Nel
rispetto della politica difensiva adottata dai predecessori, i consoli
Quinto
Nepio Candido e Fausto Gratidio Bolano, eletti per il
Fino
a quel momento Roma si era espansa abbastanza al di fuori del pomerium creato da Romolo, ma
sorprendentemente, in quasi due secoli di storia, non si era mai munita
di una
cinta di mura. Era stata sempre una scelta azzardata, presa
poiché i re prima e
i consoli poi ritenevano sicuro il territorio romano.
Bolano
e Candido invece non avevano questa sicurezza, e temevano per il
futuro.
Nonostante la reticenza generale della popolazione romana, i due
riuscirono a
far approvare in senato un progetto per la costruzione di mura attorno
alla
città. Nelle loro intenzioni esse dovevano cingere anche i
quartieri più
recenti, ovvero quelli costruiti dopo il terremoto, e dovevano essere
lunga in
totale circa quindicimila passi (il "passo" romano venne utilizzato
per lungo tempo come unità di misura nella repubblica, ed un
passo valeva
all'incirca quaranta centimetri. Quindi quindicimila passi
corrispondevano a
circa sei chilometri, che per l'epoca era tantissimo).
Ai
due consoli si opposero i senatori dell'ala più
conservatrice, come
l'ex-console Ciprio oppure il rinomato senatore Decio Floridio Spendio.
Famoso
fu il discorso di quest'ultimo, conosciuto come De
tutum Spendie, riportato dallo storico Sornazio nel suo libro
Historice Dicta, per sostenere la
sicurezza del territorio romano, che però non
servì a fermare i consoli.
I
lavori furono fatti iniziare l'anno successivo, e famoso è
un episodio ad essi
legato. Spendio, furioso per l'inutilità delle sue parole,
si era recato da un
indovino, il quale aveva predetto che se i consoli non avessero
partecipato ai
lavori di costruzione le mura sarebbero state destinate a crollare
presto. I
consoli Nonio Tiziano Camerio e Numerio Nemetorio Memore, consigliati
dal
pontefice massimo Manio Minucio Treno, presero parte ai lavori posando
rispettivamente l'uno la prima pietra e l'altro l'ultima. La loro
risposta alla
provocazione di Spendio fu talmente memorabile che il commediografo
Plauto vi
scrisse una commedia sopra, Due pietre
per due consoli, molto popolare alla fine del II secolo a.C.
Nel
Nel
566 furono completate le mura della capitale, e in una grande cerimonia
presieduta dai consoli Servio Flavinio Edicio e Oppio Livio Sirico
l'ex-console
Memore posò l'ultima pietra del cantiere nell'unico spazio
vuoto rimasto. Il
senatore Spendio non partecipò a tale evento per ovvi motivi.
Il
565 venne ricordato come "l'anno dei grandi addii". In quel periodo
infatti spirarono in rapida successione tre importanti
autorità: in ordine di
dipartita Massimo Plozio Natalino (comandante della Legio
I), Manio Minucio Treno (pontifex
maximus) e Spurio Salonio Rufrio (magister
militum) che pure avrebbe dovuto terminare il mandato a
breve. La
coincidenza di tali eventi spinse i consoli Osto Nevio Geminiano e
Numerio
Vitellio Rutiliano ad organizzare una grande cerimonia d'addio ai tre.
Poco
dopo vennero eletti come comandante della prima legione Flavio Sertorio
Viridio, come pontefice massimo Tiberio Cicereio Fabiano e come capo
dell'esercito Vibio Ottavio Cervidio.
Già
il fatto che tre prominenti personalità statali fossero
morte in rapida
successione poteva far intuire qualcosa, ma nel momento in cui anche i
due
consoli perirono in circostanze poco chiare il complotto lo si poteva
vedere
chiaramente. Non era così forse per i due consoli suffecti, ovvero Barrio Celeste e Oppio
Pomponio Tremero, i quali
si limitarono a bollare come annus
horribilis quel periodo di strane morti. Ma i visionari
avevano ragione, in
quanto c'era davvero qualcuno a manovrare dei fili.