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Autore: cioshes    30/10/2014    2 recensioni
Se fosse riuscito a protendere anche quell’attimo all’infinito, dall’estremità, dall’ultimo viscido lembo, ci sarebbe stata una speranza di trattenerlo.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Haruka Nanase, Rin Matsuoka, Sosuke Yamazaki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In the End

Se fosse riuscito a protendere anche quell’attimo all’infinito, dall’estremità, dall’ultimo viscido lembo, ci sarebbe stata una speranza di trattenerlo.


It starts with one,
One thing I don't know why
It doesn’t even matter how hard you try
Keep that in mind, I designed this rhyme
To explain in due time


Sousuke sembrava proprio un bambino aspro.
Uno di quelli che hanno il disprezzo e la superficialità perennemente stampati in volto. Uno di quelli che, in confronto, il succo di limone sul ginocchio sbucciato è una dolce manna dal cielo. Ti bastava reggere per un attimo il suo sguardo pungente crogiolarsi nella superiorità, o fissare le sue labbra incresparsi come le piccole onde della piscina, per capire la resistenza di quel guscio che la Tartaruga Sousuke si era fatta crescere sulla schiena.
Anche il suo viso sembrava proprio quello di un bambino aspro.
Alle poche persone che riuscivano a guardarlo da vicino era sicuramente sembrato di vedere un volto liquido, colato come la rugiada sulle foglie, come quando cerchi la figura distinta di un quadro che ha però tentato di asciugarsi in un giorno piovoso.
Gli occhi sembravano voler cadere giù dalle estremità, proprio giù fin dove finivano le lacrime dei suoi capricci, e iniziavano a inclinarsi dove lì esse partivano.
Ma quando Sosuke apriva le braccia, metteva in mostra le sue ampie spalle, e lui e l’acqua sembravano fondersi in un’unica grande terza entità imbattibile, insuperabile – lì, be’, il bambino aspro spariva, e quando fiero toglieva il palmo ben aperto dal blocco, si faceva largo un sorriso deciso che scuoteva il mare nelle sue iridi.
Erano i momenti in cui Sousuke sfoggiava il suo sorriso, per una volta non liquido di indifferenza, che Rin pensava di poter protendere all’infinito.

All I know
Time is a valuable thing
Watch it fly by as the pendulum swings
Watch it count down to the end of the day
The clock ticks life away


Eppure se lo ricorda ancora bene, quel giorno.
Seduti su una panchina, il buio dello spogliatoio che non era mai sembrato così ampio, e i corpi gracili degli altri bambini che correvano a festeggiare il giorno della staffetta e rumoreggiavano per i corridoi lì davanti.
“Io nuoto solo per me stesso,” gli aveva detto. “E’ meglio se non nuotiamo più insieme.”
Il sapore aspro di Sousuke era tornato, gli si era conficcato dentro. Gli attraversava le narici, il sangue, percorreva ogni nervo, ticchettava nelle sue tempie con la frequenza di un orologio imbizzarrito.
Rin non avrebbe mai pensato di poter protendere anche quell’attimo all’infinito: il suo compagno non stava sorridendo, non stava vincendo a una stupida gara, non era un trionfo genuino, il suo.
Come la sua desolazione, l’asciugamano gli era scivolato dalle dita sottili. E come l’asciugamano, anche Sousuke gli stava scivolando via – ma se fosse riuscito a protendere anche quell’attimo all’infinito, dall’estremità, dall’ultimo viscido lembo, ci sarebbe stata una speranza di trattenerlo. Rin lo sapeva.

It’s so unreal
Didn’t look out below
Watch the time go right out the window
Trying to hold on but didn’t even know
I wasted it all just to watch you go


Magicamente, quasi un po’ per prendersi gioco della sua triste esistenza, era entrato a far parte della sua vita Haruka Nanase.
L’aveva visto, sì, perché era impossibile non vederlo, perché era impossibile ignorare la sua presenza e far finta che il mondo intero giri sui propri talenti – Haruka Nanase sarebbe comunque entrato con forza distruggendo qualsiasi barriera e avrebbe mostrato ciò che chiunque etichetterebbe come qualcosa che rientri nei canoni di forza, armonia, bellezza pura.
Quando accoglieva l’acqua tra le sue braccia, quando si trascinava avanti in un equilibrio perfetto tra uomo e Madre Natura, quando eri certo di aver trovato l’anello mancante che unisce gli universi di pace e guerra, era impossibile non farti scappare un sorriso.
Nanase era uno spirito libero, a tal punto da poter percepire la freddezza selvaggia nei suoi occhi blu e nella sua boccuccia sprezzante.
Un distacco superbo dal mondo saturo di regole; col suo nasino all’insù manifestava già un’indisponenza nei confronti di una società che taglia le ali al futuro.
Anche Rin voleva sentirsi così – libero, sicuro, in pace con se stesso. Anche Rin voleva trovare l’equilibrio accarezzando l’acqua.
“Oi, Sousuke.” Si erano ritrovati ancora insieme, nonostante tutto, a correre lungo quel vialetto accidentato. “Mi trasferisco all’Iwatobi. Ho trovato degli amici con cui voglio nuotare!”
Il passo di Sousuke per poco iniziava a barcollare; anche il suo sorriso, a tratti vacillava e perdeva la sua eternità.
Rin aveva pronunciato quelle parole con nonchalance, preso dall’euforia – solo dopo, osservandolo tornare a casa da una sera estiva che gli era sembrata più gelida di un inverno, si rese conto di aver spezzato il suo fedele compagno.
Si rese conto di aver cercato proprio Sousuke nel comportamento di Haruka, di aver cercato la pace di Sousuke nel talento di Haruka, di aver cercato l’indipendenza di Sousuke negli occhi di Haruka. E di aver trovato in Haruka un Sousuke che non gli avrebbe ancora detto: non voglio nuotare con te.
Aveva quel lembo, quella scivolosa estremità ancora ben salda tra le dita, e in un attimo – come nel momento in cui l’aveva afferrata per non lasciarla scappare – era già scivolata via.

I kept everything inside and even though I tried, it all fell apart
What it meant to be will eventually be a memory of a time when
I tried so hard
And got so far
But in the end
It doesn't even matter
I had to fall
To lose it all
But in the end
It doesn't even matter


Rin si sentiva piccolo: un puntino in mezzo al vuoto, una forma di vita al di fuori del buco nero, che agitava le braccia per non essere risucchiata. Agitava le braccia in quell’acqua troppo chiara per reggere la sua paura, dove gente troppo diversa – troppo strana – lo additava e sussurrava in una lingua perlopiù sconosciuta.
Rin si sentiva piccolo, ma non troppo per potersi tirare indietro, le sue braccia esili lavorano ogni giorno contro quelle toniche dei ragazzini australiani.
I tendini tiravano più del dovuto, a fine giornata; l’acido lattico lacerava i muscoli, come l’orgoglio e la sua dignità. La piscina era uno sforzo, un dovere irrinunciabile, un lavoro vero e proprio.
Quando si avvicinava al blocco di partenza, producendo un ‘ciac ciac’ per terra e camminando come un piccolo pinguino, Rin iniziava a tremare. Alzava lo sguardo, torvo e felino, e quando ammirava l’immensità di tutto quello che lo circondava, riusciva a percepire l’esitazione nei suoi scatti.
L’acqua lo pungeva, lo inglobava, lo tratteneva e lo rallentava, mentre gli altri ragazzini scattavano sicuri fino in fondo, come se volessero acchiappare qualcosa di fondamentale, di arcaico.

One thing, I don’t know why
It doesn’t even matter how hard you try
Keep that in mind, I designed this rhyme
To remind myself how
I tried so hard


Voleva diventare un campione, già. Voleva tornare in Giappone sicuro e vincente come un condottiero.
Avrebbe mostrato a tutti, ad Haru principalmente, cosa era davvero capace di fare il piccolo, insignificante Rin.
Voleva mostrare a tutti che Rin Matsuoka era cresciuto, era maturo, Rin Matsuoka ce l’aveva fatta.
Voleva mostrare la sua forza, la sua potenza, la sua passione.
Ma le gambe … gli facevano così male.
E intanto, proprio mentre immobile galleggiava con gli occhi vitrei di dubbi, gli altri ragazzini scattavano sicuri fino in fondo, come se volessero acchiappare qualcosa di fondamentale. A volte Rin si chiedeva cosa fosse.
Magari un sogno, chissà.

In spite of the way you were mocking me
Acting like I was part of your property
Remembering all the times you fought with me

I’m surprised it got so far

Siamo rivali.” Gliel’aveva detto un giorno Sousuke, sempre correndo come fanno i bambini verso il carretto dei gelati, e lui l’aveva accettato senza pensarci. Faceva tante cose senza pensare, Rin, e poi se ne pentiva un po’, mezzo dispiaciuto e mezzo troppo-orgoglioso per poter davvero provarne pena.
I rivali, si chiedeva, corrono a perdifiato per andare insieme a comprare il gelato?
La sua risposta arrivava quasi immediatamente, quando la loro pelle si scontrava sulla pellicola dello stesso ghiacciolo, e si lanciavano sguardi competitivi.
I rivali, si chiedeva, giocano insieme fino a tarda sera?
La sua risposta arrivava nel momento stesso, quello in cui entrambi alzavano il tono della propria voce per far prevalere la propria idea sulle altre.
Ma c’erano cose che Rin si chiedeva, sui rivali, di cui la risposta non arrivava mai; domande la cui risposta non era celata in un carta-sasso-forbici in più.
E allora Rin arrivava alla conclusione che – Sousuke, siamo tante cose: siamo rivali, siamo amici, siamo nemici, siamo tanto cretini, e siamo anche qui, ancora su questo vialetto disastrato a gustare l’arancia dai nostri ghiaccioli, nonostante tutto.

Things aren’t the way they were before
You wouldn’t even recognize me anymore
Not that you knew me back then
But it all comes back to me
In the end


Rin fece il suo ritorno nella calda afa estiva. Quasi non percepiva il cambiamento: era impassibile e insensibile, lui.
La corazza adesso ce l’aveva, spessa e ossea come un callo che preme contro la pelle. Le frivolezze dei bambini rivali le aveva lasciate al vento vecchio, alle foglie di autunni remoti che faticava a rimembrare.
Aveva cacciato fuori i denti, e li mostrava con ira e con orgoglio, portando avanti gli ideali di suo padre e i suoi scopi, le sue succulente ambizioni.
Rin fece ritorno, Sosuke, e con la convinzione di aver mollato il tuo lembo, egli teneva ancora salda la presa.
E così Sosuke, l’anno dopo, imponente davanti agli altri compagni, si presentava alla Samezuka, le spalle larghe e il corpo fiero e sicuro, sotto lo sguardo sbigottito del suo vecchio amico.
Era cambiato ben poco, si era evoluto impercettibilmente, quasi volesse conservare i suoi ricordi d’infanzia: la malinconia nei suoi occhi era ancora ben percepibile, il suo sguardo impalpabile e di implacabile tempesta si crogiolava dietro un sorriso complice.

You kept everything inside and even though I tried, it all fell apart
What it meant to me will eventually be a memory of a time when...
I tried so hard
And got so far
But in the end
It doesn’t even matter
I had to fall
To lose it all
But in the end
It doesn’t even matter


Poche immagini riusciva a distinguere Rin nella sua mente, mentre ad occhi chiusi l’acqua calda scorreva giù senza pietà: la spalla lacera di Sosuke e la mera rassegnazione nel suo sguardo erano solo alcune di quelle.
Poi vi erano immagini che Rin non poteva conoscere, immagini che Rin non poteva aver visto, come il dolore, il risentimento, il cinismo. E allora le immaginava, immaginava i pianti caldi e disperati del suo amico, i gemiti e i sospiri, lo immaginava tenersi la spalla e imprecare, lo immaginava obbligarsi a mantenere il segreto.
Immaginava i suoi sogni in frantumi, il suo mondo spezzato da mani crudeli e non poterlo neanche urlare.
Avrebbe voluto davvero tornare indietro, Rin, e recuperare le loro frivolezze.
E in quel momento in cui il lembo non si reggeva da solo, era pure ora di prenderlo in mano del tutto.

I've put my trust in you
Pushed as far as I can go
For all this
There’s only one thing you should know
I've put my trust in you
Pushed as far as I can go
For all this
There’s only one thing you should know


“Sapevo che avresti pianto.”
Sosuke gli aveva sorriso, per la prima volta, davvero. Non era quel sorriso complice, beffardo, di sfida. Era un sorriso genuino, quasi materno, sincero.
L’aveva tenuto stretto, nonostante i pugni sul suo petto. L’aveva tenuto stretto con l’intenzione di non lasciarlo mai più andare via.
Il motivo futile per cui la fiducia di Rin avrebbe rischiato di crollare era Rin stesso. Il vero rivale era il suo Io interiore, il suo essere infantile e permaloso, il suo essere egoista.
Ci aveva creduto, Sosuke, nei suoi sogni lontani e non irraggiungibili. Ci aveva creduto, e per quelli Rin si sarebbe spinto fino alla conclusione.
Da quel giorno in poi, ogni loro attimo, ogni loro respiro, sarebbe stato un breve infinito.

I tried so hard
And got so far
But in the end
It doesn’t even matter
I had to fall
To lose it all
But in the end
It doesn’t even matter.

 
ANGOLO AUTRICE

Moi encore, dopo millenni di silenzio stampa.
Premetto con il dire che questa canzone è preziosissima per me, e che proprio ci dovevo scrivere qualcosa su. Soprattutto con le mie OTP, diciamocelo.
Per non parlare poi del fatto che l’headcanon più famoso del fandom – dopo quello secondo cui Makoto ce l’ha più grosso di tutti – è quello in cui Rin ascolta i Linkin Park peggio di quanto le matricole delle medie siano fissate con ‘Un disastro sei tu’.
E poi, come si può abbandonare la buona musica anglofona? Non si può, ecco come. ( Suzuki Tatsuhisa-san, ti sto osservando con un libro di inglese in mano).
Devo anche dire che ci ho messo molto, a scrivere questa cosettina scema, principalmente perché oltre agli impegni fittizi della sottoscritta, i millemila compiti da svolgere, le cantate inedite – sì, digitavo ‘sta roba a ritmo e voce di cose come: “Oooooooh, aim suimmin in d smoooOOOOOOOOC OV BRIGIS AI EV BOORND”, gli urli spacca timpani di Chestie e Shino – li chiamavo così, don’t blame me – e altre canzoni che non ascoltavo da un botto di tempo, per entrare nella parte, già.
La canzone del testo l’avete riconosciuta tutti, credo – e se non l’avete riconosciuta muovete un passo verso l’Angolino della Vergogna e ascoltatela finché i vostri padiglioni auricolari non diventano tre volte voi: è “In the End” dei Linkin Park, e la conoscono pure i piccioni che cacano sul tetto di casa mia.
Questa SongFic la vorrei dedicare al fiorente e meraviglioso GoldenTrio di cui faccio parte, – ma in realtà è solo una mera occasione per fare l’opportunista e spammarvi il nostro blog di  scarso successo – a Sorika, che è come sempre dolcissima a livelli inimmaginabili e non perde un attimo a recensire ogni singola cazzata che pubblico, e a tutte le poche povere bestie che mi seguono – davvero, ragazzi, vi si ama.
Questo ringraziamento lo metto in un periodo a parte perché è una constatazione inconfutabile, ovvero: grazie Biazur, e non solo perché sei una cazzo di idiota culofila e Rinofila, – ma sì, diciamo pure Rinculofila – ma anche perché senza di te non sarei arrivata fin qui – e non intendo solo: in un letto di ospedale per i polmoni in cancrena da risate. E anche, senza la tua mente perversa non mi sarebbero mai venute idee malvagie come questa SouRin. Se ti si può amare più di così, be’, che qualcuno me lo insegni, perché io davvero non me ne capacito.
Per ora mi limito a scoreggiare amore e Vigorsol con l’intensità di uno scoiattolo incazzato.
Pace, amore e SouRin.

 
   
 
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