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Autore: LaPerla    19/10/2014    3 recensioni
Klaroline AU. Caroline Forbes ed Elena Gilbert trascorrono le vacanze, dopo il primo anno di college – e qualche delusione sentimentale sulle spalle – nell’isola più bella dei caraibi. Divertimento e spensieratezza sono le parole d’ordine di Elena, ma lo stato d’animo di Caroline si sposa male con le intenzioni della sua migliore amica. Tuttavia entrambe troveranno qualcuno con cui passare il proprio tempo e, se per Elena il proprio spasimante sarà solo una piacevole distrazione, per Caroline l’incontro con Klaus Mikaelson significherà qualcosa di più.
One shot presentata fuori concorso al primo contest del gruppo “Klaroline and Klaus FanFiction Addicted”.
Tema del contest: “Klaroline on Holidays”
Rating: Giallo
Note: AU
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline, Forbes, CarolineKlaus, Elena, Gilbert, Klaus
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Banner a cura di Sara Forbesvolpina92 , votato come miglior foto nella sezione manip del contest “Klaroline on Holidays” e copertina del gruppo “Klaroline and Klaus FanFiction Addicted”

Jamaica rhum

 

 

“La più bella isola che occhio umano abbia mai veduto” - Cristoforo Colombo, 1494

 

Lo sfavillio dei raggi solari, infranti contro lo specchietto retrovisore del taxi decappottabile, accecava ritmicamente i miei occhi, mentre il caldo umido tergeva la mia pelle ancora bianchissima, facendomi aderire addosso gli abiti leggeri. Il tassista, simpaticissimo e un po’ sui generis, ci stava dando le sue poco ortodosse istruzioni su come muoverci sull’isola, su quali locali frequentare e quali posti visitare. Marcel, così si era presentato, continuava a parlare e a sorridere, facendo bella mostra della sua perfetta dentatura bianca che contrastava ed esaltava il colore della pelle, resa scura dal sole dell’Africa di mille anni fa*. Lui, Marcel, era un fiume in piena di entusiasmo, cordialità, savoire faire e perché no, anche bellezza esotica.

“Non potete non visitare le Blue Mountains, voi dovete andarci ragazze. Dovete vederle. Nessuno viene in Jamaica e non fa un’escursione lì. Ah, e poi avete detto che alloggerete al Club Negril, giusto? Grandioso ragazze, grandioso! Sapete un mio caro amico gestisce il bar della Bloody Bay poco distante. Dovete assolutamente venire alla serata di stasera. Bella musica, bella gente e..beh, sapete.. No? Siamo nella patria del vero divertimento..

A quelle parole, arrestai il suo sproloquio.

“Grazie Marcel, sei davvero una guida preziosa. Per ora però ti saremmo grate se potessi solo portarci in albergo. Apprezziamo il tuo invito e lo.. considereremo” – Dissi con noncuranza, assorta dal meraviglioso paesaggio variopinto che si stagliava alla mia sinistra. Ma quella risposta, assestata con una venatura marcatamente snob, mi fece guadagnare una gomitata nel fianco dalla mia amica, Elena.

“Ahi!” – Protestai stizzita, ma le mi ignorò, continuando a parlare con Marcel.

“Non badare a quello che dice Caroline. La mia amica è una moralista, anzi, una moralizzatrice! Sappiamo bene che questa è la patria del divertimento. E quello che intendiamo fare è proprio divertirci – Si voltò verso di me, guardandomi in tralice e mimando con lo sguardo una minaccia non verbale, ma inequivocabile - Abbiamo scelto insieme questa meta proprio per scaricare le tensioni del primo anno di college”.

Scossi la testa, volgendo gli occhi al cielo. Sospirai. Dovevo arrendermi. Ero lì principalmente per Elena. La sua recente rottura con Damon l’aveva scossa più di quanto pensassi. Aveva bisogno di infrangere routine ed abitudini, di fare qualcosa al di fuori dell’ordinario per ritrovare se stessa e la propria indipendenza emotiva. Ma a dire il vero, non era la sola. Avevo rotto anche io con il mio fidanzato storico, Tyler, da pochi mesi, e tutto quello a cui riuscivo a pensare ogni sacrosanto giorno, appena aprivo gli occhi, era lui e la sua decisione di lasciare il college (e me!)  per occuparsi dell’attività di famiglia. Amareggiata, sì era così che mi sentivo per la maggior parte del tempo. Pensavo ai fiumi di parole che avevo sprecato, cercando di fargli capire quanto quella decisione fosse sbagliata; ripensavo, in modo quasi ossessivo, alle nostre ultime parole prima di lasciarci.

Se fai un solo passo fuori da quella porta, abbiamo chiuso. Mi hai sentita? Sarà finita!

E le sue gambe tese, in una decisione tanto atroce quanto irrevocabile, lo spinsero a compiere un passo, quel solo passo.

Fanculo! - Avevo pensato.

Non sai cosa ti perderai, piccolo ometto irascibile e disturbato! - Cercavo di convincermi.

E’ acqua passata. - Ripetevo a me stessa, fingendo di crederci.

 

“Bene, studentesse universitarie.. – Disse Marcel in tono suadente – La cosa si fa interessante”.

Lanciò un’occhiata sghemba dallo specchietto, soffermandosi sulla scollatura generosa di Elena, per poi scontrarsi con i miei occhi di ghiaccio che lo rimproverarono per quegli sguardi troppo audaci. Batté in una simbolica ritirata, tornando a guardare la strada davanti a sé.

“Elena ha ragione. Abbiamo deciso di fare del divertimento la nostra missione.. Quindi se hai altri suggerimenti da darci, saranno bene accetti” – Brofonchiai con poca convinzione, cercando di compiacere Elena e riuscendoci, a giudicare dall’espressione soddisfatta che le si disegnò sul volto.

“Come vi dicevo, c’è questo bar alla Bloody Bay, si chiama Free Bitch ed è il posto più..”

Scoppiai a ridere, interrompendolo e lasciandolo perplesso, mentre i suoi occhi di cioccolato si inchiodarono ai miei, sempre dallo specchietto.

Free Bitch? Sul serio, Marcel? Chi chiamerebbe mai il proprio locale Troia Gratis? Lo trovo davvero poco divertente come gioco di parole, oltre che volgare” – Il mio tono era sì divertito, ma anche sconcertato, mi sembrava davvero un nome ridicolo per un bar su una spiaggia.

Elena scoppiò a ridere a sua volta, alleggerendo l’atmosfera con la sua risata che, a differenza della mia, non sapeva di giudizio e pregiudizio.

“Ebbene – Rispose Marcel, in tono lievemente risentito- Il proprietario del Free Bitch è uno degli imprenditori più ricchi dell’isola ed il suo locale è il più frequentato di tutta la baia. Potrà sembrarti un nome banale, ma la maggior parte dei turisti lo trova simpatico e lo considera un must della movida estiva”.

“Suona interessante! – Commentò Elena entusiasta – Com’è che si chiama questo tuo amico che gestisce questo posto?” – Agguantò il poggiatesta del sedile di Marcel, sfiorandogli la nuca con le dita.

Un’altra occhiata maliziosa del moro, un’altra smorfia di rimprovero da parte mia. Perché Elena non si dava una calmata?

“Mikaelson, Kol Mikaelson. Se sarete dei nostri stasera ve lo presenterò”.

Arrestò l’auto, parcheggiando in tripla fila davanti al cancello del nostro resort. Con gentilezza ci aiutò a scaricare i bagagli e, continuando a flirtare con una Elena non troppo pudica, ribadì il suo invito per quella sera.

“Ci saremo sicuramente” – Aveva promesso lei.

“Dipende..” – Avevo aggiunto io, totalmente ignorata dai due, troppo impegnati a spogliarsi con gli occhi a vicenda.

 

Qualche ora dopo.

 

“Dai, non essere sempre così musona! Caroline.. Credevo fossi io quella da aiutare. Credevo, ma evidentemente mi sbagliavo, che avremmo fatto pazzie in questa vacanza. E invece sei così.. spenta

Le parole di Elena risuonarono per la nostra suite, rimbombando contro le pareti bianche e dorate, rimbalzando dalle mie orecchie al mio cuore.

Spenta.

Non è così! Ti sbagli. Ho solo delle titubanze circa un tipo ambiguo che voleva rimorchiarti su un taxi e che ci ha invitate ad una festa su una spiaggia, in un posto che si chiama.. Oh, lasciamo stare il nome di quel posto! E’ che non vorrei che qualcuno provasse ad approfittarsi di noi, siamo sempre due ventenni, oscenamente belle, sole e libere in un luogo di perdizione” – Ammiccai un sorriso complice, sperando di sviare il discorso, ma fallii.

“Non è questo il punto, Caroline. E’ che vorrei tornassi ad essere la spensierata e scalmanata ragazza che eri al liceo, quando ti bastava sentire la parola festa per andare su di giri ed entusiasmarti”.

Sistemai le fibbiette dei sandali argento dal tacco altissimo, mi guardai allo specchio, fasciata in un tubino aderente e poco convenzionale in color corallo. Riflettei su quanto fossi ancora bella e giovane e mi ricordai di chi fosse la ragazza di cui stava parlando Elena.

La Caroline di sempre. Quella viva, allegra, accesa come il sole dei caraibi.

“Hai ragione” – Biascicai, mentre continuavo a fissarmi allo specchio.

Dal fondo del corridoio vidi l’immagine di Elena avvicinarsi alle mie spalle. Mi guardava anche lei attraverso il riflesso di noi stesse. Mi sorrise e mi abbracciò.

“Promettimi che ti lascerai andare stasera. Promettimi che ci divertiremo al Free Bitch”.

Una risata sfuggì dalle mie labbra e si propagò alle sue.

Quel nome non si poteva sentire!

**********************

 

Arrivammo alla Bloody Bay poco prima che il sole tramontasse, annegando il rosso fuoco del suo disco in quel mare cristallino e diafano. I colori del crepuscolo sembravano far l’amore con il paesaggio selvaggio e meraviglioso, incorniciato dalla vegetazione florida e lussureggiante. Amavo quell’isola, malgrado la stessi vivendo solo da poco più di qualche ora. La musica reggae accompagnava i nostri passi verso il bar all’aperto, che seppur solo all’ora dell’aperitivo, pullulava già di gente. L’età media era difficile da stimare, sembrava un centro gravitazionale in grado di attrarre a sé adolescenti, adulti e anche qualche viso più avanti negli anni. C’era una piccola band che suonava dal vivo, sotto un gazebo bianco e turchese, tutto il repertorio di Bob Marley.

Che scontato cliché -  Pensai.

Non potevo però negare a me stessa che quel posto, quello scenario, l’atmosfera che si respirava, erano impeccabili, rilassanti e per certi versi inebrianti.

“Mi piace qui! Dovremmo cercare di trovare Marcel, sicuramente ci offrirà da bere per tutta la sera!”

“Elena Gilbert! Non vorrai ubriacarti la prima sera sull’isola?” – Le chiesi con aria scherzosa, conoscendo di già la risposta a quella domanda.

Ma si premurò di darmi un segno di assenso, cominciando a dondolare prima la testa a ritmo di musica e poi anche il resto del suo corpo slanciato e snello.

Scossi la testa, stavolta divertita.

Quelle note, quella brezza calda, quell’odore di sale e sabbia mi stavano facendo bene, senza che me ne accorgessi, la tristezza stava lasciando spazio a qualcos’altro. Qualcosa di leggero e spensierato.

“Eccolo! E’ lui – Elena sbroccò non appena lo vide da lontano – Marcel! Ehi! Siamo qui!” - Riuscì a richiamare l’attenzione del nostro strambo tassista e ad elicitare uno dei suoi sorrisi perfetti.

Stranamente sentii anch’io lo slancio a sventolare la mia mano per salutarlo.

“Elena, ehi – Si avvicinò con passo felpato, allungando una mano per raggiungere quella della mia amica – Caroline, vedo con piacere che ti sei unita a noi” – Tastava il terreno per capire quale fosse il mio umore.

Avevo sotterrato l’ascia di guerra, decisamente.

“Già.. E ho promesso alla mia amica che questa serata sarà epica. Quindi, se fossi così gentile da mostrarci dov’è il bancone del bar, potremmo iniziare a dare una spinta alcolica al nostro divertimento”.

Marcel mimò una smorfia di finto sdegno, guadagnandosi una genuina risata di Elena. Mi piaceva la sintonia che c’era fra loro due, mi piaceva vedere la mia amica così allegra e rilassata. La mia richiesta fu presto esaudita. Marcel ci condusse al bancone offrendoci il primo giro di quello che era il rhum bianco più buono che avessi mai bevuto, un Depaz Blanc.

Cominciammo a ridere e scherzare, mentre la musica, complice perfetta, accompagnava ogni sorso di alcol in una dolce sintonia. Arrivammo al quarto giro e davanti a me stavolta c’era un rhum giallo ocra invecchiato, del 1987.

Questo liquore è più vecchio di me - Pensai fra me e me, ed una risata sfuggì dalle mie labbra senza che nessuno avesse detto nulla. Alzai lo sguardo dal mio bicchiere per dire ai miei amici quello che avevo appena pensato e riderne con loro, ma mi ritrovai di fronte un ragazzo alto e dallo sguardo sornione.

“Buonasera biondina” – Il tizio dalla pelle olivastra ed i capelli ricci mi osservava famelico.

“Elena, Marcel? Dove sono Elena e Marcel? ”- Chiesi, non troppo lucidamente.

“Non preoccuparti, loro adesso non stanno pensando a te” – Mi fece l’occhiolino.

Spostai immediatamente l’attenzione verso la folla cercando, da qualche parte, il profilo di Elena o i suoi capelli o il suo vestito. Niente. Svanita. Dileguata.

Free Bitch!!  - Pensai di nuovo fra me e me, e nuovamente scoppiai a ridere, vittima dei fumi dell’alcol, in faccia a quello sconosciuto, il quale scambiò quel mio modo di fare come un consenso alla sua tattica di abbordaggio.

Si avvicinò a me, cercando di fare non so cosa di preciso, ma io mi scansai, scattando in piedi dallo sgabello e allungando un braccio per tenerlo distante.

“Andiamo piccola, solo un drink e un ballo”.

“No grazie!” – Risposi secca, mentre mi sistemavo il tubino che era risalito un po’ troppo sulle cosce.

L’uomo provò a insistere, ma una voce alle mie spalle lo dissuase una volta per tutte.

“La signorina sta con me, Diego. Puoi andare, grazie”.

Il mio spasimante abbassò la testa mormorando delle incomprensibili scuse e si dileguò tra la folla.

Mi girai frastornata, quei quattro rhum si facevano sentire tutti insieme adesso.

“Grazie.. Non so chi tu sia..” – Dissi rivolgendomi a lui.

Due occhi blu, contornati da folte ciglia color miele, si tesero in un’espressione maliziosa e sfrontata.

“Sono la persona che ti ha salvato da una serata terribilmente tediosa. Diego non è un tipo sveglio. E tu sei chiaramente troppo ubriaca per poter discernere quale sia la compagnia più adeguata a te”.

Le labbra piene e scure si muovevano lente, scandendo ogni parola con un sensuale accento inglese. Aveva ventisei anni o poco più, capelli biondo cenere ed un sottile filo di barba dello stesso colore. Aveva un’aria sofisticata e giovane al tempo stesso e quel modo di umettarsi il labbro inferiore dopo aver finito una frase, così terribilmente seducente. Aveva quella piega degli occhi così dritta e particolare. Aveva qualcosa di diverso dai bei ragazzi che incontri per caso in un qualunque bar. Aveva fascino, ne aveva da vendere.

“Prego, scusa? Stai forse dicendo che non so badare a me stessa?” – Chiesi, ferita nell’orgoglio.

“Sto dicendo che non dovresti essere qui da sola, mentre le tue facoltà non ti consentono di avere il controllo di te stessa” – Si guardò intorno, dopo avermi guardata dalla testa ai piedi nel modo più intenso in cui un uomo mi avesse mai guardata.

“Io ho il pieno controllo di me stessa” - Affermai con forzata convinzione.

“In tal caso..” – Fece spallucce ed accennò a voltarsi.

Sentii il bisogno primordiale ed inspiegabile di fermarlo, di non lasciarlo andare via.

“Però.. Potrei sempre offrirti un drink, per ringraziarti per poco fa.. Mi hai liberato da quel seccatore” – Mi voltai all’istante per accertarmi che quel Diego non fosse nei paraggi e mi stesse ascoltando.

Quando poi mi rigirai verso di lui, lo scoprii un po’ più vicino di prima e potei sentire il suo odore. Sapeva di mare, di sabbia, di sale, di sole. Sapeva dei sapori e dei colori di quella terra. Un’estatica sinestesia. Socchiusi gli occhi. Era bello averlo vicino.

“Non puoi offrirmi un drink” – Affermò con convinzione.

Sentii immediatamente le schegge appuntite del mio orgoglio andato in pezzi, bruciarmi in gola.

“Non posso?” – Chiesi con incredulo risentimento.

Accennò un irresistibile sorriso enigmatico.

“Non puoi offrirmi da bere nel mio bar” – Si limitò a rispondere con aria serena.

Mi morsi un labbro, guardando altrove.

Wau. Quindi tu saresti Kol Mikaelson, il proprietario del Free Bitch” – Affermai guardandomi intorno e sollevando di un poco le braccia.

“Non esattamente. Sono Klaus, fratello e socio in affari di Kol”.

Sorrisi. Il mio orgoglio era andato in pezzi per nulla, ed era un sollievo.

“Bene, dunque suppongo che sarai tu ad offrirmi da bere” – Ammiccai sorridente.

“Potrei, certo. Se proprio vuoi insistere con il rhum” – Diede un’occhiata al mio bicchiere vuoto.

“Potrei insistere con il rhum e potrei accettare da bere da te.. A patto che tu mi giuri di non aver scelto il nome di questo posto”.

Si sciolse in una risata spontanea. Era bellissimo. Mi illuminai di quell’allegria.

“A dire il vero, odio il nome di questo posto” - Confessò, avvicinandosi e sussurrando al mio orecchio.

“Lo odio anch’io!” – Esclamai con forse troppo slancio.

“Lo avrei chiamato come te” – Aggiunse, fissandomi negli occhi.

“Come?” – Chiesi, senza aver davvero compreso.

“Gli avrei dato il tuo nome” – Ripeté serafico.

“Non conosci ancora il mio nome” – Obiettai, voltandoli occhi al cielo.

“Non importa. Qualunque esso sia mi avrebbe ricordato te, e sarebbe stato perfetto”.

Restai ammutolita, a fissare i suoi occhi impertinenti e seduttori che però sembravano sinceri. Chinai la testa dopo qualche secondo, non riuscivo a sostenere quello sguardo così intenso.

“Di certo sai cosa una donna ama sentirsi dire”- Sollevai il bicchiere, con la richiesta implicita di un altro drink.

“Ma non mi hai ugualmente detto il tuo nome” – Insisté lui.

“Caroline. Caroline Forbes”.

“Caroline” – Come dicevo, sarebbe stato perfetto.

Sorrisi imbarazzata, mentre mi balenò improvvisamente il pensiero di Elena. Dove era finita la mia amica? Era sicuramente più ubriaca di me ed era in balìa di quel Marcel. Dovevo trovarla. Non riuscivo a non essere preoccupata per lei.

“Cosa c’è? Ho detto qualcosa che ti ha turbata?” – Mi chiese, intercettando la mia angoscia per Elena.

“E’ che.. Ero con un’amica che è sparita con un tizio. Vorrei ritrovarla prima di continuare a bere”.

“Sai come si chiama questo tizio?” – Mi chiese con padronanza.

“Sì. Marcel, è un tassista”.

Sorrise divertito.

“Lo conosci?”

“Direi di sì. E’ un bravo ragazzo, non hai di che preoccuparti”.

Lo guardai corrucciata.

“Okay, Caroline. Lo chiameremo al cellulare così potrai riunirti alla tua amica”.

Prese dalla tasca il suo smart phone e chiamò l’uomo che si era dileguato con Elena.

“Fra poco torneranno. La tua amica sta bene” – Disse dopo una breve conversazione, di cui la musica alta mi privò l’ascolto.

“Ti ringrazio” – Lo guardai con sincera gratitudine.

“Ora.. Possiamo ordinare questo drink?”

“Direi di sì. Un rhum bianco, grazie”

“Ottima scelta” – Sorrise soddisfatto.

E dopo una manciata di minuti, anche il mio quinto drink era stato prosciugato.

“Elena! Marcel! Che bello rivedervi!” – Saltai dallo sgabello per andare in contro alla mia amica e alla sua nuova fiamma.

Ero drasticamente ubriaca.

Farfugliai qualche altra cosa ed Elena di tutta risposta mi comunicò che avrebbe passato la notte in spiaggia con Marcel, che potevo stare tranquilla e che il tizio che avevo rimorchiato era dannatamente sexy.

Sorrisi consapevole che aveva ragione.

Klaus Mikaelson era illegalmente attraente e seducente.

Rimasi di nuovo sola con lui, eravamo in mezzo a tanta gente, ma eravamo come soli, occhi negli occhi.

“Ora che sei più tranquilla sulla tua amica, come desideri trascorrere questa serata?” – Sfiorò la mia mano con la sua ed un brivido mi percorse la schiena.

“Non saprei..” – Scoppiai a ridere.

“Ho forse detto qualcosa di divertente senza accorgermene?” – Mi chiese lievemente stranito.

“No, no.. E’ che vedi, io sono una maniaca del controllo e non faccio altro che pianificare e programmare e decidere per gli altri, oltre che per me.. E poi, straparlo, vedi, io straparlo. Ma ora – Continuai a ridere – Ora non so davvero cosa proporre, perché sono ubriaca. Totalmente. E sono qui con te, che mi piaci. Oddio non avrei dovuto dirlo ad alta voce! Si, mi piaci. L’ho detto di nuovo. Ma non so se è il caso di..”

Non ebbi il tempo di realizzare quanto si stesse avvicinando. Sentii le sue meravigliose labbra calde, morbidi ed esperte, scontrarsi con le mie, dischiudendosi in un bacio intimo, voluttuoso ed esigente. Ero una maniaca del controllo, ma mai come in quella occasione amai la sensazione esaltante di quando il controllo lo perdi e ti ritrovi faccia a faccia con i tuoi istinti più forti e viscerali.

Risposi a quel bacio con la stessa veemenza, portandogli le mani dietro la nuca ed attirandolo a me. Non sapevo chi fosse, non sapevamo nulla l’uno dell’altra, ma avevamo bisogno di quel bacio, più dell’aria stessa.

Quando riemersi da quell’estasi, dopo che ci eravamo staccati, ma ancora vicinissimi, biascicò al mio orecchio: “Vieni con me, c’è un posto che devi assolutamente vedere”.

Mi porse la mano ed io l’accettai, lasciandomi condurre al di fuori della struttura in legno e acciaio e seguendolo lungo la discesa che portava alle spiagge della baia.

Arrivammo ad una piccola caletta, dopo aver camminato per qualche decina di metri con i piedi nella calda acqua della riva. La luna splendeva ormai padrona in quel firmamento d’argento.

“E’ meraviglioso qui” – Dissi sottovoce, osservando la struttura al centro della spiaggetta. Un letto da esterni, tappezzato di bianco, sul quale erano abbandonati grandi cuscini morbidi dello stesso colore.

“Visto che la tua amica passerà la notte con Marcel, potresti fermarti qui. L’alba dei caraibi è favolosa in questo periodo. Potremmo vederla insieme” – Nella sua voce riecheggiava la solida certezza che avrei accettato quella risposta.

“Potrebbero mandarci via, sembra una spiaggia privata questa” – Risposi con qualche sincera riserva.

“Lo è, Caroline. E la villa che vedi lì è proprio la mia. Posseggo questa caletta. Nessuno verrà a disturbarci”.

Non ebbi alcuna esitazione.

Mi gettai al suo collo, ancora in preda agli effetti del rhum, ancora bisognosa di averlo fra le mie mani.

Amoreggiammo per ore su quel letto candido. Parlammo, tanto. Parlammo come due sconosciuti che si conoscono da sempre e, prima che l’alba ci sorprendesse, ci addormentammo abbracciati, scaldandoci a vicenda.

Il sorgere del sole dalla Bloody Bay fu lo spettacolo più emozionate della mia vita. Ammirare quel capolavoro della natura fra le braccia di quell’uomo, fu la sensazione più appagante che avessi mai sperimentato.

“E’ stupendo, Klaus. E’ un panorama..perfetto” – Dissi mentre la mia schiena era appoggiata al suo petto e le sue braccia intorno alle mie.

“E’ quasi stupendo e perfetto quanto te” – Precisò lui, stringendomi a sé.

 

Una settimana dopo.

 

“Non sto piangendo!” – Commentai stizzita.

“Così come non stai mentendo” – Aggiunse lui, guardandomi con dolcezza.

“Sapevamo che sarebbe durata il tempo di questa vacanza” – Dissi più a me stessa che a lui.

“Già. Ma non sapevamo che saremmo stati così bene” – Precisò, indagando il mio volto coi suoi occhi attenti.

“Devo andare. Marcel è già fuori ed Elena ha già caricato i bagagli sul taxi” – Dissi scuotendo la testa e raccogliendo con il dorso della mano una sottile lacrima sfuggita al mio controllo.

“Non devi partire per forza. Sai la mia stanza, è grande abbastanza per entrambi”.

La sua stanza.

Sfilarono davanti ai miei occhi i flashback di quei giorni passati insieme. Le mattine alla baia, i pomeriggi alle Blue Mountains, le serate al Free Bitch – Avevo imparato a pronunciare quel nome senza ridere – le notti nella sua villa. Il sesso nella sua stanza. Il miglior sesso di tutta la mia vita. Quel tipo di sesso senza il quale l’esistenza di una persona non può dirsi completa.

Le lacrime risalirono ai miei occhi.

“Sai che non posso restare” – Ribattei, lottando contro la voglia di piangere.

“Già..il college, la tua famiglia, i tuoi amici”  - Rispose con amarezza.

“Sto costruendo il mio futuro in Virginia” – Insistei, ricacciando indietro le lacrime.

“Allora cosa aspetti, Caroline? Marcel è pronto per portarvi in aeroporto” – Girò la faccia altrove, ferito nell’orgoglio per il mio rifiuto.

“E’ stato bello conoscerti, Klaus” – Lo costrinsi a guardarmi, poggiandogli una mano sul volto, accarezzando la barba ispida.

Mi concesse uno dei suoi sorrisi enigmatici, complici, bellissimi.

“Addio, Caroline” – Si allontanò verso la hall, senza mai voltarsi.

“Addio, Klaus” – Sussurrai alle sue spalle.

Finalmente potevo piangere.

 

 

Due ore dopo.

“Addio Jamaica!” – Sospirò Elena, mentre salivamo la scaletta del boing 747.

“Addio terra del sole, del divertimento e del rhum” – Aggiunsi io con un pizzico di nostalgia.

Ci sedemmo ai nostri posti, dopo aver sistemato i bagagli a mano nelle cappelliere.

“Sai, per un attimo ho avuto la tentazione di restare. Sono stata bene con Marcel in questi giorni” – Mi disse Elena, mentre sistemava la cintura di sicurezza.

“E cosa ti ha trattenuta dal restare?” – Chiesi distrattamente mentre trafficavo con la mia.

“Damon” – Disse lei candidamente.

“Come?”

Sorrise.

“Già, è così. Ogni giorno, ogni minuto, ogni istante. Era con me. Mi sono divertita e non mi pento di nulla. Ma Damon è la persona che continua ad affollare i miei pensieri. Amo Damon, Caroline. Marcel non ha cambiato nulla dentro di me. E’ stato solo una piacevole distrazione” – Prese il suo ipod ed indossò gli auricolari, cominciando ad ascoltare musica per rilassarsi prima del decollo.

Le parole di Elena furono illuminanti.

Damon era ancora una costante per lei. Potevo dire io lo stesso di Tyler?

Frugai dentro di me, alla svelta, come quando si cerca qualcosa di importante in un cassetto ricolmo di cianfrusaglie. Ma l’unico nome che venne fuori da quella confusione fu Klaus.

Tyler era sparito.

Era rimasto lì per tutto quel tempo perché non avevo avuto la forza lasciarlo fuori da me.

Ma ora era successo.

Lui non c’era più.

C’era solo Klaus. E la nostra vacanza. E il mare della Jamaica. E le nostre notti insieme. E le risate a perdifiato. E i nostri corpi che facevano l’amore. L’amore.

Il mio cuore cominciò a battere all’impazzata. Mi mancava l’aria. Non potevo essere su quell’aereo. Non potevo partire. Slacciai la cintura, facendo sobbalzare Elena che subito si tolse gli auricolari.

“Caroline! Stai bene?” - Mi chiese allarmata.

“Devo andare! Elena, non posso, non posso partire. Klaus. Io voglio restare con Klaus. Non ci avevo pensato, non mi ero soffermata a pensare cosa volessi davvero. Io voglio restare qui. Per un po’” – La voce mi tremava dall’emozione.

“Allora vai! Cosa aspetti? Che chiudano i portelloni?”

Sorrisi di felicità. Elena mi aveva sempre capita.

Scattai in piedi e ridiscesi la scaletta di corsa. Mi fiondai lungo la pista, non curante del rischio e rientrai al terminal. Presi il primo taxi appena fuori dall’aeroporto e lo scongiurai di riportarmi alla Bloody Bay il prima possibile.

Quando arrivai al Free Bitch, senza valigie e senza certezze, lo riconobbi dietro al bancone, di spalle, mentre si versava da bere, era un Rhum bianco.

Mi avvicinai di soppiatto: “Un po’ presto per quello direi”

Poggiò il bicchiere lentamente sul piano davanti a sé, senza voltarsi, restando immobile.

“Scommetto che se ne versassi uno anche a te, non saresti così inflessibile” – Rispose, stando al mio gioco.

“Vero” – Dissi, senza aggiungere altro.

Senza ancora girarsi, prese un altro bicchiere e lo riempì, poi finalmente si voltò.

Le labbra arricciate in un sorriso compiaciuto sembravano sussurrare alle mie orecchie Sapevo che saresti tornata da me.

Mi porse un bicchiere che accettai prontamente. Facemmo tintinnare i nostri drink e buttammo giù d’un fiato quel liquido trasparente e caldo, sentendo il bruciore arrivare dalla gola al ventre.

 

“Non sarà per sempre” – Gli dissi, quando ormai ero di nuovo fra le sue braccia.

“Non mi importa – Rispose lui – Sei qui adesso”

Consumammo così il nostro ennesimo bacio di passione, ma di certo non l’ultimo.

 

Fine

*Citazione di Alessandro Baricco.

 

Note autrice.

Spero che questa OS sia stata di vostro gradimento. Grazie per aver letto e grazie a tutte le ragazze del gruppo FB Klaroline and Klaus FanFiction Addicted che hanno reso possibile la realizzazione del contest con le loro storie! Valgono tutte la pena di essere lette! Se non siete ancora iscritte al gruppo non esitate ad unirvi a noi! Vi aspetto!

Un abbraccio

Vic

  
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