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Autore: Frannestein91    15/10/2008    2 recensioni
“ Potevo sentire quella voce colma di eco, quei mormorii lontani, dolci e disperati al tempo stesso. Era una voce maschile sibilata, che vanitosa e serpentina, sussurrava il mio nome. Eve, quella che riuscivo a percepire più chiaramente. L'avevo sentita così tante volte, eppure in quel preciso istante, l'identità di quella voce pacata e profonda, mi sfuggiva. “
Genere: Azione, Sovrannaturale, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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emh dunque....>.< salve a tutti quanti *-* sono nuova e questa è la prima storia che pubblico su EFP o.o spero tanto vi piaccia ç.ç per ora ho messo solo il prologo *.* fatemi sapere com'è *-* critiche e consigli mi fanno crescere xDDD tanti baci <3 e grazie per l'attenzione *.*

Potevo sentire quella voce colma di eco
quei mormorii lontani, 
dolci e disperati al tempo stesso. 
Era una voce maschile sibilata, 
che vanitosa e serpentina, 
sussurrava il mio nome,
Eve, che riuscivo a percepire chiaramente. 
L'avevo sentita
così tante volte, eppure 
in quel preciso istante, 
l'identità di quella voce pacata e profonda,
mi sfuggiva. “



                                                                                       

Prologo


I miei occhi erano vitrei nel vuoto. Occhi grandi e ricolmi di tristezza, ma privi di lacrime. Una tristezza senza sofferenza. Una sofferenza suggerita da quei singhiozzi che si accrescevano alle mie spalle. Quante contraddizioni distinguevo in ognuno dei loro pianti. La mia matrigna al mio fianco, abbigliata di lussuosi abiti neri e sontuosi gioielli, di ogni sorta, fingeva di frignare come una bambina, tenendo stretto tra le sue dita, ricoperte da soffice velluto nero, un fazzoletto in bianca seta. Era così irritante ogni suo gemito, teatralmente studiato prima di recarsi al capezzale, del mio povero padre. Ma io tacevo, perché di lei non mi importava. Il suo falso supplizio era ora, l'ultimo dei miei problemi. Al suo fianco, la sua stessa figlia la emulava, inscenando una pena bugiarda, verso quel corpo freddo e pallido, alla quale tenevo ancora stretta la mano, con la speranza di poter scorgere in essa il solito, vivido tepore.
 Nei miei occhi, limpidi come l'acqua di un mero ruscello,il disegno di quella sottile linea senza curva alcuna, era più chiaro, che sullo stesso monitor, sulla quale si disegnava monotona. Nessun battito, nessun respiro. In quel momento mio padre era definitivamente deceduto. Encefalogramma piatto.  
Al suono ininterrotto, che confermava la sua morte, quelle due insopportabili donne, cominciarono ad aumentare il ritmo delle lacrime, sature di menzogna. Spostai lo sguardo verso il volto rilassato di lui e questo mi bastò per trattenere il dolore. Sulla mascherina dell'ossigeno, ormai limpida e trasparente, cominciavo a vedere i flash dei fotografi, di chissà quanti quotidiani e telegiornali. Strinsi le lenzuola con rabbia e riposi il capo nell'incavo delle braccia incrociate. Non piangevo. Volevo solo attutire quel frastuono. Nonostante amassi mio padre, non nutrivo legami profondi con nessuna altra mia conoscenza. Non mi ero mai innamorata. Non avevo un'amica o un amico più importante degli altri. Mi sentivo priva di emozioni, perché l'unica persona che avevo amato, mi era stata portata via, quando ancora era un candido bocciolo di loto dormiente. E con se ella si portò via ogni mia emozione, lasciandomi vivere, con il cuore stretto in una morsa di eterno sconforto. Mia madre, Venusia.
 Un sospiro mi accarezzò il collo, sottile, delicato. Alle mie orecchie giunse scandito, il mio nome. Eveline. Alzai appena il capo e mi guardai attorno. Tutti erano in silenzio e solo il fischio persistente e assordante,di quell'odiosa macchina  interrompeva continuo quell'oblio. Eppure qualcuno ripeteva il mio nome. Ancora e ancora. Una voce sempre più debole, una voce che sembrava provenire da ogni angolo della stanza. Mi alzai in piedi, perpetuando la medesima espressione di qualche attimo prima, lasciando che la sua mano, stanca ed esente di vita, ricadesse sul morbido lenzuolo, niveo, proprio come la sua pelle. Avanzai di alcuni passi, scansando i fotografi e i giornalisti, venuti apposta per poter assistere alla morte di un importante archeologo, che durante la sua breve vita, aveva fatto scoperte colossali. Contenti ma celati loro, del nuovo scoop che stava per sconvolgere le loro vite, povere di valori e rispetto. Io invece non ero affatto lieta della loro presenza.
 Cercavo la fonte di quella voce, osservandomi attorno, ed estraniandomi dai rumori alternativi. Ma il suono mai interrotto di quel monitor maledetto, interrompeva le sue parole. Non riuscivo a comprenderle, non riuscivo a distinguerle. Quando non riuscii più ad udire verso alcuno, sentii pervadere il mio corpo, da un freddo piacevole. Un brivido sconosciuto che fuggiva lungo la mia pelle.
Accadde tutto in pochi secondi.
 Una lunga corda plasmatica di un azzurro macabro e spento, mi si parò davanti. Ma non era davanti a me. Lei mi stava...attraversando.
 Non capivo come fosse possibile, ma capivo che il freddo proveniva dalla zona in cui la corda attraversava il mio corpo vivo. Non sentivo più il sangue scorrere. Non sentivo il mio cuore battere. Non riuscivo a ragionare lucidamente. E' per quello che non credetti a quello, che i miei occhi mi mostrarono quel giorno. L'apice della fredda e immateriale catena, proveniva dal petto del cadavere di mio padre, e proseguiva, attraversando il mio corpo, oltre di esso, alle mie spalle. Riuscivo solo ora a chiarire la direzione di quelle parole e quei lemmi stessi:

 «Infrangi il legame, Eveline. Lascia andare lo spettro

 Erano così chiare ora le parole, ma meno chiaro era il loro significato. Poi ancora, quella voce familiare ripeteva il mio nome. Eve. Ed ancora una volta, la direzione tornava ambigua. Man mano che la voce si faceva lontani, i miei occhi si spegnevano e tutto ciò che vidi dopo, non furono altro che profonde tenebre.
  
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