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Autore: Adeia Di Elferas    30/10/2014    10 recensioni
Dialogo immaginato tra Jaime Lannister (che lotta tra il sonno e il dolore alla mano mancante) e Brienne di Tarth (che passa una notte insonne) durante il loro viaggio da Harrenal ad Approdo del Re. Pur restando fedele ai personaggi e alla trama, mi sono permessa di immaginarmi qualche scambio di battute che ritengo plausibili.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brienne di Tarth, Jaime Lannister
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Nei Sette Regni e al di là del Mare'
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 Non te ne andare, pensava Jaime, mentre la sua gemella si allontava sempre di più. Lui la implorava, allungando le mani verso di lei, ma lei si allontanava ancora, scuotendo il capo, le ciocche di capelli biondi che ondeggiavano come sospese nell'aria.
 Perchè mi fai questo? Pensava Jaime, senza riuscire ad aprire bocca. Cersei spariva nel buio, un pezzo alla volta, sempre di più, impedendogli di sfiorare la sua pelle liscia e le sue labbra... Perchè mi fai questo?! Il pensiero era ormai un urlo senza speranza, e le sua mani si facevano strada nelle tenebre, per afferrare Cersei, la sua gemella, la sua unica ragione di vita...
 Le sue mani? Le sue due mani? Le guardò a lungo e le trovò entrambe, normali, forti, come non erano più. E allora capì, maledicendo gli Dei, se poi gli Dei esistevano davvero.
 Voleva svegliarsi e voleva continuare a sognare, in modo da potersi illudere di avere ancora entrambe le mani.
 Nel buio vide muoversi qualcosa. All'improvviso si trovò immerso nell'acqua fino al petto, nudo e sporco, come lo era stato ad Harrenal.
 L'acqua si smosse e qualcuno lo chiamò: “Sterminatore di Re?” “Il mio nome è Jaime.” rispose lui, in automatico. Gli occhi spalancati di Brienne lo stavano fissando, come lo aveva fissato ad Harrenal, quando lui aveva detto la verità, tutta la verità.
 Si guardò le mani. Le aveva entrambe, malgrado quella fosse di certo la vasca di Harrenal. Brienne gli si avvicinò, restando immersa fino alle spalle.
 “Va tutto bene, Sterminatore di Re?” “Ti ho detto che il mio nome è Jaime, donzella.” “E il mio è Brienne.” rispose lei, stolida. Sempre più vicina, sempre più vicina.
 Jaime allungò le mani, entrambe le mani, nel tentativo di tenerla a distanza, ma non poteva. Si sentì un orso ruggire ed ora erano nella fossa, senza armi, circondati dagli sberleffi della feccia che li aveva lasciati soli con un orso ammaestrato.
 “Stai dietro di me!” gridò Jaime, facendo scudo a Brienne con il proprio corpo. Lei, di rimando, orribile nel vestito rosa schizzato di sangue, lo spintonò e si mise davanti a lui: “No! Ho promesso che ti avrei portato ad Approdo del Re! Lady Catelyn... Le ho giurato che...” E l'orso, con una zampata, la colpì in pieno volto.
 Jaime gridò, ma quando cercò di afferrarla per impedirle di cadere, al posto delle mani aveva due moncherini sanguinanti e il dolre fu così atroce che tutto attorno a lui divenne un fascio di luce e perse i sensi.
 
 Jaime si svegliò, madido di sudore e con il moncherino che bruciava come non mai. Malgrado le cure, c'erano momenti in cui sembrava che la mano fosse tornata sotto forma di fantasma e si divertisse a tormentarlo. La mano destra, la mano della spada, la mano che gli aveva sempre dato sicurezza e che aveva detto a tutti che lui era Jaime Lannister, il giovane leone, lo Sterminatore di Re.
 “Va tutto bene S...?” “Mi chiamo Jaime!” ringhiò Jaime, senza nemmeno lasciar finire Brienne. Lei lo guardava di sottecchi, nel buio della notte, illuminata dal bagliore incerto del fuoco mezzo spento.
 “Ti lamentavi nel sonno e poi hai gridato.” spiegò la donzella, con un'espressione di marmo. “Stavo sognando te e quando ti ho vista in faccia...” fece Jaime, cercando di offenderla per farla star zitta. Non funzionò.
 “Non è la prima volta che mi sogni.” disse lei. Jaime inclinò la testa, tentando con tutto sé stesso di non pensare al polso dolente, che rischiava di fargli perdere il senno. “Già, non me ne parlare. Dovresti farmi regalare un po' di zaffiri da tuo padre, per ripagarmi da questa tortura.” grugnì.
 Brienne questa volta rimase in silenzio. Forse ricordarle come le aveva salvato non solo la vita, ma anche l'onore mentre erano prigionieri era stato sufficiente per farle chiudere la bocca. Di certo stava pensando a quanto era riconoscente a Jaime, e a quanto lui fosse comunque colpevole ai suoi occhi di aver tradito il Re Folle.
 Nessuno mi perdonerà mai per la cosa migliore che ho fatto, pensò Jaime, chiudendo gli occhi e cercando di riaddormentarsi.
 
 Nei suoi sogni ritornò Cersei, ma aveva uno sguardo perfido, uno sguardo che Jaime odiava. Erano gli occhi del Re Folle, non quelli della sua gemella. Vedeva in lei del fuoco, niente di diverso. Fuoco che bruciava ogni cosa, senza distinzione, senza pietà.
 Le cose che aveva fatto per amore... Quante cose aveva fatto per lei, per poi pentirsene? Quante cose lo avevano fatto sentire un uomo pessimo, un miserabile?
 Cersei gli fece segno di avvicinarsi. Lui lo fece, e lei se ne andò. Il buio lo avvolse e quando una luce si fece strada tra le tenebre, era fuoco, e c'erano urla, e si ritrovò di nuovo nella sala del trono, ad assistere alla follia di un re che ancora non aveva ucciso...

 Si svegliò di colpo e trovò Brienne ancora pensierosa, con gli occhi puntati sulle ceneri rosse. Dunque si era assopito per pochi istanti, a meno che la mente della donzella non fosse molto più lenta del previsto.
 “Stai ancora pensando a come ti ho salvata dall'onta di essere stuprata da tutte quelle bestie?” chiese Jaime, ruvido.
 La loro scorta stava dormendo della grossa ed apparentemente Brienne si era presa la briga di fare la guardia mentre gli altri si godevano un po' di riposo.
 “Ti ho già ringraziato, ser.” rispose Brienne, a voce bassa. “Forza, non fare così. Sei molto più brutta, quando tieni il broncio.” “Non sto tenendo il broncio.”
 Accidenti, era peggio che parlare con un mulo. Di certo un mulo gli avrebbe dato più soddisfazioni.
 “Non volevo offenderti.” disse, lentamente, sondando le reazioni della donna. In tutta risposta, lei guardò altrove.
 Jaime decise che era tempo sprecato. Sistemandosi meglio contro il tronco a cui era appoggiato con la schiena, richiuse gli occhi e cercò di riprendere sonno.
 
 Non c'è nessuno uomo come me, nessuno. Stava dicendo. L'ombra di Lady Stark lo guardava con rimprovero. Cercava vendetta, lo voleva morto, perchè lui aveva voluto morto Bran Stark.
 C'era qualcosa di strano, in quella scena, il volto di Lady Catelyn era gonfio, era innaturale, e la sua gola sembrava essere stata tagliata e ricucita.
 Lei non parlava, ma lo accusava con il suo sguardo freddo. Tutto quello che ho fatto, l'ho fatto per amore. Diceva Jaime, nella sua mente, senza riuscire a parlare. Solo per amore...
 Cersei ora era accanto a Lady Stark. Anche lei lo fissava con rimprovero. Perchè? Che aveva fatto? Che le aveva fatto?!
 “Mi hai lasciata sola. Sei andato via, ti sei fatto catturare, mi hai lasciata sola.” disse Cersei. Jaime voleva ribattere, voleva scusarsi, voleva prenderla lì ed immediatamente, come non aveva fatto mai, amarla fino alla fine dei tempi. Ma non ne ebbe il tempo.
 Cersei, come l'orso, si fece avanti e alzò la mano come se fosse una zampa e cercò di colpirlo, non per ferirlo, ma per ucciderlo.
 Jaime si riparò il volto con il moncherino, ma il colpo non arrivò mai. Jaime riaprì gli occhi e vide che davanti a lui, nell'orrendo vestito rosa, si ergeva la Vergine di Tarth. Impugnava una spada, con cui aveva tagliato la zampa – o meglio, la mano – di Cersei, che ora scappava in lacrime, seguita dall'ombra di Lady Stark.
 Quando la donzella si voltò a guardarlo, il suo volto era una maschera di ottusità, sudore, sangue e paura. Con quella luce, poteva quasi sembrare un cavaliere. Con quella luce poteva quasi sembrare bella.
 “Come stai, Sterminatore di Re?” “Il mio nome è Jaime...” disse lui, debolmente, mentre un improvviso desiderio lo prendeva. Si protese verso di lei, ma appena la sentì sotto le sue dita, l'immagine scomparve...

 Per la terza volta, Jaime riaprì gli occhi. Aveva dormito più a lungo, perchè il buio si era fatto meno fitto e forse l'alba stava per arrivare.
 Brienne stava appoggiata ad un tronco poco distante dal suo e guardava l'orizzonte assorta. In quella luce non sembrava né bella né un cavaliere.
 La sua faccia era quella di una bambina brutta e i suoi occhi erano permeati dalla durezza della vita che aveva vissuto. Per un fugace momento, a Jaime si strinse il cuore a pensare a quello che aveva dovuto passare. La chiamavano Brienne la Bella, aveva amato con tutta l'anima Renly, un uomo che se la faceva con il fratello della moglie e poi se l'era visto morire tra le braccia, sentendosi anche accusata di averlo ucciso. Sì, per un momento gli si strinse il cuore. Fu una cosa passeggera, perchè il dolore al moncherino lo distrasse in fretta.
 Gli occhi azzurri della donzella si posarono su di lui, ma non disse nulla. Forse temeva che lui se ne uscisse con qualche frase infelice, come al solito.
 “Quando saremo ad Approdo del Re...” cominciò Jaime, a voce bassa per non svegliare nessuno: “Sarai ricompensata per avermi portato sano e salvo a casa.” “Io devo trovare la figlia di Lady Catelyn.” disse lei, ottusa.
 “Sì, beh... A parte quello.” fece Jaime, appena spazientito: “Ti ricompenserò per avermi riportato a casa...” Senza una mano, avrebbe voluto aggiungere. Senza più la mano della spada. Ma alla fine non volle ricordarle questo fallimento. Sembrava già abbastanza abbattuta di suo.
 “Cosa c'è, donzella?” chiese, spostando un po' di terriccio col piede. Lei non gli rispose, guardando da tutt'altra parte. “Come ti pare. Svegliami quando doabbiamo metterci in marcia.” concluse Jaime, irritato.
 “Cosa farai quando sarai tornato a casa?” chiese Brienne, costringendo Jaime a riaprire gli occhi. “Cosa farò?” chiese lui, con un ghigno: “Dormirò nel mio letto, tanto per cominciare. Mangerò in modo decente. E poi... Beh, non credo che siano affari che ti riguardano.” fece, incuriosito da una simile domanda. “Tornerai alla tua vita, come nulla fosse?” chiese Brienne, ostinata.
 Jaime ci pensò un attimo. No, non sarebbe mai più tornato alla sua vita. Non era più l'uomo che se n'era andato da Approdo del Re.
 “Sì, tornerò a fare la bella vita delle Cappe Bianche. Un vero spasso.” disse, ironico. “Quella delle Cappe Bianche è una vita di servizio e sacrificio.” ribattè Brienne. Jaime buttò gli occhi al cielo: “Come sempre dimostri di avere l'ironia di un asino da soma!”
 La donzella chiuse il morso e si alzò in piedi. “E va bene, scusa...” si schermì Jaime: “Sei anche permalosa, oltre che brutta.” disse, tra i denti. Brienne finse di non sentirlo e si rimise a sedere.
 “Tu, invece, che farai?” chiese Jaime, pentendosene subito, perchè conosceva bene la risposta. “Riporterò le figlie di Lady Catelyn dalla loro madre.” disse infatti ella.
 “Va bene, ma dopo... Quando gliele avrai riportate, cosa farai? Tornerai a Tarth?” domandò Jaime, chiamando a sé la pazienza e chiedendosi cosa lo portasse a continuare a parlarle. “A Tarth?” chiese  lei, con un filo di voce.
 L'innocenza che traspariva dai suoi occhi, illuminati dal primo sole che si affacciava in lontananza, era qualcosa di sconvolgente. Come potevano quegli occhi appartenere a qualcuno che aveva ucciso, che era stato messo davanti alla morte, a qualcuno che – come Jaime – aveva assaggiato il brutto del mondo?
 Forse era possibile perchè nella sua testa Brienne si era creata tante di quelle barriere da riuscire a passare nello sporco del mondo restando immacolata.
 “Non ti andrebbe di tornare nella tua isola? Scommetto che sarebbero felici di vederti tornare. Sarebbe la volta che...” Che cosa? Che ti trovi un uomo che ti voglia? Ma che cosa le stava dicendo?!
 “Non credo che tornerò a Tarth.” disse cupa Brienne, con lo sguardo basso.
 Siccome Jaime era stanco di scusarsi per il suo scarso tatto, cambiò radicalmente discorso: “E va bene, donzella...” “Mi chiamo Brienne!” “Sì, sì, Brienne... Dammi un aiuto ad alzarmi.”
 La mastodontica donna lo tirò su quasi di peso e lui si sentì indifeso e gracile come non mai. Non vedeva l'ora di tornare in forze.
 Quando tutti furono svegli e pronti per partire, Jaime si avvicinò a Brienne e buttò lì: “A mio padre farebbe comodo qualcuno come te al suo servizio. Potresti trovarti bene, ad Approdo del Re. Sotto la protezione diretta di Tywin Lannister, poi, non avresti bisogno che qualcuno si inventi che Tarth è chiama l'isola di zaffiro per via dei suoi zaffiri. Sai, è una frottola che si può usare poche volte, perchè alla fine le voci si spargono.”
 Brienne arrossì violentemente: “Io non... Io...” balbettò, in difficoltà. “Lascia perdere.” troncò il discorso Jaime.
 Brienne si morse un labbro e concluse: “Ci penserò. Ora andiamo, Sterminatore di Re.” “Mi chiamo Jaime.” cantilenò lui, quasi divertito.

   
 
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