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Autore: _Rainy_    20/10/2014    4 recensioni
Un pub poco affollato, un gioco pericoloso con la fortuna e con la morte, undici proiettili e una rivoltella ancora scarica appoggiati su un tavolo. Chi sarà il primo a morire? Chi sarà il primo a rivelare i suoi segreti?
Undici ragazzi dal passato oscuro e una vendetta, sottile come la lama di un pugnale, che si tesse nelle tenebre...
Genere: Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Contesto generale
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N MA STAVOLTA ESSE PORTAVANO SOLO RIMORSO N

- Avanti, la serata sta diventando interessante no?

I presenti si guardarono l’un l’altro, inorriditi, seguendo con lo sguardo il cameriere che portava via il cadavere del festaiolo.
Una mora formosa sibilò:
- Ti stai divertendo?! In che razza di posto siamo finiti?!

Heather scrollò le spalle, fingendo di non capire e con un ennesimo ghigno fece ruotare con un movimento secco il settimo proiettile.

Esso ruotò su se stesso in circonferenze perfette, stridendo sul legno del tavolo. Girava e girava, ancora e ancora, senza fermarsi mai. Rallentò pian piano e alla fine si fermò, inequivocabilmente puntando verso… Duncan.

- Oh, davvero?! Bene, finalmente qualcuno con una storia seria da raccontare! – Rise sguaiatamente Heather.

Il punk si guardò intorno, furtivo, incrociando lo sguardo carico di disprezzo del suo primo amore e quello pieno di apprensione della sua eterna amante:
- La mia storia molti di voi la sanno già: carcere, droga, qualche piccolo crimine… Il solito.
- Oh avanti, non mi riferisco a quello. Ma al tuo primo vero, serio, crimine. Ci sarà pur qualcosa di cui ti vergogni profondamente… O hai commesso atti illeciti solo per renderti degno delle attenzioni del tuo paparino?! – Ribattè la perfida Heather.
- Taci. Non parteciperò a questi giochetti del cazzo! – Sibilò Duncan, estraendo rapito un coltello dalla tasca e puntandolo alla gola della mora, seduta dall’altro lato del tavolo. Istintivamente Gwen gli mise una mano sul braccio. Heather non battè ciglio:
- Oh, per favore! Evitiamo queste paranoie inutili, non lanceresti mai un coltello al tuo vecchio capo dico bene? Quindi pensa che più in fretta racconti, più in fretta ce ne andremo tutti da questa rievocazione per espiare le nostre colpe.

Il punk sbuffò, tracannò ancora un sorso del suo drink e chiese ad Al se potesse bere anche il suo, che non era stato toccato. Scolatosi anche la bevanda dell’amico sbuffò nuovamente e cominciò a raccontare…


Quella notte era particolarmente fresca e la lieve brezza del vento si era impressa nella mente del punk, che avrebbe ricordato quelle poche ore come le più eccitanti della sua vita.

Era partito di buon’ora con i suoi due compagni di ventura, Linda e Thomas, per imprimere nella storia i loro nomi come quelli dei tre ladri più capaci del nord America.
Avevano affrontato un lungo e divertentissimo viaggio in macchina per giungere finalmente a Cape Town, dove si trovava la sede di una delle banche più importanti di tutti gli USA. Era un colpo studiato da tempo e i loro ruoli si erano definiti nel corso degli anni: Thomas la mente, Duncan la forza bruta e Linda l’agilità e la velocità.
Si conoscevano da tantissimo tempo: Thomas e Duncan erano migliori amici dai tempi delle superiori e Linda era una sensuale e letale ragazza conosciuta in riformatorio e che non ci aveva messo molto a cadere tra le braccia di un Duncan che non l’aveva di certo rifiutata.

Ed ora erano lì, in quella fresca notte di giugno, a scrutare la sede centrale della banca da fuori, valutando l’altezza delle mura di granito.

- Duky, dici che ce la faremo a tornare per il compleanno di mia cugina? – Chiese Linda con la sua voce accattivante e capace di far capitolare ogni uomo sulla terra.
- Ovviamente tesoro, e potremo anche fermarci a comprargli il più bel regalo che possa desiderare. Una Porsche color crema magari… Thomas, ci sei?

L’amico non era con loro fisicamente, ma a qualche metro di distanza, nascosto tra i cespugli e avvolto in una tuta termica a bordo di un furgoncino che all’occorrenza li avrebbe tutti salvati da spiacevoli incontri con la polizia.
- Certo che ci sono D.

Il ragazzo sorrise, sistemandosi i lunghi capelli neri dietro le orecchie e ripensando a come sotto l’aria da innocente secchione di Thomas si nascondesse una vera e propria mente criminale.
- Allora via, caro Tommy. Andiamo a fare il culo a questi pseudo-americani del cazzo.

Linda ridacchiò e osservò Duncan lanciarsi sulle mura per poi scalarle e attirare l’attenzione di tutte le guardie, che cominciarono a seguirlo quasi subito, inesperte.
La ragazza scalò a sua volta rapidissima la parete di granito, sfruttando lo slancio e qualche appiglio di fortuna per sgattaiolare inosservata dall’altra parte.
- Thomas, ci sei? Aggiornami.

Il ragazzo si sistemò gli occhiali sul naso, inserì la chiave nel cruscotto senza girarla e ridacchiò:
- Tesoro, dovresti sapere che tutti gli antifurti sono disattivati e che nessuna telecamera ti può vedere. Saranno tutti a cercare di prendere quel bastardo di D. – Osservò lo schermo dei molteplici portatili che aveva davanti illuminarsi e poi coprirsi di codici binari verdi che scorrevano a una velocità impressionante davanti ai suoi occhi. Riconobbe qualche spezzone di codice, ma poi lasciò perdere quel divertente passatempo per dedicarsi alle telecamere, ricontrollando per l’ennesima volta che i filmati fossero stati innestati correttamente nella sequenza di immagini preesitente.

Linda scattò e in poco tempo fu dentro l’edificio. Tramortì qualche guardia e prese in prestito i vestiti di una di esse, zittendo Thomas che discuteva con se stesso su quanto la guardia fosse attraente e su quanto spogliarla per non approfittarne fosse uno spreco vero e proprio. La ragazza si scostò impaziente una ciocca di capelli rossi e neri dal viso e individuò immediatamente il caveau. Vi si diresse senza indugio.
- Thomas, come stiamo andando?
- Direi benissimo. Il caveau ha dei sensori di movimento e dei raggi infrarossi che fanno scattare una scarica elettrica capace di friggerti il cervello se toccati. Non riesco a disattivarli al momento, ma ci sto lavorando.

Linda ridacchiò:
- Tze, bazzecole!
- Non ho dubbi tesoro! – Rispose Thomas.

La ragazza si destreggiò nel caveau che era immenso e conteneva una tale quantità di denaro tale da superare anche le più rosee aspettative di un poveraccio. Si fermò qualche secondo a contemplare l’immensità di ciò che aveva davanti. Mazzette e mazzette di banconote si soprapponevano le une alle altre fino a formare altissime pile che sembravano delle vere e proprie costruzioni.

Thomas, dal canto suo, stava dando un’occhiata agli aggiornamenti del suo sito porno preferito, interessandosi particolarmente a qualche video d’intrattenimento, quando con la coda dell’occhio scorse un computer che improvvisamente si spegneva.
- Che cazzo…?! – Sussurrò.
- Che cazzo cosa Thomas?! – Sibilarono Linda e Duncan in coro, improvvisamente allarmati.

I portatili cominciarono a spegnersi uno dopo l’altro e Thomas strillò:
- C’è qualcosa che non va ragazzi, forse ho dimenticato qualcosa! Uscite subito di lì!

Ma non fece in tempo a dare direttive per raggiungere l’uscita più vicina che delle guardie armate aprirono il furgoncino dove si nascondeva e senza pietà gli spararono una pallottola dritta nel cervello.
Mentre Thomas esalava l’ultimo respiro gli parve di sentire altri due spari, qualche “Muori troia” e il triste blip del suo ultimo portatile che si spegneva. L’ultima cosa che vide prima che la morte lo abbracciasse fu il grande pulsante lampeggiante che doveva servire a confermare il download del porno che aveva intenzione di guardare una volta arrivato a casa; peccato che a casa non ci sarebbe mai più tornato da vivo.

-

- Svegliatelo!

Udiva i suoni in modo confuso, impreciso e molto strano, quasi come se la voce venisse da una bocca impastata o con qualcosa all’interno. Era sospeso in una bolla di luce che risplendeva nell’oscurità, a tratti più vivida e reale, a tratti nera e profonda.
Non comprendeva e non aveva memoria di chi o dove fosse.

D’un tratto il risveglio: venne strappato violentemente al torpore della confusione e tornò bruscamente alla realtà.
Si trovava in una cella molto spartana, con lucenti sbarre di metallo, solide pareti di cemento e un letto a castello occupato da lui soltanto.
Due guardie vestite di tutto punto sghignazzavano a pochi centimetri dal suo volto; una guancia gli doleva e sentiva che gli erano stati tagliati i capelli.

- Buongiorno fiorellino! Peccato, speravo di arrivare al terzo schiaffo per svegliarti, ma hai reagito meglio del previsto..

Ah! L’umorismo da aguzzini… Non gli era mancato per niente.
Non ci mise molto a collegare l’ambiente nel quale si trovava e le battutacce da carcerieri agli avvenimenti della sera prima che lentamente riaffioravano: era stato catturato.
Provò a parlare, ma la voce era fievole e le parole stentate:
- T… Mas… Nda… - Biascicò.

Una delle due guardie, più alta, con una mascella sporgente, lisci capelli biondi e piccoli occhi marroni sghignazzò:
- Vuoi sapere dove sono i tuoi amici? Fai un salto all’obitorio e lo scoprirai! – E rise sguaiatamente insieme all’altra guardia, un tipo bassino, rotondetto e con capelli e occhi scurissimi.

<< Obitorio >> La parola risuonò nella sua mente come un eco.
Questo voleva dire che ormai erano persi per sempre. La sua adorata Lisa e la sua spalla in mille avventure, Thomas.

- Ragazzi, smettetela di perdere tempo! Duncan Evans! – Nella cella entrò un signore calvo con grandi baffi scuri, evidentemente il direttore del penitenziario, che si rivolse a lui con tono freddo e autoritario. – Conosce i suoi diritti, sa come funzionano le cose qui e noi conosciamo lei: furto, spaccio, qualche piccolo crimine secondario… Non proprio una bella fedina penale eh! In ogni caso dovrà dividere la cella con un altro ragazzo, la avverto. Mi dispiace che non possa stare da solo. – Poi si rivolse alle due guardie. – Portate dentro l’altro prigioniero!

- Non ti rivolgere a me con quella schifosa pietà negli occhi, amico! – Sibilò Duncan, che si era rizzato improvvisamente a sedere e aveva parlato con qualche difficoltà, ma impetuosamente. – Mi stai declassando a criminale minore?! Da quando ho un cazzo di compagno di cella?! Che porti pure il culo fuori da qui, io non ce lo voglio in questa cazzo di stanza.
- Pf… - Il direttore sbuffò, guardandolo gelido. – La smetta signor Evans. Portatelo dentro!

Le guardie uscirono qualche secondo e portarono dentro un ragazzo magrissimo, dalla carnagione candida, un sacco di lentiggini in faccia, qualche dritto capello nero sulla testa e vestito con dei jeans neri e una canotta bianca lurida. Aveva vistosi orecchini di metallo all’orecchio destro, profondi occhi neri fissi a terra, delle manette ai polsi e una cicatrice rossastra che correva dal gomito a metà avambraccio.

Il direttore annunciò allegro:
- Elijah, Duncan. Duncan, Elijah.

Duncan squadrò il nuovo arrivato e sputò per terra, giusto per chiarire chi comandava in quel posto. Elijah non si mosse, mentre l’altro lo fissava seccato e stupito dalla sua reazione al tempo stesso. Lo sguardo del nuovo era perso nella contemplazione delle sue scarpe da ginnastica.
- Hei amico, almeno sai parlare?! – Sibilò Duncan sprezzante.

Le guardie ridacchiarono e li lasciarono soli, togliendo le manette a Elijah prima di andarsene. Il ragazzo continuò a fissarsi le scarpe e si diresse verso la scaletta che portava alla brandina in alto del letto a castello. Duncan si spazientì e si alzò di scatto, spintonando il ragazzo per le spalle:
- Amico, parlo con te!

Alzò un braccio per tirargli un debole pugno, ma la sottile e pallida mano di Elijah si mosse, velocissima, e bloccò il polso di Duncan a mezz’aria. Quest’ultimo fece un salto indietro per la sorpresa e si ritrovò a fissare gli occhi scuri di Elijah, gelidi, ma strafottenti.
- Che cazzo…
- Amico, non pensare che solo perché sei più massiccio di me tu abbia il diritto di fare tutto ciò che vuoi! Non mi farò certo inculare da un punk mancato solo perché è quello che tutti si aspettano! – Ringhiò Elijah, ghignando. La sua voce era particolarmente gioviale e mal si intonava con quello che aveva appena detto.
- Punk mancato?! Ehi, non ti conviene provocarmi! – Sibilò Duncan.

Elijah lo fissò per qualche istante con intensità, dopodichè scoppiò a ridere e gli lasciò il braccio:
- Rilassati, sto scherzando! – Dopodichè alzò il pugno a mezz’aria e Duncan, riluttante, lo colpì delicatamente con il suo.

La faccia di Elijah, da cupa e noncurante, si era aperta in un sorriso sincero e uno sguardo furbo, che scrutavano Duncan con curiosità e allegria.
- Si si, lo so: ti starai chiedendo perché tutta questa sceneggiata, ma ehi! – << Gesticola terribilmente! >> Pensò Duncan. – Non potevo mica arrivare tutto sorridente! Allora, compagno di cella, perché sei qui? – E non smise di sorridere neanche un secondo.
- Be’… - Rispose un po’ spiazzato il ragazzo. - …Ho cercato di fare una rapina importante ed è fallita… Tu? – Non che gliene fregasse qualcosa, ma Elijah era il ritratto dell’allegria e della tranquillità.
- Ah, io ho hackerato il server di una banca svizzera per trasferire metà dei soldi di alcuni ricchi imprenditori nel mio conto in banca, ma purtroppo una falla nel sistema di rimozione dell’antivirus ha permesso ai piedipiatti di acchiapparmi… Immaginati la scena: - E rise ancora. – Io me ne sto tutto nudo e tranquillo nel mio appartamento, con un trancio di pizza in mano, a fissare il mio conto corrente che cresce e cresce e a un certo punto gli sbirri sfondano la porta e entrano due tizi che dicono di volermi arrestare. Uno dei due tra l’altro era una donna, una rossa di 1.80 un po’ cicciotta, ma niente male. Le avrei volentieri dato una ripassata, non so se mi spiego… - E aveva strizzato l’occhio al compagno di cella, ridendo .

Duncan all’inizio aveva provato a trattenersi, ma in effetti il mondo con cui aveva spiegato tutta la scena (gesticolando e facendo le voci dei vari sbirri e della poliziotta che nella sua immaginazione gli diceva frasi sconce) era davvero spassoso e alla fine era scoppiato a ridere anche lui.
Le risate erano, però, state interrotte da Phil, detenuto della cella accanto alla loro, che aveva sghignazzato:
- Cosa sono tutte queste risate da mezze checche?!

Duncan stava per rispondergli, ma Elijah era già premuto contro le sbarre della cella mentre sibilava, fissando Phil negli occhi:
- Senti un po’ ladruncolo sovrappeso ipotrombato, solo perché non scopi con tua moglie da qualche anno non vuol dire che devi scassare il cazzo a tutti qui dentro! Il tuo quoziente intellettivo è pari a quello di un cassetto mio caro e fossi in te non farei tanto il gradasso avendo un conto in banca di 100$, una moglie che di sicuro ti tradisce e neanche la capacità di portare a termine una rapina del cazzo come quella per cui sei stato preso. – E aveva concluso sputando per terra nella sua direzione, mentre Phil cominciava a urlare insulti al nuovo arrivato.

Tutto il corridoio, comprese le guardie, erano ammutolite e solo Phil continuava a inveire contro Elijah. Il diretto interessato passò accanto a Duncan, che aveva alzato il pugno di riflesso, pronto a batterlo contro quello del compagno di cella, che ghignando si sdraiò sulla sua brandina, chiudendo gli occhi:
- Trovo che gli insulti siano ideali per farti venire sonno! Soprattutto… – E alzò un po’ la voce, in modo che Phil lo sentisse. – … Se provenienti da un coglione col cervello in prognosi riservata.

Duncan sghignazzò, chiedendosi chi realmente fosse il suo nuovo compagno di cella.

-

Erano diventati amici.

Dovevano entrambi scontare molti anni di carcere e sapevano di dover contare l’uno sull’altro per poter sopravvivere in quella prigione dove chiunque pensava solo a se stesso.
Passavano le rare ore d’aria insieme ed erano i soli a non ricevere mai visite.

Inizialmente Duncan non era riuscito a fidarsi di lui, ma pian piano si era aperto e aveva capito che Elijah era quanto di più si avvicinasse a un migliore amico, in quel periodo della sua vita.
Sapeva praticamente tutto di lui ed era stato proprio Elijah ad accompagnarlo a vedere i cadaveri di Thomas e Linda per la prima volta e a dirgli che se fossero mai usciti dal carcere illegalmente avrebbe dovuto farsi i capelli verdi.
Era un rimpiazzo di Thomas, per certi versi, lo sapeva.

Quel giorno il sole splendeva alto nel cielo e il numero di anni che doveva ancora scontare in carcere gli sembrava più basso del solito: una bella giornata insomma.
Elijah era seduto sulla sua brandina a trafficare con due pezzi di spago e ad un tratto sbuffò:
- Non sei stanco di tutto questo, Duky?

L’interpellato ridacchiò:
- Ogni santo giorni, amico! Puoi giurarci… Ma che vuoi fare?

Elijah saltò giù ghignando, come se non aspettasse altro che quella frase e gli sussurrò in modo da non dare nell’occhio:
- Oggi Edgar ha in mente di evadere e sta chiedendo a qualcuno di noi se è disposto ad andare con lui. Gli mancano altri due tizi per completare il suo folle piano.
- Piano?! Ossia! Non lasciarmi così sulle spine! – Rispose sorpreso Duncan, che non vedeva l’ora di andarsene da quella umida cella.
- Be’, in realtà è un piano rudimentale. Io e Edgar dovremmo infiltrarci nel sistema di sicurezza del carcere e disattivarlo, ma per farlo ci serve una piattaforma elettronica da cui accedere e qui entri in gioco tu bello mio! – Ridacchiò all’espressione perplessa dell’amico. – Dovresti semplicemente fottere un cellulare a una delle guardie, magari a Johnny, il novellino biondo dall’aria tedesca che fa la ronda a mezzogiorno quando stiamo mangiando… Trova una scusa per fottergli il telefono e poi addio a tutte le misure di sicurezza del carcere, rimarrebbero solo le guardie, ma neanche quelle sarebbero un problema dato che il compagno di cella di Edgar ha assicurato che stasera ci sarà una riduzione del personale a causa della festa del Ringraziamento. Allora? – E poi si era messo a fissarlo, speranzoso.
- Mah… Non saprei… - Duncan era perplesso.
- Oh andiamo! E’ un’occasione imperdibile e poi cos’hai da perdere?! – Lo guardò Elijah, un po’ deluso.

Alla fine Duncan annuì, convinto del fatto che al massimo avrebbe aggiunto altri anni di carcere a quelli che comunque doveva scontare.

-

- Yo! Siamo pronti? – Elijah alzò il pugno in aria trionfante e Duncan ridacchiò, colpendolo con il suo.

- Molto bene fratello, allora andiamo! – Rise nuovamente Elijah.

Uscì dalla cella per dirigersi a pranzo e urlò un “Felice Ringraziamento!” a tutte le guardie, ridacchiando sotto i baffi. Duncan fece prontamente finta di essersi dimenticato la giacca della divisa nella cella e tornò rapidamente indietro, appena in tempo per vedere Johnny che svoltava l’angolo del corridoio e si dirigeva in fretta verso di lui, lo sguardo fisso al cellulare.
- E così tu sei Johnny, il novellino? – Ringhiò Duncan, affidandosi alla sua faccia più minacciosa.

Il biondino alzò la testa e lo fissò, strafottente:
- Ehi feccia, che vuoi?
- Ah! Gli insulti addirittura? – Rise aspramente Duncan. – Bene, ma sappi che mi ci vorrebbero 5 minuti appena per gonfiarti di botte come mai ti è successo prima. O forse si? Hai una faccia di cazzo tale… Non mi sorprenderebbe sapere che ti hanno già pestato…
- Cosa?! – Ringhiò Johnny, mentre delle goccioline di sudore gli colavano giù dall’attaccatura dei capelli e sparivano nel colletto della camicia.
- Dimmi, ce l’hai la ragazza? – Sorrise Duncan, falsamente amabile.

Johnny scosse la testa e portò la mano alla pistola.
Il detenuto si guardò intorno e non vedendo nessuno nel corridoio si avvicinò velocemente a Johnny e si fermò a pochi centimetri dalla sua faccia, inchiodandolo con le braccia alla parete. I loro nasi si sfioravano. Prese tra le dita una ciocca dei fini capelli biondi della guardia e la accarezzò delicatamente.
- Perché un bel giovane come te non ha una ragazza? Eh? – Sussurrò Duncan, flebile. Johnny ormai stava sudando intensamente.
- Io… N-Non lo so! – Poi trattenne bruscamente il fiato, perché Duncan aveva inclinato la testa di lato, avvicinandosi. Si fermò a un soffio dalle sue labbra per tirarsi improvvisamente indietro e sghignazzare:
- Sei una cazzo di checca! – E aveva riso sguaiatamente.
- Non sono gay! – Strillò Johnny, isterico.
- Ah no? Be’, poco importa. Se non vuoi che i tuoi colleghi vengano a sapere di come non avresti rifiutato le mie false avance, e ti assicuro che io sono al 100% etero, ma comprendo che il mio immenso fascino possa fare vittime anche tra persone di sesso maschile, ti conviene fare qualcosa per me! – Ghignò infine Duncan, perfido.
- V-va bene! Okay! Dimmi cosa devo fare! – Cedette infine Johnny, dopo qualche estenuante secondo, schiacciato dall’umiliazione che rischiava di subire.

<< Tipico novellino idiota! >> Pensò Duncan.

- Niente di che, devi solo darmi il cellulare! Mi serve per qualche ora, dopodichè te lo ridarò checca. Devo fare una sola chiamata privata e ad alto contenuto di frasi sconce e inadatte a una piccola, tenera checca. – Ridacchiò.
- Il mio cellulare?! Va bene… - Poi gli allungò il cellulare che un suo collega gli aveva prestato, sentendosi furbissimo ad aver raggirato il detenuto evitando di dargli il proprio, e si allontanò di corsa.

<< Coglione! >> Pensò il detenuto. Dopodichè si avviò a pranzo, sorridendo ad Elijah e passandogli di nascosto il cellulare incriminato, ripercorrendo mentalmente la propria performance in cui il suo ego era decisamente aumentato.

- Mi devi una figura di merda, stronzo! – Ridacchiò Duncan.

- QUELLA SERA -

Stava andando tutto bene.
Tutto era andato secondo i piani fino a quel momento: erano riusciti a disattivare gli antifurti, a mettere fuori gioco le guardie e ad avviarsi verso l’uscita rubando le uniformi agli aguzzini tramortiti, quando Johnny e altri novellini erano accorsi armati di pistole, sparando a più non posso.

Il tempo si era come fermato: tutti si erano nascosti o riparati come meglio potevano, cercando di convincere i novellini di essere guardie e non fuggitivi, ma non c’era stato niente da fare.

Le guardie si avvicinavano inesorabilmente e i proiettili che sfrecciavano sopra le teste di Duncan ed Elijah, riparati dietro una scrivania rovesciata, sembravano non finire mai. Il rumore delle continue ricariche riempiva l’aria e fogli di carta volavano ovunque, rendendo più difficile per tutti vedere dove si stava andando.

- Ehi amico, questi ci faranno il culo, non trovi? Dobbiamo pens… - Ma Duncan si era bloccato a metà frase, perché uno sguardo ad Elijah l’aveva raggelato: era ferito ad una gamba e perdeva molto sangue.
- Oh, Cristo! Elijah, come stai?! – Aveva urlato Duncan, rendendosi conto della stupidità di quella domanda.
- Secondo te come cazzo sto, coglione?! Mi hanno appena sparato ad una gamba! – Aveva urlato di rimando lui, non a torto.
- Io non ti abbandono! Ti porto fuori di qui e poi andiamo da un mio amico che abita qua vicino, lui ti curerà, è fidato!

Elijah annuì.

Duncan allora si era inginocchiato accanto all’amico e senza pensarci due volte era strisciato fino a Jimmy, un altro detenuto che stava cercando di scappare con loro, per poi spingerlo in avanti violentemente. Jimmy era caduto oltre la scrivania dietro la quale si nascondeva, atterrando proprio davanti alle guardie che impiegarono qualche secondo a decidere cosa fare di lui.
Stavano animatamente discutendo se rinchiuderlo nuovamente oppure no, quindi Duncan ne approfittò per caricare Elijah sulle sue spalle e avviarsi faticosamente verso l’uscita, oltre un lungo corridoio rivestito di piastrelle sporche. Gli altri detenuti nel frattempo continuavano a ripararsi come meglio potevano.

Il novellino, Jhonny, se ne accorse e senza pensarci due volte sparò un colpo a Jimmy, che si accasciò a terra, per poi correre dietro ai due fuggiaschi.

<< Magari l’ho sottovalutato… >> Pensò Duncan, ma era troppo tardi.

Stava correndo con Elijah sulle spalle, quando sentì un dolore lancinante esplodergli in una spalla.
Elijah cadde a terra, incapace di sostenersi con le gambe e privato del sostegno della spalla del compagno.

- Duncan! – Urlò Elijah, stramazzando a terra e gemendo per il dolore.

L’amico era in piedi, in mezzo al corridoio.
Alle sue spalle Jhonny che si avvicinava pericolosamente e Elijah, ferito, dall’altra la libertà.

Cosa doveva fare?
Ripensò in pochi secondi a tutto quello che era capitato nella sua vita, a tutti gli amici che lo avevano tradito, a tutte le botte che si era preso fino a quando non aveva imparato che darle era la risposta migliore, alla madre morta giovane e al padre che lo aveva abbandonato davanti ad un orfanotrofio lurido, dal quale era scappato. Ripensò anche alla notte della sua fuga, in cui le stelle splendevano alte nel cielo, quasi a volerlo accompagnare. Le immagini si susseguivano nel suo cervello, rapidissime e ognuna ne chiamava a sé altre, in una catena infinita che sembrava l’inizio di un sogno.

- Elijah… Mi dispiace… - Fu un sussurro, una decisione avventata e un grande dolore, peggiore di quello della spalla, si insinuò nella mente di Duncan.

L’amico lo guardò, il terrore negli occhi e capì. Cominciò a urlargli insulti, a piangere dalla disperazione.
- Sei un egoista Duncan, un cazzo di opportunista. Io non conto niente per te?! Dopo tutto questo, io non conto nulla?

<< Stai sbagliando e lo sai! >> La coscienza di Duncan gli urlava di pensarci due volte, di tornare indietro, ma dall’altro lato gli sussurrava dolcemente che Elijah avrebbe capito, che nessuno voleva morire in modo così orribile.

Questi i suoi pensieri mentre correva nella sconfinata distesa di boschi che circondava il penitenziario.
Migliaia di stelle sopra di lui lo osservavano, a ricordargli la sua passata fuga dall’orfanotrofio, ma stavolta esse portavano solo rimorso.


Nessuno fiatò per qualche istante, dopodichè Heather iniziò a sghignazzare e Duncan afferrò la pistola.
- Ecco il perché di quella ridicola cresta verde… Pensi che così Elijah possa perdonarti per il tuo tradimento

Tradimento… La parola aveva un suono strano nella mente del punk, che mai si era riferito a se stesso in quel modo, forse per codardia o forse perché si rifiutava di pensarci; chissà…
Afferrò la pistola con decisione, spinse il proiettile nel tamburo e con uno scatto secco lo osservò girare, girare e girare, fino alla chiusura. Se lo puntò alla tempia.

Un colpo.
La vita o la morte.

Clack.

Il proiettile penetrò a fondo nel cranio di Duncan, che in materia di armi era esperto. Si accasciò sul tavolo con un urlo soffocato.

Gwen e Courtney si alzarono in contemporanea e dopo essersi squadrate con astio per qualche secondo si lanciarono sul corpo di Duncan, piangendo copiosamente.

Heather dal canto suo sghignazzava, come sempre, e guardando i rimanenti con perfidia mise al centro del tavolo l’ottavo proiettile.


-ANGOLO AUTRICE-
Cerchiamo di non rendere questo capitolo ulteriormente lungo… >.<
Non mi uccidete per la morte di Duncan, ma prima o poi qualcuno di importante doveva morire no? Si. Sono sadica, MUAHAHAHAH ^._.^ Ma io coltivo un odio per quell’infedele causa della guerra DxC/DxG, quindi l’ho punito here :3 Sorry u.u
Bye bye!
_Rainy_
FICCY ORIGINALE DELLA RAINY:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2822907

   
 
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