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Autore: EmmaStarr    24/10/2014    3 recensioni
Gli Alati sono immense creature bianche come la neve, scintillanti nell'oscurità, dagli occhi neri come pozze d'onice. Queste bestie furono usate da Capitol City per sedare le rivolte negli anni immediatamente precedenti gli Hunger Games, in particolare nel Distretto 4. Uscirono dall'acqua a decine senza che nessuno se ne accorgesse in tempo e distrussero ogni cosa con le loro fauci ricche di denti acuminati e le loro ali possenti capaci di scatenare immense trombe d'aria.
* * *
Fortunatamente gli Alati non esistono più... o almeno così sembrava prima che la giovane Vincitrice del Distretto 4 Annie Cresta non ne trovasse uno nella foresta.
Cosa succederà? Riuscirà a prendersi cura di questo strano animale? E se questo, un giorno, dimostrasse la sua vera natura?
* * *
Una cosa che Annie imparò subito era che il suo Alato non volava di giorno. Mai, in nessun caso. Effettivamente era pericoloso, e se qualcuno li avesse visti sarebbero stati guai. Ma Annie pensava che ci fosse un motivo più importante, legato al fatto che, beh, di giorno non si vedevano le stelle.
* * *
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Genere: Azione, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Cresta, Finnick Odair, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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– Ho un segreto.

– Tutti hanno dei segreti, Annie.

– Sì, ma il mio è diverso da quelli degli altri, il mio è speciale.

– Ah, sì? Allora dimostramelo.

 

 

Il vento delle stelle

 

 

 

Gli Alati sono immense creature bianche come la neve, scintillanti nell'oscurità, dagli occhi neri come pozze d'onice. Queste bestie furono usate da Capitol City per sedare le rivolte negli anni immediatamente precedenti gli Hunger Games, in particolare nel Distretto 4. Uscirono dall'acqua a decine senza che nessuno se ne accorgesse in tempo e distrussero ogni cosa con le loro fauci ricche di denti acuminati e le loro ali possenti capaci di scatenare immense trombe d'aria.

Il corpo ricoperto da squame gli permetteva di vivere sia dentro che fuori dall'acqua, ma era evidente che il loro elemento fosse l'aria: volavano senza mai stancarsi fin sopra le nuvole, e sembravano destinati a colonizzare il mondo intero.

Ben presto Capitol City intuì di aver osato troppo: un potere del genere avrebbe potuto seriamente distruggere l'intero paese, e loro avevano bisogno di una popolazione su cui comandare. Infettarono uno di loro con delle particolari sostanze chimiche che ne alterarono il cervello e lo rese più docile all'uomo, più incline a seguire gli ordini. Quell'unico esemplare infettò poi buona parte della sua razza, ma qualcosa andò storto: gli Alati iniziarono a morire a decine, tra atroci tormenti e sofferenze. Ben presto di tutti gli esemplari non rimase più nulla.

Annie chiuse il libro con un tonfo sordo e si lasciò cadere a peso morto sul letto: non ne poteva più.

Quando aveva chiesto a Bluebell un libro qualsiasi sugli Ibridi, non si sarebbe mai aspettata di trovare subito quello che le interessava. Solo che, così... – E adesso cosa dovrei farne di te, eh? – domandò, fissando con aria di rimprovero il piccolo fagottino bianco che stava rannicchiato in fondo alla stanza.

Lo aveva trovato il giorno prima, nella foresta. Era in mezzo al sentiero, ancora bagnato fradicio come se fosse appena uscito da un uovo. Stava per fuggire terrorizzata quando un suono acuto e nuovo catturò la sua attenzione: il cucciolo stava... piangendo?
Annie gli si era avvicinata, circospetta: quell'affarino era tutto bianco, squamato, con piccole zampette e qualche lembo di cartilagine tutta accartocciata intorno al corpo. Ali, indovinò la ragazza dopo qualche istante. Come un piccolo drago bianco.

Annie ricordava con dovizia di particolari tutte le storie che i vecchi erano soliti raccontare in piazza nelle notti d'estate, storie di cavalieri, draghi e principesse, ma non avrebbe mai immaginato di trovarne uno vivo, piccolo, indifeso. Poi, improvvisamente, il cucciolo aveva smesso di piangere e aveva aperto gli occhi. Occhi neri, neri, neri, così diversi da quelli verdi di Finnick. Eppure, l'avevano catturata: non la guardavano come una pazza, un pericolo pubblico, come “la Vincitrice matta” o “quella da evitare”. La fissava, e basta.

Annie sapeva che la stragrande maggioranza delle persone, al suo posto, avrebbe girato i tacchi all'istante. Annie sapeva che era da pazzi recuperare un animale non meglio identificato dal corpo umido e dall'odore pungente senza sapere nemmeno se portava malattie o cose del genere. Eppure lui la stava fissando e onestamente, Annie aveva visto cose ben più pericolose, nella sua vita: aveva partecipato agli Hunger Games, trovandosi testimone oculare di cose indescrivibili e orribili che ancora la facevano urlare nel mezzo della notte; aveva continuato a sentire il sangue dei Tributi morti sulle mani per tanto, tanto tempo e aveva continuato a udire suoni orribili ogni volta che il suo cervello la riportava a quei giorni di terrore. Ma per certi versi questo costituì un vantaggio: essendo una Vincitrice, Annie aveva una casa tutta sua a soli diciotto anni, quindi non si fece troppi problemi a raccogliere quel cosino tremante e bagnaticcio e portarselo a casa. Poi era andata dritta in biblioteca a chiedere un libro sugli Ibridi, o sui draghi, o sugli animali in generale. Bluebell, la bibliotecaria, l'aveva fissata in modo strano, poi però si era stretta nelle spalle e l'aveva accontentata. A Annie piaceva, quella ragazza: non parlava molto, ma osservava tutte le persone che venivano fino alla sua biblioteca da dietro i suoi occhialetti rotondi. E sapeva sempre darti il libro giusto in ogni occasione. Lei lo sapeva perché, data la sua popolarità tra gli abitanti del suo Distretto, passava la maggior parte del suo tempo libero a leggere.

Annie dedicò ancora un'occhiata al cucciolo che ora stava iniziando a muovere la coda con aria curiosa, poi si impose di concentrarsi sulla lettura.

Gli Alati avevano causato danni immensi, e questo è un dato di fatto che non può essere in alcun modo cambiato. Ma nel momento in cui furono infettati, qualcosa in loro cambiò. Non erano divenuti più docili come era stato previsto, ma avevano acquisito una sorta di empatia con gli umani : alcuni ritenevano che capissero addirittura quello che gli veniva detto. C'è chi afferma che fu proprio la disperazione che provarono alla consapevolezza del dolore che avevano provocato verso gli umani a ucciderli.

Annie sorrise. – Ah, allora mi capisci? Mh?

Il cucciolo però sembrava aver perso interesse per lei, preso com'era a inseguirsi la coda. Dal suo musetto di neonato sembrò uscire un suono simile a una risata, e fu in quell'istante che Annie decise di tenerlo con sé. Aveva sempre sognato di avere un segreto tutto suo, in fondo.

 

* * *

 

 

– Un... drago.

– Alato, si dice Alato!

– E ti aspetti che io ci creda?

– Sei tu che mi hai chiesto perché...

– Oh, racconta e basta, va bene? Poi deciderò se darti retta.

 

 

 

 

Continuava a crescere.

Annie all'inizio aveva sperato di poterlo tenere in casa, magari un po' nascosto, ma realizzò quasi subito che non era possibile: nel giro di un mese la sua stazza si era già praticamente quadruplicata, tanto da arrivare tranquillamente a sfiorarle la testa con il capo. Inoltre, il non-più-tanto-cucciolo pareva intenzionato a distruggerle la casa. – È un bene che mi credano già pazza, sai? Non gli interesserà sapere che spacco anche i mobili. Però tu datti una calmata – lo implorava quando, dopo inseguimenti rocamboleschi e fughe impazzite, riusciva a stringerlo affettuosamente tra le braccia.

Ebbene sì: Annie intratteneva con il drago più discorsi di quanti non ne avesse in realtà con le persone che le stavano intorno. Era inutile: quando la guardava con quei suoi occhi così neri, Annie non riusciva più a ragionare lucidamente. – Sei proprio un disastro, eh? – sospirò, divertita. – Ma non posso tenerti in casa, se continui a fare queste cose. Non fraintendermi, non è che io ti stia cacciando. Non potrei mai, sai. È solo che ti devo trovare una tana. Voi Alati non stavate bene nei boschi?

Il giorno successivo, i due partirono per una spedizione nella foresta che iniziava subito dietro la spiaggia, poco lontano dalla casa di Annie. – Vedrai, ti troverò un posto comodo e sicuro – assicurò, sorridendo incoraggiante. – Per te sarà meglio, visto che vivrai nella natura eccetera. E verrò a trovarti tutti i giorni, eh! Tanto, nessuno si accorge se sono a casa o fuori. Per di più, tra poco arriverà Finnick, sai, stava facendo il Mentore. Oh, ti ho mai parlato di quella volta che...

Il punto era che lui la ascoltava. E non era soltanto questo: sembrava proprio che la capisse. Annie non sapeva da dove fosse uscito, né se possedesse ancora nei suoi geni quel virus che la sua razza aveva contratto e che gli permetteva di capire il suo linguaggio. Però di una cosa era certa: aveva bisogno di lei. Era l'unica creatura al mondo ad avere bisogno di lei, e Annie non poteva in nessun modo ignorare questo fatto. – Lo sai che ti voglio bene, vero? – sussurrò, accarezzandogli quasi goffamente il muso umido e bianco.

Non era stato facilissimo prendersi cura di lui, all'inizio. Annie non aveva idea di cosa mangiasse, né di come impedire che scappasse via o di come trattare i suoi bisogni. Eppure, si era intestardita a non abbandonarlo, a non arrendersi, e si era irrimediabilmente affezionata al suo piccolo drago bianco, tanto che l'idea di rinunciarvi era semplicemente intollerabile.

Quello agitò la coda con convinzione, e Annie lo prese per un cenno d'assenso. Soddisfatta, riprese a camminare. Alla fine, verso mezzogiorno, raggiunsero una piccola collinetta circondata da alberi bassi e larghi, su cui Annie poteva arrampicarsi facilmente. In cima c'era uno spiazzo abbastanza largo perché si potesse stare comodi, invisibile da fuori ma piuttosto ampio, ricoperto di erba e muschi. – Oh, che ne dici di qui?

L'Alato drizzò la testa e iniziò a guardarsi intorno, estasiato. Annie lo aveva già portato diverse volte nella foresta, ma mai così in profondità, mai per tutto quel tempo. La zona, i colori, i profumi... tutto gli stava evidentemente dando alla testa. Annie rise di cuore nel vederlo correre in tondo, entusiasta. – Allora da oggi vivrai qui, va bene?

Passarono la giornata a rendere più confortevole il luogo che avevano scelto, poi, quando il sole iniziò a calare, Annie dovette congedarsi. – Oh, dai, lo sapevi già che me ne sarei dovuta andare! – protestò quando l'animale le si attaccò con forza al vestito. – Su, non fare così. Domattina torno, va bene?

Con un mugolio di protesta, il drago si accucciò a terra lasciandosi accarezzare. – Dai, così, bravo. Non possiamo mica lasciare che tutti scoprano di te, non credi? – Annie lo sapeva, che gli Alati non erano visti di buon occhio dagli abitanti del Distretto 4. Alcuni, i più anziani, ricordavano ancora la distruzione che avevano portato.

Fece per voltarsi, quando il piccolo la strattonò ancora più forte, fissandola con trasporto. – Dai, non... non possiamo, lo capisci che... – tentò Annie, combattuta. Che sguardo, con che sguardo la stava implorando di non andarsene! – Immagino che potremmo... potrei... dormire qui con te? Una notte sola? – azzardò alla fine Annie, sospirando. Una notte nella foresta. Poteva farlo, in fondo: ogni tanto le era capitato di bivaccare fuori casa con Finnick, da piccoli. E così almeno il suo drago si sarebbe abituato. Immediatamente, il piccolo prese a saltellare per la gioia.

Annie sorrise, intenerita, e prese a sistemare un giaciglio anche per sé.

 

* * *

 

 

– Cioè, sei rimasta davvero?

– Cerca di capire, non potevo mica lasciarlo lì! Avresti dovuto vedere come mi guardava... E poi, non è come se qualcuno mi stesse aspettando a casa.

– Va bene, va bene, non importa. E poi? Cos'è successo?

– Ah, ma allora ti interessa!

– … Continua e basta.

 

 

 

 

 

Fu il suono a svegliarla, quella notte.

Di recente, ormai, Annie faceva sempre lo stesso incubo: ogni volta che chiudeva gli occhi tornava nell'Arena, nel terrore di quei giorni, nella sfumatura rosso sangue che aveva ogni cosa. Erano sogni vividi, senza un vero e proprio filo logico, fatti di suoni assordanti e di immagini orribili.

Eppure, quella notte, Annie si ritrovò strappata dal sonno a causa di un suono particolare: come una nota bassa e continua, come lo sciabordio un'onda lontana, come una goffa e roca dichiarazione d'amore. Ma c'era di più: in certi momenti era come una risata argentina, come il tintinnare di un campanello dorato, come il sussurro di una cascata di diamanti. Era il suono del vento e delle stelle.

Spalancò gli occhi, alzandosi di scatto a sedere. – Ma cosa... – E poi lo vide. Vide il suo drago, le ali spalancate contro le stelle della notte, spiccare il volo.

Era uno spettacolo talmente belle ed emozionante che Annie dovette ricordarsi di respirare, tastando la terra dietro di sé per non crollare dallo stupore. Effettivamente, a meno che non piovesse, aveva sempre lasciato il suo Alato fuori per la notte, ma non immaginava che... insomma, come poteva prevedere che avrebbe imparato a volare?

Muoveva le ali con un'eleganza affascinante, e lo spostamento d'aria causava quel suono che Annie aveva sentito prima. – Il vento delle stelle... Starwind! – esclamò a mezza voce Annie, sconvolta. Come se l'avesse sentita, il drago atterrò fluidamente accanto a lei. – È... è così che ti chiami, vero? Starwind. Non sapevo che potessi volare! Cioè, sì, lo sapevo -hai le ali-, ma non immaginavo che l'avresti fatto così presto! Oh, è fantastico, vero? Starwind, Starwind. – Ripeté un altro paio di volte il nome per assimilarne il suono, per farlo suo. Aveva volutamente aspettato per decidere il nome del suo Alato, aveva aspettato di trovare l'ispirazione giusta, il momento perfetto. Ed eccola lì, commossa ed emozionata, a guardare il suo drago che volava libero e padrone dell'aria.

Quello pareva soddisfatto del suo nome, e gonfiò il petto con orgoglio. Poi, inaspettatamente, si voltò e agitò il corpo, come a invitare Annie a salirci sopra. – I-io? Ma no, sono troppo pesante, non... – cercò di fermarlo lei, ma il drago insistette ancora più intensamente. Alla fine, titubante, la ragazza si mise a cavalcioni del corpo liscio e fresco del suo drago.

Strano come in un solo mese fosse diventato tanto grande, si sorprese a notare. Eppure, in quegli occhi che l'avevano convinta a prenderlo con sé, non era cambiato affatto.

Fece appena in tempo a stringersi goffamente attorno al suo collo, che Starwind allargò le ali e prese il volo.

 

* * *

 

– E poi?

– Oh, è stato fantastico... non so davvero come raccontarlo.

– Starwind, eh?

– È il suono che faceva mentre volava, giuro. Come vento e stelle, niente di più, niente di meno. Ed essere lì... sentivo il vento sulla pelle e le stelle negli occhi. Poi, di colpo, tutto mischiato insieme: stelle e vento sia dentro che fuori di me, una specie di armonia cosmica. È stato assurdo... e bellissimo, davvero. La melodia più bella del mondo. Il vento delle stelle.

– Credo... credo di capire. Un po'.

– Sul serio? Ma dai, allora magari un giorno ti farò provare, che ne dici?

– C-cosa?

– Beh, hai detto di capire. Non è mica da tutti, sai.

– Sai cosa? Continua e basta. Il giorno dopo l'hai rifatto?

 

 

 

Una cosa che Annie imparò subito era che Starwind (ormai si era abituata a pensare a lui con quel nome) non volava di giorno. Mai, in nessun caso. Effettivamente era pericoloso, e se qualcuno li avesse visti sarebbero stati guai. Ma Annie pensava che ci fosse un motivo più importante, legato al fatto che, beh, di giorno non si vedevano le stelle.

– Ho chiesto a Bluebell un altro libro, e ho scoperto che anche i tuoi parenti spuntavano fuori solo di notte. Però erano ben visibili lo stesso, perché sai, erano bianchi – raccontò Annie mentre lo accarezzava distrattamente. – Piuttosto... domani torna Finnick, sai? Quest'anno gli Hunger Games sono durati tantissimo, però ormai può tornare indietro. Il suo Tributo ha vinto, sai? Si chiama Bryan. Sua madre sarà contenta, l'ho vista alla Mietitura che piangeva. Ho provato a consolarla, ma mi ha cacciata via. La gente non mi vuole vicina perché pensano che io sia pazza. Tu pensi che io sia pazza? – lo interrogò, concentrata. Starwind emise uno sbuffo a metà tra una risata e un verso di godimento, e Annie rise mentre iniziava a grattargli la pancia. – Ah, beh, grazie. Comunque, dicevo, tornerà Finnick. Stavo pensando se... se non è il caso di dirglielo, sai. Di te. – L'Alato drizzò immediatamente la testa, attento. – Lo so, lo so, lo so! Ma Finnick è una brava persona – si precipitò ad assicurare Annie, convinta. – Vedrai che ti piacerà da matti. È forte, e divertente, e gentile! È l'unico che non dice mai che sono pazza – aggiunse poi, il tono di voce quasi impercettibile. – Glielo posso dire? Se non vuoi prometto che non ti vedrà mai volare.

Starwind si limitò a sbuffare forte, lasciandosi poi cadere a peso morto nell'erba, dove Annie poté riprendere ad accarezzarlo. – Oh, grazie, grazie mille! – gioì la ragazza.

Aveva imparato a interpretare alla perfezione ciò che si nascondeva dietro le sfumature di quelle iridi d'onice, e sapeva per esperienza che quando la guardava con quel guizzo di divertimento e affetto, la risposta era sì.

 

* * *

 

– E così gliel'hai detto? A Finnick. Finnick Odair. Gliel'hai detto davvero?

– Oh, sì. Sai, è la persona che amo di più sulla faccia della Terra.

– Sì, sì. E lui come l'ha presa?

– Mmmh... Stoicamente, direi. Non è svenuto né niente.

– Era almeno un po' sconvolto? Cioè, dai! Scopri che mentre non c'eri la tua ragazza alleva un cucciolo di drago...

– Un Alato...

– … e non reagisci in nessun modo? Niente niente?

– Beh, si è messo a ridere e ha detto che era proprio da me.

– E poi si chiedono perché sia il preferito delle ragazze di Capitol City.

– Eh?

– Niente, niente. Quando arriva la parte che mi spiegherà...

– È adesso, è adesso. Ancora una attimo.

 

 

 

* * *

 

Con anche Finnick dalla sua, Annie non poteva essere più felice. I due passavano le giornate al Distretto 4 come sempre, per non destare sospetti. Poi, a metà del pomeriggio, scappavano verso la foresta e raggiungevano Starwind, che li aspettava sempre con entusiasmo. Rimanevano lì fino a tardi, mangiando la cena che si erano portati da casa, e aspettavano la notte. Quando le prime stelle spuntavano all'orizzonte, allora l'Alato iniziava a fremere dall'emozione: incapace di trattenersi, spalancava le ali e spiccava il volo nel cielo notturno, in una sorta di danza aggraziata e potente tra il vento e le stelle.
Anche Finnick, che non aveva la stessa affinità di Annie con i suoni del vento e delle stelle e di tutte quelle strane cose di cui parlava lei, dovette riconoscere che c'era davvero qualcosa di magico nel modo in cui spostava l'aria intorno a loro. Poi Starwind tornava giù e prendeva sulla sua groppa Annie, e a volte anche Finnick. Volavano in spericolati avvitamenti e rilassanti rettilinei, respirando a pieni polmoni l'aria della notte e riempiendosi gli occhi della luce delle stelle.

Annie amava tutto di quei momenti: amava la notte, le stelle, il vento, la foresta e tutta l'atmosfera magica e spettacolare che si creava ogni volta. Amava Finnick, perché era lì con lei e non la giudicava per essersi fatta amica di un essere che, una volta, avrebbe portato solo distruzione e morte. E poi, insomma, parlavano di Finnick: Annie non riusciva a trovare un solo motivo per cui avrebbe mai potuto non amarlo. E amava Starwind, amava la sua forza, la sua bellezza, la sua presenza e i suoi occhi, così veri e belli, così sinceri e giusti.

Era anche capitato che lei e Finnick facessero l'amore in quel prato, certe notti, mentre Starwind dormiva o era lontano a volare. Era profondo, emozionante, sapeva di libertà più che ogni altra cosa: Annie cercava di godere appieno dalla bellezza di quei momenti, dall'amore infinito che scaturiva dal corpo di Finnick premuto contro il suo, dal fiato di lui che le solleticava la pelle e i seni.

Eppure, come tutte le cose nella vita di Annie, quella perfezione non era destinata a durare.

Accadde in un pomeriggio di nebbia e nuvole basse. Annie e Finnick erano andati a trovare Starwind un po' più presto del solito, prevedendo che quella sera non si sarebbero fermati troppo a lungo.

Eppure, una volta arrivati al solito posto, scoprirono che dell'Alato non c'era traccia.

– Dove può essere andato? – quasi gridò Annie, spostandosi freneticamente da un angolo all'altro della radura.

Finnick le posò le mani sulle spalle, deciso. – Stai calma – ordinò. – Non può essere andato lontano, lo sai che non vola mai di giorno. Lo troveremo – affermò col tono più sicuro e convincente che riuscì a racimolare.

Passarono tutto il pomeriggio alla ricerca dell'Alato, e stavano seriamente per rinunciare: Annie era davvero distrutta, ma erano entrambi congelati e stanchi, e non aveva senso continuare la ricerca al buio. Ma proprio in quel momento... – Eccolo! – urlò Annie, mettendosi a correre in avanti.

Finnick, che non vedeva assolutamente niente, le corse dietro finché non si fermarono -varie decine di metri più avanti- di fronte all'imboccatura di una grotta.

– Starwind? – sussurrò Annie, esitante.

Finnick la prese istintivamente per mano, pronto a difenderla da qualunque cosa. Stava per chiederle come diavolo avesse fatto a sapere dove correre (anche se sentiva di potersi ragionevolmente aspettare una risposta come “ho sentito il suo suono” o cose del genere), ma si interruppe di colpo: dentro la grotta stava un immensa figura bianco accecante, ben più grande di Starwind, ma altrettanto liscia e squamata.

Avevano spesso fatto congetture sull'origine del loro piccolo Alato, ovviamente: Annie ipotizzava che qualcuno potesse aver tenuto da parte un uovo, credendolo un fossile o cose del genere, per poi buttarlo via nella foresta. Finnick invece propendeva più per l'ipotesi di una stirpe non del tutto estinta di Alati, magari dotati di un maggiore autocontrollo o infettati in maniera minore. Annie però si dimostrava sempre contraria. – Forse aveva una madre, va bene – concedeva a volte. – Però, se anche fosse, ormai è morta. Nessuno abbandonerebbe il proprio figlio a piangere in mezzo al bosco, è troppo malvagio!

Eppure, quello era senza dubbio un Alato completamente sviluppato, e Starwind stava davanti a lui.

– Mi hai fatto preoccupare, stupido! – gemette Annie, pestando i piedi a terra e cercando di trattenere le lacrime.

Fu solo in quell'istante che l'Alato sembrò accorgersi di lei, e voltò la testa, confuso. – Non scappare mai più, capito? – continuò Annie, incurante della figura bianca e possente all'interno della grotta.

– Annie, – cercò di avvisarla Finnick, vagamente preoccupato, – non pensi che dovremmo... – alluse col mento all'Alato più grande, e fece un passo esitante verso di lui.

Annie fu immediatamente al suo fianco, stringendogli la mano, ed entrambi si avvicinarono un po' alla figura nella grotta. – Mi scusi, signor Alato! – chiamò Annie, incerta. – Volevo chiederle, se non è di troppo disturbo, se possiamo portare Starwind con noi. Sa, l'ho cresciuto io, lo conosco da quando è nato e... ma sta bene? – Annie inclinò il capo, spiazzata: effettivamente, l'animale sembrava parecchio immobile. – Finnick, respira?

Il ragazzo si avvicinò esitante all'Alato, poggiandogli una mano sul petto, poi lo osservò con attenzione. – Pare di no... – commentò, confuso. – È fermo, e ha gli occhi chiusi. – Fece un profondo respiro. – È morto, Annie. Ma è successo da poco, è ancora caldo.

La ragazza portò una mano alla bocca, sconvolta, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. – Ma... – Si voltò di scatto verso Starwind, circondandogli il collo con un braccio, e gli posò le labbra sulla nuca. – Non essere triste, non essere triste, non essere triste.

Siamo noi la tua famiglia.

 

* * *

 

– No, non ho capito il senso di questa parte. Era... uno dei genitori di Starwind?

– Mah, a dire il vero non lo abbiamo mai capito neanche noi. Forse era sua madre, forse lo aveva aspettato per tutto quel tempo prima di morire, forse lo aveva abbandonato perché aveva voluto metterlo al sicuro. In realtà, noi speravamo di poter dimenticare la cosa in fretta.

– Trovate un Alato morto in una grotta e sperate di poter... dimenticare la cosa?

– Lo so, ma... cos'altro avremmo potuto fare? Però, c'era qualcosa di strano. Starwind non giocava più con me, dimagriva a vista d'occhio, e la notte... non voleva più volare.

– I-in che senso, scusa?

– Si stava lasciando morire, come i suoi parenti prima di lui. L'idea che ci siamo fatti io e Finnick è che, prima di morire, l'altro Alato -sua madre, quello che è- gli abbia rivelato la vera natura della sua specie, la loro natura di morte. Gli Alati sono Ibridi volti all'uccisione e alla distruzione, dopotutto.

– Ma Starwind era diverso, lui non aveva ucciso nessuno!

– Sarà, ma il difficile era farglielo capire. Si sentiva colpevole già solo per essere nato, capisci? Non sapevo cosa fare...

– E allora sei andata in biblioteca.

– E allora sono andata in biblioteca.

 

 

 

 

La situazione era seriamente drammatica. Annie non poteva in nessun modo permettere che Starwind morisse, com'era accaduto a tutti gli altri Alati. Sul libro che Bluebell le aveva dato con un'occhiata indagatrice, non sembrava che ci fossero casi di Alati sopravvissuti.

Nel momento in cui il virus entrava in contatto con l'organismo, gli Alati li lasciavano morire a causa dei sensi di colpa che non potevano in alcun modo essere estirpati, quali che fossero i crimini compiuti dal singolo Alato. Si pensò di fermare la strage rimuovendo il virus, ma il rischio era troppo elevato: senza controllo com'erano, avrebbero senza dubbio devastato l'intera nazione.

Annie allora aveva cercato un modo per curare il virus, per rimuoverlo, e al diavolo tutto. Alla fine, dopo aver analizzato decine di volumi, trovò una piccola annotazione in fondo a una pagina.

Le sostanze chimiche iniettate all'interno dell'animale hanno un unico antidoto, che è sorprendentemente simile a quello che si usa per curare i gravi casi di glaucoma.

Dopo l'ennesima puntata in biblioteca, Annie scoprì che il glaucoma era una malattia agli occhi. Beh, ma questo non risolveva il problema! La ragazza stava davvero per crollare nella disperazione più totale: possibile che la sua vita dovesse per forza essere costellata di dolore, perdite e tristezza? Cos'aveva fatto di male per meritarsi una sorte del genere, dove non faceva che svegliarsi in preda agli incubi più atroci che ormai, oltre alle solite immagini devastanti, presentavano anche il corpo senza vita del suo Starwind?

Quando però mostrò il risultato delle sue ricerche a Finnick, quello inarcò un sopracciglio. – Ho già sentito parlare del glaucoma. Se non sbaglio, ne è affetta quella tipa, la bibliotecaria. Com'è che si chiamava? Rose? Violet?

– Bluebell! – esclamò Annie, entusiasta. – Dici che possiamo? Possiamo chiederle di fornirci un po' della sua medicina per Starwind? – Il suo tono però si incupì di colpo. – Ma, anche se riuscissimo a curarlo... Non pensi che diventerebbe pericoloso? Insomma, magari smetterebbe di capire quello che dico. Magari inizierebbe a distruggere ogni cosa. È un rischio, però... – gli occhi le si riempirono di lacrime. – Però non voglio che muoia!

Finnick la abbracciò, protettivo. – Sta' tranquilla, Annie. Ascolta: tu l'hai trovato che era solo un cucciolo e l'hai cresciuto come fosse figlio tuo. L'hai nutrito, l'hai coccolato, hai volato con lui: il virus che ha la sua specie non può influire su queste cose. Magari può amplificare la sua empatia con noi, ma anche togliendo tutto ciò lui non potrà non volerti bene.

Annie tirò su con naso. – Ma se...

– Credi davvero che il Distretto resterà a guardare mentre viene assalito da un Ibrido? Andiamo, è uno solo, e anche giovane: se dovesse andare completamente fuori di testa, lo uccideranno. Ma se cerchiamo il rimedio c'è anche la possibilità che, invece, si salvi. Il concetto è che si sta lasciando morire per via della troppa empatia, Annie! Probabilmente lo stare con te ha fatto prolificare all'infinito il virus, e ora è fin troppo sensibile. Curandolo elimineremo l'eccesso, niente di più. I suoi sentimenti per te saranno gli stessi. Andiamo, se non ci proviamo morirà ugualmente! – Finnick la guardò con apprensione, e Annie capì che anche lui si era affezionato da impazzire a Starwind. Non poteva sopportare l'idea di perderlo, esattamente come lei.

Annie abbozzò un sorriso. – Vado a chiedere a Bluebell?

Finnick annuì. – Devi essere tu a decidere. Tieni presente che è un farmaco molto costoso e difficile da reperire, tanto che va ordinato con mesi di anticipo, quindi la bibliotecaria potrebbe non essere esattamente incline a dartelo senza spiegazioni. Dovrai essere pronta a inventarti una scusa convincente, o a spiegargli tutto – azzardò, incerto.

Annie annuì con decisione. – Le dirò la verità – disse con sicurezza. – Se lo merita. Ah, Finnick... – sorrise. – Quando sistemeremo un po' tutto, che ne diresti di... uhm... te la cavi bene come papà, sai? – rise, e corse via, senza aspettare la risposta impacciata e sconvolta di Finnick.

Avrebbero approfondito in seguito l'argomento figli, perché Annie era sicura che Finnick li volesse tanto quanto lei, ma non ora: aveva un segreto da rivelare.

 

* * *
 

* * *

 

– … Ed è per questo che ho bisogno del tuo aiuto! – conclude Annie, fissandomi disperata.

Allora, intendiamoci. Come reagireste voi, se di punto in bianco vi si presentasse davanti a casa una ragazzina che pretende una discreta quantità di Eyetreat per, e cito a memoria, curare il suo drago da un virus impiantatogli dall'uomo perché evitasse di distruggere il mondo.

Io sono sempre stata una ragazza logica, credo solo in quel che vedo. Lavoro alla biblioteca da quando avevo quindici anni, visto che mio padre è bloccato a letto e mia madre vive a Capitol City, motivo per cui ho qualche speranza di ricevere la mia dose di Eyetreat una volta al mese. Sono passati cinque anni da quando ho cominciato questo lavoro, e con Annie è la prima volta che trovo una lettrice tanto accanita, devo dire la verità.

Si può dire tutto quello che si vuole su Annie Cresta: che è pazza, pericolosa, ribelle. Ma i libri non li ha mai restituiti con un'orecchia o uno sbafo di inchiostro sopra, e solo per questo meriterebbe il mio rispetto.

Inoltre, non si può proprio dire che siano tante le persone che scelgono di parlare con me, mentre a volte Annie scambiava due chiacchiere sui libri che aveva letto. Ho come l'impressione che non abbia granché da fare, a parte leggere e parlare con Finnick. Cioè, questo era quello che pensavo prima di sentire la sua storia: ora dovrei credere che passasse le sue giornate... cavalcando draghi bianchi e ascoltando i suoni del vento e delle stelle? Andiamo...
Eppure c'è qualcosa, nei suoi occhi. C'è chi si limiterebbe a considerarla pazzia, è più che comprensibile. Ma non è esattamente così: somiglia più a una luce molto, molto forte. Mentre mi guarda come se dalla mia risposta dipendesse la sua stessa vita, sento che in me sta nascendo come un desiderio di fidarmi, di credere a quello che dice, fregandomene degli altri e di quello che dicono di lei.

Chissà se riesce a fare quest'effetto solo su di me, o se potrebbe convincere tutti, se solo si fermassero a parlarle? Certo, non è propriamente normale, ma non è neanche pericolosa, di questo sono certa. Certo che, da qui a credere al suo assurdo discorso...

D'altronde, ho letto troppo sull'argomento “Alati” per non aver voglia di vederne uno dal vivo. – Allora, Annie, facciamo così – dico, pesando bene le parole. – Portami dal tuo Alato. Se quel che dici è vero, voglio essere io a dargli la medicina, con le mie mani: è mia, in fondo. Ma se stai mentendo, e vuoi solo... – Sono costretta a interrompermi bruscamente, perché questa ragazzina folle e splendente mi è appena balzata addosso, e ora sembra essersi concentrata nell'arte di stritolarmi viva. – Grazie! Oh, grazie, grazie, grazie! Allora chiamo Finnick e andiamo, va bene?

Cerco di darmi un contegno -il fatto che, a sentire il racconto di Annie, Finnick Odair non si ricordasse il mio nome brucia ancora, tanto per la cronaca-, e precedo Annie fuori dalla porta. Una parte di me -quella logica e razionale- continua a ripetermi che è tutta una follia: com'è possibile che un Alato sia sopravvissuto allo sterminio? E se anche fosse, non rischierei la vita a rimuovere il virus che lo rende così empatico verso il genere umano? Ma la parte di me più emotiva e sensibile si è già affezionata a Starwind solo a partire dal racconto di Annie. E mentre inseguo la sua figura con lo sguardo, mi chiedo se questa ragazza espansiva e dolce e propensa ad abbracciare con tanta naturalezza dei quasi-sconosciuti non abbia bisogno di un'amica tanto quanto ne abbia io.

 

* * *

 

Dieci anni dopo

 

– Mamma, mamma, andiamo? Dai, facciamo tardi! Andiamo! – strilla il bambino, cercando di trascinarla per i vestiti.

Rido. – Annie, hai sentito tuo figlio? Forza, ci starà sicuramente aspettando.

Lei sorride e annuisce. – Bene, Tommy: rimetti a posto quel bastone, poi andiamo!

Il bambino si lancia in un urlo di gioia e schizza via, lasciando me e Annie ad aspettarlo sul limitare della foresta. – È diventato grande, eh? – commento, osservando quell'affarino esagitato tanto simile al padre negli occhi e nei modi. Il bellissimo Finnick Odair è stata la mia prima cottarella adolescenziale, ma l'ho superata alla svelta: non era niente in confronto a quello che Annie provava per lui. La sua morte l'ha davvero distrutta, ma è riuscita ad andare avanti principalmente grazie al figlio che portava in grembo. Una notte, mi ha confidato che lei e Finnick avevano sempre voluto un bambino, dai tempi in cui Starwind era ancora piccolo.

– Sono pronto! Andiamo? Mamma, zia Blue, andiamo, voglio volare! – grida a squarciagola il piccolo, schizzando immediatamente avanti lungo il sentiero.

Annie ride. – Lo sai che per te è ancora presto! Te l'ho detto, il massimo che puoi fare è salirgli in groppa! – lo sgrida, rincorrendolo.

Mi metto a correre anch'io, sorridendo: da quel giorno in cui, grazie alle mie medicine, Starwind ha smesso di lasciarsi morire, io e Annie ci siamo avvicinate sempre di più. Ci ha unite la passione per i libri, poi il resto è venuto da sé. Quando lei mi ha chiesto aiuto per il bimbo che stava per nascere, non ho proprio potuto dirle di no.

Con Starwind è andato tutto inaspettatamente bene: è cresciuto, cresce ancora, ma non smette mai di amare Annie come una madre, come se fosse la sua principale ragione di vita. Lei ricambia, e ci mette tutto il cuore, come in ogni cosa che fa. I sentimenti dell'Alato non sono cambiati, come Finnick aveva predetto.

Se oggi sono qui, a correre verso un Alato la cui esistenza è nota solo a me, Annie e Tommy, non posso fare altro che ringraziare ogni divinità esistente al mondo. Se so di poter passare una notte intera a volare -sono anni ormai che Starwind si fida abbastanza di me per permettermi di cavalcarlo-, non posso fare a meno di ridere dalla gioia.

Perché, indovinate un po'?, sono riuscita a sentirlo.

Il suono del vento e delle stelle, che si spande nell'aria come un'onda immensa che mi avvolge e mi fa emozionare. Quel suono sottile e melodioso, lento e ritmato, fresco e bello, più bello che ogni altra cosa.

Non fraintendetemi, sono ancora quella più razionale, quella più calma e logica, tra le due. Non so cosa farei senza il rigore e l'ordine, e mi piacerebbe che anche Annie a volte smettesse di comportarsi da bambina: insomma, è una madre!
Insomma, vorrei essere capace di meno sentimentalismi e più razionalità, ma prego di avere sempre la capacità di ascoltare il vento delle stelle.
































Angolo autrice:
Reduce dalla visione di Dragon Trainer II, eccomi qua con un Ibrido dalle forme draghesche. Ho sempre, sempre sempre amato i draghi e tutto quanto li riguarda, quindi non potevo non scrivere qualcosa su di loro anche qui!
Senza dubbio Annie è il personaggio che più si adatta all'immagine che ho di queste creature: non ce la vedreste troppo, la pazza del Distretto 4, a cavalcare su di un drago? *^*
Quindi niente, spero davvero che questa storia vi sia piaciuta! Fatemi sapere cosa ne pensate ^^
Emma
  
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