“And in that moment,
I swear
we were
infinite.”
(Stephen Chbosky)
Svariati anni addietro:
Erano le prime,
sgradevoli luci del tramonto quando un vago strusciare di fronde attivò la
mente intorpidita di Sesshomaru.
Quasi subito,
un ritaglio efficiente del suo cervello stimò perfettamente i danni e le ferite
subìte contro la Cicatrice del Vento di Tessaiga.
Solo a causa di
un colpo fortunato del fratello demente. Un disonore.
In più, avrebbe
dovuto sostituire l’arto mancante con uno potente abbastanza da eguagliarlo. Sperpero di
tempo.
Gli sarebbe
bastata semplicemente qualche ora per rigenerare le modeste lesioni fisiche ma
fin troppo per quelle morali, d’orgoglio, tipiche del demone.
Un nuovo,
fastidioso rumore lo fece scattare sull’attenti, smantellando gli ultimi
residui di sopportazione.
Approssimativamente
si rese conto del luogo nel quale era precipitato quando, dinanzi a lui, si
materializzò un essere umano.
Un piccolo
essere umano – realizzò. Una bambina.
Senza alcun
dubbio sarebbe scappata terrorizzata. Non valeva la pena interessarsi a lei, ragionò. Eppure il cucciolo, seppur intimidito, fece un passo avanti.
Sorprendendolo.
Per un momento
rimase disorientato, analizzandone sospettosamente qualsiasi mossa. Come del resto, percepì, faceva lei.
Era silenziosa,
veloce, diligente.
Accostò ai
piedi del demone una fiaschetta d’acqua con del pesce grigliato e un mucchietto
di funghi.
Che cosa aveva
in mente? Voleva sfamarlo? Curarlo? Ridicola.
Un misero
cucciolo non era degno di preoccuparsi per lui.
Chiuse gli
occhi, scocciato, conoscendo a memoria la procedura per mandarla via.
“Non perdere
tempo in cose inutili” le disse bruscamente “il cibo degli esseri umani non è
di mio gradimento.”
Così, una volta
per tutte, sarebbe finalmente rimasto solo, rifletté, abbandonandosi al sonno.
Nuovamente
solo.
Il sole caldo e
rassicurante della giovane mattina accarezzò la pelle completamente
ristabilita di Sesshomaru.
Si concesse
qualche minuto extra di riposo avvolto dalla quiete del bosco e dal cinguettare
degli uccelli.
Sembrava tutto
così pacifico, sereno, anche all’interno della sua stessa testa.
Si erano
placati i bollenti spiriti, la rabbia diminuita, le promesse di vendetta contro
Inuyasha rimandate.
Per lui, una
tregua del genere appariva tanto incomprensibile quanto piacevole.
Nulla avrebbe
potuto più deconcentrarlo.
Nulla, se non
dei minimi passi improvvisi diretti verso di lui.
Dischiuse le
palpebre, riconoscendone la singolare andatura.
Eppure qualcosa
lo turbò immensamente.
Forse la
camminata particolarmente pesante, come di piedi strusciati a forza contro il
suolo. Forse il fastidioso odore di sangue misto a terra e fanghiglia.
Con la coda
dell’occhio rivide la bambina umana avanzare sicura, stringendo tra le mani
altro cibo.
Sul serio aveva
cercato nuovi viveri? Era stupida? Stava tentando di provocarlo?
“Non ne
voglio!” sbuffò tediato.
Velocemente il
cucciolo si accasciò a terra, offrendogli caparbia l’umile pasto.
“Ti ho già
detto che non voglio nulla da te” ripeté Sesshomaru.
Seriamente, non
aveva mai incontrato nessuno di così fastidiosamente testardo.
Umana, per
giunta. Senza la minima traccia di paura.
L’odore di
sangue si fece più forte, portandolo inevitabilmente a riflettere.
Perché una
creaturina del genere era ricoperta di simili ferite? Chi poteva essere stato?
Calcolò automaticamente
un paio di denti scheggiati, un occhio gonfio, lividi diffusi e un ginocchio
contuso.
Altri umani,
adulti. Forse del suo villaggio.
Aveva, davanti
a se, un’orfana ricoperta di stracci e umiliazioni.
“Come ti sei
procurata quei graffi?” le chiese, senza rendersene conto.
Poi si pentì
immediatamente. Che cosa stava facendo? Da quando gli affari di un umano lo
interessavano tanto?
Doveva darsi
una controllata.
“Se non vuoi
dirlo, non sei obbligata a farlo” si corresse subito, un poco stizzito.
Perché non
parlava?
Lo shock le
impediva di proferire anche una sola sillaba ma…
Lui voleva
ascoltare quella maledetta voce.
Già vagheggiava
sul timbro delicato ma intenso, dai colori vivaci e forti.
Un movimento
repentino lo costrinse senza sforzo a girare la testa verso la bambina.
Lei stava sorridendo? Al demone?
“Perché questa
espressione di gioia? Ti ho solo chiesto come te li sei fatti” affermò,
genuinamente incuriosito.
Eppure lei
continuava a sorridere, sorridere.
Nonostante
l’evidente dolore per le botte prese.
Sembrava che
nulla le fosse più facile e gradito.
Fu la prima
volta che Sesshomaru la guardò davvero. Minuta, capelli e iridi nere.
Occhi enormi. Visetto a forma di cuore, sbarazzino.
Se qualcuno gli
avesse detto che quella bambina sarebbe diventata il centro del suo universo
non ci avrebbe mai creduto.
Mai.
Neppure dopo il
ritrovamento del corpo di lei, fatto a pezzi dai lupi.
Neppure dopo
quello strano vuoto distinto alla vista del suo cadavere.
Neppure dopo
averla riportata in vita, prima tra tutti, con la potenza di Tenseiga.
Neppure dopo
averla stretta tra le braccia e averne assaporato il crescente calore corporeo,
il battito del cuore, lo sguardo acceso.
Neppure dopo
averle voltato le spalle, conscio di quel meraviglioso scalpiccio di piedi che
avrebbe iniziato a seguirlo e affiancarlo per sempre.
Mai.
Presente:
Mi arrestai,
meditabonda, di fronte alla lapide squisitamente curata di Kaede.
Ne accarezzai
la superficie fredda ma liscia, soffermandomi qualche secondo in più
sull’incisione ruvida al tatto.
Vi era stato
intagliato un solo aggettivo: Amata.
Perché così
sarebbe stata ricordata per sempre. Non sarebbero serviti altri superflui riconoscimenti.
Lei odiava gli eccessi, in fondo.
Molteplici
ghirlande di margherite bianche e bouquet di tulipani circondavano la pietra
sepolcrale.
I profumi
delicati e i colori armoniosi s’intrecciavano squisitamente, donando tocchi di
splendore, magnificenza e femminilità all’ambiente consacrato.
Inspirai a
pieni polmoni, ripercorrendo con la memoria gli ultimi momenti trascorsi prima
della morte di Karura.
Keade si era
materializzata – fiera, possente, affascinante – salvandomi dal ciclone oscuro
della dannazione.
Ed era apparsa
così meravigliosamente pura, incontaminata dal male di questo mondo, da avermi
regalato la speranza di un’umanità meno sofferta, tenebrosa;
era stata
portatrice di un futuro sfavillante, appassionante.
Una dolorosa
cicatrice che era possibile medicare e ricucire attraverso sottilissimi fili
traboccanti di amore e desiderio.
Il riflesso di
quella straordinaria donna sarebbe stato simile al mio, giurai, mordicchiandomi
il labbro inferiore.
Non identico.
Questo lei avrebbe voluto. Adesso ne ero consapevole.
Avrei onorato
il suo essere sacerdotessa, senza però decedere realizzando esclusivamente quel
determinato obiettivo.
Perché la magia
della spiritualità traboccava in ogni singolo, piccolo, elemento terrestre.
La percepivo,
cristallina, attraverso i profumi che il creato ci regalava.
Nello
scrosciare capriccioso della tempesta invernale; nel pacato picchiettio della
pioggia d’estate.
Sui petali
delicati dei fiori riscaldati dal cavalleresco sole.
Nella mia
naturale essenza di donna, cui per nulla al mondo avrei rinunciato.
E la mia mamma,
lo sapeva bene.
Kaede – prima
ancora la venerabile Kikyo – era stata vittima di un sistema basato sulla
violenza e sulla guerra.
Aveva imparato
(quella era stata l’unica realtà che aveva conosciuto) e infine accettato che
la salvezza del mondo, dell’essere umano, veniva prima di qualunque altra cosa.
Perfino del suo essere donna, sorella, amante, madre, nonna.
Eppure, un
minuscolo frammento della sua anima si era garbatamente rifiutato.
Kaede aveva
accudito e curato gli abitanti del suo villaggio senza pretendere nulla in
cambio. Aveva sorvegliato per anni i bambini giocare beati, con un pizzico di
malinconia.
Poi ero
arrivata io. Assieme c’eravamo guarite, amate, trovate.
Attraverso di
me era finalmente venuta a conoscenza di una nuovissima – quanto naturale –
realtà.
Realtà di cui
io stessa sarei stata portatrice: una giovane generazione di sacerdotesse.
Vi era, d’altro
canto, un solo ostacolo. Sbuffai spazientita e con il pensiero raggiunsi
Sesshomaru.
Lo stesso
Sesshomaru svanito nel nulla qualche ora prima.
Ormai lo
conoscevo fin troppo bene.
Ero convinta
come non mai che si sarebbe fatto vedere al momento opportuno, dando spazio a
entrambi per riflette e ed elaborare il tutto.
Non che mi
sarebbe servito chissà quanto tempo, intendiamoci.
Sapevo
perfettamente cosa fare e cosa dire.
Così com’ero
sufficientemente sicura di quelle che potevano essere le sue intenzioni.
Perciò non mi
meravigliai particolarmente quando lo vidi materializzarsi poco più avanti,
presso l’imponente acero che portava il nome della mia madre adottiva.
Il viso
rilassato, astutamente distaccato da qualsiasi cosa lo circondasse.
Si era
ristabilito completamente, per fortuna.
Solo una breve occhiata
alla pelle candida, priva di bruciature e graffi, attenuò un vago senso di
nausea abbarbicata contro le pareti del mio stomaco vuoto.
Maledizione,
quanto era bello – pensai innocentemente, mentre le gambe trasportavano il mio
corpo pesante prima che il cervello stesso avesse avuto il tempo materiale di
metterne a fuoco l’ordine.
Contemplai
golosamente i lunghi capelli argentati, sparsi oltre le spalle, dondolare
dolcemente al ritmo del vento.
Gli enormi
occhi ambrati vigilavano, meticolosi, su qualsiasi mio spostamento.
Al loro interno
vi danzava una nuova, esordiente sfumatura.
Aveva senza
dubbio deciso qualcosa.
“Stai bene?”
domandò premuroso, lasciandomi intendere (conoscevo ogni parte del suo essere
alla perfezione) che si riferiva tanto alla mia salute quando alla tomba dietro
di noi.
Degustai
ingorda il suono di quella voce familiare, in grado di provocare scariche di
piacere e adrenalina tutte le volte, in egual misura.
Il contatto
così caldo, delizioso, protettivo, del suo tocco contro la pelle del mio viso
mi ricordò quanto dolorosamente mi era mancata la sua presenza.
E come un fiume
in piena distrugge e aggredisce tutto ciò che incontra al suo passaggio, così
la forza dei miei sentimenti verso di lui tornò a galla, percuotendomi
intensamente.
Possibile che
mi facesse sentire così viva? Appassionata?
“Mi manca”
dissi, carezzando con un dito la mezzaluna sulla fronte levigata del demone. “Era
come una mamma, per me.”
“Anche lei ti
voleva bene” sussurrò, avvicinandosi.
Sorrisi
riconoscente.
“Ho conosciuto
Kaede grazie a te” lasciai vagare liberamente la mia mano sul suo volto,
calcandone le sopracciglia affilate, lo zigomo alto, la guancia marcata.
“Quanti altri
grazie dovrai sentirmi dire?” scherzai. “Perché sai, c’è il grazie per
avermi salvato la vita, il grazie per avermi protetto, quello per avermi tenuto
vicino a te e infine il grazie per avermi fatta inn – ”
“Rin”
m’interruppe il demone, bloccandomi la mano ormai pericolosamente vicina alla
sua bocca.
Lo fissai
disorientata (anche un po’ seccata), trattenendo il respiro e mordicchiandomi
il labbro per abitudine.
“Ciò che
abbiamo vissuto all’interno delle nostre coscienze” iniziò a dire, autoritario
“ il me che hai conosciuto; era tutto reale. Quello che provo per te non
cambierà mai.”
Notai la
mascella pronunciata di Sesshomaru indurirsi di colpo. “Ma ciò che sono adesso,
il demone che hai di fronte, non è cambiato. Ho commesso azioni mostruose e non
è detto che non accadrà di nuovo. Dovresti averlo capito, ormai.
Con Karura.”
“Sesshomaru”
mormorai, commossa. “Volevi solo proteggermi da lei; sei morto a causa mia!”
“Sono sbagliato
per te. Anche se riuscissi a difenderti da tutti i nemici della mia vita, non
sarei in grado di amare gli altri esseri umani. Probabilmente sarei pronto a
sterminare l’intera razza per la tua salvezza. Per averti su questo mondo.
Non mi pentirei
minimamente. Perché sono egoista, Rin. Sono un essere profondamente egoista
pronto a uccidere pur di ottenere i propri desideri.
E ancora, non
mi pento. Ma con te, adesso, non voglio esserlo.
Non voglio che
un domani tu possa pentirti di avermi conosciuto.”
Velocemente si
allontanò, lasciandomi scoperta, indifesa. “Non voglio che tu dica qualcosa del
genere prima di aver saputo come stanno esattamente le cose. Prima di aver
ascoltato questo demone oscuro.”
Una piccola
ondata di collera mi turbò. Il vuoto tra noi mi fece rabbrividire.
Tentai di
preservare il calore di quel minimo contatto che c’era stato.
Abbassai la
testa, sfregando con i palmi delle mani sul kimono rosa che avevo indosso.
Chissà se lo
ricordava. Il kimono.
Era l’ultimo,
prezioso regalo che mi aveva portato durante il suo ritorno a casa.
Ed io ero stata
così felice di vederlo, che sarei svenuta dall’emozione.
“Complimenti”
gridai. “Hai centrato il punto.”
Lo vidi
strabuzzare gli occhi, disorientato. Evidentemente non si aspettava una
reazione del genere – e un linguaggio simile. Tanto meglio.
“Sei un demone
egoista; un demone egoista che ha commesso azioni atroci.
Questo ti rende
un essere tremendamente sbagliato. Un essere egoista che non solo ha commesso
azioni atroci, ma che sarebbe anche pronto a ripeterle. E non se ne pentirebbe
nemmeno. Complimenti!” sbraitai, stizzita.
Spostai il peso
da un piede all’altro, annodando le braccia al petto.
“Perché nemmeno
io mi pento” annunciai tronfia.
Il suo
disorientamento era palese, ora.
“Non mi pento
di averti incontrato. Non mi pento di esserti stata sempre in mezzo ai piedi,
da bambina. Non mi pento di averti annoiato, infastidito o impensierito. Non mi
pento di provare quello che percepisco quando sono accanto a te.
Non mi pento di
sentirmi così contenta, infiammata, eccitata. Non mi pento di averti scelto;
tu, un demone egoista in mezzo a tanti umani generosi.
Non mi pento di
avvertire gelosia o irritazione verso chiunque ti stia accanto, ti tocchi, ti
parli, ti guardi. Se non sono io.”
Lo fissai
intensamente, risoluta. “Non mi pento di amarti, Sesshomaru.”
Lo avrei
gridato al mondo intero, se avessi potuto. Lo dovevo a me stessa.
A lui.
La prima volta
che avevo pronunciato queste parole era stato prima che il demone morisse
avvelenato. La seconda era stata dentro le nostre menti.
Questa era
l’occasione che contava davvero.
Poiché entrambi
eravamo vivi, incolumi; noi stessi.
Ridacchiai
nervosa, rilassando i muscoli delle gambe.
“Probabilmente
questo mi rende più egoista di t – ”
E trovai le sue
labbra sottili, calde, premute contro le mie, asciutte e sproporzionate.
E il mio cuore
scoppiò estasiato, lasciandomi sbalordita.
Ma che importa, pensai, assorbendo il
bollore del suo corpo e ricambiando il bacio.
Quel bacio dai
mille sapori dolci, travolgenti.
Quel bacio
dalle mille personalità ammalianti, seducenti.
“Il sentimento
che provo per te” disse, staccandosi quel tanto che bastava per parlare, “si
chiama Amore; ed esso non è altro che la mia anima.”
La sua anima
apparteneva a me, come la mia, a lui.
Anime gemelle; così ci aveva definito
Isao.
Sorrisi beata.
“Ti piacerebbe
la terra dove ho preso il kimono” affermò vago, stuzzicandomi.
Rimasi impalata
a fissarlo. Aveva notato che lo indossavo, dunque.
“Forse hai
ragione” risposi, annuendo innocentemente. “Dovresti proprio mostrarmela.”
Due braccia
possenti mi sollevarono senza sforzo, prendendomi in braccio.
“Sono due
giorni di viaggio” spiegò, alzandosi in volo, alla ricerca di Ah-Un.
“Non c’è
fretta” bisbigliai prima di baciarlo. Assaporandolo.
Quel bacio dal
gusto di promessa eterna: Io e te. Per sempre.
Fine
Note Autrice:
Il 7 luglio del 2013.
Questo è stato il mio ultimo aggiornamento.
Essì, è passato un botto di tempo. Troppo;
troppo poco.
Dipende dai punti di vista.
Non so come scusarmi con tutti quelli che
hanno aspettato fino ad ora il completamento della mia storia.
Poco dopo il famoso 7 luglio ho avuto un
doloroso lutto in famiglia.
Molto doloroso.
Non riuscivo a scrivere.
Nemmeno il mio nome e cognome.
Diciamo che c’è voluto tempo.
Tempo e volontà.
Adesso sto meglio.
E l’amore per questa mia piccola storia
non è mai finito.
Posso dire senza vergogna di essermi
commossa, dopo le ultime righe.
Mi sento una mamma che ha appena visto i
propri figli crescere e andare per la propria strada. Piena d’orgoglio. Anche
un poco triste, nostalgica.
Detto ciò, ringrazio tutti quelli che
leggeranno, che hanno letto, seguito, amato, odiato l’avventura di Rin e
Sesshomaru.
Tutte quelle anime pie che hanno sempre
commentato.
Che o se commenteranno.
Grazie. Di cuore.
P.s la storia effettiva è conclusa, ma non
è detto che non ci sia un post capitolo, a parte.
Una sorta di after story, ecco.
Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi
piacerebbe!
Un mega bacio da una Road chan rinata.