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Autore: Little Redbird    23/10/2014    1 recensioni
Era morto. Era morto quella mattina al campo, nel disperato tentativo di dare una possibilità a Clarke e agli altri di sopravvivere. Clarke. La sua voce spezzata dal pianto l’aveva raggiunto come una freccia avvelenata mentre combatteva a mani nude contro un terreste.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Finn Collins
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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No one's here to sleep


 


Era morto.
Era morto quella mattina al campo, nel disperato tentativo di dare una possibilità a Clarke e agli altri di sopravvivere.
Clarke. La sua voce spezzata dal pianto l’aveva raggiunto come una freccia avvelenata mentre combatteva a mani nude contro un terreste.
Bellamy!
Quella nota di terrore puro nel suo tono gli aveva spappolato le budella, gli aveva tolto l’ultima goccia di rabbia che l’aiutava a tenersi in piedi. Aveva ricevuto un pugno dritto in faccia, che l’aveva steso per un attimo, ma il ricordo del suo nome urlato in quel modo l’aveva tirato presto su. Si era trovato di fianco a Finn, che tirava pugni allo stesso ritmo con cui li riceveva.
Erano morti entrambi, e l’avevano lasciata sola. Sola con i sopravvissuti senza spina dorsale. Sola con decine di ragazzini affamati e feriti.
Bellamy si maledisse per essersi fatto ammazzare come un idiota. Sospirò, nell’oscurità della sua definitiva ed eterna incoscienza. Sentiva gli arti doloranti come fossero ancora vivi, ma non aveva il coraggio di aprire gli occhi e scoprire come fosse la morte. E lui che aveva sperato fosse meglio della vita.
Cercò di tirarsi su, pensando che muoversi da morto non doveva poi essere così diverso dal muoversi da vivo. Si trovò seduto su una superficie dura e fredda e rimpianse lo scomodo agglomerato di coperte che gli aveva fatto da letto nelle ultime settimane.
Aprì gli occhi, si era finalmente arreso all’evidenza di non poterli tenere chiusi per sempre - non quando era un per sempre letterale.
Scoprì che l’oscurità non era poi così fitta come credeva. Tutt’altro. C’era una luce in lontananza e, se non fosse stato tanto sicuro di essere morto, avrebbe detto che fosse la luce del sole.
Si alzò, barcollando sulle gambe doloranti e appoggiandosi alla parete di roccia gelida. Iniziava a pensare che l’essere morti faceva più schifo dell’essere vivi, quando ne ebbe la conferma. La luce fu oscurata da una strana sagoma e Bellamy si immobilizzò.
“Buongiorno, Principessa.”
Quel nomignolo lo riportò inevitabilmente con il pensiero a Clarke. Ce l’avevano fatta? Quanti erano sopravvissuti? Si erano già messi in cammino? Ma non aveva tempo, in quel momento, per preoccuparsi di quello che aveva lasciato indietro.
Bellamy si avvicinò alla figura, che aveva varcato la soglia di quella che, apparentemente, doveva essere una grotta e si era accucciata sul pavimento.
La luce del fuoco illuminò il viso gonfio e violaceo di Finn quando questi incendiò un mucchietto di rami.
“Che cazzo è questo, l’inferno?”
L’imprecazione sfuggì incontrollata dalle labbra di Bellamy, così poté scoprire che la sua voce era rauca e la gola bruciava ogni volta che cercava di schiarirla.
Finn rise. “Il mio, forse” disse, scuotendo la testa.
Bellamy continuò a fissarlo a bocca aperta ancora per qualche minuto, poi si lanciò fuori dalla grotta, aspettandosi una visione infernale, fiamme e demoni a far da padroni; ma tutto ciò che vide - con suo enorme sollievo - furono i suoi amati alberi ed il cielo grigio sopra di loro. Inspirò a lungo l’aria pungente che lo circondava e gli pizzicava il viso. Allargò le braccia, accogliendo con sorpresa e gratitudine la vita che credeva di aver perso. Si inebriò del canto degli uccelli e del profumo di legna bruciata che proveniva dalla caverna, poi cadde in ginocchio e rise forte, liberando tutta la tensione che gli aveva contratto gli addominali, e riempiendo i polmoni di tutta l’aria che riusciva a respirare. Era vivo. Si lasciò cadere completamente, stendendosi a pancia in su, con le gambe e le braccia allargate per sentire la terra nuda sotto di sé. Sentiva dolore in ogni punto del suo corpo, ma non si era mai sentito così bene.
Non l’ho abbandonata, si sorprese a pensare. Non l’ho lasciata sola.
“Pensavo che la botta in testa fosse meno grave.”
Finn lo prendeva in giro con una sfacciataggine che poteva provenire solamente dalla gioia di scoprirsi ancora vivo. La stessa che stava provando lui, per cui Bellamy lasciò correre.
“Cos’è successo?” chiese invece, non accennando ad alzarsi.
“Quando siamo quasi finiti arrostiti, intendi?” chiese Finn, mentre si spalmava una strana poltiglia sulla ferita all’addome.
Bellamy annuì, pur consapevole che l’altro non potesse vederlo.
“Quel bastardo di un terrestre ha provato ad aiutare uno dei suoi, ma uno dei nostri gli ha sparato in testa” fece, con disprezzo per il terrestre e gratitudine per chiunque avesse salvato loro la vita.
Bellamy sperò che si fosse salvato.
“Poi ho dovuto trascinare il tuo culo svenuto fuori dal campo prima che ci cuocessero a puntino.”
Bellamy ignorò ancora una volta la sfacciataggine di Finn, quella ferita doveva bruciargli parecchio, a giudicare dalla sua faccia, ed era una punizione sufficiente.
“Quanto distiamo dal campo?” chiese, tirandosi finalmente su a sedere.
“Non molto” rispose Finn, rimettendosi la maglia ed il giubbotto. “Ma stamattina non c’era più nessuno.”
Bellamy strinse la mascella, reprimendo un’imprecazione. “Non possono essere lontani” disse, più a se stesso che all’altro. “C’erano dei feriti tra di loro.”
Finn scosse la testa. “Non so per quanto siamo rimasti incoscienti.”
Quella confessione lo stordì. Dopo tutto l’entusiasmo che aveva provato per il semplice fatto di essere ancora vivo, era destabilizzante scoprire che rimaneva comunque distante da tutto. Da tutti. Sua sorella era al sicuro con Lincoln, ma dove? L’avrebbe rivista? E Clarke? Cosa le aveva detto di fare l’istinto? Si erano diretti verso il mare, come stabilito? Lo credeva morto?
“Ci mettiamo subito in marcia?”
Il cambio di tono nella voce di Finn gli fece capire che la furia e la rassegnazione erano ben visibili sul proprio volto.
Bellamy si alzò, pronto a cacciare qualcosa da mettere nello stomaco e a prendere dell’acqua. Ma, prima di scendere lungo il fianco della montagna, da cui riusciva a sentire lo scorrere di un fiume, si voltò verso Finn, incrociando le braccia al petto. “Potevi lasciarmi lì” gli fece notare. “Grazie per non averlo fatto.”
Il ragazzo lo guardò con sorpresa, poi con un po’ di sospetto. “Lei non me lo avrebbe perdonato.”
Non c’era bisogno di chiedere a chi si riferisse. L’eco delle urla di Clarke gli tornò alla mente.
 
 
Non gli importava del freddo. Aveva bisogno di un bagno.
Bellamy era coperto di sangue e terra dai capelli agli stivali di cuoio. Aveva tolto i vestiti intrisi di quel liquido rosso che non sapeva più a chi appartenesse - a se stesso, forse, o al terrestre, oppure al coniglio dalla coda nera che aveva appena ucciso.
Era immerso nel fiume fino a metà coscia, scoprendo quanto fosse piacevole l’acqua che turbinava contro i muscoli che chiedevano di riposare. Non c’era tempo di riposare, però. Potevano stare fermi solo per quella notte, per recuperare le forze e studiare un piano, l’indomani avrebbero dovuto mettersi in marcia per ritrovare Clarke. Con un po’ di fortuna, c’era la possibilità che anche Octavia si fosse diretta con Lincoln dai suoi amici vicini al mare.
Lavò via dal viso lo sporco degli ultimi giorni e, dal riflesso spezzato dalla corrente, poté notare che la parte destra del suo viso era terribilmente gonfia e con chiazze violacee. Era ridotto abbastanza male, ma sarebbe sopravvissuto. Passò le mani trai capelli, cercando di lavar via anche i pensieri, ma non serviva a nulla: la sua mente continuava a tornare a quella mattina - di quanti giorni fa?, si chiese. La mattina in cui, a quanto pareva, aveva perso un po’ tutto. In così poche ore era successo così tanto che il suo cervello faticava a ricordare tutto quanto. Cercò di richiamare alla memoria tutti i volti che era sicuro di aver visto al sicuro, tutti i feriti, tutti i ragazzi a terra, senza vita, ma il senso di impotenza, che si trasformava in una schiacciante oppressione all’altezza dello stomaco, bloccava ogni suo pensiero razionale. Tutto ciò che riusciva a ricordare era la freccia nella gamba di Octavia e le urla, le tremende urla di Clarke, seguite dallo stridere dello sportello della navicella. Sarebbe mai riuscito a dimenticare quei suoni? Avrebbe sentito ancora la voce di Clarke che lo chiamava con dolcezza, o quella era stata l’ultima volta in cui le avrebbe sentito pronunciare il suo nome?
Per la prima volta da quando si era svegliato da quella che aveva creduto fosse la sua morte, Bellamy si rese conto di quanti pensieri aveva rivolto a Clarke. Si disse che era normale, perché loro erano quelli che avevano tenuto in vita I Cento, e senza di loro cosa ne sarebbe stato di quei ragazzi? Cosa sarebbe successo ora che Clarke non poteva più contare sulla sua influenza come leader? Sarebbe stata in grado di tenere testa a tutti? Certo che sì, si rispose. D’altronde, era pur sempre la ragazza che aveva tenuto testa a lui.
Bellamy rivolse un sorriso al cielo. I Cento - o quelli che erano sopravvissuti - potevano sempre contare su Clarke. Ma Clarke? Su chi poteva contare lei, ora che lui non era al suo fianco? E lui? Chi gli avrebbe mostrato le altre possibilità? Chi gli avrebbe ricordato di fare l’uomo, prima che il leader, ora che non c’era Clarke?
Odiava ammetterlo, ma erano diventati più necessari di quanto pensasse, l’uno per l’altra.
E detestava dover ammettere ancora una cosa, a se stesso: avrebbe dato qualsiasi cosa per riaverla indietro subito.
 
 
Alla caverna, Finn bolliva qualche erba e teneva alto il fuoco. Non disse nulla quando Bellamy tornò dalla battuta di caccia, mormorò soltanto un mesto “grazie” quando gli passò un pezzo di coniglio ancora un po’ crudo all’interno.
Bellamy accettò di buon grado le alghe che Finn gli aveva bollito per metterle sulla faccia, ma non aggiunse altro.
Non si rivolsero la parola, nemmeno quando si sdraiarono in fondo alla grotta, a pochi passi l’uno dall’altro, immersi nei pensieri che avvelenavano le loro menti.
Probabilmente, si disse Bellamy, anche Finn pensava a Clarke. Pensava a tutte le volte che l’aveva baciata, tutte le volte che lei l’aveva baciato. Bellamy si chiese quante fossero, quelle volte, e poi si chiese perché diavolo gli interessasse.
D’improvviso, disprezzava Finn con tutto se stesso. Non che gli interessasse della vita sentimentale di Clarke – perché lui la vedeva solo come una buona compagna - ma lo urtava terribilmente il modo in cui quello sbarbatello di Finn l’aveva trattata. Sia Clarke che Raven.
“Come avete fatto a legare, voi due?”
Finn l’aveva interrotto proprio quando stava per insultarlo senza un apparente motivo.
“Come hai detto?”
L’aveva colto alla sprovvista, perso in considerazioni inutili, ma che aveva sperato gli portassero sonno.
“Clarke” spiegò Finn. Pronunciò quel nome con una profonda nota di tristezza nella voce. “Perché ci tiene così tanto a te?”
Bellamy gongolò per qualche istante, divertito dal fatto che non fosse l’unico geloso, a quanto pareva; ma si rese subito conto di quanto fosse stupido quel pensiero: lui non era geloso di Clarke, però non voleva che soffrisse.
 “Non ti devo nessuna spiegazione, Spacewalker.
 “Mi basta sapere che non ci proverai con lei.”
Toccò a Bellamy ridere, questa volta.
“Non pensarci nemmeno, Bellamy Blake” rincarò.
Bellamy lo sentì muoversi al buio, come se volesse sembrare più minaccioso.
“E che succede” chiese, “se è lei a baciare me?”
La domanda fluttuò nell’aria, appesantendo l’atmosfera e cessando ogni conversazione.
Ma quel silenzio durò davvero poco. Qualche ora dopo, quando erano finalmente riusciti ad addormentarsi, un suono stridulo, in lontananza, li svegliò entrambi. Gli animaletti del bosco scappavano, terrorizzati da quel segnale metallico.
“Una sirena?”
La voce di Finn giunse assonnata e preoccupata.
“Un allarme” rispose Bellamy.
Si tirò in piedi e si avviò all’uscita della grotta, dove afferrò un ramo dal fuoco, e si diresse verso quel suono. Non aspettò che Finn lo seguisse, sapeva che era dietro di lui, perché quell’allarme poteva significare solo una cosa: guai. E dove c’erano guai, c’era Clarke Griffin.
Bellamy sorrise. Aveva sperato di ritrovarla in fretta, ma non si aspettava un segnale tanto evidente da parte sua.
 
 
Monte Weather. Bellamy si chiese se, alla fine, Clarke avesse deciso di dirigersi al punto in cui si sarebbero dovuti dirigere dall’inizio. Con i terrestri decimati, avevano potuto avere qualche possibilità, ma allora perché provava tutta quell’agitazione mentre si avvicinava alla base militare che probabilmente ospitava i superstiti?
Perché avrebbero suonato la sirena se erano al sicuro? Il fracasso avrebbe potuto attirare qualsiasi cosa, non poteva credere che avessero messo a rischio un posto sicuro solo con la vaga speranza che anche loro ricevessero il messaggio.
Bellamy sentiva il sangue scorrergli nelle vene sempre più velocemente mentre iniziava a sentire le voci di più persone che si dirigevano nella loro direzione.
Passò solo qualche attimo, e un folto gruppo di ragazzi si lanciò in tutta fretta giù per la montagna, travolgendo loro due, che camminavano nel senso opposto.
Bellamy riconobbe qualcuno dei Cento, e sentì Finn chiamare alcuni ragazzi per nome, ma lo ignorarono tutti, troppo concentrati nel correre per salvarsi la vita.
“Dov’è Clarke?”
Il panico nella voce di Finn era facilmente distinguibile. Bellamy continuò a guardarsi attorno, scrutando ogni faccia che correva verso di loro, cercando i suoi capelli biondi.
“Clarke, corri!”
Non era la voce di Finn. Era quella di Jasper.
Bellamy scattò in direzione della voce, subito seguito da Finn.
“Jasper!” chiamò.
Quando lo afferrò per le spalle, il ragazzo lo guardò prima con sorpresa, poi con sollievo e poi ancora con paura.
“Dov’è?” abbaiò Bellamy.
“Tua sorella non era con noi” mormorò l’altro.
“Clarke!” specificò. “Dov’è Clarke?”
Ma prima che Jasper potesse rispondere, Finn corse in avanti, raggiungendo la piccola figura di Clarke e stringendola.
“Finn!” la sentì dire. “Oh, grazie a Dio sei vivo!”
Bellamy lasciò andare Jasper, che non perse un attimo e tornò a correre.
“Che succede?” chiese Finn.
Clarke si portò le mani alla testa. “La base” disse confusa. “Non è vuota. Loro…” si interruppe. I suoi occhi si erano posati su Bellamy, che le andava in contro con calma - sembrava che all’improvviso i suoi piedi non volessero più muoversi.
Clarke lo fissò per qualche istante a bocca aperta, prima di correre verso di lui. Bellamy lasciò cadere la torcia e accolse Clarke tra le sue braccia. L’aveva già toccata, in passato, l’aveva sfiorata più che altro, e si stupì della familiarità che quell’abbraccio riuscì a trasmettergli. Inspirò a lungo il profumo dei suoi capelli, mentre lei gli bagnava il collo con le lacrime.
“Sei vivo” gli disse, come se a lui avesse potuto sfuggire. Gli toccò il viso per assicurarsi che fosse reale.
 “Correte!” urlò loro uno dei ragazzi.
Bellamy non se lo fece ripetere. Afferrò la mano di Clarke, lanciò un’occhiata a Finn e cominciarono a correre.
“Aspetta” gli disse lei, trattenendolo per un attimo.
 “Che succede?” le chiese, in cerca di spiegazioni.
Clarke gli prese di nuovo il viso tra le mani e lo baciò. Bellamy ricambiò il bacio, con una foga che non pensava di provare.
Clarke si scostò, affannata dalla corsa e da quel gesto inaspettato. “In caso tu scompaia ancora” gli disse, prendendogli di nuovo la mano.
Bellamy la trascinò di nuovo nella loro folle corsa, senza chiedersi da cosa scappassero, da chi o perché; l’unica cosa a cui riusciva a pensare, era che sarebbe volentieri sparito di nuovo, se significava ricevere un’altra accoglienza del genere.
 
 




 
 
In ansia per la puntata di stanotte - che sto seriamente pensando di guardare, visto che ormai mancano solo due ore - vi lascio questa one-shot scritta di getto, ma che avevo in mente da parecchio. Io me l’ero immaginata così la riunione tra Bellamy e Clarke - e potrebbe quasi essere un prologo per Just like animals - e spero di vedere qualcosa di simile. O, almeno, spero che si ritrovino già in questa puntata, perché non possono stare ancora separati.
Il titolo c’entra poco o nulla, ma sono in fissa per quella canzone.
 
Se vi fa piacere, fatemi sapere cosa ve ne pare di questo delirio.
PS: se avete prompt, challenge, citazioni su cui volete che scriva una storia, trovate tutti i miei contatti nel mio profilo. Accetto qualsiasi buona ragione per scrivere su questi due :P
 
A presto,
Red.
   
 
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