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Autore: PamelaPas    30/10/2014    2 recensioni
"Canti" è una piccola raccolta di poesie in verso libero. Ogni poesia racconta una storia: al suo interno sono presenti intrecci, ambientazioni, personaggi e un tema centrale. Il filo conduttore delle tre poesie è la donna che, con la sua sensibilità, affronta e canta (da ciò il titolo che le accomuna) principalmente quattro temi: la violenza, la guerra, l’inquinamento, il dolore. Quest’ultimo tema, in particolare, accomuna e racchiude in sé gli altri. Perciò, assieme alla figura della donna, il tema del dolore rappresenta il secondo filo conduttore di questa breve raccolta: le tre protagoniste (Elif, Orihime e Melibea), infatti, nella finzione poetica esprimono in versi la loro propria sofferenza, in maniera diversa a seconda del “personaggio”.
E' la prima volta che mi cimento con la poesia e spero di riuscire a trasmettere le stesse emozioni che ho provato mentre componevo. Le critiche sono ben accette: d'altro canto, non è prendendo coscienza degli errori che si può ripartire per migliorare?
Concludo dicendo che mi sono permessa di inserire, quando necessario, delle note, così da favorire la comprensione di termini specifici altrimenti poco noti.
Buona lettura!
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Canto di Elif[1]
Ascolta! Ascolta!
Siediti qui, su questa roccia,
ascolta, oh pellegrino stanco,
 il lamentoso canto della povera,
giovane Elif. Ascolta: sono le sue ceneri
che ti parlano.
“All’ombra dell’arancio
si spensero i miei occhi,
sotto quel terreno giaccio,
 le vesti purpuree
consumate dai tarli.”
Ascolta! Ascolta! Ascolta il grido
che uscì dalla sua bocca di rosa
quando il pugnale del carnefice
le trafisse il fertile grembo.
Ascolta! Ascolta la povera Elif!
“Ero figlia, ero moglie , ero madre:
il furore cieco di un uomo malvagio
mi ha strappato alla vita,
sputando la mia giovinezza
nelle luride acque del buio.”
Ascolta! Ascolta, oh pellegrino indignato!
Ascolta il grido: percepisci lo stupore,
la delusione, la rabbia della giovane Elif?
“Sei figlio, sei marito, sei padre:
guai a te se il furore cieco
prenderà il sopravvento!
Guai a te, guai agli uomini
che scalfiranno
 le loro perle lucenti!
La povera Elif sarà pronta
a sputare la tua,
la loro
 miserabile vita
nelle luride acque del buio.”
 
 
 
 
 
Canto di Orihime[2]
Sulla grande terrazza di un antico palazzo
la principessa Orihime guarda la Luna d’Oriente;
la guarda mentre, stringendosi nel kimono di seta,
invano la interroga: “Oh, Tsuki-sama[3], dimmi:
dov’è il mio giovane sposo?
Cento notti sei sorta,
cento notti hai illuminato il cielo
con la tua candida luce
da quando il mio Edo[4] partì.
Ricordi come brillava l’armatura?
Ricordi come scintillava la katana[5] potente
mentre lui baciava, per l’ultima volta,
le mie giovani labbra?
Hoshi-sama[6], oh care stelle,
l’avete visto? Avete visto
le sue vittorie? Avete visto il sangue
del nemico macchiare il suo giovane volto?
Perché non parlate?
Perché Edo non torna
nel suo fastoso palazzo?
Umide lacrime rigano
il mio volto straziato.
Voi che raccogliete i pensieri degli uomini
ditemi: il mio Edo mi ha forse dimenticata?
L’amore della mia vita è forse lì, assieme a voi,
assieme agli amanti e agli eroi del tempo passato?
Oh astri, perché non rispondete?”
La Luna e le stelle e i pianeti tutti
ebbero compassione di Orihime
e della sua vana attesa.
La loro natura silente
 gli impediva di confessare la triste verità.
Ma le regalarono un canto, un canto gentile,
che asciugasse le sue lacrime,
che le permettesse di credere in eterno e per sempre
che il suo Edo sarebbe tornato;
che la cullasse come una bimba,
che le chiudesse gli occhi di mandorla,
impedendole di chiedere una volta ancora:
“Dov’è il mio giovane sposo?”
 
 
 
 
 
Canto di Melibea[7]
All’ombra di un faggio frondoso,
seduta su una tenera erbetta,
Melibea, la pastorella, piangeva.
“Perché piangi, piccola bovara?”
Le chiese l’albero.
“Guardati intorno:
guarda i tuoi vasti terreni,
il verde che domina l’orizzonte,
deliziando i tuoi occhi. Porgi l’orecchio:
ascolta il belato delle tue caprette,
ascolta il glu-glu del ruscello
e il canto delle Ninfe diffuso dal vento.
Una pace perpetua,
una felicità infinita
ti attende ad ogni angolo.”
Rispose Melibea:
“Ancora per poco potrò deliziarmi
di tutto questo; ancora per poco
i campi saranno verdi,
le caprette beleranno,
il ruscello scorrerà
e le Ninfe canteranno.
Esse piangeranno con me,
quando del nostro idillio,
non rimarranno che vaghi ricordi;
quando il petrolio inquinerà
 i suoi terreni fecondi
e il cemento seppellirà per sempre
la nostra pace perpetua,
la nostra felicità infinità.”
E allora il faggio,
udite queste parole,
incominciò a piangere
con la pastorella:
e rimasero lì, piangenti,
finché non passò l’estate;
finché l’autunno, con ruspe
e trivelle, non portò via
la loro pace perpetua,
la loro felicità infinita.
 
[1] Nome femminile di origine turca, presenta l’accento tonico sulla “i”.
[2] Nome femminile giapponese, presenta l’accento tonico sulla seconda “i” e si pronuncia con la lettera “h” aspirata.
[3] In giapponese, “Luna”. La particella “sama” è utilizzata per esprimere rispetto nei confronti dell’interlocutore.
[4] Nome di persona maschile.
[5] Spada da combattimento.
[6]Stelle”, con la lettera “h” aspirata; per “sama”, vedi n. 3.
[7] Nome femminile tipico della poesia bucolica (spec. virgiliana), presenta l’accento tonico sulla seconda “e”.
   
 
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