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Autore: Glendora    30/10/2014    0 recensioni
Farla finita sembra davvero molto facile, soprattutto nella solitudine di una camera d'albergo a chilometri di distanza da casa. Questo, però, non sembra il destino di Ville Valo che, inaspettatamente, tra le mura di quello che sembra essere un vero e proprio girone dell'Inferno, troverà quello che ha sempre cercato, ciò che la fredda lametta di un rasoio appoggiato sulla pelle non è stata capace di dargli. Ma il fato ama giocare con le persone e Ville non è certo immune...
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il leggero picchiettare della pioggia sui vetri apre un varco nella mente e nei sensi di Ville che, poco a poco, percepisce quel suono distintamente, martellante, accompagnato da innumerevoli sensazioni, tutte improvvise, tutte spiacevoli.
 
Dolore, paura, disperazione, rassegnazione.
 
I polsi sembrano andargli in fiamme, ma il suo corpo non vuole reagire, imprigionato in uno stato di semi incoscienza derivato probabilmente da qualche farmaco o anestetico, troppo finto per essere naturale.
 
Se prova tutte quelle sensazioni, allora significa che non è riuscito nel suo intento, che quello in cui si trova ora non è l’Inferno disperatamente desiderato, ma quello da cui stava cercando di scappare, la vita.
 
Aprendo piano gli occhi si accorge di trovarsi in un luogo sconosciuto quanto terribile: pareti di muro grezzo e grigio lo circondano fredde e anguste come la stanza in cui si trova, illuminata solo da una piccola finestrella spalancata sul mondo sulla quale spiccano delle inferriate di ferro saldamente ancorate ad essa.
 
Un unico, rapido barlume di consapevolezza lo investe come un fulmine a ciel sereno: Ville sa esattamente dove si trova, nel Settimo Cerchio infernale dove chi è violento viene punito. Lui, che ha commesso violenza contro se stesso è confinato nel Secondo Girone dell’Inferno in terra, dove chi tenta il suicidio viene rinchiuso per non uscirne mai più: un manicomio o, per dirlo con parole meno tremende, un istituto di sanità mentale, anche se chiamarlo con un nome diverso non ne cambia la sostanza, non ne modifica le fattezze.
 
Quella consapevolezza lo schiaccia e lo spaventa. Lui non può stare lì, non deve stare lì, ha delle cose da fare, persone da avvertire, amici che probabilmente si staranno chiedendo il perché del suo gesto, che vorranno spiegazioni, ma che sapranno portarlo via da quel luogo infernale, salvandolo come fanno sempre.
 
Ville cerca di alzarsi, ma senza successo. Cinghie di contenzione lo legano al letto sul quale è sdraiato impedendogli di muoversi e dei manicotti proteggono i polsi sfregiati da eventuali scatti d’ira da parte sua, un modo come un altro per evitare che un paziente instabile si faccia ulteriormente del male.
 
“Fatemi uscire da qui. FATEMI USCIRE.” La sua voce riecheggia per la stanza vuota fino al lungo corridoio dove da una fila di porte tutte uguali, fuoriescono urla strazianti di altri pazienti disperati, confinati nel loro inferno personale, anime stanche che ormai non hanno quasi più voglia di combattere, che accettano la sconfitta.
 
Nell’attesa di un segno, di un qualsiasi rumore proveniente dal mondo esterno, Ville cerca di ricordare come sia giunto fin lì. Chiudendo gli occhi ripercorre a ritroso quelle che lui crede siano solo poche ore, ma che in realtà sono tre lunghi giorni, in cui la sua mente ha vagato in bilico tra la vita e la morte, indecisa se gettarsi tra le braccia di una o dell'altra, entrambi splendide amanti capaci di offrirgli qualcosa.
 
Ricorda perfettamente il momento esatto in cui ha deciso di tagliarsi le vene, così come ricorda il gesto concreto, il sangue, la debolezza, ma non c'è niente dopo o nel mezzo: è come se la sua mente si fosse addormentata per poi risvegliarsi in quella stanza fredda e spoglia, legato mani e piedi, solo come non mai.
 
Cosa mi sfugge? Continua a ripetersi mentre ripercorre i passi di quella che sarebbe dovuta essere la sua ultima giornata di vita. Aveva programmato tutto, questo lo ricorda: il momento esatto, il giorno perfetto, perfino l'ora. Tutto pianificato, tutto definito. Morire doveva essere facile, ma deve essergli sfuggito qualcosa, altrimenti adesso non sarebbe in quel buco minuscolo ed angusto.
 
E poi, inaspettato come un lampo in una calda giornata d'estate, ecco un ricordo, un frammento, il tassello mancante di un puzzle disintegrato che trova la sua strada tra un milione di tanti altri pezzettini senza senso: due grandi mani, possenti e misericordiose che lo scuotono, lo toccano per controllare che sia ancora vivo, braccia forti e vigorose che lo prendono di peso, lo  allontanano dalla morte. Ecco cosa gli sfugge. Ecco quello che non doveva succedere, l'imprevisto, la variabile incontrollabile: qualcuno lo ha salvato quando non avrebbe dovuto farlo e quella stessa persona ha scritto per Ville un destino diverso, quello con il quale lui non aveva alcuna intenzione di avere a che fare.
 
Sotto le palpebre striate da sottili venature, Ville muove gli occhi come se stesse leggendo e quasi non si accorge che qualcuno è entrato nella sua stanza.
 
“Signor Valo, riesce a sentirmi?” La voce calda e morbida di una giovane donna distoglie Ville dai suoi pensieri facendogli spalancare i grandi occhi verdi in direzione di quel dolce suono angelico. “Stia calmo, sono la dottoressa Venus, Lily Venus e sono qui per aiutarla”
 
“Perché sono qui? Chi mi ha portato in questo posto? Mi lasci andare…”
 
“Lei lo sa perché si trova qui. Ha bisogno d’aiuto e questo è l’unico posto in cui potrà trovarlo. Ora si calmi e potremmo parlare un po’ se vuole.”
 
“No. Io non dovrei essere qui. Mi lasci andare, subito”, dice lui a denti stretti.
 
“Non mi lascia altra scelta, allora. Tornerò più tardi…e parleremo.” Facendo un cenno rapido con il capo ad un grosso e nerboruto infermiere accanto a lei, Lily si fa passare una siringa piena di un liquido incolore mentre l’uomo tiene fermo il paziente aspettando che la dottoressa gli inietti il tranquillante. La donna attende solo qualche istante prima che il farmaco faccia effetto poi, uscendo seguita dal suo gorilla in camice bianco, si chiude la porta alle spalle e sospira profondamente: non le piace usare quei metodi, ma il suo nuovo e problematico paziente non sembrava voler collaborare.
 
Non ancora almeno.
   
 
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