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Autore: BrokenSmileSmoke    19/10/2014    0 recensioni
"«La prima e l'ultima volta in cui lui si è manifestato è stata nel lontano 1800, ad una bambina di solo 9 anni. Ora ne sono passati esattamente 150 e, di come ho capito, lui è in continua ricerca di una sua discendente. Ma la famiglia si è estinta ancor prima del 1900, perché è tornato solo adesso? Cosa vuole dalla mia famiglia?»
«Lui non vuole la tua famiglia, lui vuole te. Qualcuno che ha il sangue dei VànMeyer.»"
Può, un difetto di fabbricazione, perseguitare la stirpe di una famiglia?
È solo un oggetto di ceramica, si potrebbe rompere con un minimo urto.
Ma lui non muore mai.
Genere: Horror, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 1 - CdP

Capitolo 4 - Jo.


«Vuoi raccontarmi di quello che ti sta succedendo?» le chiese gentilmente Beck, dopo che la ragazza ebbe finito di piangere.
Alìce esitò qualche istante, poi iniziò a raccontare al ragazzo tutto quello che le era accaduto, anche prima di trasferirsi a Rëinsburg.
«Poi, l'altra mattina, ero scesa sotto nel seminterrato e c'era qualcosa che mi incitava ad aprire un piccolo mobile, chiuso con un lucchetto.»
«E cosa c'era dentro?»
«Assolutamente niente, è questo il punto! C'era un enorme buco sul fondo. Come se qualcuno o qualcosa avesse scavato per poterne uscire.»
Beck la guardò.
«Nel seminterrato?»
«Sì.»
Il ragazzo si alzò dal letto di Alìce, dirigendosi verso la porta.
«Dove stai andando?» chiese la rossa, guardandolo perplessa.
«Dov'è il seminterrato?»
La ragazza si alzò dal letto, avvicinandosi a Beck ed aprendo la porta.
«Andiamo.»

Scesero nel seminterrato, Alìce si avvicinò dove giorni prima aveva aperto il mobiletto. Ma non c'era nulla.
«Era qui il mobile che avevo aperto. Era proprio qui!»
«Sarà stato spostato.» concluse Beck.
Ma la ragazza non ne era minimamente convinta.
Guardando a terra si accorse che, proprio dove prima c'era il mobile di legno, sul pavimento vi era un'enorme macchia nera.
«Guarda qui!» disse Alìce, facendo segno a Beck di avvicinarsi.
«Sembra cenere.»
«Ma è solo nel punto in cui c'era il mobile, è strano.» disse la ragazza.
«Come se qualcuno lo avesse bruciato..»
«Già» riflettè Alìce «ma chi?»
«È tutto così surreale.. Guardami negli occhi e dimmi la verità» disse Beck, prendendole il volto tra le mani «ti droghi?»
Alìce lo guardò e sorrise.
All'improvviso gli tirò un sonoro schiaffo in pieno volto.
Beck si allontanò, spaventato.
«TU SEI PAZZA!» gli urlò.
Un rumore provenì dal piano di sopra, come se qualcosa di grosso si fosse rotto.
«L'hai sentito anche tu?» chiese la ragazza.
Beck annuì.
«Vedi? Non sono pazza!» esclamò Alìce.
Dal piano di sopra provenì un altro rumore, assieme a dei suoni.
Era come se qualcosa fosse caduto sul pianoforte.

Alìce prese un'ascia da sopra una mensola, avvicinandosi alla porta.
«Cosa vuoi fare con quella?» chiese Beck con una brutta impressione.
«Salgo sopra» rispose Alìce, avvicinandosi al ragazzo e prendendolo per un braccio con la mano libera «e tu vieni con me.»
«Sei proprio pazza.» sussurrò fra se e se' il ragazzo.
La ragazza lo sentì, e lo guardò male.
Beck decise di tacere.

Arrivati davanti alla porta dello studio, Alìce rimase stupefatta.
Il pianoforte bianco era stato scaraventato dall'altro lato della stanza.
Dalla vetrata passò veloce un qualcosa di piccolo.
Alìce, presa dall'adrenalina, prese l'ascia e la lanciò contro quell'essere.
I vetri della finestra si frantumarono come un miliardo di cristalli, ma c'era qualcos'altro che si era frantumato.

Oltre ai pezzi di vetro c'erano anche dei piccoli cocci di ceramica, bianchi e rossi.

La ragazza corse nel punto in cui secondi prima aveva gettato l'ascia, nel mentre Beck si avvicinava al pianoforte, ormai distrutto.
«Guarda qui» disse il ragazzo facendo cenno ad Alìce di avvicinarsi.
La ragazza sussultò nel vedere che sopra i tasti del pianoforte, gli unici rimasti integri, c'era il libro che lei stessa aveva sfogliato quel pomeriggio.
Familie VànMeyer.
«Hai già letto questo libro?» le chiese Beck.
Alìce scosse la testa.
«Bene, allora penso che sia arrivato il momento di farlo.» disse infine il ragazzo, prendendo il libro e dirigendosi fuori dalla casa della ragazza.
«Dove stai andando?» chiese Alìce inarcando un sopracciglio.
«A casa mia, questo posto non è sicuro.» disse Beck aprendo lo sportello della sua auto e sedendosi.
«Dai, sali in macchina.»
Mentre la ragazza si avvicinava all'auto di Beck, uno gnomo di ceramica le corse incontro, aggredendola.
«Tu non vai da nessuna parte..» disse lo gnomo da giardino.
«Oh, merda!» esclamò il ragazzo, uscendo dalla macchina e correndo ad aiutare Alìce.
Cercò di staccare lo gnomo di ceramica dalla ragazza, e quando ci riuscì lo gettò contro un albero, ma il colpo non bastò a romperlo.
«Svelta, sali in macchina!»
Beck si accorse che la ragazza zoppicava, così le aprì la portiera e l'aiutò a sedersi.
Poi, velocemente, tornò al lato del guidatore, accese la macchina ed in tutta fretta partì.
Bastarono pochi secondi per allontanarsi dalla villa Johanson.
«Che cos'era quello?» chiese urlando Beck.
«Ed io cosa pensi che ne sappia?» rispose a tono Alìce.

Il ragazzo guidava a circa 140 km/h, in modo da arrivare a casa sua in meno di 5 minuti.
Nella macchina regnava un silenzio assoluto.
Le strade erano deserte, ed Alìce si chiese se fosse normale che alle sette di sera non si vedeva nessuno passeggiare sulle vie.
Dal polpaccio della ragazza usciva un po' di sangue.
«Quell'essere mi ha morsa!» esclamò la ragazza.
Beck diede un'occhiata veloce alla ferita, per poi togliersi la camicia a quadri rossa, rimanendo con la canottiera grigia scura.
«Tieni, cerca di tamponare il sangue con questa.» disse porgendole la camicia.
Alìce fece come le aveva detto il ragazzo, e poi lo guardò.
Con tutto quello che le era successo nelle ultime ore non aveva fatto minimamente caso a come fosse fisicamente il ragazzo.
Aveva i capelli scuri e un po' lunghi, gli occhi azzurri attenti alla strada, lo sguardo preoccupato e dei lineamenti del volto abbastanza pronunciati, dalla canottiera si intravedeva un fisico magro, ma muscoloso.

Dopo pochi secondi arrivarono davanti una piccola villetta.
Beck scese dalla macchina, facendo il giro ed aprendo lo sportello ad Alìce.
La fece scendere e poi le passò un braccio dietro alla schiena, aiutandola a camminare.
«No dai, ce la faccio da sola.» disse la ragazza cercando di distaccarsi da Beck. Ma lui non la mollò.

«Vuoi qualcosa da bere?» le chiese gentilmente Beck.
Alìce si avvicinò al bancone della cucina.
«Sì, grazie.»
«Cosa vuoi? Acqua, birra, vodka, un mojito?»
La ragazza lo guardò meravigliata.
«Una birra va più che bene.»
Il ragazzo estrasse due birre dal frigo, aprendole e offrendogliene una a lei.
Alìce ne bevve un sorso.
Beck si ricordò della ferita al polpaccio della ragazza, così prese la cassetta del pronto soccorso per medicarla.
Le fece cenno di sedersi sul bancone, iniziando a disinfettarle il morso, ed infine bendando il polpaccio con una garza.

«Grazie per tutto quello che stai facendo» disse Alìce.
Il ragazzo la guardò con aria interrogativa.
La rossa sorrise «Fa come se non avessi detto niente.»
«Grazie per cosa?» domandò Beck, senza tener conto di ciò che la ragazza aveva detto prima.
«Ti stai prendendo cura di me. Nessuno lo aveva mai fatto prima.»
«Figurati, per così poco.» le sorrise il ragazzo.
Alìce restò a guardare sorridendo Beck per alcuni secondi, poi distolse lo sguardo.
Il ragazzo prese il libro da sopra un mobile lì vicino, facendo strada ad Alìce verso il salotto.

«Albert VànMeyer» iniziò a leggere Beck «nato il 17 febbraio del 1814. Ricco imprenditore di quei tempi e scrittore. Nel 1840 prese in sposa Isabel Van Der Meer e cose varie.» finì iniziando a saltare varie pagine.
«Che stai facendo?» chiese Alìce.
«In queste pagine parla solo delle origini della famiglia!»
La ragazza prese il libro dalle mani di Beck, aprendo una pagina a caso.
Ma il libro le scivolò, cadendo a terra.
«Perché adesso lo hai buttato a terra?» chiese il ragazzo.
«Mi è scivolato dalle mani!»
Beck la interruppe «Guarda!» disse indicandole il libro.
Cadendo a terra, il libro rimase aperto su una pagina.
C'era illustrato uno gnomo bianco e rosso.
«È lui!» esclamò Alìce.
«Nel 1864 Walnoff John, un uomo d'affari inglese, regalò ad ogni unità famigliare un dwarf, uno gnomo da giardino di ceramica. Erano disponibili in varie colorazioni, ma l'unico bianco/rosso capitò alla famiglia VànMeyer. Lo stesso giorno della ricezione dell'oggetto Isabel Van Der Meer notò in sua figlia, Clarìssa VànMeyer, strani atteggiamenti. La bambina sembrava parlasse con lo gnomo, nominandolo "Jo". Alcuni giorni dopo, Clarìssa fu trovata nella sua camera, la più grande della casa, tremante sul letto. Sembrava infatti che la sua immaginazione l'abbia portata a credere che l'oggetto l'avesse aggredita nell'istante in cui lei fu lasciata da sola nella sua camera. Oltre questo, la finestra vicino al suo letto era frantumata. Su richiesta di Clarìssa, "Jo" fu rinchiuso con un lucchetto in un mobile di legno forte e pesante nel seminterrato. Dopo quella sera fu come se una maledizione cadde sulla famiglia. Clarìssa passò cinque mesi in terapia con lo psicologo Rachel Spelzer e, dopo poche settimane dalla fine della terapia, il suo corpo fu ritrovato senza vita vicino al mobile in cui era rinchiuso lo gnomo. » lesse Beck, sospirando.
Alìce era con lo sguardo perso nel vuoto.
«Tutto bene?»
La ragazza annuì «Sì continua a leggere.»
«Cosa?»
«Cos'è successo alla famiglia?»
«Albert VànMeyer, dopo quattro mesi di malattia, morì di infarto quella stessa notte. Isabel Van Der Meer si ammalò gravemente di una malattia che le fece anche perdere la vista, morì 12 giorni dopo la morte improvvisa di Clarìssa VànMeyer
«Tutto questo è strano, e sembra così surreale..» pensò Alìce.
«Ma sembra che tutto sia successo veramente. E tu ne hai la prova.» sorrise Beck, indicandole la gamba fasciata.
Lei lo guardò male.
«Non vedo cosa ci sia da sorridere. Passami il libro, voglio saperne di più di questa Clarìssa.» disse Alìce.
Il ragazzo le porse il libro, e lei ne sfogliò alcune pagine.
«Clarìssa VànMeyer. Nata a Rëinsburg il 12 luglio del 1855. Secondogenita della famiglia VànMeyer. Amica d'infanzia di Fernèr De LaVièr, morto nel 1864 travolto da un carro trainato da quattro cavalli. Dopo la morte di Fernèr, la bambina iniziò ad avere strani comportamenti, iniziando a parlare con un oggetto inanimato. Venne ritrovata deceduta nel seminterrato. La famiglia VànMeyer si estinse con la morte di quest'ultima, che bella storia.» commentò Alìce.
«Ma se Clarìssa era la secondogenita, i VànMeyer avranno avuto un altro figlio, o figlia.» suppose Beck «Aspetta, guarda il ritratto di Clarìssa!» le disse indicandole la foto.
La ragazza deglutì «È identica a me.»
In effetti i lineamenti del viso, il colore degli occhi e dei capelli della bambina nella foto erano identici. Tranne la corporatura.
Clarìssa sembrava un po' cicciottella, mentre Alìce era abbastanza alta e magra.
«Già» sospirò il ragazzo.
Alìce sfogliò alcune pagine.
C'era illustrato un ragazzo, identico a Clarìssa, ma magro e con alcune lentiggini sul volto.
«Valentìn VànMeyer, primogenito della famiglia. Nacque il 30 ottobre del 1844. All'età di 19 anni, il 21 gennaio del 1864, partì in Svizzera. Non si ebbero più sue notizie. Il padre, Albert, preferì crederlo morto, celebrando così il suo funerale il 10 febbraio dello stesso anno
«Che bella famiglia.» commentò Beck «Non dice nient'altro?»
«No, vai a prendere il computer.» ordinò Alìce al ragazzo.
«Me lo stai ordinando?»
«Esatto.»

Alìce stava osservando le foto poggiate sulla mensola del camino.
In alcune c'era Beck con una ragazza, molto diversa da lui, quasi l'opposto.
Bionda con gli occhi scuri, e poco più bassa di lui.
Probabilmente era la sua ragazza.
Pochi minuti dopo Beck tornò nel salotto, con sottobraccio un computer portatile.
«Non mi avevi detto di essere fidanzato» disse Alìce, indifferente.
«Non pensavo fossi gelosa.» la stuzzicò il ragazzo, ma poi tornò serio «No, è solo una mia ex.»
«Ti ha lasciato lei, vero?» domandò sicura Alìce.
Il ragazzo la guardò stranito.
«Dubito che, se l'avessi lasciata tu, qui ci fossero ancora le vostre foto.»
Beck sospirò, e ad Alìce non parve il caso di fare altre domande.
Il tipo accese il computer, facendo delle ricerche su internet.

«Dopo il 1864 non ci fu nessun altro caso del genere, a quanto pare.»
«Nessun altro ha vissuto in quella casa?»
Beck scosse la testa, ma la ragazza non ne era convinta.
Dentro di se' sapeva che era impossibile il fatto di essere andata a vivere in quella villa dopo i VànMeyer.
Il ragazzo ricontrollò meglio.
«In realtà.. Qualcuno che ha vissuto in quella casa prima di te c'è.»
«Chi è?» chiese Alìce.
«Emilyenne Rosmein, una vecchia signora che viveva lì con il marito ed il figlio.»
«Si sa perché se ne sono andati?»
«Il marito, morto nel 2010, lavorava in un'azienda del vetro. Poi l'azienda si è trasferita, e lui ha dovuto seguirla.» lesse Beck «Quando ci vivevano loro non c'era nulla di strano, la casa era tranquilla. Niente Jo, niente strani accaduti. Quello gnomo cercava solo un VànMeyer. Sei il secondo caso.»
La ragazza scosse la testa.
«È impossibile. La prima e l'ultima volta in cui lui si è manifestato è stata nel lontano 1800, ad una bambina di solo 9 anni. Ora ne sono passati esattamente 150 e, di come ho capito, lui è in continua ricerca di una sua discendente. Ma la famiglia si è estinta ancor prima del 1900, perché è tornato solo adesso? Cosa vuole dalla mia famiglia?»
«Lui non vuole la tua famiglia, lui vuole te. Qualcuno che ha il sangue dei VànMeyer.» disse Beck, guardandola negli occhi.
«Cosa? No. Non sono io ad avere il sangue dei VànMeyer.» Alìce continuava a scuotere la testa.
Era impossibile che fosse lei l'ultima VànMeyer a vivere in quella casa.
Forse era successo solamente per caso.
«Questo no di certo, mi sembra ovvio che se tu fossi VànMeyer lo sarebbero anche i tuoi genitori, e..»
La ragazza lo guardò, inarcando un sopracciglio.
«Ah.. Sì, dimenticavo. Sei stata adottata.»
Alìce fece finta di nulla.
«Sai chi sono i tuoi genitori naturali?» domandò Beck.
«Mi stai prendendo in giro?»
«No, non volevo..» cercò di scusarsi il ragazzo.
«Fa niente, cosa vuoi sapere?» chiese sgarbata la ragazza.
Beck si sentì in colpa «Se non vuoi..»
«Figurati, tanto entro il fine mese me ne andrò da Rëinsburg, questo è sicuro.»
«Perché?»
Alìce fece un respiro profondo, prima di iniziare a raccontare.
«È quello che ormai faccio da due o tre anni, a causa del lavoro di Thomas e Claire. Cambio sempre città.»
«Che lavoro fanno?»
«Thomas lavora in una ditta di automobili, Claire è un avvocato.»
«Tu, invece? Hai finito la scuola?»
«Ogni fine mese sono in una città diversa. Avevo iniziato il liceo artistico, ma ho dovuto lasciare.» spiegò Alìce.
«Ogni mese?»
La ragazza annuì.
«Poi, una volta è successo che ci siamo fermati per 4 mesi in una città, prima di arrivare qui.»
«Immagino che tu non abbia relazioni stabili.»
«No, ma.. A Schweizer avevo incontrato un ragazzo, Oliver, poco più grande di me. Poi però ci siamo lasciati.» disse Alìce, quasi sussurrando le ultime parole.
I ricordi con quel ragazzo erano pochi, e offuscati.
«Diciamo che, seguendo lui, sono entrata nel giro della droga. O meglio, ho approfondito.»
Beck sgranò gli occhi.
Certo, poche ore prima le aveva fatto delle battute sul "Ti droghi?", ma non pensava che la ragazza lo facesse veramente.
«Lo fai ancora?» domandò, spinto dalla curiosità.
«L'ultima volta è stata appena arrivata qui. Poi, tra lo gnomo e altre cose, non ne ho avuto bisogno» disse sorridendo la ragazza «Sei una bambina complicata e difficile, non vuoi appartenere a nessuno, me lo ripeteva sempre una delle responsabili dell'orfanotrofio del Michigan, dove ho passato i miei primi 9 anni di vita.»
Il ragazzo era sempre più curioso di quello che raccontava Alìce.
«Vieni dal Michigan?»
«Non lo so più.» disse la ragazza scuotendo la testa, con le lacrime agli occhi «Fino a mezz'ora fa sapevo solo che mia madre, un'alcolista coi contro e con grossi problemi economici, mi ha partorito in un orfanotrofio ed è scappata il giorno dopo, lasciandomi lì. E adesso vengo a sapere che vengo da una famiglia estinta nel lontano 1800, perseguitata da una sottospecie di maledizione e che, senza ombra di dubbio, a causa di questa non supererò il fine settimana.» concluse sorridendo sarcasticamente «Quindi, è la mia vita una merda?»
Beck non ebbe il tempo di rispondere.
«Sì, lo è.» disse Alìce.
«Mi.. Sorprende tutto questo che hai dovuto passare in.. Aspetta, ma quanti anni hai?» le chiese il ragazzo.
«Fra non molto dovrei averne 19.»
«Dovresti?»
La ragazza sospirò «Già. Ormai non sono sicura nemmeno di questo! Non importa, quella Emilyenne che ha vissuto nella villa.. È ancora viva?» chiese, cambiando discorso.
Beck osservò lo schermo del computer.
«No, purtroppo è morta quattro giorni fa.»
«Aspetta, quando?» chiese titubante Alìce.
«Quattro giorni fa, il.. 10 ottobre, oggi è 14..»
«Beck..» lo interruppe la ragazza, ma lui non la ascoltò.
«.. e fra meno di due ore sarà 15.»
«BECK!» si ritrovò ad urlare Alìce.
«Che c'è?»
«Il 10 ottobre, quattro giorni fa, mi sono trasferita qui.»
«Ma dai, sarà solo un caso.»
Lei lo guardò, incredula «Solo un caso? Non c'è nulla di normale da quando sono arrivata in questa città!»
«Senti, io non..»
Beck fu interrotto a causa di un forte rumore proveniente dalla cucina.
Insieme ad Alìce si alzò velocemente dal divano, e si diressero nella stanza.
La finestra era frantumata, ed entrava un vento freddo.
In mezzo a tutte le schegge di vetro c'era Jo.
Dopo i colpi ricevuti nella villa dei VànMeyer aveva il naso di ceramica rotto, ed altre parti rovinate.
E degli occhi rossi, che nessuno dei due aveva notato prima.
***
Un avviso a tutti quelli che vivono a Rëinsburg: fatevi un'assicurazione sulla vita, ed anche sulle finestre.
Arriverà Jo a frantumarle tutte.
Probabilmente non è stato un granché di capitolo, ma dovevo parlare dei VànMeyer e dire di più sulle origini di Alìce.
Serviranno.

Alla prossima,
Broken Smile Smoke.

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