scelto Anissa.
Ma Seiya non l’ha fatto.
Seiya ha scelto Saori. O almeno ha
scelto di continuare a servire Saori, di combattere e di morire per Saori.
E quella consapevolezza. Quella
profonda sconfitta senza appello le è rimasta dentro fin da quel lontano
giorno, ed è cresciuta come un cancro. Nonostante tutto quello che c’è stato
dopo; nonostante ogni singolo istante che è venuto dopo.
Ma sa anche che non si tratta più
di quel folle insano sentimento; sa che quel sentimento non ha più senso per
lei. Perché ad Anissa non rimprovererà mai l’amore che Seiya ; ma le
rimprovererà sempre l’amore che lei prova e che lo sta lentamente consumando.
“Non ti chiederò di perdonarmi.”
La voce di Anissa è simile al
mormorio dell’acqua.
Non assomiglia alla sua, dura e
abituata ad urlare in battaglia. La voce di Anissa è una carezza gentile che
incoraggia; la sua lo stridore del metallo di armature che si scontrano.
Non c’è nulla in lei che assomigli
al corpo umano di Anissa. A Saori.
Saori ha pelle lucida e viso
altero; Saori ha capelli dal profumo di olio d’oliva e voce di miele. Shaina ha
braccia toniche e fisico asciutto; ma ha cicatrici sulla pelle brunita dal sole
e capelli annotati dal vento e occhi di metallo indifferente che raccontano
l’audacia della guerriera.
No. Shaina non ha nulla per
paragonarsi a Saori.
Lo sa.
Ma sa anche che, se entrambe sono
lì, se entrambe sono pronte a scendere in battaglia, rischiando la vita e gli
equilibri del mondo, è anche per un uomo.
Per me è solo per un uomo. Seiya.
Lo sa Shaina. E lo sa anche Saori.
“E io non intendo farlo.”
Saori sorride.
Un sorriso sottile, di molti
sottintesi. Mentre fissa Shaina negli occhi; mentre immagina la fierezza di
quella risposta nei lineamenti duri della maschera sacerdotale. E dietro lo
sfrigolio elettrico del cosmo dell’Ofiuco, il lento sublime aggrovigliarsi
delle sue spire che stanno per colpire.
È sfacciata, Shaina. Sfacciata e
impudente. Di quella indomita sublime sfrontatezza che Anissa predilige, di
quella arrogante sicurezza che sfiora la blasfemia. E che non cederà mai. Come
non ha ceduto Shaina alle nevi di Asgard o al cosmo di divino di Posidone dei
Mari.
È caparbia, Shaina. Ostinata; e
fedele.
Nonostante tutto, Saori sa che
Shaina le è e le sarà sempre fedele.
Anche se è per lei che Seiya è sul
campo di battaglia; anche se è per una sua decisione che Seiya avrebbe
accettato di macchiarsi di infanticidio; anche se è per proteggere lei, e il
bimbo che stringeva al seno, che Seiya ha scelto l’oblio di quindici anni di
maledizione. Anche se è per lei il primo pensiero di Seiya, Saori sa che Shaina
non l’abbandonerà mai.
Le ha affidato Kouga, nei lunghi
anni di incertezza. Le ha affidato il riflesso di una vita normale, di una vita
umana abbandonata sulle scalinate del Tempio, molti anni prima. Le ha affidato
quello che Seiya aveva scelto di proteggere, e Shaina lo ha custodito e
allevato.
Fra addestramento e parole dure e
schiette; nel rigore della battaglia e nella determinazione caparbia di
Pegasus. Ma lo ha allevato. Proteggendolo; custodendolo; crescendolo. Come una
madre. Come quella madre che lei non si è mai sentita pronta ad essere.
Ed è fra le braccia di Shaina che
Seiya ha trovato un po’ di tranquillità.
Saori lo sa.
Lo sa da quella notte in cui tutto
è precipitato. Quella notte. Quando ha guardato la schiena di Seiya
allontanarsi; quando ha fissato le protettive ali di Sagitter distendersi, il
cosmo sfavillare e il baluginio del pugnale deicida saldo nelle mani di Seiya.
Quella notte non lo ha fermato;
non ha avuto la forza di fermarlo.
E quando Seiya, nel crepuscolo
dell’alba, le si è inginocchiato di fronte, Saori ha percepito il cambiamento.
Ha avvertito che qualcosa, quella notte, si era spezzato. E che lei non avrebbe
mai potuto ricostruirlo.
L’ha capito. Dagli occhi di Seiya.
Negli occhi tristi di Seiya c’era
qualcosa; qualcosa che non era né felicità né rassegnazione. Negli occhi di
Seiya, quella mattina di settembre, c’era disperazione. E sulla sua pelle il
profumo di mirra e sandalo. Il profumo di Shaina.
Perché era da lei, che Seiya era
andato quella notte. Era con lei che Seiya aveva cercato di colmare l’abisso
che si trascinava dentro, e cresceva giorno dopo giorno. Era con lei che.
Saori socchiude gli occhi.
Non è quello il momento.
Dovrebbe concentrarsi sulla
battaglia; dovrebbe conservare le forze e prepararsi nello spirito e nel cosmo
ad affrontare Pallas. Dovrebbe pregare. Per Seiya; per Hyoga; per Shiryu; per
Shun; per Kouga; per ognuno dei cavalieri che stanno combattendo e morendo per
lei, con il suo nome sulle labbra e la ferrea determinata consapevolezza che
Anissa riserverà loro un pensiero, un sorriso, una lacrima.
Dovrebbe.
Dovrebbe vestire la sua armatura
divina e scendere nell’arena, lo sfavillio di Nike nella mano e la fiera pacate
determinazione a rifulgere negli occhi di mare.
Dovrebbe mostrare la sua
sicurezza, la sua forza che nemmeno le spire di quel maledetto bracciale sono
riuscite ad intaccare. Dovrebbe mostrare, ora più che mai, la fermezza di
Atena, il suo fulgore in battaglia.
E invece.
Invece ha solo la consapevolezza
che Seiya non ci sarà.
Se vacillerà di nuovo, sa che
saranno altre le braccia che la sorreggeranno; sa che altre saranno le spalle
che le regaleranno pochi secondi di debolezza; sa che negli occhi che la
scruteranno, non vedrà gli occhi di Seiya, la sua feroce dolce determinazione.
“Anissa.”
Gli occhi di Shaina sono verdi.
Hanno il colore della menta
selvatica, che cresce a ciuffi fra i rododendri e il rosmarino. Hanno il colore
della ferocia e della sicurezza, con quella punta di impertinenza che accarezza
le labbra piene e belle.
Si è tolta la maschera e la fissa.
Dritta negli occhi. Senza timore o sottomissione. L’ha chiamata Anissa, ma è
alla donna che si è rivolta. Saori lo comprende.
E in quegli occhi che la stanno
osservando, come se volessero scavarle nell’animo; in quegli occhi che non
conoscono vergogna, Saori avverte il riflesso di una parola che non ha il
coraggio di accettare, che non ha la forza di pronunciare.
E sceglie.
Non le chiederà perdono per averle
sottratto l’uomo che ama; non si scuserà per aver mandato al fronte il ragazzo
che le ha affidato come un figlio; non cercherà giustificazioni perché adesso,
di nuovo, pretende da lei sangue e fedeltà, gettandola su un campo di battaglia
senza la certezza di chi farà ritorno.
Saori sceglie.
E accetta che Shaina scavi nel
sorriso triste incastonato nei suoi occhi; accetta che raccolga la
consapevolezza della sua vittoria e la disarmante verità di una sconfitta.
Non piangerà; non supplicherà.
Seiya ha scelto lei.
È per lei che è sul campo di
battaglia, l’animo lacerato e una nuova opprimente responsabilità sulle spalle.
È per lei che ha scelto Sagitter e ha rinunciato a tutto. Non lo umilierà cedendo
agli ultimi capricci della ragazzina viziata e indisponente che è stata un
tempo.
“Tornerà” scandisce, un sorriso di
altera fierezza sulle labbra pallide. “Lo riporterò al Tempio” le promette, e
il suo cuore urla di strazio per una consapevolezza che non vuole accettare.
Shaina annuisce, la maschera
stretta nel pungo.
Anissa ha promesso; e la parola di
Anissa è giuramento che scava la roccia e non può essere infranto. Ha promesso:
Seiya ritornerà.
Come l’ha ridestato dall’Ade; come
l’ha sottratto ai Cieli; come l’ha strappato alla prigione di tenebra di Marte;
come allora ancora Anissa riporterà il primo dei suoi cavalieri di nuovo al suo
fianco. Nonostante il sangue e il sudore versato, Seiya di Sagitter tornerà.
Anissa l’ha promesso.
“Sagitter tornerà al Tempio. Te lo
prometto.”
“Tornerà anche fra le mie braccia”
sibila Shaina, senza livore. Un sussurro nell’aria fresca di aprile, mentre le
nuvole trascorrono rapide nel cielo di primavera.
Perché ha scelto che non le
nasconderà mai niente; perché ha scelto l’onestà verso la donna che ospita la
sua dea. Perché se ha giurato fedeltà ad Anissa, vuole che anche Saori possa
avere rispetto di lei.
“Lo so.”
E fa male.
Fa male l’immagine di un letto,
una coperta ruvida e due corpi avvinghiati.
Fa male la consapevolezza che
Seiya non la sfiorerà mai più, e stringerà fra le braccia un’altra donna. Fa
male sapere che quel folle viscerale blasfemo amore che le porta è lo stesso
che gli impedisce di osare ancora, di superare di un passo ancora quella
impercettibile linea che ha posto a confine fra l’accettabile e il proibito.
Offrigli un po’ di pace. Te ne prego, Shaina.
Non glielo dirà; non con le
parole.
Ma il cosmo che rilascia lieve ad
abbracciarla vuole essere una quieta richiesta di sostegno. Vuole essere
l’invito ad essere il ristoro di un cavaliere, di un uomo che ha scelto la
sofferenza di amare lei che non potrà, che non oserà mai soddisfarlo. Non come
donna.
“Sei generosa.”
“Sono egoista. Come tutti gli dei”
soffia Saori, lo sguardo a smarrirsi nelle ombre tremulo della grande statua e
poi giù, lungo la gola tagliata dalla scalinata fino all’arena, dietro al
costone di roccia.
Perché è degli dei voler godere
alla vista della felicità umana; è degli dei concedersi il piacere di decidere
della soddisfazione degli uomini. Perché è degli dei giocare e torturarsi,
raccogliendo preghiere e soddisfacendo i propri capricci.
E Saori, in fondo, sa di possedere
ancora una piccola vena di quella crudeltà che aveva da piccola. La dolce
carezzevole crudeltà di Atena, la crudeltà di una dea.
E se non può avere Seiya, può
concederli una blanda felicità. Se non può soddisfare Seiya, può procurargli in
rifugio in cui svestire Sagitter. Se non può piegare Seiya e la sua
determinazione, può imporgli braccia che sanno stringere e frenare e labbra che
sanno tentare e occhi che possono sedurre e incatenare.
Perché Seiya è anche un uomo; e
nei suoi occhi, quando la guarda, Anissa vede ardere il desiderio e la passione
mescolati alla devozione e all’amore. E se lei può essere per Seiya solo il
desiderio proibito, allora gli imporrà un corpo da stringere, dei fianchi in
cui affondare, un seno da accarezzare.
E quel corpo sarà Shaina, con la
sua passione selvaggia e viscerale. Con la sua forza indomita e primordiale.
Con la sinuosità delle sue movenze di donna e serpente seducente.
“Seiya avrà bisogno di conforto.
Tu glielo offrirai.”
La risata ha il sapore della
liberazione.
Risuona alta nel silenzio della
Terrazza, fresca come il tintinnio dei cimbali. Ad Anissa ricorda il suono
cristallino dei vetri che si incontrano in un brindisi.
Perché Shaina sta ridendo, di
cuore. Perché Shaina ha gettato la testa al cielo, e si è seduta di fronte a
lei in modo informale, come mai prima ha osato fare. Perché in quel momento
Anissa vede in Shaina la donna fra le cui braccia Seiya ha cercato di
dimenticare l’annichilimento prodotto da Mars e la passione suscitata da lei.
Perché in Shaina vede la donna libera e fiera, vede la femminilità prorompente
e aggraziata che lei non potrà mai possedere.
E ne resta sorpresa, compiaciuta e
turbata.
“Sono una guerriera, Anissa”
scandisce poi Shaina, quando il respiro torna regolare, negli occhi il
luccichio di lacrime senza spiegazione. “Non una prostituta.”
“Ma lo ami.”
Anissa attende, lo scettro di Nike
a riposarle accanto, contro la balaustra di marmo, mentre le labbra di Shaina
si tendono in un sorriso amaro che sa di sconfitta e assieme di orgoglio.
“Se Seiya verrà da me, gli offrirò
il conforto che vorrà” sussurra alla fine. “Come ho fatto le altre volte.”
E ricorda una sera di settembre,
l’odore della pioggia nell’aria secca e il lucore di Sagitter sotto le stelle.
Quella è stata la prima volta che Seiya si è recato da lei. Stringeva ancora
fra le mani la daga di Saga e non la guardava in faccia.
Lo ha fatto entrare, nella sua
casa e nel suo letto. Stringendoselo al petto mentre sul suo corpo si andavano
formando gli ematomi di uno scontro di cui non voleva parlare. Quella notte
hanno dormito assieme per la prima volta, con Seiya a mormorare nel sonno e lei
a carezzargli la testa, osservando le ore scorrere sul soffitto della camera.
La seconda volta Seiya gli si è
inginocchiato di fronte, il dolore e l’impotenza negli occhi sconvolti. Non sono riuscito a proteggerla le ha
detto, e l’ha abbracciata forte ai fianchi, premendo la fronte contro il suo
ventre. Quella volta ha trascorso le ore seduta sul suo letto, le spalle di
Seiya fra le mani, con il loro tremito forse di un pianto silenzioso forse di
rabbia repressa.
La terza volta è stata la notte
prima che partisse per il fronte.
Seiya aveva negli occhi una febbre
insana, una determinazione malata mescolata all’ira e al rimpianto, e sulla
pelle il profumo di incenso e olio d’oliva di Anissa.
Quella notte hanno fatto l’amore
per la prima volta, come solo due guerrieri possono farlo. Nell’ansia della
morte che incombe, con la ruvidezza di chi è abituato al campo di battaglia.
Shaina ricorda il corpo muoversi
nelle sue mani, le cicatrici che incontrava accarezzando i muscoli tesi, la sua
bocca sulla cicatrice che le deturpa la schiena; ricorda gli ansiti e i gemiti
e il nome Saori rantolato fra i
denti.
E ricorda le parole che le ha
sussurrato sulle labbra, l’oro di Sagitter a rivestirlo nella debole
luminescenza di una candela che andava agonizzando. Quel Mi sei cara, Shaina. Molto cara, soffiato al suo orecchio, e
l’ultimo bacio che le ha lasciato, all’angolo della bocca, dove le labbra le si
arricciano sempre in un piccolo sorriso quando la stuzzica. Non volevo umiliarti. E nemmeno usarti.
Lei lo aveva abbracciato, il
freddo dell’armatura ad appannarsi contro il calore del suo seno nudo. Lo aveva
baciato mordendogli forte il labbro inferiore, accarezzando con la bocca la
cicatrice sottile, quasi invisibile, che gli aveva procurato al loro primo
incontro, quando lui le aveva strappato la maschera.
Se provi a chiedere scusa, te ne farò pentire a vita gli aveva sussurrato, ridendo.
Questa notte
aveva provato lui, accarezzandole gli zigomi con dolcezza.
Seiya lo
aveva interrotto, alzandosi a sedere e mostrandogli senza pudori la sua nudità.
Siamo adulti; entrambi. Di questa notte
tu avevi bisogno; e io la volevo. Mi vuoi bene, lo so. Ma non mi ami.
E io non sono più la ragazzina che aspetta il suo primo amore. Io sono
una guerriera. È questa la scelta che ho fatto si era detta mentre lo baciava
un’ultima volta e gli sistemava l’elmo sulla testa, litigando con i suoi
capelli scompigliati. Non aveva mai immaginato che sentirseli addosso sarebbe
stata una sensazione così erotica.
Vai adesso. L’alba è vicina gli aveva detto, e si era lasciata baciare un’ultima
volta, sulla fronte. E mentre lo aveva visto, fra le listelle di legno scostato
delle imposte, risalire il crinale con passo sempre più sicuro e marziale, si
era detto che no, non era stato un errore accoglierlo nel suo letto.
Perché da quando Marin non c’era,
era con lei che parlava. Perché da quando Marin aveva scelto di restare accanto
a Touma, solo lei gli era rimasta, al Tempio, degli antichi compagni. Perché il
dolore di Seiya dopo la prigionia di Mars non aveva cure, nemmeno nel sorriso
di Anissa, ma con lei riusciva a trovare un po’ di riposo semplicemente nel
silenzio di ore seduti accanto o nel sudore degli allenamenti. A volte gli
raccontava degli anni in cui aveva addestrato Kouga; a volte era lui a
raccontarle qualcosa, dei rari momenti di quiete con gli amici o dei pochi
giorni strappati alla compagnia di Seika.
No. Non ho sbagliato aveva deciso, mentre indossava la sua corazza e sistemava
una pezzo di stoffa nello scollo dell’armatura, a coprire il livido di un bacio
violento. Sarebbe andata a salutare lui e gli altri cavalieri che partivano per
il fronte, offrendogli l’imperturbabilità dell’argento della sua maschera e il
crepitio suadente del suo cosmo. Nell’attesa che anche per lei giungesse il
momento di scendere in battaglia.
Quando lo aveva visto spiegare le
ali al vento e al sole nascente, il braccio alzato e negli occhi un saluto
verso un punto bianco in cima alla scalinata dell’arena, l’alalai le era salito dalle viscere con forza e liberazione,
gridandolo al cielo infinito che andava schiarendosi. E si era giurata che, se
Seiya fosse tornato da lei, avrebbe trovato sempre una spalla da abbracciare o
un corpo da amare, anche con il nome di Saori sulle labbra. Si era giurata che
lo avrebbe amato più di un amico e meno di un amante, offrendogli il conforto
delle sue parole e del suo silenzio o delle sue braccia, vivendo la sua vita
senza costrizioni.
“È vero. Lo amo.”
Shaina respira piano, la maschera
di nuovo sul suo viso. Lo ha detto dopo un lungo silenzio, quando entrambe
ormai erano certe che non ci fosse nient’altro da dire. Lo ha detto con la
semplicità e l’orgoglio con cui in battaglia dichiarava il suo nome, senza
acredine o livore.
“Lo amo” ripete. “Ma non come
credi tu, Anissa. O come lui ama te.”
“Ma lo hai amato.”
“Sì. L’ho amato” sussurra
accarezzando ogni ricordo, ogni parola confidata, ogni illusione alimentata.
“L’ho amato. Lo amo ancora; ma soprattutto lo desidero.”
“Il suo corpo?”
“Anche. Forse” scrolla le spalle,
ridendo piano di se stessa. “Ma soprattutto desidero lui. Desidero Seiya come
quando l’ho incontrato la prima volta. Te lo ricordi, Anissa?”
Saori sorride, un sorriso aperto e
sincero, complice. Perché per entrambe Seiya è ancora anche quel ragazzino
impertinente e sfrontato, il ragazzino dalla battuta pronta e da una passione
inesauribile. Il ragazzo, l’uomo, che per caparbio ostinato amore ha osato
sfidare gli dei, ha osato scalare i Cieli.
“Quel ragazzo non esiste più. Lo
sai, Shaina. Lo hai visto” sussurra Saori, le mani strette fra loro a sfogare
la rabbia e la frustrazione. Lo sconforto per la tristezza che Seiya adesso di
porta sempre addosso, per le ferite e i sacrifici che gli gravano sull’anima,
per la disillusione e la solitudine che cerca di mascherare dietro un sorriso
troppo cresciuto.
“Io ho visto solo l’amore che ti
porta. E quello non è cambiato.”
“Lo distruggerà.”
“È possibile. Anzi: è probabile”
concorda Shaina, mentre il vento le porta il profumo lontano del mare e gli
echi di ordini impartiti giù nell’arena. “Ma è tutto ciò che lo tiene ancora in
piedi. Non toglierglielo.”
“Non ho intenzione di farlo”
afferma sicura, la testa a sollevarsi fiera e altera.
E nel dirlo, Saori la guarda e
Shaina sente la maschera sciogliersi, l’armatura andare in pezzi e le sue vesti
diventare polvere di luce. Sotto gli occhi azzurri di Anissa, limpidi e
tranquilli, con quella punta di rassegnata accettazione, Shaina avverte il
proprio cosmo e la propria anima nudi e inermi, schiacciati a terra da una
forza potente e antica che sembra volerla avvolgere in un agghiacciante bozzolo
di luce calda e rassicurante.
“Allora mi avrai al tuo fianco.”