1.
Prologo
E |
ra
una semplice giornata di fine agosto e un ragazzo dai capelli rossi
era appena sceso da un autobus guidato da una donna che portava i
capelli a caschetto. Quest’ultima lo salutò quasi
come se
avesse un rapporto di amicizia con il ragazzo, e lui fece lo stesso.
L’autobus gli sfrecciò davanti agli occhi. Subito
dopo alzò lo
sguardo e rimase ad osservare ciò che lo circondava: un
grandissimo
parco, il posto più accogliente che il ragazzo avesse mai
conosciuto. Si chiamava Michael, Michael Clifford, e ciò che
stava
osservando era il luogo d’incontro che lui e il suo migliore
amico
avevano stabilito anni fa. Da allora, i due si riunivano in quel
posto a parlare o semplicemente ad ascoltare la musica dagli
auricolari. All’inizio il parco era quasi desolato, piuttosto
triste, ma forse, per loro aveva il suo fascino. Ogni pomeriggio alle
quattro e mezza i due migliori amici si davano un appuntamento per
passare del tempo insieme, salutavano l’anziana signora che
se ne
stava seduta su una panchina con ago, filo e un maglioncino non del
tutto finito, e si sdraiavano sul prato. Poi le parole uscivano da
sole, senza controllo, quasi come pensare ad alta voce, però
con una
differenza: non venivi ascoltato solamente da te stesso. Michael lo
definiva un posto così calmo e tranquillo, che un giorno
finì per
addormentarsi mentre il suo migliore amico gli raccontava
l’ennesima
figuraccia per quanto riguardava le ragazze. Negli ultimi mesi, il
parco era diventato sempre più conosciuto a causa di varie
ristrutturazioni che forse i due – specialmente Michael
– avevano
odiato. Il loro ‘piccolo segreto’ – e
della signora con ago e
filo – era diventato fin troppo conosciuto e rumoroso, ma
nonostante tutto, loro continuavano ad incontrarsi sempre nel
medesimo posto, perché ormai una parte del loro forte
rapporto di
amicizia era cresciuto e si era rafforzato lì, e niente
poteva
cancellare quei bellissimi ricordi.
Michael
attraversò il cancello del parco e dopo aver schivato una
palla da
pallavolo e due da calcio grazie ai suoi riflessi sovrannaturali, si
lasciò quasi cadere sulla solita panchina di legno.
«Chi?
Quello? È Michael Clifford, un tipo strano»
sentì forte e chiara
la voce di due ragazzi in fondo al parco, accanto ad un albero di
mele. Michael si girò di scatto verso di loro ed entrambi
impallidirono. Probabilmente aveva già visto da qualche
parte il
ragazzo appoggiato sulla corteccia, che in quel momento fingeva di
guardare qualcos’altro.
«Dici
che ci ha sentito?» chiese quest’ultimo mentre si
mordeva il
labbro.
L’altro
scoppiò a ridere a causa della faccia dell’amico.
«Ma ti pare?
Siamo decisamente troppo lontani» rispose.
«Giusto.
Sai, secondo me oltre ad essere strano di suo è anche
om-» Michael
fece una smorfia, scosse il capo e decise di non prestare attenzione
al discorso dei due, ma, piuttosto, di salutare il suo migliore amico
che stava correndo verso di lui e che contemporaneamente imprecava
poiché le cuffie del telefono si erano impicciate fra i
bottoni
della camicia. Il ragazzo sorrideva scuotendo la mano, Michael faceva
lo stesso.
«Dio,
scusami per – appoggiò le mani sulle ginocchia e
si accovacciò,
cercando di recuperare il fiato – il ritardo» e si
mise seduto
accanto al suo migliore amico.
«Ritardo
di tre minuti, wow, Calum da te non me lo sarei mai
aspettato» disse
Michael ironico. Calum gli sorrise, si sistemò il capellino
grigio
sulla testa e gli presto una cuffia. Il ragazzo annuì e se
la infilò
nell’orecchio. Calum iniziò subito a parlare con
Boulevard of
broken dreams dei Green Day come sottofondo. Lui era decisamente
quello che se iniziava a parlare non la finiva più,
specialmente
quando gli succedeva qualcosa durante la giornata.
«…
E poi mia madre ha fatto cadere qualcosa come cinque piatti e due
bicchieri, quindi ho dovuto aiutarla, poi per strada mi sono
ricordato di aver lasciato il telefono a casa, perciò sono
tornato e
guarda caso mio padre mi ha chiesto di andare a buttare
l’immondizia
che si trova completamente dall’altra parte della via che
dovevo
prendere per venire qui. Ti giuro che mi stavo seriamente incazzando,
sono molto suscettibile, e tu lo sai bene. Credici o no, sono anche
caduto mentre correvo per colpa di queste cazzo di cuf-
MICHAEL?»
gli tolse la cuffia di botto e gli urlò nelle orecchie.
Michael
sobbalzò e si coprì l’orecchia con
nonchalance. Lo sguardo perso
nel vuoto.
«Piaci
ad Allyson Hale» disse senza nemmeno voltarsi, mentre Calum
continuava a parlare, anzi a rimproverarlo.
«…
Volte ti ho detto che mi da fastidio quando non mi ascolti? Odio
parlare da solo, mi fa sembrare scemo. Non che io lo sia già
di mio,
ovvio, forse si, ma okay, questo mi fa sembrare ancora di
più s-»
Michael lo interruppe.
«PIACI
AD ALLYSON HALE, CALUM» si girò di scatto verso di
lui e gli tirò
una pizza sulla gamba, come per fermale la sua parlantina. E
c’era
riuscito! Calum rimase a bocca aperta e riuscì a parlare
solamente
dopo tre minuti di completo silenzio.
«Cos’è
una presa per il culo? Dopo cinque anni passati ad andargli dietro,
finalmente mi innamoro di un’altra, mi fidanzo e lei che fa?
Si
prende una cotta per me? QUESTO È IL COLMO» disse
ridendo, ma
Michael vide nei suoi occhi qualcosa di diverso. Soddisfazione?
Vendetta? Non riusciva a capirlo, ma fatto stava che il suo migliore
amico non sembra così tanto dispiaciuto della scoperta,
anzi,
sembrava quasi che in qualche modo gli faceva piacere.
«E
poi tu come fai a saperlo?» chiese Calum senza pensare prima
di
parlare. Il suo migliore amico lo squadrò, proprio come un
secchione
osserva coloro che non sanno fare due più due. Dopo pochi
secondi la
bocca di Calum si aprì e produsse un suono secco. Aveva
finalmente
riazionato il cervello.
«Ah,
giusto, non sono abituato ad attribuire la tua figura con la parola
‘lupo mannaro’ e di conseguenza non vado a pensare al tuo udito sviluppato» Lupo mannaro.
Era strano per Michael
sentire qualcuno che pronunciava quella parola ad alta voce e, a dire
il vero, neanche lui stesso riusciva ancora ad attribuirsi a quella
parola. Era passato un anno da quando era stato morso e aveva
cominciato a sentirsi diverso non solo fuori, ma anche dentro. Il
primo cambiamento che notò fu la forza che si esercitava
nelle sue
braccia, poi l’udito sviluppato che non lo faceva dormire -
notte
insonni, tantissime notte insonni – e la rapida guarigione,
quasi
impressionante. Nelle notti di luna piena avveniva sempre una
trasformazione, ma non completa, solo coloro che possedevano una
forza maggiore, che non si concentrava solamente nella
fisicità,
potevano trasformarsi completamente. Quelli come Michael si
chiamavano ‘beta’, in loro veniva una
trasformazione incompleta:
artigli, peli sul viso, occhi color oro (caratteristica che si
cambiava in base al livello di forza) e perdita di autocontrollo.
Ogni beta doveva imparare a controllarsi anche durante la
trasformazione. Se la rabbia superava il limite, Michael rischiava di
trasformarsi e l’unico modo per evitare tutto ciò
era trovare un
punto fermo, fino ad allora il suo punto fermo l’aveva
trovato
solamente in se stesso, ma sapeva che quel punto sarebbe crollato
presto e quando sarebbe arrivato quel momento, la rabbia sarebbe
crollata su di lui.
Solo
Calum era a conoscenza del suo segreto e solo lui l’aveva
visto
durante una trasformazione. Se Calum aveva paura? Forse sì,
forse
no, ma fatto stava che il suo rapporto con il suo migliore amico non
era cambiato.
«A
dire il vero, provo difficoltà anche io» disse
Michael e subito
dopo abbassò lo sguardo.
«Lo
sai che ti voglio bene?» Calum si avvicinò di
più e gli poggiò
una mano sulla spalla.
«Si»
Michael annuì «Anche io» e
rialzò lo sguardo sorridendo al suo
migliore amico. Un sorriso sincero, uno di quelli che fino a quel
momento, solo Calum era riuscito a vedere.
Una
corsa terribilmente faticosa. Michael stava per chiedere il costo del
cd alla commessa, quando un ragazzo gli si era praticamente piazzato
davanti, dandogli le spalle e fregandosene della fila. Okay che nel
negozio c’erano solo lui e quel ragazzo, ma c’era
prima lui.
«Scusami?
Forse ci vedi male, ma c’ero prima io» gli disse
Michael scocciato
e gli punzecchiò la spalla. Il ragazzo si girò di
scatto. Due
profondi occhi cerulei lo stavano osservando con aria di sfida. I
capelli del ragazzo erano tirati in su in un modo decisamente
disordinato, portava una camicia a quadri rossi e neri e un piercing
al labbro inferiore. Il biondino alzò un sopracciglio e
sorrise non
appena il suo sguardo si posò sul viso di Michael. Il
ragazzo fece
una smorfia. Cosa voleva?
«Non
me ne frega un cazzo, vado di fretta» disse il biondo
roteando gli
occhi.
Michael
cominciò a sentirsi suscettibile, non era la prima volta che
gli
succedeva, sapeva controllarsi.
«E
a me non frega un cazzo della tua fretta» Michael lo spinse
dietro
di sé e rivolse un sorriso alla commessa. «Mi
scusi, saprebbe dirmi
quant-» Il ragazzo non riuscì a finire la domanda,
poiché il
biondo strappò il cd dalle mani della commessa,
appoggiò i soldi
sul bancone e con nonchalance si diresse verso l’uscita.
Punto
fermo.
Punto
fermo.
Punto
fermo.
Punto
fermo.
Michael
strinse i pugni e sentì i suoi artigli nella carne della sua
mano
sinistra, si morse il labbro e la nascose nella tasca dei suoi jeans.
Il ragazzo, prima di uscire definitivamente dal negozio, si voltò
verso di
lui e, sfoggiando uno dei sorrisi più fastidiosi che Michael
avesse
mai visto, lo mandò delicatamente a quel paese con il dito
medio.
Punto
fermo.
Punto
fermo.
Punto
fermo.
Punto
fermo.
La
porta si chiuse. Michael si rilassò, trovò il suo
punto fermo in se
stesso e si rivolse nuovamente alla commessa. Pagò il cd, lo
infilò
in una busta.
«Arrivederci
e mi scusi per la confusione» disse frettolosamente, ma prima
di
uscire, venne fermato dalle parole della commessa.
«Ho
visto i tuoi occhi, so cosa sei» Michael si sentì
mancare la terra
sotto ai piedi.
«Io…»
«Non
essere imbarazzato, anche io sono una Otaku» disse sorridendo
«Ti
diverti a indossare le lenti a contatto dei tuoi cosplay, vero? Anche
io, è divertente vedere le espressioni facciali che assumono
le
persone quando vado in giro con le lenti a contatto rosse. Le hai mai
provate? Te le consiglio, sono fighissime!»
Michael
sospirò, era praticamente impossibile che quella ragazza
sapesse
della sua vera natura, i lupi mannari si riconoscono a vicenda per
via dell’odore. Per quale motivo si era preoccupato?
«Oh,
si certo, le proverò di sicuro, grazie del
consiglio!» disse il
ragazzo per poi chiudere definitivamente la porta del negozio.
Le
ferite nelle sue mani erano già guarite, Michael lo poteva
sentire.
Ecco uno dei lati positivi dell’essere un lupo mannaro. Si,
perché
di lati positivi ce n’erano, ma di negativi, beh, quelli
erano
decisamente più numerosi.
ANGOLO AUTRICE
Heey!
Ringrazio coloro che sono arrivati fin qui, ce ne vuole di coraggio
(è terribilmente noioso, I’m sorry). Allora, per
prima cosa tutto
ciò che leggete sul mondo dei lupi mannari è
completamente
inventato, cioè, io lo immagino in questo modo,
probabilmente ho
scritto tante minchiate, ma purtroppo questo è quello che
è uscito
dal mio piccolo cervellino.
È
la prima volta che scrivo una fanfiction del genere, ovvero che
riguarda ragazzi che fanno cose con ragazzi, dette in parole povere,
quindi se avete qualche consiglio o errori da riportarmi, non abbiate
paura di sembrare stronze o altro, perché io non la vedo
assolutamente. Sono completamente inesperta. Mi farebbe piacere
leggere qualche vostra recensione – ovviamente se avete del
tempo
da dedicarmi – per sapere cosa ne pensate. Vi ringrazio in
anticipo!
Un
abbraccio, Giulia.