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Autore: road chan    31/10/2014    3 recensioni
Sono passati molti anni dalla scomparsa di Naraku.
La vita di tutti i nostri protagonisti è cambiata; ogni cosa scorre pacificamente e in allegria.
Per la dolce Rin, cresciuta nel villaggio di Kaede e divenuta diciassettenne, una nuova, pericolosa avventura la attende.
E così, tra inganni, amori, gelosie e sofferenze, la ragazza si scoprirà legata al filo più magico di tutti:
il filo dell'Anima Gemella.
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Twin Souls

“And in that moment,
I swear
we were infinite.”

(Stephen Chbosky)

 

Svariati anni addietro:

Erano le prime, sgradevoli luci del tramonto quando un vago strusciare di fronde attivò la mente intorpidita di Sesshomaru.

Quasi subito, un ritaglio efficiente del suo cervello stimò perfettamente i danni e le ferite subìte contro la Cicatrice del Vento di Tessaiga.

Solo a causa di un colpo fortunato del fratello demente. Un disonore.

In più, avrebbe dovuto sostituire l’arto mancante con uno potente abbastanza da eguagliarlo. Sperpero di tempo.

Gli sarebbe bastata semplicemente qualche ora per rigenerare le modeste lesioni fisiche ma fin troppo per quelle morali, d’orgoglio, tipiche del demone.

Un nuovo, fastidioso rumore lo fece scattare sull’attenti, smantellando gli ultimi residui di sopportazione.

Approssimativamente si rese conto del luogo nel quale era precipitato quando, dinanzi a lui, si materializzò un essere umano.

Un piccolo essere umano – realizzò. Una bambina.

Senza alcun dubbio sarebbe scappata terrorizzata. Non valeva la pena interessarsi a lei, ragionò. Eppure il cucciolo, seppur intimidito, fece un passo avanti.

Sorprendendolo.

Per un momento rimase disorientato, analizzandone sospettosamente qualsiasi mossa. Come del resto, percepì, faceva lei.

Era silenziosa, veloce, diligente.

Accostò ai piedi del demone una fiaschetta d’acqua con del pesce grigliato e un mucchietto di funghi.

Che cosa aveva in mente? Voleva sfamarlo? Curarlo? Ridicola.

Un misero cucciolo non era degno di preoccuparsi per lui.

Chiuse gli occhi, scocciato, conoscendo a memoria la procedura per mandarla via.

“Non perdere tempo in cose inutili” le disse bruscamente “il cibo degli esseri umani non è di mio gradimento.”

Così, una volta per tutte, sarebbe finalmente rimasto solo, rifletté, abbandonandosi al sonno.

Nuovamente solo.

 

Il sole caldo e rassicurante della giovane mattina accarezzò la pelle completamente ristabilita di Sesshomaru.

Si concesse qualche minuto extra di riposo avvolto dalla quiete del bosco e dal cinguettare degli uccelli.

Sembrava tutto così pacifico, sereno, anche all’interno della sua stessa testa.

Si erano placati i bollenti spiriti, la rabbia diminuita, le promesse di vendetta contro Inuyasha rimandate.

Per lui, una tregua del genere appariva tanto incomprensibile quanto piacevole.

Nulla avrebbe potuto più deconcentrarlo.

Nulla, se non dei minimi passi improvvisi diretti verso di lui.

Dischiuse le palpebre, riconoscendone la singolare andatura.

Eppure qualcosa lo turbò immensamente.

Forse la camminata particolarmente pesante, come di piedi strusciati a forza contro il suolo. Forse il fastidioso odore di sangue misto a terra e fanghiglia.

Con la coda dell’occhio rivide la bambina umana avanzare sicura, stringendo tra le mani altro cibo.

Sul serio aveva cercato nuovi viveri? Era stupida? Stava tentando di provocarlo?

“Non ne voglio!” sbuffò tediato.

Velocemente il cucciolo si accasciò a terra, offrendogli caparbia l’umile pasto.

“Ti ho già detto che non voglio nulla da te” ripeté Sesshomaru.

Seriamente, non aveva mai incontrato nessuno di così fastidiosamente testardo.

Umana, per giunta. Senza la minima traccia di paura.

L’odore di sangue si fece più forte, portandolo inevitabilmente a riflettere.

Perché una creaturina del genere era ricoperta di simili ferite? Chi poteva essere stato?

Calcolò automaticamente un paio di denti scheggiati, un occhio gonfio, lividi diffusi e un ginocchio contuso.

Altri umani, adulti. Forse del suo villaggio.

Aveva, davanti a se, un’orfana ricoperta di stracci e umiliazioni.

“Come ti sei procurata quei graffi?” le chiese, senza rendersene conto.

Poi si pentì immediatamente. Che cosa stava facendo? Da quando gli affari di un umano lo interessavano tanto?

Doveva darsi una controllata.

“Se non vuoi dirlo, non sei obbligata a farlo” si corresse subito, un poco stizzito.

Perché non parlava?

Lo shock le impediva di proferire anche una sola sillaba ma…

Lui voleva ascoltare quella maledetta voce.

Già vagheggiava sul timbro delicato ma intenso, dai colori vivaci e forti.

Un movimento repentino lo costrinse senza sforzo a girare la testa verso la bambina.

Lei stava sorridendo? Al demone?

“Perché questa espressione di gioia? Ti ho solo chiesto come te li sei fatti” affermò, genuinamente incuriosito.

Eppure lei continuava a sorridere, sorridere.

Nonostante l’evidente dolore per le botte prese.

Sembrava che nulla le fosse più facile e gradito.

Fu la prima volta che Sesshomaru la guardò davvero. Minuta, capelli e iridi nere.

Occhi enormi. Visetto a forma di cuore, sbarazzino.

Se qualcuno gli avesse detto che quella bambina sarebbe diventata il centro del suo universo non ci avrebbe mai creduto.

Mai.

Neppure dopo il ritrovamento del corpo di lei, fatto a pezzi dai lupi.

Neppure dopo quello strano vuoto distinto alla vista del suo cadavere.

Neppure dopo averla riportata in vita, prima tra tutti, con la potenza di Tenseiga.

Neppure dopo averla stretta tra le braccia e averne assaporato il crescente calore corporeo, il battito del cuore, lo sguardo acceso.

Neppure dopo averle voltato le spalle, conscio di quel meraviglioso scalpiccio di piedi che avrebbe iniziato a seguirlo e affiancarlo per sempre. 

Mai.

 

Presente:

Mi arrestai, meditabonda, di fronte alla lapide squisitamente curata di Kaede.

Ne accarezzai la superficie fredda ma liscia, soffermandomi qualche secondo in più sull’incisione ruvida al tatto.

Vi era stato intagliato un solo aggettivo: Amata.

Perché così sarebbe stata ricordata per sempre. Non sarebbero serviti altri superflui riconoscimenti. Lei odiava gli eccessi, in fondo.

Molteplici ghirlande di margherite bianche e bouquet di tulipani circondavano la pietra sepolcrale.

I profumi delicati e i colori armoniosi s’intrecciavano squisitamente, donando tocchi di splendore, magnificenza e femminilità all’ambiente consacrato.

Inspirai a pieni polmoni, ripercorrendo con la memoria gli ultimi momenti trascorsi prima della morte di Karura.

Keade si era materializzata – fiera, possente, affascinante – salvandomi dal ciclone oscuro della dannazione.

Ed era apparsa così meravigliosamente pura, incontaminata dal male di questo mondo, da avermi regalato la speranza di un’umanità meno sofferta, tenebrosa;

era stata portatrice di un futuro sfavillante, appassionante.

Una dolorosa cicatrice che era possibile medicare e ricucire attraverso sottilissimi fili traboccanti di amore e desiderio.

Il riflesso di quella straordinaria donna sarebbe stato simile al mio, giurai, mordicchiandomi il labbro inferiore.

Non identico.

Questo lei avrebbe voluto. Adesso ne ero consapevole.

Avrei onorato il suo essere sacerdotessa, senza però decedere realizzando esclusivamente quel determinato obiettivo.

Perché la magia della spiritualità traboccava in ogni singolo, piccolo, elemento terrestre.

La percepivo, cristallina, attraverso i profumi che il creato ci regalava.

Nello scrosciare capriccioso della tempesta invernale; nel pacato picchiettio della pioggia d’estate.

Sui petali delicati dei fiori riscaldati dal cavalleresco sole.

Nella mia naturale essenza di donna, cui per nulla al mondo avrei rinunciato.

E la mia mamma, lo sapeva bene.

Kaede – prima ancora la venerabile Kikyo – era stata vittima di un sistema basato sulla violenza e sulla guerra.

Aveva imparato (quella era stata l’unica realtà che aveva conosciuto) e infine accettato che la salvezza del mondo, dell’essere umano, veniva prima di qualunque altra cosa. Perfino del suo essere donna, sorella, amante, madre, nonna.

Eppure, un minuscolo frammento della sua anima si era garbatamente rifiutato.

Kaede aveva accudito e curato gli abitanti del suo villaggio senza pretendere nulla in cambio. Aveva sorvegliato per anni i bambini giocare beati, con un pizzico di malinconia.

Poi ero arrivata io. Assieme c’eravamo guarite, amate, trovate.

Attraverso di me era finalmente venuta a conoscenza di una nuovissima – quanto naturale – realtà.

Realtà di cui io stessa sarei stata portatrice: una giovane generazione di sacerdotesse.

Vi era, d’altro canto, un solo ostacolo. Sbuffai spazientita e con il pensiero raggiunsi Sesshomaru.

Lo stesso Sesshomaru svanito nel nulla qualche ora prima. 

Ormai lo conoscevo fin troppo bene.

Ero convinta come non mai che si sarebbe fatto vedere al momento opportuno, dando spazio a entrambi per riflette e ed elaborare il tutto.

Non che mi sarebbe servito chissà quanto tempo, intendiamoci.

Sapevo perfettamente cosa fare e cosa dire.

Così com’ero sufficientemente sicura di quelle che potevano essere le sue intenzioni.

Perciò non mi meravigliai particolarmente quando lo vidi materializzarsi poco più avanti, presso l’imponente acero che portava il nome della mia madre adottiva.

Il viso rilassato, astutamente distaccato da qualsiasi cosa lo circondasse.

Si era ristabilito completamente, per fortuna.

Solo una breve occhiata alla pelle candida, priva di bruciature e graffi, attenuò un vago senso di nausea abbarbicata contro le pareti del mio stomaco vuoto.

Maledizione, quanto era bello – pensai innocentemente, mentre le gambe trasportavano il mio corpo pesante prima che il cervello stesso avesse avuto il tempo materiale di metterne a fuoco l’ordine.

Contemplai golosamente i lunghi capelli argentati, sparsi oltre le spalle, dondolare dolcemente al ritmo del vento.

Gli enormi occhi ambrati vigilavano, meticolosi, su qualsiasi mio spostamento.

Al loro interno vi danzava una nuova, esordiente sfumatura.

Aveva senza dubbio deciso qualcosa.

“Stai bene?” domandò premuroso, lasciandomi intendere (conoscevo ogni parte del suo essere alla perfezione) che si riferiva tanto alla mia salute quando alla tomba dietro di noi.

Degustai ingorda il suono di quella voce familiare, in grado di provocare scariche di piacere e adrenalina tutte le volte, in egual misura.

Il contatto così caldo, delizioso, protettivo, del suo tocco contro la pelle del mio viso mi ricordò quanto dolorosamente mi era mancata la sua presenza.

E come un fiume in piena distrugge e aggredisce tutto ciò che incontra al suo passaggio, così la forza dei miei sentimenti verso di lui tornò a galla, percuotendomi intensamente.

Possibile che mi facesse sentire così viva? Appassionata?

“Mi manca” dissi, carezzando con un dito la mezzaluna sulla fronte levigata del demone. “Era come una mamma, per me.”

“Anche lei ti voleva bene” sussurrò, avvicinandosi.

Sorrisi riconoscente.

“Ho conosciuto Kaede grazie a te” lasciai vagare liberamente la mia mano sul suo volto, calcandone le sopracciglia affilate, lo zigomo alto, la guancia marcata.

“Quanti altri grazie dovrai sentirmi dire?” scherzai. “Perché sai, c’è il grazie per avermi salvato la vita, il grazie per avermi protetto, quello per avermi tenuto vicino a te e infine il grazie per avermi fatta inn – ”

“Rin” m’interruppe il demone, bloccandomi la mano ormai pericolosamente vicina alla sua bocca.

Lo fissai disorientata (anche un po’ seccata), trattenendo il respiro e mordicchiandomi il labbro per abitudine.

“Ciò che abbiamo vissuto all’interno delle nostre coscienze” iniziò a dire, autoritario “ il me che hai conosciuto; era tutto reale. Quello che provo per te non cambierà mai.”

Notai la mascella pronunciata di Sesshomaru indurirsi di colpo. “Ma ciò che sono adesso, il demone che hai di fronte, non è cambiato. Ho commesso azioni mostruose e non è detto che non accadrà di nuovo. Dovresti averlo capito, ormai.

Con Karura.”

“Sesshomaru” mormorai, commossa. “Volevi solo proteggermi da lei; sei morto a causa mia!”

“Sono sbagliato per te. Anche se riuscissi a difenderti da tutti i nemici della mia vita, non sarei in grado di amare gli altri esseri umani. Probabilmente sarei pronto a sterminare l’intera razza per la tua salvezza. Per averti su questo mondo.

Non mi pentirei minimamente. Perché sono egoista, Rin. Sono un essere profondamente egoista pronto a uccidere pur di ottenere i propri desideri.

E ancora, non mi pento. Ma con te, adesso, non voglio esserlo.

Non voglio che un domani tu possa pentirti di avermi conosciuto.”

Velocemente si allontanò, lasciandomi scoperta, indifesa. “Non voglio che tu dica qualcosa del genere prima di aver saputo come stanno esattamente le cose. Prima di aver ascoltato questo demone oscuro.”

Una piccola ondata di collera mi turbò. Il vuoto tra noi mi fece rabbrividire.

Tentai di preservare il calore di quel minimo contatto che c’era stato.

Abbassai la testa, sfregando con i palmi delle mani sul kimono rosa che avevo indosso.

Chissà se lo ricordava. Il kimono.

Era l’ultimo, prezioso regalo che mi aveva portato durante il suo ritorno a casa.

Ed io ero stata così felice di vederlo, che sarei svenuta dall’emozione.

“Complimenti” gridai. “Hai centrato il punto.”

Lo vidi strabuzzare gli occhi, disorientato. Evidentemente non si aspettava una reazione del genere – e un linguaggio simile. Tanto meglio.

“Sei un demone egoista; un demone egoista che ha commesso azioni atroci.

Questo ti rende un essere tremendamente sbagliato. Un essere egoista che non solo ha commesso azioni atroci, ma che sarebbe anche pronto a ripeterle. E non se ne pentirebbe nemmeno. Complimenti!” sbraitai, stizzita.

Spostai il peso da un piede all’altro, annodando le braccia al petto.

“Perché nemmeno io mi pento” annunciai tronfia.

Il suo disorientamento era palese, ora.

“Non mi pento di averti incontrato. Non mi pento di esserti stata sempre in mezzo ai piedi, da bambina. Non mi pento di averti annoiato, infastidito o impensierito. Non mi pento di provare quello che percepisco quando sono accanto a te.

Non mi pento di sentirmi così contenta, infiammata, eccitata. Non mi pento di averti scelto; tu, un demone egoista in mezzo a tanti umani generosi.

Non mi pento di avvertire gelosia o irritazione verso chiunque ti stia accanto, ti tocchi, ti parli, ti guardi. Se non sono io.”

Lo fissai intensamente, risoluta. “Non mi pento di amarti, Sesshomaru.”

Lo avrei gridato al mondo intero, se avessi potuto. Lo dovevo a me stessa.

A lui.

La prima volta che avevo pronunciato queste parole era stato prima che il demone morisse avvelenato. La seconda era stata dentro le nostre menti.

Questa era l’occasione che contava davvero.

Poiché entrambi eravamo vivi, incolumi; noi stessi.

Ridacchiai nervosa, rilassando i muscoli delle gambe.

“Probabilmente questo mi rende più egoista di t – ”

E trovai le sue labbra sottili, calde, premute contro le mie, asciutte e sproporzionate.

E il mio cuore scoppiò estasiato, lasciandomi sbalordita.

Ma che importa, pensai, assorbendo il bollore del suo corpo e ricambiando il bacio.

Quel bacio dai mille sapori dolci, travolgenti.

Quel bacio dalle mille personalità ammalianti, seducenti.

“Il sentimento che provo per te” disse, staccandosi quel tanto che bastava per parlare, “si chiama Amore; ed esso non è altro che la mia anima.”

La sua anima apparteneva a me, come la mia, a lui.

Anime gemelle; così ci aveva definito Isao.

Sorrisi beata.

“Ti piacerebbe la terra dove ho preso il kimono” affermò vago, stuzzicandomi.

Rimasi impalata a fissarlo. Aveva notato che lo indossavo, dunque.

“Forse hai ragione” risposi, annuendo innocentemente. “Dovresti proprio mostrarmela.”

Due braccia possenti mi sollevarono senza sforzo, prendendomi in braccio.

“Sono due giorni di viaggio” spiegò, alzandosi in volo, alla ricerca di Ah-Un.

“Non c’è fretta” bisbigliai prima di baciarlo. Assaporandolo.

Quel bacio dal gusto di promessa eterna: Io e te. Per sempre.

 

 

Fine

 

 

 

Note Autrice:

Il 7 luglio del 2013.

Questo è stato il mio ultimo aggiornamento.

Essì, è passato un botto di tempo. Troppo; troppo poco.

Dipende dai punti di vista.

Non so come scusarmi con tutti quelli che hanno aspettato fino ad ora il completamento della mia storia.

Poco dopo il famoso 7 luglio ho avuto un doloroso lutto in famiglia.

Molto doloroso.

Non riuscivo a scrivere.

Nemmeno il mio nome e cognome.

Diciamo che c’è voluto tempo.

Tempo e volontà.

Adesso sto meglio.

E l’amore per questa mia piccola storia non è mai finito.

Posso dire senza vergogna di essermi commossa, dopo le ultime righe.

Mi sento una mamma che ha appena visto i propri figli crescere e andare per la propria strada. Piena d’orgoglio. Anche un poco triste, nostalgica.

Detto ciò, ringrazio tutti quelli che leggeranno, che hanno letto, seguito, amato, odiato l’avventura di Rin e Sesshomaru.

Tutte quelle anime pie che hanno sempre commentato.

Che o se commenteranno.

Grazie. Di cuore.

P.s la storia effettiva è conclusa, ma non è detto che non ci sia un post capitolo, a parte.

Una sorta di after story, ecco.

Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi piacerebbe!

Un mega bacio da una Road chan rinata.

  
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