Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: fedetojen    30/10/2014    6 recensioni
Liv, una liceale che non si considera più il protagonista della sua vita ma solo un burattino. Riuscirà a cambiare qualcosa?
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Min Yoongi/ Suga
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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ANGOLO SCRITTRICE: Questa nuova storia mi è venuta guardando una foto di Suga, non chiedetemi perchè, perchè non lo so nemmeno io xD Comunque spero vi piaccia e spero recensite per farmi sapere cosa ne pensate :3 Buona lettura! :D

 
Un vuoto colmabile…
 
Come si vive sapendo di non essere più il protagonista della tua vita? Liv una liceale, che ormai non si sente più la protagonista della propria vita, a causa della stessa, che non gli dà mai una gioia. I genitori separati, la morte della nonna l’ha chiusa ulteriormente nel suo guscio e tutto ciò non fa altro che allontanarla da tutti e allontanarla dalla sua vita, diventando secondo lei, solo un burattino della natura e causa degli effetti senza reagire o controbattere.
 
Capitolo I
 
La sveglia mi ronza fastidiosamente nell’orecchio e la butto a terra per fermarla.
Come al solito ogni mattina è la stessa storia: la sveglia mi infastidisce, il vento che mi scompiglia i capelli mi manda letteralmente in collera appena metto piede fuori di casa, se così si può ancora chiamare.
La casa non è più la stessa da quando mio padre se n’è andato e mia madre ormai è fuori di casa per la maggior parte del tempo per lavoro. Quella casa è vuota, vuota come il vuoto che ho nel mio corpo e nel mio cuore.
M’infilo le cuffie e mi guardo intorno. Guardo come ogni mattina l’albero che è di fronte a casa mia e con l’arrivo dell’inverno ormai sta perdendo anche quelle poche foglie verdi che aveva.
M’incammino verso la scuola, mettendomi il cappuccio, con calma, che fretta c’è? Tanto la scuola non si sposta.

“Signorina Evans di nuovo in ritardo!” mi grida contro il professore di chimica della prima ora.

Lo guardo e lo fisso cercando di fare uno sguardo di rammarico e dispiacere.

“Si, mi scusi professore ” Dico mentre gioco ancora con le cuffie in mano attaccate al telefono.

Mi guarda arrabbiato e mi fa cenno di sedermi. Mi siedo al banco e noto una testa castano chiaro, non so mi ha attirato.
Lo guardo e si gira verso di me a fissarmi. Subito sento un colpo al cuore, come se mi avesse colpito solo guardandomi.
Mi sorride. Questo ragazzo dagli occhi a mandorla mi sorride.

Sorride ad una come me, una nullità in questo mondo di burattini.
Io non ero la solita ragazza magra e bella, ero formosa, diciamo così, non ero obesa questo era certo.
Alcune volte i ragazzi della scuola mi prendevano in giro chiamandomi balena, ma mi sa che loro non si sono mai guardati allo specchio, perché se lo facessero vedrebbero che facce da deficienti hanno tutti quanti.
Quel ragazzo mi fissò per pochi secondi per poi rigirarsi e seguire la lezione.
Rimasi a pensare a quel gesto per tutta l’ora fino a quando la campanella non mi riportò in classe, ad avvisarmi della pausa.
Mi alzai di scatto e mi addentrai nei corridoi. Ragazzi e ragazze che parlavano e che si appoggiavano agli armadietti come se fossero i padroni degli stessi.

“Guardate sta arrivando la balena depressa” qualche ragazzo farfuglia questa frase.

Non curante gli passo davanti dandogli una fugace occhiata.
Cosa potranno mai sapere loro, di cosa si prova quando la tua famiglia è ormai divisa in due e hai avuto anche una perdita fondamentale nella propria vita? A volte l’ignoranza ferisce più delle parole stesse.

Con le mani nella tasca della felpa più grande di me, mi dirigo nel giardino fuori stante.
Mi siedo a terra e guardo il cielo. Piccole e grandi nuvole che si spostano in direzione di dove soffia il vento.
Potessi essere un uccellino volerei via da qui.

“Ciao” mi dice una voce vicino a me. Non ci bado e continuo a fissare il cielo e a guardare quelle nuvole dalle forme strane.

“Sei di poche parole vero?” mi dice ancora la voce vicino a me.

Scelgo di abbassare lo sguardo e guardo verso la voce che poco prima mi stava parlando.
È il ragazzo che mi ha guardato in classe, e appena lo riguardo mi ritorna lo stesso colpo al cuore come la prima ora.
Mi sta ancora sorridendo.

“Piacere, Suga” mi dice presentandosi. Lo guardo senza rispondergli.
Non sembra deluso dal fatto che io non gli risponda, forze lo sprona a farmi altre domande.

“Tu sei Liv vero?” mi chiede.
Annuisco mentre focalizzo il mio sguardo sull’erba vicino alle mie scarpe.
Porto le mie gambe vicino al mio busto e metto le braccia intorno alle ginocchia.

“Be io vado ci si vede in classe” si dilegua con quella semplice frase, facendomi rimanere finalmente da sola.

Non amavo la compagnia degli altri, se non perché fossero tutti degli egocentrici e dei manipolatori come i miei compagni di classe e compagnia bella. Le ragazze erano peggio dei ragazzi, erano più disponibili di una macchinetta delle sigarette vicino al tabacchino di notte. Non avevo nessun miglior amico, come si dice adesso.

Ritornai in classe e presi il cambio. Finalmente era l’ora di ginnastica.
Mi cambiai in un batter d’occhio e mi recai prima di tutti in palestra.
Il professore era già lì così iniziai a riscaldarmi facendo qualche esercizio con le gambe e le braccia.
Il professore mi guardava soddisfatto, come se io fossi una prova di tutto ciò che gli anni precedenti avesse insegnato a me e ai miei ‘compagni’ di classe. Appena arrivarono tutti gli altri il professore si avvicinò a noi.

“Buongiorno ragazzi. Iniziamo con una corsa di dieci minuti e poi giocate a ciò che volete” disse il prof di fronte a noi.

La nostra palestra era piuttosto grande, così appena tutti gli altri iniziarono a correre mi avvicinai al professore.

“Prof mi scusi” dissi richiamando l’attenzione dello stesso. Mi guardò e mi sorrise.

“Dimmi Evans” mi disse incrociando le braccia.

“Potrei correre di più? Ne ho proprio bisogno” gli chiedo sperando in un si.

“Certo, dopo i dieci minuti di corsa siete liberi di fare ciò che volete”

Si evviva! Subito raggiungo la massa restando un po’ più indietro di loro, correre da sola mi mette di buon umore e mi fa sfogare parecchio. Vedo un tipetto con il cappuccio blu della tuta sbucare da quella massa e mettersi affianco a me.
Lo guardo e vedo che è Suga, se non sbaglio si chiami così.

“Ei, vedo che sei scappata di corsa prima” mi dice mentre corriamo, non gli rispondo e mi godo quella corsetta.
Era quasi il quinto giro e lui non smetteva di farmi domande.

“Ma…tu…non...hai…l’affanno?” mi dice cercando di stare al mio passo, avevo una resistenza di ferro e questo potevo capirlo dato che stava quasi per morire di crepacuore.

“Ti conviene fermarti prima che perdi i sensi” gli dico cercando di non ridere. Si ferma di colpo, così faccio io però continuando a saltare sul posto.

“Ma, allora parli” mi dice con il fiatone piegato in due, mi guarda e mi sorride levandosi il cappuccio.

Era fradicio, i suoi capelli sulla fronte erano bagnati e appiccicati ad essa. Sorrido e scappo via da li ritornando a correre.
Quel piccoletto ha qualcosa di non so cosa, qualcosa che mi scuote e mi fa quasi vacillare.
   
 
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