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Autore: Stars Trail    24/10/2014    3 recensioni
“C’è un motivo particolare per cui hai voluto vedermi oggi, Aomine-kun?”
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Daiki Aomine, Tetsuya Kuroko
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prompt amabile della baekjob: AoKuro. Aomine non è più la luce di Kuroko, ma può ancora essere il suo ragazzo.

È il chiacchiericcio continuo all’interno di uno Starbucks poco lontano dalla Touou a fare da sfondo a quello che altrimenti sarebbe un silenzio troppo imbarazzante da sopportare, per Aomine. Mentre guarda con insistenza le sue dita avvolte in un bicchiere di carta pieno di mocaccino al caramello salato, si chiede chi glielo abbia fatto fare, di chiamare Tetsu quel sabato pomeriggio e dirgli di farsi vivo da quelle parti. Avrebbe potuto spendere il resto della sua giornata in un modo più produttivo - magari dando delle craniate al muro della palestra per riuscire a smettere di pensare continuamente a quegli occhi freddi, magari pregando alla sua testa di smettere di formulare pensieri su pensieri su pensieri, uno più sconveniente dell’altro. Alla fine, è riuscito solo a mandare quel messaggio. Altrettanto alla fine, Tetsu è venuto davvero. E adesso, Aomine non riesce nemmeno a guardarlo negli occhi. Non sa da quanto tempo siano lì, non ha guardato l’orologio quando sono entrati nel locale, né tanto meno ha il coraggio di guardare adesso. Gli sembrerebbe maleducato. Irrispettoso. Tutte cose di cui comunque fino a quel momento non si è mai eccessivamente preoccupato, e di cui adesso si pente amaramente. Respira a pieni polmoni, allargando le narici e facendo finta di star per dire qualcosa per spezzare il silenzio, mentre Tetsu succhia il suo frappuccino alla vaniglia - niente che abbia a che fare con i milkshake alla vaniglia di Majiba, si vede dalla sua espressione appena contrariata mentre tira su la bevanda e la ingoia. Aomine non ha il coraggio di guardarlo negli occhi, ma questo non gli impedisce di perdersi nel colore rosato delle labbra dell’altro.
Deve dire qualcosa. Riprende fiato, stavolta con più determinazione, e si prepara ad articolare la parola più difficile da pronunciare.
“Tets-”
“Ti va se ci spostiamo altrove?” chiede Kuroko, e Aomine si sente spiazzato, con la bocca ancora aperta e una ‘u’ che ciondola dalle sue labbra. Finalmente solleva lo sguardo oltre il naso, solo per scoprire che a quanto pare non è l’unico incapace di poter guardare l’altro negli occhi. Tetsu guarda fuori dalla vetrata che dà sulla strada, tamburella con le dita sul bicchiere di cartone ad un ritmo cadenzato. Aomine stringe le labbra e annuisce con un cenno del capo, ma è quasi certo che Tetsu si accorga del suo assenso solo perché si allunga per prendere la tracolla dalla sedia di fianco a entrambi. Saltano giù dallo sgabello assieme, Tetsu che gli cammina davanti e che saluta con voce ferma i camerieri del locale, lasciandosi poi abbracciare dal freddo invernale di una Tokyo che ancora non ha visto la neve, quest’anno.

Avrebbe dovuto aspettarselo, da Tetsu.
Guarda la sua schiena mentre quello si china sulla sua borsa e ne estrae una palla, e quando si volta per mostrargliela finalmente Aomine incrocia il suo sguardo, e non è una buona cosa, a giudicare dal vuoto che sente nel petto, prima che il cuore riprenda a battere con troppa forza. Avrebbe dovuto aspettarselo, che quel ragazzo fosse ancora capace di leggerlo come se gli fosse entrato in circolo, come se il binomio Aomine-Tetsu, in fondo, non si fosse mai spezzato.
È bello sognare.
“Giochiamo, Aomine-kun.”
E lui esaudisce il suo desiderio. Il rimbalzo della palla sull’asfalto gli provoca un brivido lungo la schiena, il suono degli ansiti di Tetsu mentre cerca di stare dietro al gioco gli capovolge lo stomaco, apre i cassetti della memoria che ha tenuto chiusi per troppo tempo. Il cuore pesa nel petto ad ogni passaggio, ad ogni canestro, perché quel gioco così perfetto gli ricorda qualcosa che adesso è soltanto un ricordo lontano, inarrivabile.
Tetsu non è più la sua ombra, e lui non è più la sua luce.

Non ha idea di quanto tempo passino a giocare - di quanto tempo Aomine perda a chiedersi perché, alla fine, siano dovuti arrivare a separarsi e farsi male, prima di potersi ritrovare. Quella mattina, mandando un messaggio a Tetsu, aveva ben chiare le parole da dire, ma adesso che ha giocato con lui, che ha riassaggiato il sapore di una sintonia che mai avrebbe voluto perdere, ha idea che non ci siano più parole che valga la pena dire. Non servirebbe.
Ci pensa mentre sono entrambi seduti sulla panchina, Tetsu con le ginocchia al petto per non disperdere calore, e lui che con non-chalance gli mette una giacca sulle spalle. Fragile com’è, se lo immagina a combattere con una febbre fastidiosa nel giro di poche ore. E prevenire è meglio che curare, si dice.
Perché non sappia applicare il concetto a se stesso, Aomine non ne ha davvero idea.
Fa per aprire bocca, ma prima ancora di poter pronunciare anche solo una lettera del suo nome, Kuroko lo interrompe, di nuovo. Si volta e aggancia il suo sguardo, spegnendo ogni sua volontà sul nascere.
“C’è un motivo particolare per cui hai voluto vedermi oggi, Aomine-kun?”
Il cuore di Aomine perde un altro battito, che va ad accumularsi agli altri spariti durante il corso della mattinata. Alle loro spalle il sole comincia a sparire dietro i palazzi, e il cielo si colora di un rosa tenue che sfumerà presto nel blu cobalto della notte. Aomine si morde le labbra, si guarda attorno, e si sente come una bestia selvatica in trappola, per rendersi conto poi che alla fine anche lui è stanco di scappare dai suoi stessi pensieri.
“Avevo bisogno di vederti il prima possibile, sì, “ risponde, smettendo di guardare quegli occhi chiari per fissarsi i palmi delle mani. “A dire la verità, non avevo niente di preciso in mente. O meglio, lo avevo, ma ho preferito dimenticarmene fino ad ora.”
Tetsu sorride. Aomine lo vede con la coda dell’occhio, ma tanto gli basta a fargli sentire le guance pizzicare dal calore - sente terribilmente il contrasto, adesso che l’aria è fredda e punge contro la sua pelle. “Hai paura di me, Aomine-kun?”
“Sei un idiota, Tetsu? No che non ho paura di te,” esclama, ma poi si ferma con la bocca ancora aperta, senza respirare, senza fare nulla. Ci pensa due secondi, e quando chiude la bocca realizza che no, non ha paura di Tetsu, ma forse ha paura di qualcos’altro. “È che non so come spiegartelo.”
“Una parola per volta, Aomine-kun. Io non ho fretta.”
Una parola per volta, parla facile lui. Nessuno ha idea di ciò che gli frulla per la testa da quando ha visto il Seirin vincere contro il Rakuzan alla Winter Cup. Nessuno, nemmeno Satsuki - anche se ha avuto la sensazione che non avesse bisogno di ricevere alcuna spiegazione, lei che sembra avere lo stesso talento innato di Kuroko nel leggerlo come un libro aperto. Come si fa a spiegare a una persona a cui hai fatto tanto male che sei un idiota e vuoi rimediare, che non vorresti più la sua amicizia ma qualcosa che probabilmente non potrà darti in ogni caso, e quindi meglio l’amicizia che nulla? Perché se qualcuno glielo avesse spiegato a tempo debito lui ne sarebbe stato felice, ma ha l’impressione che adesso sia un pelo troppo tardi.
“Una parola per volta. Detta così sembra una cosa semplice.”
“Oh no, non lo è. Ma da qualche parte bisogna cominciare, non credi anche tu?”
“Suppongo tu abbia ragione,” risponde rassegnato, e passa a guardare la punta delle sue scarpe, rilassando le spalle e inspirando a pieni polmoni. Conta fino a tre. Dovrebbe bastare, per mettere in ordine qualche parola. Il resto, magari, verrà poi da sé.
“Non so se iniziare dall’inizio, ma credo che a rigor di logica sia la cosa più giusta da fare, no? Beh. Volevo chiederti scusa, prima di tutto.”
“Per cosa, Aomine-kun?”
Aomine solleva un sopracciglio, guardandolo di sbieco. “Lo sai benissimo.”
“Ma io voglio sentirmelo dire.”
Sta rivalutando improvvisamente ogni parola che aveva intenzione di dirgli. Ma in fondo ha ragione lui, inutile che tenti di girarci attorno. “Ok. Ok, d’accordo. Mi dispiace per quello che è successo alle medie. Mi dispiace di averti messo da parte, mi dispiace averti detto che i tuoi passaggi mi erano inutiili. Non volevo ferirti, ma so di averlo fatto. E mi dispiace. Non ho avuto abbastanza coraggio da affidarmi alla squadra. Non ho avuto abbastanza coraggio da affidarmi a te. E credo sia stato l’errore peggiore della mia vita, almeno fino a questo momento, e me ne sono reso conto quando ho iniziato a pensare ad un’altra cosa.”
Si ferma. Deve respirare, e calmarsi, perché sta cominciando a sentire lo stomaco contorcersi e non è una bella sensazione. La mano di Kuroko si allunga sulla sua, ne accarezza il dorso freddo col pollice e Aomine non sa se sia una benedizione o una condanna. “A cosa?”
Deglutisce. Dirlo non sarà assolutamente facile. “Quando vi ho visti giocare la prima volta, tu e Kagami, io non ho provato altro che fastidio. Battervi è stata una magra consolazione rispetto alla sensazione di nausea che sentivo allo stomaco. C’ero io al suo posto, fino a qualche mese fa, ero io che brillavo grazie a te. Quello era solo un idiota che ha avuto la fortuna di incontrarti. Che ha avuto la fortuna di trovare qualcuno capace di tirare fuori il suo potenziale. E lo odiavo, e ho odiato te, per una manciata di ore che mi sono sembrate troppo lunghe, e troppo brutte.” Deve fermarsi, è inutile. Se prova a parlare in continuazione ha paura, non lo sa, di svenire, o piangere, o qualcosa di assurdo per cui no grazie, ha già dato durante quella stupida finale. “Io ero la tua luce, Tetsu. Per quanto possa aver comunicato il contrario, dicendoti quelle parole, io ero felice di essere la tua luce. E non sentirmi più parte del tuo mondo mi ha fatto crollare il pavimento sotto i piedi. Essere bravo, essere forte, tutte cose che non riuscivano ad assopire il dolore della tua mancanza.”
La mano di Tetsu si stringe attorno alla sua. Il pollice ora scorre sul palmo della sua mano, percorre la linea della vita in continuazione. Guarda la sua mano, Tetsu, e in realtà è meglio così per entrambi.
“Ci ho messo un po’, a capirlo. Ma quando l’ho realizzato, l’idea mi ha colpito come un treno in corsa. Sai, Tetsu, io non lo so cosa tu pensi di me. Non so se sono ancora da qualche parte nella tua testa, se mi consideri quanto meno tuo amico.”
“Aomine-kun, ora sei tu a dire idiozie. Tu sei sempre stato nella mia testa. Puoi chiedere a Kagami-kun, se vuoi, lui te ne darà conferma.”
Tetsu sorride, ma continua a non guardarlo. Vede le sue orecchie arrossarsi, ma Aomine non fa domande, perché non se ne sente in diritto. Annuisce con un gesto della testa, si perde per un momento a fissare quel pollice pallido che si muove sulla sua mano, e si lecca le labbra nel tentativo di trovare le parole giuste per dirgli quello che conserva nel cuore da troppo tempo.
“Non gli chiederò assolutamente nulla,” sbuffa, divertito, e quando vede Kuroko sollevare la testa sa che può continuare a parlare. “Insomma, io non so davvero come dirtelo, Tetsu. La verità è che tu non sei mai uscito dalla mia testa. Nemmeno quando ho provato a cacciarti. Sei rimasto lo stesso. E io mi sono aggrappato a quel pensiero, anche se l’ultimo ricordo di te è la tua faccia piena di lacrime. Forse è stato quello a darmi la forza per capire, io non ne ho davvero idea ma… Tetsu. Io non sono più la tua luce.” Si ferma. Respira. Trattiene l’aria. La butta fuori e ricomincia. Kuroko lo osserva con una curiosità che quasi sembra famelica, pende dalle sue labbra come se dalle sue parole dipendesse la sua vita - quello che poi Aomine pensa per sé. Riempie i polmoni d’aria e va avanti. “Io non sono più la tua luce, ma mi chiedevo se… se potessi tornare a far parte della tua vita. Come prima.”
“Non sei mai uscito, Aomine-kun.”
“Oh, Cristo, non è questo che volevo dire.” Aomine si gratta la testa con nervoso, e si guarda attorno per cercare di nuvo la via di fuga. Si ricorda che non può scappare solo perché Tetsu gli stringe la mano, adesso, ed è così piccola e calda che vuole tenerla sempre stretta alla sua, sempre, sempre, sempre. “Quello che volevo chiederti era se ci fosse la possibilità di… essere qualcosa di più, che un amico. Voglio essere ancora la tua luce ma… non nel senso di prima.”
C’è un momento di silenzio così imbarazzante che Aomine medita se sia il caso di suicidarsi nel modo più rapido possibile per scappare all’umiliazione a cui sta rovinosamente andando in contro. Ma poi Tetsu ride, ed è una risata così dolce, così pacata e contenuta che Aomine non può impedirgli di continuare. Si incanta a fissarlo con le orecchie che ormai vanno a fuoco e la mano che si stringe ancora di più attorno a quella pallida di Kuroko, aspettando che dica qualcosa. Qualunque cosa.
“Aomine-kun, mi stai chiedendo di essere il mio ragazzo?”
Odia la sua schiettezza. E la ama, ma questo è un altro discorso. Alza gli occhi al cielo ed evita il suo sguardo - medita di farlo per tutta la vita, da questo momento in poi.
“Qualcosa del genere,” borbotta. E quando fa per arrendersi al fatto che ha dato a Tetsu un motivo per prenderlo in giro fino alla fine dei tempi, questo gli prende li viso tra le mani - una è meravigliosamente calda, l’altra così fredda da fargli venire l’impulso di stringerla tra le sue - e lo costringe ad abbassarsi. Gli occhi di Tetsu brillano come la neve accarezzata dalle prime luci del mattino, azzurri e pallidi, eppure così caldi da farlo quasi sciogliere.
“Non sei mai andato via dalla mia testa,” gli ripete, sorridendo, “né dal mio cuore. L’unica cosa che mi ha permesso di arrivare fino a questo punto è stata la voglia di vederti sorridere ancora una volta giocando. E ci sono riuscito, ed è il regalo più grande che potessi farmi. Sei nel mio cuore, Aomine-kun. Lo sei sempre stato.”
Sorride. Vorrebbe piangere, al momento, ma crede che sorridere basti e avanzi. Il resto lo fa il suo cuore che batte all’impazzata, il resto lo fa il sorriso di Tetsu che lo scioglie dall’interno.
“Questo è un sì, Tetsu?”
“Potrebbe,” risponde l’altro, poggiando la testa contro la sua.
E a Aomine tanto basta.

   
 
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