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Autore: Oducchan    26/10/2014    0 recensioni
È inutile.
È qualcosa che non ha speranza. Non ce l’ha mai avuta.

Quando Kise sta per perdere le speranze e rinunciare per sempre a Kuroko, Kuroko lo sorprende in modi che non avrebbe mai pensato.
[KiKuro]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Ryouta Kise, Tetsuya Kuroko
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nick autore: Oducchan_OfTheLowerCourt 
Prompt: "KiKuro - Quando Kise sta per perdere le speranze e rinunciare per sempre a Kuroko, Kuroko lo sorprende in modi che non avrebbe mai pensato." by kikoeterukai  on The Flash Point
Titolo: Hoppipòlla
Personaggi:  Kuroko Tetsuya, Kise Ryota, Kagami Taiga (Aomine Daiki Akashi Seijuuro Midorima Shintaro) 
Pairing: KiKuro (si sottende dell'AoKaga che però alla fine non si materializza, comunque si sottende che c'è)
Genere: introspettivo, sentimentale, un pochino angst
Avvisi: future!fic
Rating: giallo
Note:
A dirla tutta non so bene come funzionano gli aereoporti giapponesi -non so bene nemmeno come funzionano gli aeroporti punto, ho preso l’aereo si è no otto volte in vita mia e sempre con qualcuno a guidarmi - ma spero che ciò che ho scritto risulti verosimile.
Si spera anche che nessuno dei due sia troppo OOC >.<
Il titolo viene da una canzone dei Sigur Ròs che stavo ascoltando mentre scrivevo. Io vi consiglio di ascoltarla durante la lettura, mettendola in coda ad Ára Bátur. Non c'entrano nulla, ma danno l'atmosfera, presumo.

 
Hoppipòlla

È inutile.
È qualcosa che non ha speranza. Non ce l’ha mai avuta. Non ha mai avuta alcuna possibilità, fin dal primo momento in cui aveva posato lo sguardo su quella testa azzurra e invece di un moto di fastidio aveva sentito la bocca dello stomaco aprirsi ad un ondata di ammirazione e di desiderio. Fin dalla prima volta in cui aveva abbassato lo sguardo sulle labbra sottili, aperte per il troppo ansimare, impastate di saliva ormai secca, e aveva avvertito l’impulso di chiuderle con un bacio.
Non c’è mai stata speranza né possibilità, e la parte razionale nel suo cervello lo ha sempre saputo perfettamente. Sapeva che Kuroko non l’avrebbe mai guardato con lo stesso sguardo carico di affetto, di considerazione, grondante quell’emozione che ancora non osa chiamare per nome. Sapeva che Kuroko non avrebbe mai bisbigliato parole dolci solo per il suo udito, né si sarebbe mai allungato ad afferrare la sua mano, né si sarebbe sporto sulla punta dei piedi per affondare il viso contro il suo sterno e stringere forte il proprio corpo al suo petto.
Eppure, come un idiota, non aveva voluto cedere alla realtà dei fatti. S’era intestardito a morirgli dietro, a sospirare ad ogni suo gesto, a divorare la sua minuta figura con lo sguardo quando Tetsuya non poteva vedere, a struggersi per il suo bel viso e per i suoi occhi chiari e così magnetici, a chiudere gli occhi nel buio della propria stanza e immaginare che la sua mano fosse più piccina e più pallida, sulla pelle calda del suo addome. S’era bruciato l’anima a continuare imperterrito ad amarlo, giorno dopo giorno, ora dopo ora, ignorando la lampante verità, la consapevolezza che mai Kuroko si sarebbe rivolto a lui con lo stesso sentimento racchiuso nel cuore.
Aveva visto il suo legarsi ad Aomine e il successivo tragico sciogliersi del binomio della loro vita; impotente, aveva visto il forgiarsi di un legame ancora più saldo e intenso con Kagami, incapace di fermare lo scorrere degli eventi.
E ora... ora è inutile. Ora Kise è stanco, esausto, consumato fino al midollo da questo eterno logorio. Ora Kise non ha la forza di alzarsi la mattina e affrontare un’ennesima giornata in cui Kuroko è il perno della sua esistenza ma non ne fa alcuna parte. Ora non ha più il coraggio di guardarsi allo specchio e vedere i propri occhi stanchi e tormentati da quel continuo provarci, quel continuo pensarci, quel continuo infilarsi di soppiatto nella vita dell’altro solo per essere accantonato ai margini.
È stanco. Troppo stanco.
Ed è quasi ridicolo, quanto facile sia scegliere di lasciarlo andare.
 
-Ohi, ma hai sentito la novità?-
Kuroko non alza nemmeno lo sguardo dal suo tomo di psicologia. Kagami gli ciabatta alle spalle, avvicinandosi alla credenza dove tengono i biscotti; apre l’anta e frega un paio di dolciumi, prima di prendersi un bicchiere d’acqua e stravaccarsi sulla sedia a lui dirimpetto per sgranocchiarli. Ormai è abituato alla totale mancanza di creanza da parte del suo coinquilino, visto che da quando hanno iniziato a frequentare l’università e a dividere un appartamento Kagami-kun non è poi cambiato molto.
-Quale novità, Kagami-kun?- chiede, pacato, infilando un dito sotto la copertina e voltando rapidamente la pagina per non perdere il filo della lettura. É un passaggio importante, e da lì a una settimana deve sostenere un esame, e spera che la conversazione non si protragga per molto...
-Kise. Aomine mi ha detto che si trasferisce da qualche parte in Europa-
Qualcosa dentro Kuroko si spezza. Dev’essere un filo molto sottile, così sottile che Kuroko stesso non l’ha mai notato prima di ora; ma che adesso avverte perfettamente tranciarsi nel mezzo, e avverte anche i due capi saettare verso le due estremità come colpi di frusta, due schiocchi che svuotano la sua mente di ogni pensiero.
Kise.
-Come, scusami?- chiede, non sa bene come. Non riesce ad articolare le parole, non riesce nemmeno ad formulare un’idea, un concetto, un pensiero completamente formato. Ha la testa vuota, perché questa notizia nemmeno è in grado di concepirla.
-Ho detto- ripete, Kagami, con un po’ più di impazienza, bofonchiando le parole a bocca piena e spandendo in giro un po’ troppe briciole –Che Kise si trasferisce in Europa. Per lavoro. Da qualche parte, tipo in Francia, non è in Francia che fanno le sfilate e tutte quelle cose lì?- e se prima il suo tono era completamente non curante delle conseguenze causate dalle proprie parole, ora si fa guardingo, attento, gli occhi carmini che lo scrutano pensierosi. Nota immediatamente il suo sguardo spento e vacuo, e il fatto che ha smesso di leggere.
-Ohi, va tutto bene?-
Kuroko si riscuote, sobbalzando appena sulla sedia. Non s’è neppure accorto che hanno iniziato a tremargli le mani, ma improvvisamente se ne rende conto perché quando afferra l’angolo della pagina, sebbene non ne abbia studiata nemmeno una riga, non riesce a voltarla.
-Sì, certo- risponde, e vorrebbe ridere della capacità del suo cervello di dare risposte automatiche, perché lui, sicuramente, quelle parole non le sta nemmeno immaginando, figurarsi dirle a voce alta –E quando torna?- chiede, debole, abbandonando il libro e tirando bruscamente indietro la sedia per alzarsi a versarsi anche lui qualcosa da bere. Giusto per fare qualcosa, giusto per concentrarsi su qualcosa che non sia Kise.
Kagami scrolla le spalle, ma ora lo sta fissando. Segue con attenzione i suoi movimenti, cosicché quando risponde: -Non credo torni. Gli hanno offerto di sfilare per una grande casa di moda... Daiki dice che dovrebbe partire domani- e Kuroko inciampa nei propri piedi, con gli occhi così sbarrati da sembrare un daino sotto i fari della macchina che sta per investirlo, è pronto ad afferrarlo per un fianco e rimetterlo in piedi senza che si faccia male.
Kuroko non dice nulla. Kagami si costringe a chiudere la bocca e lasciargli un minuto per rimettersi insieme, ma non gli riesce di sottrarre la mano e allontanarla dal so orpo: gliela lascia lì, sulla spalla, grande e calda, come un appiglio cui aggrapparsi nella tempesta.
Tetsuya inspira, piano, ed altrettanto lentamenteespira. Non dice nulla, ma i suoi occhi azzurri si bagnano di lacrime.
-Baka- dice Kagami, rude come sempre, e siccome è il migliore dei migliori amici possibili, si alza in piedi e lo avvolge un istante in un abbraccio rigido e impacciato.
-Vaglielo a dire- borbotta, tra i suoi capelli. Poi lo lascia andare ed esce brutalmente dalla cucina così come ci era entrato, pescando il proprio cellulare dalla tasca dei pantaloni per scrivere un messaggio ad Aomine.
Dobbiamo fare qualcosa, scrive.
Beh... io, un’idea, ce l’avrei risponde l’altro, nemmeno un secondo dopo.
 
Seduto al suo posto, con il bagaglio a mano ben stipato nel vano sopra la propria testa, il giornale con le offerte per gli acquisti effettuabili a bordo aperto sulle ginocchia, e con il corpo leggermente spostato verso il finestrino per stare il più lontano possibile dal suo ingombrante vicino e la sua colonia fin troppo intensa, Kise si appresta ad ascoltare il messaggio del capitano e le istruzioni per l’atterraggio d’emergenza, limitandosi a sbirciare con la coda dell’occhio le hostess che si affannano lungo il corridoio per invitare i passeggeri più bellicosi ad allacciare strette le cinture di sicurezza. Ha la mente vuota. Leggera. Desensibilizzata. Un dolore sordo alla base del cranio che lo culla piano a non provare più nulla.
Solo che le procedure del decollo non partono. Invece del benvenuto a bordo, il capitano trasmette ben altro tipo di messaggio.
Il passeggero Kise Ryota è pregato molto cortesemente di alzarsi e avvicinarsi all’uscita, dove verrà scortato a terra. Ripeto, il passeggero Kise Ryota è pregato molto cortesemente di alzarsi e avvicinarsi all’uscita, dove verrà scortato a terra.
Per qualche minuto, Kise è talmente sorpreso da non riuscire a muoversi. Cosa sta succedendo? Cosa vogliono da lui? Pensa a un errore nei suoi documenti di imbarco. Pensa a un errore di persona. Pensa di aver inavvertitamente combinato qualche guaio, mentre gironzolava tra i duty free in attesa di partire. Quando l’annuncio si ripete per la terza volta, si alza di scatto in piedi facendo trasalire tutta la fila davanti, e smozzicando un’infinità di scuse scavalca i suoi due vicini di posto (che, a rigor della cronaca, gli rivolgono entrambi degli sguardi poco amichevoli, probabilmente convinti di avere di fronte un pericoloso criminale) e recupera in fretta la propria borsa, prima che una hostess dal sorriso plastico gli venga incontro e lo scorti verso le scale, per farlo scendere dall’aeromobile. Prova a chiedere spiegazioni, snocciolando una serie di domande nel suo inglese un po’ incerto, ma la voce si spezza nel momento in cui vedechi c’è sulla pista ad aspettarlo.
Riconoscerebbe quegli occhi ovunque.
Riconoscerebbe quella figura in mezzo a tutta la popolazione del pianeta, anche tra cinquanta o settant’anni.
Il cuore pare schizzargli in gola. Tenta di deglutire per rispedirlo al suo posto, ma non c’è nulla da fare, continua a battere furioso sopra lo sterno e a malapena gli riesce di respirare. Si stringe il borsone al petto, le dita che stritolano le maniglie, e con passo incerto si incammina, abbandonando il fianco della ragazza che cercava di invogliarlo un po’ troppo precipitosamente ad abbandonare l’aereo, per farsi incontro al fulcro della sua vita.
Nota anche altre cose, nel frattempo. Nota una sagoma in divisa, qualche metro più in là, intenta a sbraitare contro una squadra di agenti aeroportuali. Vede un altro uomo cercare di mettersi in mezzo, i capelli rossi e neri che si agitano per cercare di separare i contendenti prima che sia troppo tardi, ma finendo col venire inavvertitamente coinvolto. Vede un’auto nera, parcheggiata proprio sul tracciato che l’aereo avrebbe dovuto seguire per il decollo, e una testa rosso brillante, in piedi accanto a un profilo allampanato che ha un che di verde all’estremità. Ma sono tutte cose che registra marginalmente, come si nota il tempo o il colore del cielo, perché tutta la sua mente, tutto il suo essere, è catalizzata dal ragazzo che piano piano si avvicina, i capelli azzurri mossi dal vento, e l’espressione tesa,  nervosa che ha dipinta in viso.
-Kise-kun- lo saluta Kuroko, nonostante tutto composto come sempre, e Kise smette un istante di respirare, perché si è quasi dimenticato di quanto potesse essere bello, l’eterno amore non corrisposto della sua vita.
-Kurokocchi- bisbiglia, e si stringe un pochino di più alla borsa, perché spera che possa impedirgli di fare qualcosa di stupido. Tipo saltargli al collo, o mettersi a piangere.
-Scusa se ho bloccato il tuo volo. Aomine-kun pensava fosse una buona idea, ma quando abbiamo scavalcato i controlli ci hanno scambiato per dei terroristi  e per poco non ci hanno arrestati... meno male che Kagami-kun aveva avvisato Midorima-kun. Akashi ha chiamato il consolato, la direzione dell’aeroporto e la torre di controllo, e ha chiesto di non far partire il volo per Parigi-
Kise batte le palpebre, distogliendo lo sguardo un istante per notare che la macchina si sta muovendo verso l’uscita dell’aereoporto, e che la discussione sembra essere degenerata in una mezza scazzottata con Kagami e Aomine come proprio centro. Respira. Gli fa male il petto, ma respira.
-Ma tu guarda- commenta, piatto. Per un istante si ritrova a chiedersi che razza di conoscenze abbia, Akashi Seijuuro, per poter fare qualcosa del genere. Ma subito dopo, la sua attenzione è di nuova tutta risucchiata dal corpo minuto di Kuroko, dal modo in cui le sue spalle sono tese e contratte e dal modo in cui le dita si muovono. Pare quasi abbia una mezza intenzione di allungarsi per afferrarlo, stringerlo da qualche parte, e non lasciarlo andare mai più, ma che non riesca a raggruppare la determinazione necessaria per farlo. Così è lui ad avvicinarsi di un passo, a lasciare che la borsa torni a ciondolargli al fianco e a prendere una delle maniche della sua giacca tra le dita.
Kuroko alza di scatto il capo per guardarlo. Nel suo viso non c’è alcuna mutamento di espressione che possa suggerirgli cosa stia provando, cosa stia immaginando, cosa voglia cuminicargli. Kuroko lo guarda e tace, e allora è Ryota che apre per primo la bocca.
-A cosa devo l’onore di essere trattenuto forzatamente in patria?- bisbiglia, e dannazione, vorrebbe che la voce non suonasse così flebile e tremula, che fosse come sempre squillante e armoniosa, piena di sicurezza nelle proprie capacità di finzione, fiduciosa nella propria teatralità di non venire presa sul serio. Vorrebbe che non suonasse come quella di un bambino spaventato, in attesa della roboante punizione che deve venirgli inferta per l’ennesima marachella.
Ma Kuroko sembra aver insito in sé stesso la capacità di stupirlo in modi che non avrebbe mai nemmeno lontanamente pensato. Che sia in mezzo a un campo da basket, appena fuori da un conbini, o sul cemento di una pista d’aeroporto. Senza dire nulla si scrolla dalla sua presa, e tira su il braccio per prendere la mano nella sua e intrecciare le dita tra loro.
-Non potevo lasciarti partire- mormora, piano, pianissimo, e sotto ai piedi di Kise si apre la voragine della consapevolezza, il baratro della comprensione, il precipizio della presa di coscienza che Kuroko non lo odia, Kuroko non lo rifiuta, che Kuroko non lo ignora, che Kuroko non è indifferente, che Kuroko non se ne frega. Che a Kuroko di lui importa, che per Kuroko è importante, che per Kuroko è essenziale -Non senza averti chiesto, per favore, di tornare-
Che Kuroko, forse...
Kise inspira. Inspira così a fondo che le costole gli fanno male. Così a fondo che di aria non gliene entra più, e la trattiene. Poi, lentamente, espira, lasciando che il fiato gli esca pian piano di bocca e con lui l’ansia, il dolore, la frustrazione, la stanchezza, la rassegnazione, la sofferenza, i dubbi, le paure, le incertezze. Tutto. Tutto esce da lui come una nube tossica che troppo a lungo l’ha avvelenato, lasciandolo libero e leggero; e la cosa lo lascia spossato, senza forze.
Stringe un pochino più forte quella mano nella sua.
Kuroko inclina il capo ancora di più, piccole ciocche color del cielo terso che gli adombrano gli cocchi chiari e limpidi come specchi.
-Avrei dovuto dirtelo prima. Scusa-
E scioccamente, Kise sorride, perché l’amore, quello forte, quello vero, gli torna in corpo molto più rapidamente di quanto ci abbia messo a soffocarlo e a smembrarlo nel proprio cuore.
-Non importa, Kurokocchi. Va bene così. Non vado da nessuna parte, ora. Ora ho te-
Si era immaginato il loro primo bacio all’ombra di un ciliegio in fiore, in una calda giornata primaverile, con il verde delicato dell’erba sotto i piedi e le montagne come sfondo. Il grigio del cemento e il rombare cupo dei motori degli aerei non sono un sottofondo perfetto, né le grida di incoraggiamento e gli applausi degli altri passeggeri che fanno capolino dal mezzo in attesa sono comparabili al frinire dei grilli, ma quando molla finalmente la borsa e invece prende il viso di Tetsuya tra i palmi, e Kuroko si alza di scatto sulle punte dei piedi per gettargli le braccia al collo, forse sono comunque un buon punto di partenza per qualcosa di magico e incomparabile.
 
Più tardi, molto più tardi, quando riesce a riprendere fiato e a rotolare tra le lenzuola umide di sudore e altri umori per posargli un altro bacio sulla fronte e arricciare il proprio corpo attorno al suo, Kuroko lo stupisce ancora –bisbiglia quella parola con devozione, piano, stretto tra le sue braccia, guardandolo dritto negli occhi. Kise arrossisce. Balbetta, quando risponde, ma Tetsuya sorride, felice.
Lasciarlo andare era stato terribilmente semplice, ma riprenderlo e tenerselo per tutta la vita, invece, lo è stato molto di più.
   
 
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