Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Yellow Daffodil    31/10/2014    10 recensioni
Jeremy Parker ha 22 anni ed è un criminale. Ha chiesto al suo migliore amico di aiutarlo a rapire una ragazza, perché il signor Edoardo Cordano l'ha minacciato di fargli la pelle. Alex Bell è il suddetto migliore amico e crede che Jeremy si farà ammazzare.
Tessy Heavens è la ragazza in questione, è la figlia del ricchissimo Oliver Heavens, a cui apparentemente verranno spillati dei soldi. Ha una sorella che odia e che non fa parte della sua perfetta famiglia. Ma questa sorella a sua volta odia tutti quanti a partire da suo padre, il suo nome è Taylor e mi sa proprio che Jeremy si sbaglierà e rapirà lei al posto di Tessy. Nel frattempo Allyson, migliore amica di Tessy e Taylor, si incazzerà con Alex Bell, il suo fidanzato, e con Richard Stuart, suo fratello, il quale è anche il braccio destro di Cordano. Che casino.
Aggiungiamo che Jeremy e Taylor saranno così incompatibili che la missione risulterà impossibile, ma poi magari si innamoreranno e allora Cordano si incazzerà da morire e regalerà a voi lettori un vero, magico, Natale.
Buon rapimento a tutti!
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
All I want - 13.2

ALL I WANT FOR CHRISTMAS IS...

********All Kinds of Love********

"Sei sicura di volerlo fare?"

"Sì, mamma." ripeté Taylor per l'ennesima volta, mentre si sistemava la coda di cavallo con l'impressione di sembrare in disordine.

Prese un profondo respiro e appoggiò la mano sulla maniglia della portiera, ma venne bloccata dalla donna.

"Tay, aspetta!" Amanda strinse il suo braccio per trattenerla.

L'ultima volta che si era allontanata, non l'aveva più rivista per venti giorni: quel pensiero la spaventò. Sembrava fosse stata lontana per una vita e ora, dopo solo un giorno dal suo ritorno, doveva separarsene di nuovo.

"Che c'è?"

La donna la guardò negli occhi, uguali ai suoi, scuri e profondi.

"Sono davvero felice che tu stia bene." le disse, il tono tremante di chi ne aveva passate tante e aveva paura di ammettere che finalmente fosse tutto finito.

Taylor sorrise, ripensando a quanto aveva sofferto la mancanza della la madre. Aveva avuto paura di non poterla più rivedere o abbracciare, aveva avuto paura che lei sarebbe rimasta sola. E ora non doveva più averne, poteva guardarla e stare tranquilla, perché erano lì, insieme. E a casa, finalmente.

"Avevi dubbi?" le ripose sorridendo allegramente, poi le lasciò un veloce bacio sulla guancia e scese dalla macchina. Sua mamma era sempre stata forte per lei, ora era tempo di ricambiare il favore.

Amanda abbassò il finestrino facendo entrare l'aria pungente di fine dicembre: "Mi raccomando, Tay." la redarguì. "Per qualsiasi problema non esitare a chiamarmi, anzi, se preferisci che io resti qui fuori con l'auto..."

"Mamma." la interruppe dolcemente la ragazza. "È solo una cena di Natale, la cosa peggiore che possa capitarmi è che il tacchino sia poco cotto."

Amanda le lanciò un'occhiata in tralice, non così amichevole come ci si potrebbe aspettare: "Davvero spiritosa. Torno all'ospedale, allora, ti chiamo se ho notizie. Va bene?"

"Grazie, mamma."

"E, Tay?"

"Mh?"

"Credo che tu abbia fatto bene ad accettare, solo...non essere troppo acida, eh."

"Mamma!" ridacchiò lei, quasi divertita da tutte quelle raccomandazioni. "Sono in missione di pace!"

La donna alzò le sopracciglia: non si capacitava ancora di come in poco più di ventiquattr'ore dal ritrovamento di sua figlia avesse scoperto così tanti cambiamenti in lei. E non erano proprio cambiamenti di poco conto.

"Stai attenta, ok? Ti ricordo che dovresti stare ancora a riposo, secondo i medici."

"Non riposerò finché i medici non mi daranno qualche buona notizia." fu la risposta della ragazza, ricca di emozioni che Amanda riusciva benissimo a immaginare.

Abbassò lo sguardo, tanto dubbiosa quanto preoccupata per sua figlia e tutto ciò che in quel momento le stava tanto a cuore: "Tu cerca di distrarti, mh? Ti voglio bene, ci vediamo più tardi."

La ragazza annuì e salutò con la mano sua madre, mentre partiva per lasciarla sola davanti a villa Heavens. C'era un freddo penetrante e ghiaccio sui marciapiedi, ma le strade erano lo stesso molto popolate. Specialmente da chi stava andando a riunirsi per l'irrinunciabile cenone natalizio.

D'altra parte, era il 25 dicembre e l'atmosfera non poteva essere più adatta. Non per tutti, naturalmente, ma nessuno dei passanti pensava a cose brutte, quella sera. D'altronde la loro vita negli ultimi quindici giorni si era svolta regolarmente: pacchetti, addobbi, alberi, messe, canti...

Si voltò e si trovò faccia a faccia con la visione della sontuosa residenza Heavens, elegante e altera nella zona elitaria della piccola Bourton. Aveva sempre guardato con meraviglia le fattezze di quel quartiere: le sue abitazioni grandi e curate, i suoi viali spaziosi e alberati, i parchi e le zone boschive che trasmettevano pace e tranquillità.

Molta all'apparenza, ma aveva appreso che effettivamente l'apparenza inganna.

Si fece coraggio e, stringendosi nel cappotto per conservare quel poco calore che era riuscita a recuperare, si avviò verso la porta. L'ultima volta che era stata lì era stato l'inizio del caos, perciò faceva un certo effetto tornarci di nuovo.

Da una parte quasi desiderava che quell'esperienza si potesse ripetere, dall'altra voleva fortemente che non fosse mai successo nulla. Una serie di desideri e rimpianti si intrecciavano ai suoi ricordi, rendendoli ancora più vividi, ma non era tempo di mettersi a pensare, quello.

Era da più di ventiquattr'ore che continuava incessantemente a torturarsi; adesso, però, doveva assolutamente portare a termine quella missione con nervi saldi e tempra forte. Gliel'aveva chiesto Jeremy.

Non fece nemmeno in tempo a suonare che l'entrata si spalancò all'improvviso, rivelando una Tessy meravigliosa nel suo vestito rosso, impeccabile e vibrante.

Taylor s'irrigidì. Pensava di essere pronta per quel momento, ma scoprì che non lo era affatto. Ottimo inizio.

Cos'era? Nervi saldi e tempra forte?

Ma la vera sorpresa fu Tessy, che al contrario di lei, sembrava essere ben determinata nell'accoglierla con un abbraccio. Che doveva fare? Era indecisa tra voltarsi e scappare prima che riuscisse a prenderla o urlare come se non ci fosse un domani. Forse era meglio la prima.

Invece, prima che riuscisse a fare qualsiasi cosa, venne avvolta in un forte profumo di sandalo e vaniglia e contemporaneamente stretta da un corpo tanto esile quanto caldo. Era strano quel contatto, pensò.

Forse era l'abitudine a un altro tipo di abbraccio; più forte, più protettivo, forse era la non abitudine al corpo di Tessy, che non conosceva, che aveva sempre rifiutato di conoscere. Le piaceva, tutto sommato; sapeva di casa, sapeva di normalità.

Appena la sorellastra si staccò da lei, la guardò con un sorriso imbarazzato: "Perdonami, ehm...non so quanto tu avessi voglia di un abbraccio da parte mia, è solo che...sono davvero felice che tu ce l'abbia fatta, Taylor." sembrava sincera e la sua espressione comunicava sollievo e gioia. "Ti sembrerà strano detto da me, però...in tutto questo tempo ho avuto davvero paura e ti voglio chiedere scusa. Scusami, Taylor, per le tante volte in cui avrei dovuto essere matura e invece ho continuato a fare la stronza."

Questo sì che era essere precipitosi, ma Taylor, commossa da quelle inaspettate parole, si lasciò andare in un sorriso e si schiarì la voce: "Tutt'altro rispetto ai commentini su quanto sia grassa."

Anche Tessy sorrise, stavolta più rilassata nel vedere che Taylor non sembrava poi così arrabbiata con lei: "Sappi che non lo pensavo."

"Che bugiarda" ridacchiò Taylor. "Metà della colpa è senza dubbio mia." ammise con fatica e tornando seria. "Credo che Allyson avesse ragione: noi due non abbiamo mai voluto conoscerci veramente, io per prima. Mi dispiace." le costava davvero tanto dirlo ad alta voce, però aveva capito, negli ultimi giorni, che farsi condizionare dal rancore e dalla vendetta per gli screzi passati non portava mai a nulla di buono. Glielo aveva sempre detto la sua migliore amica e lei non le aveva mai dato ascolto, ora però sapeva che non si sbagliava.

"Senti, facciamo che da oggi si ricomincia e come proposito per l'anno nuovo cercheremo di accontentare la povera Allyson." sorrise Tessy, animata dal desiderio di ricominciare tutto da capo e rimediare alle mancanze. "Niente più ostilità."

"Nei limiti del possibile. Ho mille commentini alle spalle da smaltire."

"Naturalmente. Anch'io ho la mia parte di fastidio da tenere a bada."

"Affare fatto."

Le ragazze si sorrisero e si strinsero la mano, forse per la prima volta in tutta la loro vita.

Dalla porta si faceva strada un profumino davvero invitante, così non esitarono a entrare in casa e farsi avvolgere dall'atmosfera natalizia, con tanto di caminetto strepitante, luci dorate, candele accese e un tavolo perfettamente imbandito per quattro persone.

Taylor sorrise, euforica per la prima volta dopo ore di pianto incessante. Tutto quel calore, quella sensazione di familiarità, di pace...le mancavano proprio e le servivano. Ne aveva davvero bisogno, in quel momento.

"Oh, Taylor, benvenuta!" esclamò una donna vestita di tutto punto, dalle forme sinuose e prosperose e dal sorriso raffinato.

Appoggiò il vassoio di tartine sul tavolo e la baciò sulle guance: "Sei fredda, tesoro, vuoi una coperta?"

"No no, si sta bene qui. Grazie per il benvenuto e buon Natale." le sorrise.

Era una bellissima donna, Martha Gellerd. Aveva i capelli rossi e la pelle chiara, giovane, per quanto l'età lo permettesse. Chissà se Amanda ne era mai stata invidiosa, si chiese, e poi si meravigliò di quanto poco, in realtà, conoscesse la seconda famiglia di suo padre. Ma era lì per rimediare, giusto?

"Mamma, per favore, non viene dalla Lapponia." la liquidò Tessy. "Va' a chiamare i Robins, devi ricordare loro che quest'anno non li riceveremo prima delle dieci."

"Giusto, hai ragione. Speriamo che Judith non sia curiosa come al solito." cinguettò lei tornando in cucina.

Tessy rivolse uno sguardo di scuse a Taylor e si sedette sulla poltrona: "Mamma ha invitato mezza Bourton dopo cena per la tombola di Natale."

"Potevate avere i vostri ospiti anche a cena." ribatté lei. "Non volevo essere d'intralcio."

Tessy alzò le sopracciglia: "Quel branco di zitelle in crisi di mezza età? Credimi, loro sarebbero state d'intralcio a noi. E poi non voglio nessuno; questa dev'essere una cena di famiglia e la famiglia siamo noi. Mi spiace che Amanda non sia qui, a proposito."

Taylor pensò a sua madre che ora doveva essere già arrivata all'ospedale di Bourton. L'avrebbe chiamata se avesse avuto notizie, l'aveva detto lei. Non doveva rimuginarci troppo.

E poi Tessy aveva appena detto qualcosa di assolutamente inaspettato: la famiglia siamo noi. Taylor non si era mai sentita famiglia...ed era sicura che Tessy non la volesse nella sua. Forse in fondo aveva più pregiudizi di quanto pensasse.

"Sono stata io a chiederle di rimanere a casa." spiegò allora. "Avevo bisogno di stare sola con voi. Questo non significa che non sarebbe stata felice di essere presente." aggiunse con un sorriso.

Pensò all'opera di convinzione che aveva dovuto fare per guadagnare la fiducia di Amanda, quando le aveva proposto di andare completamente sola. Amanda era molto scettica sulla stabilità fisica e sentimentale della figlia. Tuttavia, nei giorni della sua assenza, aveva ricominciato a tessere buoni rapporti con persone che prima credeva di non poter nemmeno avvicinare. Ora toccava a Taylor e capiva che non volesse alcuna interferenza, per quanto d'aiuto potesse esserle.

Tessy stava per ribattere quando il campanello suonò.

La ragazza roteò gli occhi: "Lo sapevo, quegli zotici dei Robins non riescono a stare lontani dai pettegolezzi. Perdonami un secondo." si alzò e si avviò a passo sostenuto verso la porta, pronta a spiegare chiaro e tondo a quelle persone che avrebbero dovuto farsi una vita invece di bazzicare sempre dove c'era del gossip.

Ma alla porta non trovò esattamente chi si aspettava.

Un ragazzo della sua età, biondo e di bell'aspetto, la stava guardando con il naso congelato, mentre soffiava all'interno delle mani congiunte per farsi un po' di caldo.

"Ehi."

Tessy lo guardò con fare titubante. Era un'apparizione oppure era lì veramente? Quanto tempo era passato da quanto si erano rivolti la parola per l'ultima volta?

"Tu..." pareva confusa e spiazzata nel vederlo lì davanti.

"Mi si iberna il cervello qui fuori...posso entrare?" domandò scrutando all'interno.

"Ehm...veramente..."

"Beh, credo che l'ibernazione non sia affatto una buona idea." intervenne Taylor, comparsa all'improvviso per dare man forte alla sorellastra apparentemente confusa e a disagio.

Tessy parve riscuotersi: "Ecco, in realtà io stavo parlando con Taylor. È la prima volta che la vedo da quando è tornata, quindi si dal caso che necessiti di un po' d'intimità e non mi sembra altrettanto il caso che tu ricompaia dopo tutto questo tempo proprio la sera di Natale."

"Seguo le orme di Gesù." fu la battuta alla quale nessuna delle due rise. "Ciao Taylor, io sono Eric." le tese la mano coperta dai guanti. "Ho sentito di te al tg e...sono davvero contento che tutto sia andato per il meglio."

"Grazie." rispose lei con un finto sorriso. Per il meglio un cavolo, pensò.

"Sentite, io vi lascio discutere a quattr'occhi da soli, eh?" aggiunse. "Vado a chiedere a Martha cosa si mangia." e con un'occhiataccia da parte della sorellastra si dileguò verso la cucina. Naturalmente non aveva intenzione di sparire, infatti si appostò dietro una colonna con tutta la volontà di spiare la conversazione.

Quell'Eric non le ispirava un granché, però aveva l'aria del disperato, di uno che aveva l'impellente bisogno di essere perdonato. E sperava che Tessy glielo avrebbe concesso, che gli avrebbe dato una seconda occasione. Aveva imparato che tutti hanno storie diverse alle spalle, così come poteva averne anche lui.

Eric era entrato e si era fiondato davanti al camino, Tessy lo guardava a braccia conserte, irritata e nervosa. Non sapeva che avesse combinato, ma aveva una vaga idea di chi fosse e quindi poteva dedurre che non scorressero più buoni rapporti tra i due.

Era giusto sul punto di lasciarli veramente soli, quando, voltandosi, andò a sbattere contro qualcuno che stava camminando e parlando contemporaneamente, e non si era accorto di lei.

"Scusi."

Alzò gli occhi sulla figura che le stava davanti e si bloccò come una statua.

Anche l'altro rimase immobile a guardarla, il fuoco del camino riflesso sulle sue pupille grigiastre.

Era distratto e non si aspettava uno scontro con Taylor, in quel preciso istante. Come la figlia, pensava di essere pronto a fronteggiare una persona, ma nel momento in cui era accaduto aveva realizzato di non esserlo affatto.

Lei non osava muovere un muscolo: erano anni che non si trovava così vicino a suo padre, anni che non parlava con lui faccia a faccia, anni che aveva passato a odiarlo. E ora era lì, a un palmo di naso da lei, sempre uguale nel suo elegante smoking grigio, eccetto per un pugno di rughe in più nel volto.

Dopo essersi schiarito la voce, fu lui ad ammorbidire l'espressione e regalarle un sorriso: "Taylor."

Aveva detto il suo nome, niente di più, però aveva detto tutto. Le aveva fatto sentire quella voce che era sempre mancata alle sue orecchie; la voce di un uomo, di un padre, le aveva fatto sentire come il suo nome doveva essere detto, perché era stato proprio lui a comunicarlo per la prima volta all'infermiera perché venisse scritto sul suo braccialetto di riconoscimento e successivamente sulla sua carta d'identità.

"Oliver..." ricambiò lei a mezza voce, come un saluto che non sapeva se rimanere tale o prendere intonazioni diverse.

"La cena è pronta!" annunciò Martha sovrastando il sottofondo musicale che riecheggiava per la casa assieme alla discussione di Eric e Tessy.

Oliver sorrise e fece un cenno con la testa verso il tavolo apparecchiato: "Avrai fame, no?"

Taylor annuì e lo seguì verso il salone, dove Eric si stava rivestendo.

"Oh, Eric, che piacere!" lo salutò Oliver. "Buon Natale, figliolo."

"Buon Natale, Eric." gli fece eco Martha lanciando un'occhiatina a Tessy, la quale era rimasta nella sua posizione con sguardo severo.

"Non resti per cena?" chiese Oliver, come ci si sarebbe potuto aspettare da uno che neanche lontanamente ricordava tutta la diatriba svoltasi tra lui e sua figlia. In fondo, a Eric aveva sempre voluto bene. Oliver voleva bene a tutti.

"No, Eric non resta." lo fece tacere Tessy, aprendo la porta e invitando il ragazzo rifarsi vivo solo quando avrebbe trovato qualcosa di più efficace di un semplice "scusa".

Il ricciolino uscì a testa bassa, sconfitto, chiudendo la sua breve comparsa con un augurio di buon Natale poco convinto. Ma lasciò la casa in una strana quiete, al contempo piacevole e ricca di aspettative.

I quattro si sedettero a tavola e, dopo aver pregato ringraziando per quel giorno così speciale, Martha cominciò a servire la zuppa, blaterando sul fatto che Tessy fosse sempre così poco cortese con gli ospiti.

"Ci siamo", pensò Taylor, che si sarebbe aspettata qualche discorso da parte di Oliver, ma che era grata che alla fine nessuno si fosse lanciato in certi formalismi.

In realtà, apprezzava che tutti stessero facendo del loro meglio per far scorrere gli eventi nella direzione in cui dovevano andare. E ora era arrivato il momento di ricominciare da zero.

La prima cena con la famiglia che non aveva mai avuto.

Nonostante l'atmosfera, si sentiva così spaventata e a disagio che in una situazione normale non avrebbe esitato ad alzarsi e scappare a gambe levate per tornare da sua madre.

Ma questa volta non poteva. L'aveva promesso e se non riusciva a farlo per se stessa, almeno doveva farlo per lui.

------------------------------------------------------------------------------------------------

Amanda scivolò nel corridoio cercando di fare meno rumore possibile: era tardi e molte persone si erano addormentate sulle sedie di plastica. Un bambino dalle guanciotte arrossate ronfava sulle gambe del papà e una signora sussurrava qualcosa di incomprensibile al telefono. Raggiunse la porta doppia e la socchiuse pian piano, sgusciando dentro e poggiandola di nuovo.

La piccola saletta era deserta e ancora più silenziosa, quasi inquietante se non fosse stato per quell'unica giacca a vento raggomitolata su una sedia di plastica blu. Si avvicinò e notò che sotto di essa c'erano un Blackberry e un mazzo di chiavi contrassegnato da un pendente a forma di A.

Pensò che Allyson avesse dimenticato le sue cose e le sistemò sul tavolino lì di fronte, così almeno le avrebbe ritrovate in ordine se fosse venuta a riprenderle. Si svestì ringraziando che ci fosse il riscaldamento: se freddo, quel posto sarebbe stato il massimo della tristezza.

Prese un profondo respiro e si affacciò alla finestrella che dava sulla sala adiacente a quella in cui si trovava. Si aspettava di vedere sempre la stessa scena: un lettino bianco, infiniti macchinari e un ragazzo dal viso angelico disteso a lottare contro la morte. Invece questa volta vi era un particolare in più. Un ragazzo bruno stava seduto accanto a Jeremy Parker e si teneva la testa con entrambe le mani.

Amanda entrò cautamente, ma non abbastanza da non essere sentita da Alex, che alzò lo sguardo arrossato su di lei e sussultò.

"Ciao." salutò lei in un bisbiglio delicato, sorridendogli.

Lui non rispose, impassibile. Si limitò solamente a seguirla con gli occhi mentre camminava verso di lui.

"Alexander Bell, giusto?" gli chiese fermandosi accanto al lettino. "Pensavo che qualcuno avesse dimenticato le sue cose in saletta, invece c'eri tu qui."

Alex abbassò lo sguardo sull'orologio, rendendosi conto di essere lì da molto più tempo di quanto credesse: "Avrei voluto rimanere giusto una decina di minuti, ma..." s'interruppe sospirando e passandosi una mano sul volto.

Amanda gli rivolse uno guardo di comprensione, molto simile a quello che anche Taylor gli aveva rivolto non molti giorni prima e poi s'incantò a osservare tutte quelle macchine che lampeggiavano e producevano uno strano suono.

A pensare che poteva esserci sua figlia sopra il lettino si sentiva mancare, poi guardava quel biondino e non poteva fare a meno di commuoversi.

Aveva salvato la vita di sua figlia sacrificando la propria: come avrebbe mai potuto essergli abbastanza riconoscente? Non sapeva chi fosse, eppure da quando l'aveva visto nella foto alla tv aveva pensato che somigliasse davvero a un angelo.

Ricordava di essersi chiesta come potesse un ragazzo tanto bello e dai tratti tanto gentili essere capace di un rapimento, un gesto così cattivo e immorale. Aveva avuto ragione a metterlo in dubbio e quasi le dispiaceva non aver pensato subito che doveva esserci qualcosa di più sotto a tutta quella storia. Qualcosa che lo obbligava a essere quello che non era.

"Da quanto sei qui?" chiese al moro, ritornando a focalizzarsi su di lui.

Alex scosse la testa, andando a ritroso nel tempo e non ricordando nemmeno in che altro modo l'avesse passato se non lì, sempre concitato nell'attesa di qualcosa, di una buona notizia.

"Ti ho visto ieri mattina quando hanno portato qui Jeremy e Taylor." proseguì la donna. "Ti ho visto ieri notte, ti ho visto questa mattina e anche nel primo pomeriggio. Non dirmi che non sei ancora tornato a casa."

Alex sbuffò: "Sì che ci sono tornato."

"Quando?"

"Non lo devo dire a lei, non è la mia di madre."

Seguì un silenzio a questa frase, rotto solo da qualche sporadico bip.

"Mi dispiace." si scusò lui, poco dopo. "Non volevo essere maleducato."

"No, Alexander, hai ragione." rispose Amanda soffermandosi sul volto di Jeremy, così pallido da fare risaltare tantissimo le lentiggini cosparse sul naso e sulle guance, come stelle al contrario; nere in un cielo luminoso.

"Mi chiami Alex."

"E tu non darmi del lei." gli sorrise. "È che mi sono preoccupata così tanto per Taylor da farmi venire naturale preoccuparmi per chiunque...anche per te, benché tu sia quasi uno sconosciuto." fece una smorfia in segno di scuse.

"Come sta Taylor?" si preoccupò il ragazzo, quasi ricordandosi solo in quel momento della ragazza.

"Le hanno detto che poteva uscire solo questo pomeriggio, senza esagerare, ed è già andata a una cena di Natale con suo padre. Fino a un minuto prima non aveva ancora smesso di piangere, mia figlia è una vera incosciente! Allyson ha anche cercato di farla ragionare, ma lei era determinata ad andare a quella cena da quando ha ricevuto l'invito questa mattina. D'altronde nemmeno Oliver riusciva ad aspettare; desidera vedere Taylor con tutto se stesso. Non l'avevo mai visto così euforico e consapevole." Amanda scosse la testa e sospirò, lanciando un'occhiata a tutti macchinari attorno a Jeremy. "Spero che almeno si distragga un po'."

Alex annuì. Chissà cosa dovevano aver passato i signori Heavens. Non si era mai posto il problema, a dir la verità. Di una sola cosa era certo: se avesse in qualsiasi modo potuto prendere le lancette dell'orologio e riportarle indietro a quel giorno, quando sul campetto da tennis aveva promesso a Jeremy che l'avrebbe accompagnato nella sua avventura, avrebbe cambiato molte cose. Compresa la sofferenza che avevano causato a tutta quella famiglia.

Sospirò esausto, stropicciandosi gli occhi doloranti: "È stata anche mia la colpa per tutto questo casino."

"Ma cosa dici?" sbottò Amanda, seriamente contrariata dalle sue parole. "Non devi sentirti responsabile; Taylor mi ha raccontato tutto quello che è successo, per filo e per segno, e la polizia ha preso coscienza di chi ci stava dietro e in che misura. Tu e lui non avete colpe e, anche se avete fatto alcune cose sbagliate, vi siete fatti perdonare."

Quei due ragazzi potevano anche aver sbagliato, ma ogni loro errore era stato riconosciuto e rimediato da loro stessi. E adesso eccoli lì, per aver voluto ribaltare una situazione che sembrava doversi concludere in maniera tragica per la vittima, ma che aveva invece reso vittima il carnefice.

"Avrei perlomeno potuto dissuaderlo dal fare questa stupidaggine, avrei potuto cercare di capire che cosa stava veramente succedendo, avrei potuto rimanere insieme a lui invece di tornarmene a Bourton...un sacco di cose che non ho fatto e che avrebbero potuto impedire che lui..." la sua voce venne rotta da un singhiozzo e la sua mano andò a coprire il volto, già segnato da altre lacrime.

Amanda si avvicinò al ragazzoe gli cinse le larghe spalle con un braccio: "Sarebbe accaduto comunque. Cordano l'avrebbe trovato nonostante tutti gli aiuti possibili. Conosco quell'uomo, perché lavorava con il mio ex marito da quando ancora non erano che semplici dipendenti. Non si fa fermare da nulla, finché non ottiene ciò che vuole."

Alex inspirò profondamente, mentre si tormentava le mani tremanti: "Giuro che lo ucciderò." la sua voce era colma di rabbia e di odio, di quelli puri, che possono sgorgare solo dal cuore più buono.

"No..." sussurrò Amanda pazientemente e dolcemente, con lo stesso tono che usava Taylor quando cercava di calmarlo. "Di lui ora se ne occuperanno i giudici, per ciò che ha fatto e per ciò che aveva già fatto. Non sporcarti le mani come ha fatto lui, pensa a Jeremy e stagli vicino, però prenditi anche un momento per te...vai dalla tua famiglia, stai con Allyson...in fondo oggi è Natale e con lui c'è sempre qualcuno qui, vedrai che andrà tutto per il meglio."

Alex annuì deglutendo a fatica e abbozzando un sorriso che faticava a distendersi completamente: "Grazie...ci proverò." non che ne fosse davvero convinto, ma apprezzava la premura di Amanda e si sentiva in qualche modo di doverle almeno un po' di considerazione.

Amanda gli offrì un fazzolettino e poi si alzò in piedi: "Aspetto lì fuori nella saletta." disse incamminandosi verso la porta. "Finché Taylor non torna, io non me ne vado. Così Jeremy sarà in compagnia."

Alex la guardò senza parlare, finché non chiuse la porta alle sue spalle e lo lasciò di nuovo solo con Jeremy...nel silenzio, nella paura.

Andarsene via? No.

Lui doveva stare lì. Lì con Jeremy.

L'unica volta in cui se n'era andato, era successo tutto questo.

Quindi non l'avrebbe lasciato mai più solo.

Voleva solo poter tornare a ridere di nuovo con lui, a litigarci, a rimproverarlo per il suo naso costantemente sanguinante. Aveva paura di non poterlo fare più.

Jeremy era il suo migliore amico e nella sua mente era sempre stato l'invincibile Jeremy, quello che se la cavava sempre, quello che ce la faceva per il rotto della cuffia e che finiva per sorridere trionfante e dargli una pacca sulla spalla accompagnata da un orgoglioso "Te l'avevo detto che sarebbe filato tutto liscio!".

Però stavolta non era successo, stavolta c'era stato un intoppo nel cammino e aveva portato a una conclusione a cui Alex non era pronto. Insomma, non era preparato all'eventualità che l'invincibile Jeremy potesse essere vinto. Era come leggere un'avventura di Peter Pan e aspettarsi la vittoria di Capitan Uncino: impensabile. Ma stavolta c'era Wendy e proprio lei aveva fatto vacillare così tanto Peter Pan da renderlo una preda più facile per Uncino.

Chi si sentiva lui in tutta questa storia? Beh, strano a dirsi, ma si sentiva molto la piccola Trilly.

Jeremy l'aveva accantonato per Taylor, a un certo punto gli aveva detto di non necessitare più del suo aiuto e, chissà, forse pensava che gli sarebbe bastata la ragazza di cui si era innamorato.

Era da quando erano arrivati all'ospedale che non riusciva a togliersi quel pensiero dalla testa: nonostante cercasse disperatamente di non darlo a vedere, provava rabbia nei confronti di quella ragazza che aveva fatto sbandare Jeremy, che aveva fatto abbassare le sue difese, che lo aveva distratto. All'inizio pure lui la trovava una cosa positiva e talmente insolita da essere quasi tenera.

Ma dopo si era reso conto di quanto seria fosse la faccenda e quanto poco avesse contato lui, nonostante fosse da sempre l'unico ad avere il rapporto più profondo con il biondino. Taylor aveva rovinato tutto, aveva rotto tutti gli equilibri.

Più lo guardava, inerme e senza forze, più la rabbia nei confronti di Taylor cresceva. Jeremy aveva preferito l'amore all'amicizia ed ecco cos'era successo! C'era quell'orribile pensiero, che lui provava invano a scacciare, che fosse Taylor la responsabile dello stato del suo amico. Se lui non si fosse innamorato di lei, sarebbe stato lì a lottare contro la morte?

Sbuffò stropicciandosi di nuovo gli occhi; era esausto e confuso. Non doveva pensare così, Jeremy lo avrebbe ammazzato. E a lui importava di Jeremy, che lo considerasse ancora il suo migliore amico o meno.

Gli poggiò una mano sulla spalla mentre una nuova lacrima scendeva dai suoi occhi: "Deve filare tutto liscio, Jerry, anche stavolta."

--------------------------------------------------------------------------------------------------

Tutta la tavolata scoppiò a ridere per la gaffe di Martha.

Aveva appena fatto un doppio senso orribile che includeva guanti in lattice e il retto di un tacchino. Era simpatica quella Martha, constatò Taylor, non se lo sarebbe mai aspettato.

E non si sarebbe mai aspettata nemmeno che la tensione si allentasse tanto da scomparire: la cena era proseguita di bene in meglio e ora che stavano mangiando il classico budino si poteva dire soddisfatta e divertita. Aveva riso degli aneddoti di Tessy sui tradizionali ospiti di queste occasioni presso casa Heavens, aveva ascoltato i racconti di Oliver sugli attori che chiedevano esorbitanti prestiti alla Money House per rifarsi i nasi e si era addirittura appuntata un paio di ricette di Martha da riprodurre per sua madre. Sì, si era davvero scaldata, sia fuori che dentro. Finalmente.

Mentre Tessy si sventolava con il tovagliolo, immersa nelle risa, lei si concentrò sullo sguardo di Oliver, tutto preso dalla figura della moglie che agonizzava nell'imbarazzo. Com'erano felici, quegli occhi, com'erano rapiti e innamorati.

Era una scena quasi adorabile a vedersi. Quasi, però, perché dentro Taylor albergava costante quel senso di malinconia che un po' modificava il quadretto, incupendolo.

Probabilmente qualche tempo fa quello sguardo era stato rivolto a sua madre, ma ora non più. Ora aveva la piena consapevolezza che quei tempi non sarebbero più potuti tornare e che quella scintilla si era semplicemente spenta.

Oliver Heavens si era innamorato di Martha Gellerd, anzi no, lui amava Martha e Taylor sapeva bene quanto forte ed esplosivo e incontrastabile potesse essere un sentimento del genere. Si disse che era ora di familiarizzare con il fatto e di smetterla di andarci sempre contro. In fondo Oliver voleva riallacciare i rapporti con sua madre, era evidente, e si era proclamato volenteroso a essere presente, a colmare i vuoti che aveva sempre lasciato in disparte.

Con questa nuova determinazione, Taylor si pulì la bocca e andò in bagno, per rimanere un po' sola a riflettere. Si sciacquò le mani e il viso, sentendosi ancora nel bel mezzo di un turbine di eventi, uno più destabilizzante dell'altro, ma sorridendo per la prima volta allo specchio.

Sì, stava sorridendo, forse per lo champagne bevuto, forse per il tepore che finalmente si era riappropriato del suo corpo, forse per quella sensazione di euforia nel suo cuore. Sentiva come se qualcosa si stesse rimettendo a posto, come se un pezzo di puzzle che componeva il suo cuore si stesse riavvicinando dopo essere stato strappato via.

Uscì a prendere una boccata d'aria sul davanzale, coprendosi col cappotto per non prendere un malanno.

Avevano smesso da poco di tenerla sotto osservazione: i suoi valori non erano del tutto equilibrati, era ancora in uno stato piuttosto debole e avevano riscontrato una forte percentuale di stress che la opprimeva. Però adesso stava bene e aveva voglia di tornare a respirare quell'aria pungente dell'inverno che aveva vissuto così intensamente negli ultimi giorni.

Non era ancora uscita all'aria aperta da quando, la mattina prima, era stata portata all'ospedale nella stessa ambulanza in cui qualche dottore che ricordava in maniera confusa cercava freneticamente di assistere Jeremy, di fermare l'emorragia, di estrarre il proiettile.

Ricordava le loro parole, non i loro volti. Ricordava la sensazione di bagnato sulle guance, che l'aveva accompagnata per tutto il giorno e tutta la notte e ora sfiorava con le dita le sue palpebre sensibili perché le facevano male.

Aveva pianto così tanto da irritare la pelle, ma era ben cosciente che tutte quelle lacrime non erano servite a nulla. Non era piangendo, né pregando che era riuscita ad aiutare Jeremy. Non ci stava riuscendo e questo le creava un senso di smarrimento difficile da combattere.

Allora aveva deciso di provare. Di provare a fare quello che Jeremy le aveva chiesto. Forse così, si diceva, lui ce l'avrebbe fatta.

"Ehi." una voce la distolse dall'immagine della panchina nascosta in mezzo agli alberi lì sotto di lei. Si voltò per vedere Oliver che le sorrideva allungandole una sciarpa bianca: "Sei uscita senza la tua sciarpa, pensavo che avessi freddo."

Taylor la prese sorridendo: "In realtà l'ho lasciata lì apposta, non ce l'ho per metterla."

"Oh, capisco." Oliver sembrava essere a disagio.

"Ma grazie comunque." rimediò subito Taylor infilandola nella tasca e sorridendogli di nuovo.

Oliver si rilassò avanzando verso di lei e posizionandosi non molto distante, appoggiato alla ringhiera. Si guardò intorno per prendere tempo, indeciso se parlare o meno e cosa dire nel caso avesse scelto la prima opzione. Si era addirittura annotato qualche riga quel pomeriggio, ma non ricordava nemmeno la metà delle parole che avrebbe voluto dire.

Alla fine, però, il bisogno di far uscire tutto quello che da giorni schiacciava all'interno del suo cuore si fece troppo forte e lo convinse a farsi coraggio. Non resistette più e parlò: "Non sono qui solo per la sciarpa, comunque."

Taylor si concentrò su di lui, il volto illuminato dalle lucine a intermittenza che si alternavano in mille colori attorno al terrazzo.

"Sono qui per parlare con te, Taylor."

Parole che quasi temeva ad ascoltare, ma che si aspettava. In fondo, in cuor suo ci sperava davvero in un momento così.

Sperava di poter ritrovare suo padre, anche solo per una volta, anche solo per una manciata di minuti, ed era una speranza che, anche se non l'avrebbe mai ammesso, conservava sin dal primo giorno in cui aveva lasciato la sua famiglia.

Certo, non poteva nascondere di avere paura: Oliver era pur sempre un pressoché sconosciuto ed era stato la causa della sofferenza di sua madre. Però era stanca di vivere in un groviglio di fili. Ora aveva bisogno di districare la sua vita, filo per filo, partendo dal più grosso.

Prese un profondo respiro e si disse che il momento era arrivato. Finora tutto era filato liscio: la cena, la compagnia, le risate...adesso però arrivava il momento della verità, quello che lei aspettava, ma contemporaneamente non voleva sentire, quello che Jeremy le aveva chiesto di tenere in considerazione.

No, non aveva solo paura, aveva il terrore di quello che sarebbe potuto succedere e la causa dipendeva proprio da lei: non era mai riuscita a capire cosa provasse nei confronti di suo padre. Odio? Amore? Non lo sapeva, però si fidava di Jeremy e se c'era una cosa che aveva capito, era che lui credeva che ci potesse ancora essere una famiglia. Inspirò a fondo e si mise ad ascoltare Oliver.

"Vedi, Taylor, in questi giorni ho avuto un'opportunità." inizio molto da film, ma non sarebbe stato Oliver Heavens, se non avesse pensato a un discorso del genere. "Beh, di opportunità ne ho quasi quotidianamente: dai buoni sconto che arrivano per posta alle super offerte delle filiali della Money House, ma stavolta non è stato di certo quel genere di opportunità." sorrise alla figlia per stemperare la tensione poi tornò di nuovo serio. "Quello di cui parlo io è un momento che piomba all'improvviso quando la tua vita sta semplicemente viaggiando per il suo corso naturale, un momento che arriva quando sei ignaro, quando meno te lo aspetti. All'inizio fatichi a rendertene conto, durante quel momento faresti di tutto pur di ritornare su quel corso naturale e poi, solo alla fine, realizzi la grande, immensa opportunità che hai ricevuto. Il corso naturale della mia vita è cambiato ed è stato possibile perché quello che è successo mi ha indotto a esaminare quello che ero. Dico "ero" perché non voglio esserlo più, Taylor. Non voglio più essere un uomo che persegue la felicità senza accorgersi dell'infelicità che sparge attorno a lui, non voglio più essere chiamato "papà" senza veramente essere un papà e non voglio più piombare dalle nuvole se qualcuno mi dice: "Tua figlia Taylor è in pericolo, sei tu che devi salvarla"."

Si schiarì la voce, esaminando per qualche istante il viso di Taylor, poi riprese: "Ti giuro, bambina mia, che ho passato ore a disperarmi e non solo perché non riuscivo a trovare il modo per aiutarti, ma anche perché più il tempo stringeva più mi rendevo conto della grandezza dell'errore che ho commesso nei tuoi confronti." si fermò ancora, forse commosso, forse solo affannato.

Taylor non si era ancora mossa, anche se dentro di lei si stava scatenando una tempesta. Sembrava come se ogni suo organo vibrasse a ogni parola pronunciata dal tono caldo e grave di suo padre. In particolare due parole le avevano ostruito la gola; bambina mia, e ora quasi faticava a deglutire. Nessun uomo l'aveva mai chiamata così...e quanto lei l'aveva silenziosamente desiderato!

"Credo che chiederti scusa non basterà mai." proseguì Oliver, il tono da attore completamente dissolto, ora c'era un tono stanco e paterno. "Tu non sei come Amanda: lei è una donna che si è scontrata con l'uomo sbagliato e anche se non mi perdonerà mai, perlomeno ha accettato di provare a ricostruire qualcosa, per il bene di tutti. Lei è stata ferita e ha dovuto curarsi da sola, ma alla fine è riuscita lo stesso a cavarsela. Tu no, Taylor. Tu non ti sei solamente scontrata con l'uomo sbagliato, ma ci sei anche cresciuta. Sei cresciuta con l'immagine di un papà traditore, menefreghista, cattivo. E proprio negli anni in cui avresti dovuto ricevere il massimo dell'amore e dell'affetto, sia da una mamma che da un papà. Io...avrei dovuto spiegarti il perché delle mie scelte. Avrei dovuto farti capire che ti ho sempre amato tanto quanto amo Martha e Tessy...e invece eccomi qua. Preso dalla bella vita, dal lusso, dal successo. Sono un uomo fallito, Taylor." sospirò massaggiandosi il naso.

"Perché non me l'hai mai detto?" soffiò Taylor, avvolta nell'emozione.

Oliver scosse la testa: "Non lo so...o forse l'ho capito solo in questi giorni. Il mio problema è che sono un superficiale, sono...sono solo uno schiavo del benessere e della ricchezza. Forse semplicemente sono sempre stato talmente soddisfatto della mia vita attuale che non ho mai avuto il coraggio di guardare indietro. Il terrore di perdere il mio presente mi impediva di fronteggiare gli errori e i problemi del passato."

Ecco quello che non voleva sentire: quello che le faceva male i timpani e il cuore. Le parole di Oliver la sollevavano e poi tutto a un tratto la buttavano di nuovo a terra.

"Mi consideri un errore del passato, Oliver?" chiese con un filo di voce, tremante.

L'uomo sgranò gli occhi guardando la figlia: "Che cosa? Ma come ti viene in mente, Taylor!" sembrava quasi un rimprovero, un rimprovero pieno di paura. "Non ho mai voluto dire questo!"

"Ma è così...che..." la sua voce era incrinata, faticava a parlare. "Che mi sono sentita, Oliver...sempre...ogni volta che ti aspettavo e non arrivavi, ogni volta che ti chiamavo nel sonno e non rispondevi, ogni volta che piangevo e non eri lì per asciugarmi le lacrime...ogni volta che a scuola i miei compagni scrivevano "ti voglio bene" nelle letterine natalizie al papà e io non potevo, perché non avevo nessuno a cui portare quella lettera e se anche avessi voluto portartela, avrei sempre avuto paura di sentirmi dire "Io invece non te ne voglio, io ho un'altra famiglia e un'altra figlia adesso, tu sei stata solo uno sbaglio"!"

Oliver agì d'impulso e chiuse quella ragazza in un abbraccio così stretto da impedirle di divincolarsi. Taylor fu presa alla sprovvista: tentò di scostarsi, spinse con le braccia e si agitò, ma lui non le lasciava via d'uscita.

"Io non ho mai sbagliato a darti la vita, Taylor! Questo te lo devi mettere in testa, ok?" piangeva Oliver, le lacrime che bagnavano i capelli della sua bambina così grande, che ce l'aveva fatta da sola quella volta, che ce l'aveva fatta da sola sempre. "Quello che ho sbagliato è averti abbandonata perché stavo pensando solo a me stesso! Non ho mai fatto nient'altro, se non pensare a me stesso e me ne sono accorto troppo tardi! Ho sacrificato te per me, Taylor. Non sono come quel ragazzo, che ha capito prima cosa significasse veramente amare, no...io l'ho capito dopo, l'ho messo in secondo piano perché sono stato accecato dall'egoismo. Mi dispiace, bambina mia, mi dispiace così tanto..."

Taylor si lasciò vincere dal pianto e affondò nella giacca a vento di suo padre, le mani che stringevano le sue braccia, il viso appoggiato al suo petto. Era la piccola Taylor che voleva un papà, che voleva sfogarsi e fare tutto quello che le era sempre stato negato. Era la Taylor di qualche anno che stringeva il maglione di Oliver, ignara che quella sarebbe stata l'ultima volta, come se quel giorno la sua vita fosse stata messa in pausa e solo in quel momento qualcuno avesse premuto di nuovo "play".

Rimasero abbracciati per un po', finché la ragazza si calmò e si scostò per guardare Oliver in viso: "Se io non fossi stata rapita, tu non te ne saresti mai accorto."

Oliver scosse la testa e abbassò lo sguardo: "È per questo che parlo di opportunità, Taylor. Certo, è stata un'esperienza orribile, sia per me che per te. Soprattutto per te." disse accarezzandole dolcemente il viso e scostandole un ciuffo dalla fronte. "Ma è stata così forte che mi ha fatto aprire gli occhi e sarei disposto a ripeterla solo per farti capire quanto ne avevo bisogno. Ho avuto tanta paura per te, Taylor. E vedere che ora sei qui e stai bene mi fa più contento di qualsiasi vecchio film girato nel Bronx, di qualsiasi remunerazione lavorativa, di qualsiasi altra stupida cosa a cui ero legato." la guardava quasi come se potesse legarla al suo sguardo per non doversene separare più: aveva veramente capito.

Taylor tirò su con il naso, ancora scossa: "Non so se riuscirò mai a perdonarti, Oliver."

L'uomo sorrise e le baciò la fronte: "Non devi perdonarmi, Taylor. Non devi nemmeno chiamarmi "papà" o sforzarti per farmi un piacere. Io ti capirò, se vorrai continuare a starmi lontano, però l'unica cosa che mi importa è che dovunque andrai, con chiunque sarai e qualsiasi cosa starai facendo, saprai e avrai la certezza che io ti amo e io ti ho sempre amato, che casa mia è sempre aperta per te e Amanda, che tu e Tessy siete le mie bambine e che dovessi anche vendere il mio nome, farò di tutto perché non vi facciano mai del male."

La ragazza sorrise, commossa. Guardò suo padre con gli occhi della bambina abbandonata il cui sogno finalmente si realizza e si fece scappare l'ultima lacrima, prima di asciugarsi il viso e calmarsi.

Chi l'avrebbe mai detto, a qualche giorno prima di Natale, che quella ragazza ferita e sconsolata si sarebbe trovata, qualche giorno dopo, sul balcone di villa Heavens a piangere perché suo padre le aveva chiesto scusa?

Lei non lo avrebbe mai immaginato e se glielo avessero detto quel giorno, prima di entrare alla festa dei diciott'anni di Tessy, si sarebbe messa a ridere amaramente, della stessa amarezza che aveva usato dentro alla cabina telefonica quando Jeremy le aveva rivelato il suo piano.

"Ti sto facendo un favore."

"Davvero? Scusa, ma non riesco a capire quale tra l'avermi rapita e l'avermi rapita!"

"L'averti rapita ti farà riavvicinare a tuo padre."

Aveva ragione. Jeremy aveva sempre avuto ragione.

"Torniamo dentro adesso. Ti prenderai un accidenti." disse Oliver accennando alla porta a vetri.

Taylor annuì e seguì l'uomo all'interno, venendo nuovamente avvolta da un piacevole calore.

---------------------------------------------------------------------------------------

Amanda aveva lasciato l'ospedale a mezzanotte, dopo aver passato una mezz'ora con Taylor. La ragazza era tornata alle undici passate dalla sua serata, aveva raccontato tutto alla madre e poi aveva deciso di rimanere ancora un po', tanto casa sua non distava molto e comunque avrebbe sempre potuto dormire lì.

Tornare in quel luogo dopo la serata che aveva appena passato le metteva quasi angoscia.

Per un momento era riuscita a mordere la felicità, ma era stato solo un piccolo boccone in confronto alla torta di tristezza che l'aspettava al Moore Cottage Hospital.

Ripensò alla conclusione positiva della cena, che avrebbe raccontato anche a Jeremy e non vedeva l'ora di farlo.

"Grazie davvero della serata e buon proseguimento. Divertitevi alla tombola." aveva baciato sulle guance Martha temendo di venire soffocata dai quintali di profumo che aveva addosso.

La donna le aveva fatto l'occhiolino: "Grazie a te per la compagnia, fammi sapere come ti verranno le mie ricette!" per un attimo aveva visto l'immagine di lei a mo' di Gordon Ramsay che le gridava che era tutto crudo, poi si era convinta che non era altro che una donna come tante altre. Doveva piantarla di mitizzarla.

"Certo!" le aveva sorriso Taylor, poi aveva abbracciato Tessy e si erano date gli immancabili tre bacetti.

"Ci sentiamo per Capodanno, eh." le aveva detto la ragazza. "Magari vengo un giorno di questi in ospedale."

"Mi farebbe piacere." aveva risposto Taylor, girandosi poi verso Oliver e tendendogli la mano.

L'uomo le aveva sorriso e gliel'aveva stretta: "Buon Natale, Taylor. Porta i miei auguri anche ad Amanda, mi raccomando." si erano guardati negli occhi un attimo ancora, poi avevano sciolto la stretta.

Taylor aveva salutato tutti di nuovo e aveva aperto la porta per andarsene. Stav per imboccare il vialetto a passo sicuro, quando qualcosa le aveva fatto prendere un colpo.

Lo stesso tizio ricciolino che si era presentato lì all'inizio della serata era seduto sopra una slitta illuminata da una miriade di lucette e trainata da un paio di cavalli, davanti all'entrata della villa. Martha per poco non ci lasciava le penne, Oliver batteva le mani rapito.

"Buon Natale!" aveva gridato il ragazzo agitando la mano. "Ehi, Tessy! Avevi detto che avrei dovuto trovare qualcosa di più efficace di un semplice scusa e io ho rubato la slitta di Babbo Natale!" aveva indicato l'aggeggio tutto compiaciuto. "Ti avrei portato anche le renne, ma Rudolph aveva il naso che colava e loro non viaggiano mai senza un compagno!" nessuno aveva riso alla battuta, tranne, naturalmente, Oliver.

Alla palese non reazione di Tessy, il ragazzo aveva sospirato.

"Senti, Tess!" aveva urlato di nuovo smontando dalla slitta. "Io ti amo." aveva allargato le mani. "E...so che stavolta ho fatto parecchio il coglione, perché credevo di essere stanco di noi. Invece mi manchi, Tessy, mi manca la nostra Teric. Era la cosa più bella che avessi e la più bella che potrò mai avere e ho capito che non sarò mai stanco di te. Se mi era sembrato di esserlo, è stato solo perché le cose serie mi spaventano. Voglio essere serio, però, da oggi in avanti. Voglio stare seriamente con te e se i signori Heavens me lo permetteranno, voglio anche chiederti di sposarmi...tra qualche annetto, eh, non mi morite." aveva aggiunto ridacchiando per la faccia di Martha.

Taylor e Tessy si erano scambiate una rapida occhiata, poi Taylor si era schiarita la voce: "Ehm...sarà meglio che io me ne vada, anche stavolta. Buone feste, Eric." aveva aggiunto rapidamente rivolta al ragazzo.

"Aspetta!" l'aveva fermata Tessy. "Vengo anch'io."

Eric l'aveva guardata con occhio da trota, i dubbi, la paura e la speranza tutti mescolati insieme in quel verde pieno di buoni propositi.

Poi Tessy gli aveva sorriso: "Un giretto gratis sulla slitta di Babbo Natale la notte di Natale non mi sembra un regalo da buttare."

Eric si era illuminato, anche più raggiante delle sue lucine e aveva offerto la mano a Tessy per farla salire. Oliver aveva sorriso come davanti a una commedia natalizia ed era rientrato in casa tenendo la mano di Martha.

Era contenta di come aveva lasciato le cose ed era infinitamente riconoscente a Jeremy: se non fosse stato per lui, non l'avrebbe mai fatto.

Jeremy...in quel momento avrebbe solo voluto abbracciarlo e dirgli "grazie". Quale altra parola sarebbe stata più adatta?

Aprì la porta ed entrò nella sala dove era tenuto sotto osservazione giorno e notte, apparentemente addormentato, ma in realtà in costante lotta contro la morte. Camminò piano fino a raggiungere il suo letto e si fermò a pochi passi da lui per osservarlo: anche se cercava disperatamente di trovarne, non vedeva alcun segno di miglioramento.

Il suo viso leggermente inclinato sul cuscino era pallidissimo, gli occhi chiusi appoggiati su due occhiaie profonde e le mani immobili abbandonate sul lenzuolo bianco, prive di vita.

Aveva rischiato tanto, Jeremy, e per chi ne sapeva di più sembrava che il peggio dovesse ancora venire. Appena era arrivato in ospedale tutti avevano pensato che fosse troppo tardi per lui, invece, dopo ben due ore di intervento erano incredibilmente riusciti a salvare il salvabile. Ma meno di un'ora dopo il suo quadro clinico era crollato a picco di nuovo e aveva dovuto subire una grossa e complicata trasfusione di sangue.

Durante la procedura il suo cuore si era fermato facendo temere il peggio a tutti, poi qualcosa lo aveva salvato, di nuovo.

Da quel momento la diagnosi non era più cambiata e, a detta dei medici, non era destinata a cambiare o, se avesse dovuto, sarebbe stato solo in peggio: Jeremy soffriva di anemia grave e non curata da troppo tempo per rendere possibile il compenso di tutto il sangue che aveva perso.

Di per sé quella ferita d'arma da fuoco sarebbe stata curabile, ma i medici ritenevano che fosse già un miracolo che il ragazzo non fosse morto, nelle condizioni in cui si trovava. Era debole, malato ed era arrivato lì in uno stato di ipotermia avanzata: il coma era la conclusione migliore che ci si potesse aspettare in un contesto del genere.

Non sapevano cosa gli avesse permesso di sopravvivere: se della fortuna o delle semplici coincidenze, forse l'accortezza di Taylor di ridurre al minimo l'emorragia bendandolo con una sciarpa, forse il tempestivo arrivo di Richard, Alex e Allyson. Ma quel che era certo era che le sue condizioni non erano destinate a un miglioramento e temevano, anzi, che non ce l'avrebbe fatta entro l'inizio del nuovo anno.

Taylor non voleva crederci, nonostante la diagnosi dei medici, nonostante il pessimismo di alcuni stupidi giornali locali, nonostante fosse attaccato a un respiratore e altre mille diavolerie che non facevano altro che fare bip e registrare numeri incomprensibili.

Anche lei, in cuor suo, coltivava una paura indescrivibile, però non voleva essere costretta a dire addio a Jeremy, come non lo era mai stata nel corso di quell'avventura che veniva dal concludersi. Aveva avuto tante occasioni per scappare da lui, anche quando stava attraversando un momento di puro odio nei suoi confronti, eppure non lo aveva mai fatto.

Si lasciò scappare l'ennesima lacrima, ma la scacciò subito con la mano. Voleva smettere di piangere, era stanca. Sperava che forse reagire avrebbe aiutato Jeremy, per cui si avvicinò al comodino di fianco al letto per posarvici sopra un pacco regalo rosso.

Sapeva di avergli già fatto un regalo, ma visto com'era finito, aveva deciso di fargliene un altro: "Buon Natale, Jeremy." sussurrò sedendosi sulla sedia di plastica lì accanto e tracciando con gli occhi il contorno del suo viso, così magro eppure ancora così bello, angelico.

"Direi che ora tocca a te regalarmi qualcosa." gli suggerì. "Insomma, non crederai che mi farò bastare un misero rametto di vischio, vero? Coraggio, apri gli occhi." era scettica, Taylor, non aveva mai creduto ai film in cui la gente sussurra cose alle persone in coma sperando che loro riescano a sentire.

Tuttavia, erano quasi due giorni che stava lì a piangere disperatamente, oppure in religioso silenzio, senza dire né fare molto. Non le rimaneva altra scelta e voleva trovare un modo per fargli aprire gli occhi, per tornare a vedere quell'azzurro immacolato che l'aveva affascinata fin da subito, così freddo e austero, ma in realtà così buono. Voleva solo vedere un sorriso su quelle labbra, ora che non aveva più nemmeno un ritratto per potersene ricordare.

Labbra che avrebbe voluto poter scaldare. Sì, avrebbe voluto togliergli quella stupida mascherina e baciarlo di nuovo nella speranza di sentire ancora quel sapore di tante cose insieme che aveva sentito la prima volta. Così contro le regole, che allo stesso tempo lascia il buono in bocca.

"Ti prego..."

Avrebbe voluto prenderlo a sberle per quello che aveva fatto per lei e poi avrebbe voluto dirgli grazie e che lo amava. Ma lui ora aveva cose più importanti a cui pensare, come lottare tra la vita e la morte e vincere, perché lui aveva sempre perso nella vita e adesso era giusto che ottenesse una vittoria, almeno per una volta. Era giusto.

Taylor fece avanzare la sua mano e strinse quella del ragazzo: gelida e magra al contatto con le sue dita calde. Era lei a stringere lui ora, ma avrebbe preferito il contrario. Avrebbe preferito sentire quella stretta forte e sicura che non la voleva lasciare andare, che la voleva trascinare ovunque e che la guidava quando si sentiva persa.

Avrebbe volentieri fatto scambio con Jeremy...alla fine lui non se lo meritava di essere lì. Non aveva mai fatto altro che subire la cattiveria delle persone: di suo padre che aveva ucciso sua madre davanti ai suoi occhi, della gente che lo aveva abbandonato a se stesso, di Cordano che lo aveva minacciato fino a tentare di ucciderlo. Che cosa aveva fatto di male quel ragazzo al mondo? Che torto aveva arrecato così grande da essere ripagato in questo modo? Lui che di amore ne aveva così tanto da dare, pur non avendone mai ricevuto.

Non era giusto.

Taylor sentì il rumore della porta che dietro di lei si apriva e sobbalzò. Si voltò e, inaspettatamente, incrociò lo sguardo stanco di Alex.

Gli fece un debole sorriso, poi diede un'occhiata all'orologio alla parete: "È tardissimo, Alex. Che ci fai qui?"

Lui scosse la testa e si avvicinò a lei: "Non riesco a dormire. E ho dimenticato qui queste." disse sollevando il mazzo di chiavi. "Com'è andata?"

"Oh, bene." rispose lei, un po' impacciata, ritraendo la sua mano. "A dire il vero è andata inaspettatamente bene, anche se ero la sola a non aspettarmelo." aggiunse accennando al biondino. "Sai, è stato lui a convincermi. Sapeva fin dall'inizio che le cose avrebbero potuto iniziare a sistemarsi, piano piano."

Lui annuì senza dire nulla, immerso nei pensieri.

"C'è qualcosa che non va?" gli chiese cercando di capire la sua espressione. Sembrava avere il volto quasi scuro, incupito da chissà quali idee.

Alex si limitò a scuotere la testa e continuare a fissare un punto indefinito sul display accanto al letto.

Era strano, Alex. Non aveva ancora avuto modo di stare con lui senza che si trovasse in un mare di lacrime, ma ora che lo osservava con più calma notava che non era il solito Alex. Beh, chiaramente non si aspettava un pagliaccio tutto scherzi e allegria, dopotutto anche lui era in un grande stato di preoccupazione, ma Taylor pensava ci fosse dell'altro oltre a quello. E non si sbagliava.

"Lo so che sei preoccupato per Jeremy." disse, cercando di suonare più dolce possibile. "Non piango più ora, ma lo sono anch'io."

Gli occhi scuri del ragazzo si spostarono repentinamente su di lei, come ad assicurarsi che stesse dicendo la verità. Fu un gesto quasi fulmineo, ma lei lo notò rimanendone colpita, così continuò per rassicurarlo.

"Vorrei che non avesse mai fatto quello che ha fatto. Vorrei che fosse meno coraggioso e che non avesse mai voluto proteggermi."

"Beh, anch'io." fu la secca risposta di Alex.

Taylor lo guardò alzando le sopracciglia e lui si rese conto di non essere riuscito a trattenersi.

Anche il muro di Alex stava iniziando a creparsi.

Si alzò facendo un gran sospiro e raccolse in fretta e furia le sue cose: "Scusami, devo andare."

Taylor cercò di uscire dal suo stato di confusione e si affrettò a fermarlo: "Aspetta, Alex! Che cosa c'è che non va?"

Lui scostò la mano che aveva posato sul suo braccio e scosse la testa: "Lascia stare."

"No che non lascio stare, si può sapere che ti prende?"

Alex sbuffò e lasciò cadere il mazzo di chiavi su una sedia appoggiata al muro. Stava provando a controllarsi, ma tutta quella situazione lo stava infastidendo troppo ed era stanco di asciugare lacrime altrui, quando era il primo che ne avrebbe avute in abbondanza: "Vuoi sapere cosa c'è che non va? Farei prima dirti cosa c'è che va."

"Alex..." Taylor sospirò. "Guarda che io ti capisco benissimo; lo so che sei deluso, preoccupato, arrabbiato. Vorresti solo spaccare tutto e gridare con tutta la voce che hai in gola. Lo so, credimi. Ed è totalmente comprensibile che tu ti senta come se nulla andasse per il verso giusto."

"Forse perché è così." la interruppe aggrottando le sopracciglia, nervoso. "Niente va per il verso giusto. Questa situazione è davvero una merda."

"Lo è." gli diede ragione. "Ma sono sicura che Jeremy non potrebbe sopportare che continuiamo a piangerci addosso, invece di-"

"E tu che cazzo ne sai di cosa sopporta o no Jeremy?!" la sua domanda risuonò nella piccola stanza, la voce rotta sul nome del suo amico e subito dopo un silenzio quasi fastidioso, intervallato regolarmente dai bip elettronici.

Taylor si ritrasse di qualche passo: "Non lo so...penso che sia così."

"Beh, forse ti sbagli. Forse non lo conosci abbastanza per saperlo. Forse non l'hai mai conosciuto abbastanza e basta."

Taylor era stata presa alla sprovvista: "Che cosa vorresti dire?"

"Che-" iniziò la frase con impeto, rischiando davvero di far uscire tutto quello che aveva dentro, ma poi si bloccò e sospirò passandosi entrambi le mani sul viso. "Senti, sono stanco ed Allyson ha provato a chiamarmi già sei volte. Devo andare."

"No!" Taylor lo fermò di nuovo, pentendosi di aver dovuto alzare la voce. "C'è qualcosa che devi dirmi e io non sono stupida, Alex." disse con il respiro affannato di chi sta cercando di trattenere le parole. Entrambi erano al limite, era palese.

"Non devo dirti nulla, ok? Lasciami stare."

"Sei arrabbiato con me per quello che è successo a Jeremy?" la sua domanda era secca, ma decisiva. Tra tutte quelle che avrebbe potuto fare era esattamente quella che Alex non voleva essere costretto ad affrontare.

Il ragazzo sospirò e guardò il pavimento, ma la sua mano, chiusa attorno alla maniglia della porta, strinse più forte, fino a che le nocche non diventarono bianche.

"Perché se credi che sia solo colpa mia, non devi fare altro che dirmelo. Ormai che tu lo creda o no, ti conosco abbastanza bene." proseguì la ragazza, la voce che tradiva profonda delusione e un sempre più forte senso di colpa. "Se mi odi perché pensi che ti abbia rubato Jeremy e l'abbia ridotto in questo stato, voglio che me lo dici in faccia." ormai la sua voce era incrinata e gli occhi lucidi, pieni di rimorso, di dolore per quello che Alex le stava per rinfacciare. Una delle sue poche sicurezze che andava in pezzi, l'ennesima.

Il ragazzo alzò lo sguardo che andò a colpire esattamente in mezzo al cuore di Taylor. Era uno sguardo traboccante di rabbia, duro, gelido. Tutta un'altra cosa rispetto agli sguardi protettivi e di rispetto reciproco che si erano scambiati durante la loro avventura.

"Sì, Taylor." rispose, una voce talmente seria che non sembrava nemmeno la sua. "E non avevi nessun diritto di farlo."

La sua risposta suonò dentro la testa della ragazza come potrebbe suonare un bicchiere di cristallo nell'esatto momento in cui entra in collisione con il pavimento.

Nemmeno Taylor, allora, riuscì più a trattenersi e lasciò che altre lacrime solcassero il suo viso: "Non avrei mai voluto che Jeremy salvasse me al suo posto, mai. Non gli avrei mai fatto questo volontariamente. Se solo potessi tornare indietro, Alex, ti giuro che cambierei le cose." ed era la verità, nuda e cruda. "Ma se c'è qualcosa su cui hai completamente torto è che Jeremy abbia preferito me a te. Sei il suo migliore amico, Alex, e niente e nessuno potrà mai cambiare ciò. Lui non ha fatto altro che proteggerti per tutto questo tempo, pensava sempre prima a te che agli altri, infatti ha voluto che te ne andassi per non farti finire in mezzo a questo casino, perché sapeva che ti saresti cacciato in ogni situazione per lui e ha voluto prevenirlo! Vedi, Alex, lui non ti ha cacciato perché non aveva bisogno di te, ma perché ne aveva troppo. Ha scelto di-"

"Ha scelto di morire per te!" gridò lui, la voce colma di rabbia.

"L'avrebbe fatto anche per te! L'hai detto tu stesso.Alex!"

"Non mi importa cos'avrebbe fatto per me, mi importa che nessuno e dico nessuno lo aveva mai ridotto così, nemmeno la gente di merda con cui ha sempre a che fare. Se non fosse per te, Taylor, nessuno di noi sarebbe qui! Ti sei...ti sei intromessa! E l'hai fatto lasciando le peggiori conseguenze possibili e ora non posso fare a meno di pensare che..." si interruppe prendendosi la testa fra le mani, esasperato. "Che vorrei solo che te ne fossi rimasta dove dovevi stare."

Un moto di rabbia salì fino allo stomaco di Taylor e diede voce ai suoi pensieri: "Beh, notizia dell'ultima ora: siete stati voi a rapirmi, Alex, non l'ho chiesto io! Non ho chiesto io di conoscervi, non ho chiesto io di essere strappata via da dov'ero e, soprattutto, non ho chiesto io di vedere Jeremy e te in questo stato!"

"E allora avresti dovuto startene zitta e buona senza interferire con i nostri piani! Avresti dovuto...avrebbe dovuto andare diversamente."

"Mi sono innamorata, Alex! Non l'ho fatto per interferire o per chissà quali ragioni, è semplicemente successo. E quando succede ti giuro che, anche se vorresti, non ci puoi fare nulla. Dovresti capirmi, quando parlo di amore."

"Oh, certo, amore. Beh, guarda che amore!" gridò al culmine della rabbia, indicando sprezzante Jeremy.

Taylor si zittì di colpo, completamente devastata da quella cattiveria. Sentì nitidamente il piccolo frammento rimasto del suo cuore andare in mille pezzi e non ce la fece più.

Sopraffatta da tutta la tensione, dal rimorso e dal senso di colpa, lanciò un'ultima occhiata a Jeremy con le parole di Alex che le rimbombavano nelle orecchie, poi scappò via a sonori singhiozzi, lasciando nella stanza un pensante e insopportabile silenzio, rotto solo, e ancora una volta, dai regolari bip dei macchinari.

Alex chiuse gli occhi e si abbandonò contro il muro, lasciandosi cadere fino a sedersi sul pavimento.

Era scosso, frustrato, arrabbiato, esausto. Non riusciva più nemmeno a pensare e sentiva come se l'avessero spinto dalla cima di una montagna giù per un precipizio. All'inizio non si era nemmeno reso conto di stare cadendo, ma ora che era arrivato in fondo, non si aspettava che la caduta sarebbe stata così veloce. Sospirando, raccolse le ginocchia al petto e pianse tutto quello che aveva vissuto finora.

Solo Jeremy non stava sentendo nulla di tutto ciò, eppure era da lui che dipendeva ogni cosa.

Era stato il Natale peggiore di tutte le loro vite.

---------------------------------------------------------------------------------------------

Allyson camminava lungo i corridoi ascoltando l'eco prodotto dai suoi passi. Non amava attirare l'attenzione, ma apparentemente lì ci riusciva benissimo, nonostante avesse in piedi un paio di mount boot ancora sporche di fango che producevano un rumore abbastanza molesto.

Forse, comunque, non era esattamente il rumore a far rizzare le antenne a quella gente, quanto il fatto che una ragazza giovane e di bell'aspetto vagasse per quel posto inusuale.

Tuttavia, Allyson non guardava e seguiva a testa bassa la guardia che le faceva strada.

Svoltato un angolo pieno di asciugamani da lavare tra cui una donna di servizio stava frugando, la guardia si fermò ed estrasse un mazzo di chiavi dalla tasca.

La massiccia porta di ferro si aprì non senza produrre un fastidioso cigolio e l'immagine di una sala abbastanza grande si stagliò di fronte agli occhi della ragazza. Al centro vi erano tre lunghi tavoli con delle panche incorporate e una delle pareti era divisa orizzontalmente tra muro e vetro. Il colore dominate era un verdino acido, abbastanza sgradevole, sui tavoli e sulle pareti.

In ogni caso, non era quello a risaltare, ma piuttosto l'arancio vivo della divisa di Richard Stuart, che si trovava seduto al tavolo centrale, assorto in chissà quali pensieri, poco prima che Allyson entrasse.

Non appena sentì il rumore delle chiavi nella toppa, rizzò la testa repentinamente e, riconosciuta la sorella, si alzò in piedi con tutta l'aria di un fuoco d'artificio che sta per esplodere.

"Ally!"

"Richard!"

La guardia non ebbe nemmeno il tempo di trattenere la ragazza per un braccio, che questa era già saltata al collo del fratello, i piedi sollevati da terra e il viso affondato nella sua spalla.

Non ce la fece quell'uomo a sgridarla o ad ammonire il ragazzo, distolse semplicemente lo sguardo come se non si fosse accorto di nulla. D'altronde sapeva la storia del neo-detenuto e, non appena aveva dato un'occhiata alla scheda del visitatore, ossia Allyson, aveva previsto che sarebbe stato un incontro toccante. Era raro, per il carcere di Bourton, detenere gente così giovane.

"Oh, Ally..." sussurrava il ragazzo che la guardia vedeva di spalle, mentre non poteva notare come accarezzasse dolcemnete i morbidi ricci della sorella.

Allyson allentò la stretta solo per guardare Richard negli occhi e riconoscervi un'inaspettata serenità. Al contrario, però, il ragazzo si era accorto già da qualche istante che gli occhi di lei erano tutt'altro che tranquilli.

Le passò una mano sulla fronte per spostare i riccioli ribelli e poi dolcemente percorse il profilo della sua guancia con il pollice: "Ehi."

"Richard, sei stato un incosciente." disse a bassa voce, con un'espressione preoccupata e confusa. Doveva ancora capire molte cose, Allyson.

"Tutt'altro." spiegò lui pazientemente. "La mia è stata una presa di coscienza."

"Sì, lo capisco, ma..."

"Per la prima volta ho fatto qualcosa di giusto, Ally. Lo dovevo fare." cercò di tranquillizzarla. "Per Parker, per Taylor, per te e...soprattutto per me."

"Ma adesso...?" la ragazza gli rivolse uno sguardo vuoto, gli occhi che impiegarono pochissimi istanti a riempirsi di lacrime.

"No, non devi piangere." la sgridò portando entrambe le mani sul suo volto.

Facile a dirsi, pensava. Da tre giorni a quella parte era stata bravissima: non aveva versato mai nemmeno una goccia, né per la disperazione di Taylor, né per la rabbia di Alex. Non si era fatta sopraffare da nessuna emozione, nessun pianto l'aveva contagiata, era come se per 32 ore fosse stata completamente apatica.

In realtà, non era apatia, ma coraggio. Era sempre stata forte per gli altri, senza che nemmeno avessero dovuto chiederglielo. Avrebbe potuto unirsi ai singhiozzi della sua amica, o avrebbe potuto rimprovevrare la scontrosità del suo ragazzo, ma non l'aveva mai fatto.

Dopotutto, anche se nessuno se n'era accorto, il dramma aveva toccato anche lei.

Dopo che la macchina di Richard aveva frenato sulla neve, la mattina della vigilia di Natale, Alex e lei erano scesi di gran carriera per soccorrere i loro amici. Richard, invece, era rimasto immobile nell'abitacolo, le mani strette sul volante e lo sguardo fisso davanti a sé.

Allyson era inginocchiata a terra, occupata a sorreggere Taylor, quando aveva intuito che qualcosa non andava. Si era voltata verso di lui e, sconvolta per gli eventi, ma ancora lucida, gli aveva chiesto cos'aveva in mente. Lo aveva già capito, prima ancora che lui le rispondesse, ma in quel momento sperava con tutta se stessa che avesse cambiato idea.

Invece Richard le disse di resistere finché non sarebbe arrivata l'ambulanza; lui sarebbe tornato entro qualche ora.

Non gli aveva creduto, Allyson, e aveva fatto bene perché l'avrebbe rivisto solo dopo qualche giorno, in prigione. Così, dopo una breve discussione, lo aveva salutato per l'ultima volta, incapace di dire o fare qualsiasi cosa per fermarlo. Qualche ora...dicono sempre così, gli uomini, non hanno la minima misura del tempo.

Richard aveva percorso l'autostrada ai 150, violando chissà quante leggi in una trentina di minuti. Aveva passato Cirencester, Stroud, Bath e si dirigeva verso Sud, sapendo esattamente dove sarebbe finita la sua corsa.

Fuori dal Cotswolds c'era una città portuale, Bristol, in cui una barca non autorizzata aspettava Cordano qualora avesse avuto bisogno di darsela definitivamente a gambe. Lo sapeva solo Richard e riteneva che questo fosse il momento giusto far tesoro di quel segreto. D'altronde era sicuro che il suo caro maestro fosse sulla strada della fuga decisiva.

Così accelerava ed evitava per un pelo un sacco di possibili incidenti, perché sapeva che se Cordano avesse raggiunto quella barca, non ci sarebbe stato modo di fermarlo. Certo, aveva già avvisato la polizia portuale di Bristol perché lo intercettasse, ma quell'uomo aveva un numero infinito di risorse e Richard era sicuro che occuparsene personalmente sarebbe stata l'opzione migliore.

In fondo, aveva passato quattro anni a fargli da spalla e, sebbene da una parte avesse appreso quanto scaltro e intuitivo fosse quell'uomo, dall'altra aveva anche imparato quali fossero i suoi punti deboli. Una medaglia ha sempre due facce, dopotutto.

Richard era sempre stato grato a Edoardo. Nonostante tutto, non poteva negare che quell'uomo l'avesse formato. L'aveva preso come un ragazzino spaventato e arrabbiato e lo aveva trasformato, anche se con metodi poco ortodossi, in un ragazzo forte e indipendente. Grazie a lui aveva imparato a farsi valere, a difendersi. Adesso che era anche diventato consapevole, però, aveva capito che Edoardo gli aveva insegnato tutto tranne l'amore e il rispetto per il prossimo, così, ciò da cui doveva realmente difendersi ora era lui, il suo maestro. E nel comprenderlo, Richard era diventato un uomo.

Aveva raggiunto il porto ed era riuscito a intercettarlo per un pelo: stava percorrendo un molo secondario, ormai in disuso da anni, a cui attraccavano solo i pescatori.

Aveva gridato il suo nome e, senza mai smentire se stesso, Cordano si era girato con un sorriso sulle labbra. Un sorriso cattivo, corrotto da troppo tempo. Un sorriso che sarebbe stato molto difficile far tornare puro e spontaneo.

Per un secondo Richard ebbe paura di quel sorriso, ma poi ricordò perché era giunto fin lì lasciando tutto ciò che aveva a Bourton, compresa la sua futura libertà.

Non aveva armi con sé, quindi non poteva concedersi il lusso di temporeggiare, così passò subito alle maniere brute e si gettò contro Edoardo, badando bene a bloccargli le mani in modo che non afferrasse quella pistola che utilizzava con tanta facilità. Edoardo era più basso, magro e debole di lui, per cui riuscì ad avere subito la meglio e lo fece cadere di schiena contro il legno umido del molo.

In quel momento Edoardo Cordano, senza la sua pistola e senza alcuno scagnozzo che gli guardasse le spalle, sembrava indifeso. Eppure solo una mezz'ora prima aveva sparato a un ragazzo di ventidue anni per vederlo morire assieme all'amore che per la prima volta aveva vissuto.

Per circa un minuto rimasero stesi sul pontile a evitare i reciproci colpi, finché Richard non afferrò la schiena di Cordano e, portando tutto il suo peso da una parte, fece in modo di trascinarlo con sé dentro all'acqua.

Lo schiaffo gelido che ricevettero li bloccò per qualche istante, ma Richard, che era più giovane e in forma, ebbe per primo la prontezza di afferrare le spalle dell'uomo e spingerlo in basso, più a fondo nel mare ghiacciato dell'Inghilterra meridionale. Sperava, in quel momento, che Cordano sentisse la stessa morsa che aveva attanagliato Jeremy quando si era ritrovato inerme e senz'aria sulla neve.

Sperava che per una volta nella sua vita Cordano capisse cosa non era giusto. Cosa non era umano.

Lasciò la presa solo quando il freddo cominciò a penetrargli nelle ossa e, nell'istante in cui l'uomo risalì in superficie per respirare, la polizia navale di Bristol raggiunse il molo, portando con sé armi a sufficienza per far perdere a Cordano qualsiasi voglia di fare il furbo.

I due furono caricati sulla barca attrezzata e, dopo essere stati ammanettati, ricevettero una coperta e una maschera per l'ossigeno. Cordano non aveva uno sguardo sconfitto, né deluso. Aveva uno sguardo rassegnato. Forse solo allora Richard capì che quel sorriso, quello che Cordano gli aveva rivolto appena l'aveva visto, non era un sorriso di scherno, ma di rassegnazione. E si ricordò dell'ultima telefonata che avevano avuto.

Era da quel momento che Cordano si era rassegnato. Era più vecchio di lui e sapeva come andavano certe cose. Prima di diventare quello che era, pure lui era stato giovane e allora aveva potuto capire molto da quei pochi minuti di conversazione. Aveva capito che la sua rovina non sarebbe stata Jeremy, bensì Richard. E anche se avesse dovuto farcela dopo quella storia, prima o poi quello Stuart l'avrebbe fatto ammanettare.

Forse non era stato abbastanza bravo a mettergli in testa certe idee, forse semplicemente non aveva previsto che alla fine di tutto l'amore, quello di cui blaterava Jeremy, avrebbe toccato anche i più apparentemente immuni. Forse, tutto sommato, era proprio lui, Edoardo Cordano, ad aver fatto male i suoi calcoli. E non perché non avrebbe dovuto fidarsi delle persone, ma perché avrebbe dovuto capire che le persone non si sarebbero mai fidate di lui.

"Non ce la faccio, Richard." sospirò Allyson lasciando affondare il viso nell'incavo della spalla del fratello. "Non ce la faccio senza Alex e senza di te."

Adesso al ragazzone spettavano quindici anni di reclusione, per tutto quello che aveva fatto in passato, durante la sua vita da giovane ribelle sotto l'influenza di Cordano. Sapeva a cosa sarebbe andato in contro esponendosi così tanto per fermare quel criminale, ma ormai non gli importava. Lo doveva a Jeremy e Taylor. E anche ad Alex. Ma, soprattutto, lo doveva a sua sorella.

E sapere che ora Edoardo Cordano era condannato all'ergastolo alleggeriva di un po' la sua pena.

"Shh." lui la strinse inspirando il profumo del suo balsamo. "Sarebbe andata così, lo sapevamo. Mi hai insegnato tanto, Ally...e come fratello maggiore non mi aspettavo di imparare da te. Pensavo che saresti stata tu, un giorno, ad ammirare quello che il tuo fratellone faceva. Volevo essere il tuo eroe, ma avevo sbagliato completamente il modo in cui esserlo."

"No, Richie." la ragazza lo guardò, anche se non voleva fargli vedere i suoi occhi pieni di lacrime. "Tu sei il mio eroe. E anche se Tessy mi ha sempre detto che ero pazza, lo sei sempre stato. Non ho mai perso la fiducia in te."

Sorrisero entrambi, guardandosi. Gli stessi occhi nocciola che si specchiavano e si ammiravano. Si erano sempre voluti bene Allyson e Richard, indipendentemente dalle circostanze, e nemmeno adesso sarebbe cambiato qualcosa. Anzi, il loro amore fraterno non avrebbe fatto altro che fortificarsi sempre di più.

Richard la accarezzò di nuovo e le diede un bacio sulla fronte: "Per una volta sento di meritarti."

Era una frase forte e strana pronunciata da un ragazzone così imponente e all'apparenza grezzo, ma fu una frase che sciolse il cuore di Allyson. Non aveva fatto nulla per lui, eppure aveva fatto così tanto. Aveva cambiato suo fratello, l'aveva fatto diventare un uomo migliore e che importava se ora avrebbe dovuto pagare per gli errori passati? Tutto sommato era lì a Bourton, a pochi passi da casa sua. Gli sarebbe sempre stata vicino, l'avrebbe visto ogni giorno.

"So a cosa pensi." le disse nascondendo un sorriso divertito. "Sarà più bello, adesso. E dovrai abituarti a vedermi sempre."

"Sì, però tu non sarai felice..."

"Lo sarò finché sarai a fianco a me, come lo sei stata finora." garantì con un buffetto sulla sua guancia. "E poi così potrò tenermi aggiornato sulle mosse di quell'Alex."

Il volto di Allyson si incupì: "Non credo che ce ne sarà bisogno."

"Perché?"

Lei abbassò gli occhi, cercando di evadere l'argomento.

"Ehi, Ally. Non mi dirai che ti ha lasciato? Devo pestarlo?"

"No, Richie, sono stata io ad allontanarlo. Di nuovo."

"E ripigliatelo, no? Di nuovo."

Allyson scosse la testa mestamente, triste e affranta: "Non credo che vorrà tornare da me ancora una volta."

"È impossibile che qualcuno voglia stare lontano da te."

"Lo dici solo perché non hai sentito come l'ho trattato. L'avevo lasciato una prima volta e poi lui è tornato per convincermi di nuovo. Ma dopo la vostra rissa mi sono arrabbiata, non ho voluto dargli ascolto e gli ho detto delle cattiverie che non pensavo. Praticamente, l'ho lasciato una seconda volta, ma non volevo farlo davvero! Insomma..."

Richard sorrise: "Si vede che quel ragazzo ti fa proprio perdere la testa."

"Richie, ti prego." alzò gli occhi su di lui ed erano lucidi. "Non sai quanto male mi sento. Se solo gli avessi dato un po' di fiducia, avrei potuto capire le sue motivazioni. Invece c'è stato bisogno che Taylor tornasse e che fosse lei a raccontarmi che meravigliosa persona ho ferito così profondamente."

"Ally." Richard agì contro le sue simpatie, ma si sentì in obbligo di difendere Alex, perché, nonostante tutto, aveva dato prova persino a lui di essere una bella persona. "Vedrai che lui sarà disposto ad ascoltare le tue scuse. Vedrai che ti capirà."

"Non ne sono così convinta..."

"Allyson." disse Richard, il tono fermo. "Alex ti ama."

La ragazza lo guardò con gli occhi spalancati. Non si sarebbe mai aspettata che Richard potesse pronunciare quelle parole. Per nessun uomo, per Alex ancor meno.

"Ti ama." ripeté lui. "Posso anche non sopportarlo, ma è impossibile non riconoscerlo. Quel giorno mi ha fatto capire che non ci potrà mai essere nessuno di più adatto a te, se non lui."

Allyson era così colpita da quelle parole che ammutolì.

"Vedrai che ti capirà e ti perdonerà. Come anche tu hai capito e perdonato lui, in passato." la rassicurò.

"Sei sicuro?"

"Certo." disse. "Parlaci, ok? Non lasciare che i casini di Cordano influiscano anche su voi due."

"Mmm...va bene."

"Me lo prometti, Ally?"

"Promesso."

"Bene." sorrise lui beffardo. "Proprio ora che mi ero illuso del fatto che non avrei avuto un cognato così idiota!"

Ad Allyson finalmente scappò una risata. Offesa, ma pur sempre una risata.

"Richard! Sei sempre il solito!"

Richard la abbracciò con forza, strinse le sue braccia attorno alla sua esile vita ed espirò contro i suoi capelli, sorridendo.

"Sì, sempre, Ally."

----------------------------------------------------------------------------------------

Si dice che allo scoccare della mezzanotte a cavallo tra il 31 dicembre e il primo gennaio sia buona consuetudine indossare qualcosa di rosso, per buon auspicio.

Ad Alex questo particolare sfuggiva ogni anno, eppure, fino a quel momento, si poteva dire che fosse filato tutto liscio. Forse, aveva pensato, il fatto che non avesse mai indossato nulla di rosso la notte di Capodanno aveva accumulato la sfiga fino a quel punto e ora lo spirito del 'qualcosa di rosso' si stava vendicando facendogli passare l'inferno.

La sua ragazza cercava continuamente di comunicare con lui, ma lui la evitava per paura di essere lasciato di nuovo, Taylor lo odiava a morte per tutto quello che le aveva sputato addosso circa una settimana prima, il suo migliore amico non dava alcun segno di miglioramento e il mondo, per lui, sembrava essersi ridotto a una stanzetta asettica e silenziosa.

Aveva perso tre chili e parecchio colore in viso, tornava a casa a orari improbabili, dopo essere stato malamente cacciato dalle infermiere, e non aveva ancora dormito più di due ore senza fare incubi insopportabili. Al contrario di Taylor, o delle altre persone coinvolte nella faccenda, Alex non riusciva a farsi aiutare. L'unica reazione che gli veniva spontanea era quella di respingere chiunque, persino Allyson.

Si chiudeva in se stesso, nei pensieri, nei ricordi e allora realizzava che fino a quel giorno non aveva avuto altro che Jeremy. Si conoscevano dall'età di undici anni, dopotutto.

Al tempo Jeremy era il ragazzino che in classe stava sempre zitto e non aveva amici, mentre Alex era il fighetto che faceva colpo sulle compagne. Jeremy era timido e non conosceva nessuno, mentre Alex era amico di quasi tutti i ragazzini della scuola. Bourton era piccola, eppure era come se Jeremy si fosse appena trasferito lì, mentre Alex era di casa in qualsiasi famiglia.

Jeremy tornava a casa a piedi e veniva accolto da sua nonna, che gli domandava se si fosse ricordato di comprarle il giornale, mentre Alex veniva accompagnato dai genitori, nella lussuosa Bmw nera che faceva invidia a tutti. Jeremy se la cavava abbastanza in matematica, mentre Alex sapeva giocare a basket.

Allora un giorno Alex chiese a Jeremy di dargli una mano in matematica, così poi si sarebbero fatti una partita a basket nel suo cortile. Non seppe bene perché chiese a lui, tutto sommato molti altri suoi compagni erano addirittura più bravi e socievoli, ma con il tempo realizzò che era perché aveva una faccia simpatica e gli dispiaceva che uno con una faccia così rimanesse solo a fissarsi le scarpe.

Infatti, il giorno in cui gli parlò per la prima volta, quel bambino di appena undici anni con una massa di capelli biondi spettinati e la faccia cosparsa di lentiggini si stava guardando i piedi, pensando a chissà cosa.

"Jerry." lo chiamò allegramente il ragazzino dai tratti mediterranei.

Il biondino alzò la testa e gli rivolse uno sguardo che lo colpì. Non si aspettava di scontrarsi con occhi tanto chiari e freddi, non li aveva mai osservati così da vicino. Era come quando si guardava un film, tutti presi da una scena cupa, e tutt'un tratto lo schermo diventava chiarissimo e luminoso, tant'è che faceva addirittura male guardare.

Ed era strano perché non se lo aspettava. Vedeva Jeremy Parker ogni giorno a scuola, quindi avrebbe dovuto sapere che aveva uno sguardo del genere, invece quel giorno era come se lo vedesse veramente per la prima volta. Due occhi chiarissimi, pieni di pensieri e sorpresi. Però non sembravano sorpresi in senso negativo; sembravano piuttosto speranzosi.

"Alex?" rispose quello osservandolo a metà via tra il dubbioso e il curioso, chiedendosi perché Alex Bell si prendesse tanta confidenza con lui, ma rispondendosi subito che lo faceva perché era un tipo stupido e tendeva a trattare tutti da amiconi. Probabilmente gli avrebbe chiesto di unirsi a lui per fare qualche ludica e interessante attività ricreativa.

"Perché non ti unisci a noi per una partita di basket con il sacchetto della merenda di Lynn?"

Ecco appunto.

"Mi spiace, non mi va." tagliò corto tornando ai suoi pensieri. Tipo al giornale dimenticato che gli avrebbe causato un pomeriggio di rimproveri e lamenti. Se sua nonna non l'aveva ancora mollato per strada per trasferirsi in Australia, l'avrebbe fatto quel giorno. Glielo diceva che era stanca di lui e anche se non gliel'avesse ricordato ogni santa volta, l'avrebbe capito da solo. Quasi quasi era meglio l'orfanotrofio che vivere con la mamma di suo padre. Sapeva che lei l'aveva preso in cura solo per soldi. E che, tra l'altro, se n'era pentita.

"Non verresti nemmeno per vedere William che imbratta la bici nuova di Stevenson?"

Jeremy fece no con la testa senza riuscire a reprimere la voglia di alzare un sopracciglio. I suoi coetanei erano davvero stupidi e infantili, ma quel Bell li batteva tutti.

"A dire il vero contavo più che altro che saresti venuto da me questo pomeriggio. Sai...per fare due tiri a basket e un po' di matematica." propose allora un po' deluso per l'impassibilità dimostrata dal compagno.

Non seppe se fu per la sorpresa di quella richiesta, per l'insistenza, oppure per l'opportunità di evitare un pomeriggio con sua nonna, ma Jeremy gli concesse un secondo di attenzione in più, mossa che fece comparire un gran sorriso sulla faccia da bambino di Alex. Jeremy l'uomo di ghiaccio sembrava interessato a passare un pomeriggio assieme a lui.

"Ti riaccompagnamo noi a casa!" aggiunse come se ciò potesse obbligare il suo compagno ad accettare definitivamente. Come se la batteria di pentole inclusa potesse essere ciò che determina l'acquisto di una nuova cucina.

Jeremy aprì la bocca per ringraziare, ma declinare l'invito. Tuttavia, nel momento in cui avrebbe dovuto farlo, si ritrovò invece a chiedere se avesse potuto prestargli il telefono per avvisare sua nonna.

Ne erano ancora entrambi inconsapevoli, ma in quel momento stavano legando assieme due vite. Due sole parole scambiate durante una ricreazione stavano dando vita a un'amicizia indissolubile, che sarebbe andata oltre tanti pericoli e complicazioni.

La signora Angelina Twain Parker concesse entusiasticamente al nipote di passare un pomeriggio dall'amico e telefonò in men che non si dica al salone "Claire's" per prenotarsi una benedetta messa in piega. Pareva che quella strana situazione avesse messo il buon umore a un sacco di gente.

Così i genitori di Alex, suonata la campanella delle 12.40, accompagnarono i due ragazzini fino alla casetta gialla di Birch Street, costellata di tulipani fucsia e viola nei davanzali e provvista di un piccolo campo rettangolare nel giardino, come si confaceva alle case delle famiglie benestanti di Bourton.

Passarono il pomeriggio come aveva previsto Alex, se non meglio ancora. Svolsero i compiti di matematica, presero il tè che la signora Bell, londinese di nascita, non si faceva mai mancare e uscirono sotto il sole delle cinque. Sudarono un bel po', ma non si stancarono per ore.

Giocarono un po' a basket e poi a qualcosa che Jeremy aveva inventato. Qualcosa di avventuroso che stupì Alex e lo fece sentire soddisfatto di aver voluto stringere amicizia con lui. Sì, perché quel bambino così timido si era lentamente aperto durante la giornata, come quell'origami che, a contatto con l'acqua, sboccia come un fiore. E l'acqua per Jeremy era stato Alex.

Dopo essere usciti, gli era spuntato in viso un sorriso entusiasta e un po' malizioso, che Alex non si aspettava e che gli fece venir voglia di fare tante domande al suo compagno, perché ora sapeva che gli avrebbe risposto.

Ma fu troppo preso dal gioco che fecero per tutto il pomeriggio e si dimenticò di interrogarlo. D'altronde, aveva vissuto un'avventura bellissima; fingendo di essere un esploratore in un'isola selvaggia, il suo quartiere, e visitando, di fatto, luoghi di cui aveva da sempre ignorato l'esistenza. Anzi, a essere precisi, Alex conosceva a occhi chiusi ogni angolo di Birch Street, ma con Jeremy gli era parso che tutto fosse nuovo, diverso, più bello.

Prima che scendesse dall'auto per fare ritorno alla modesta casa della nonna, parecchi isolati più distante dalla sua, gli chiese di dargli il cinque. Jeremy lo guardò stranito, le pupille rimpicciolite per scrutare quella mano aperta davanti al suo viso, esitante per chissà quale motivo. Perché avrebbe dovuto dargli il cinque? Non erano amici e glielo disse.

"E invece io voglio che tu sia mio amico." lo esortò Alex, prendendo la sua mano senza nervo e facendola sbattere contro la sua, per poi sfoggiare un sorriso soddisfatto, nonostante Jeremy non avesse mosso nemmeno un muscolo.

"Il mio amico." ripeté Alex.

Ma Jeremy non voleva un amico. Troppo diverso da lui, pensava, troppo felice per poter condividere qualcosa della sua vita. Non avrebbe mai potuto capire. E invece Jeremy non lo sapeva, ma quattro anni dopo avrebbe deciso di condividere la sua storia con lui, rendendolo la prima e unica persona al mondo a sapere del suo passato. E gli avrebbe fatto un bene incredibile.

Alex desiderava con tutto il cuore quell'amico. Voleva quel Jeremy, perché credeva di potergli far cambiare idea sul suo conto. Credeva di potergli dimostrare che non era stupido come tutti pensavano e che avrebbe potuto farlo sorridere, un giorno. Alex era sempre stato un cuore buono.

E, infatti, non era stato un caso che, tra tutte le persone che conosceva, avesse scelto di diventare il migliore amico della più triste.

Sapeva che Jeremy non era come lui. Sapeva che tutto sommato lui non ci teneva così tanto ad avere amicizie con i ragazzini di Bourton, ma preferiva fare il solitario, voleva -o doveva- arrangiarsi.

Tuttavia, dopo quel famoso pomeriggio, non aveva mai più declinato un suo invito. Certo, sfoggiava la solita espressione seccata ogni volta che lo vedeva avvicinarsi, ma poi chiudeva sempre il libro che stava leggendo e acquisiva uno sguardo che tradiva, giorno dopo giorno sempre di più, la sua maschera di freddezza. Anzi, più si vedevano più gli pareva che fosse contento, sollevato. Non aveva mai capito se fosse merito suo o dei giochi avventurosi per Birch Street o del tè di sua madre, però non gli serviva saperlo. Gli bastava vedere che stava bene e ridere assieme a lui. Troppo buono Alex, sempre troppo buono.

Sospirò togliendo un filo ribelle dal suo maglione rosso. Gliel'aveva prestato Allyson durante la solitaria nottata che avevano passato insieme e lui non aveva più avuto il coraggio di restituirlo. Gli sembrava più significativo che mai, quella notte tra il 31 dicembre e il primo gennaio. Anche se a queste cose non credeva per niente.

Allungò una mano verso quella inerme di Jeremy e la posò sopra. Non voleva stingerla, quello spettava casomai a Taylor. Alex voleva solo fargli sentire che, nonostante tutto, come sempre, lui c'era. E gli sembrò per un attimo di tornare a quel pomeriggio in cui con la stessa volontà gli aveva offerto una mano forte e determinata per dare il cinque alla sua, debole, impassibile e priva di energia, proprio come ora.

"Mi dispiace, Jeremy." disse con un filo di voce. Non c'era nessuno lì dentro, non serviva parlare forte. E poi, l'ultima volta che lo aveva fatto era stato per dar contro a Taylor, con il risultato di farla scappare in lacrime.

"Non volevo trattare così Taylor. Ho sbagliato."

Si sedette sulla sedia accanto al letto e rimase in silenzio a osservare il viso del suo amico.

Non era più tondo e roseo come quando era piccolo, ora si notavano bene gli zigomi e la forma un po' spigolosa della mascella. Se solo avesse potuto tornare indietro a quando ancora gettavano palline di carta in testa alle signore che passeggiavano per il parco di Bourton, non avrebbe esitato un solo secondo! Avrebbe avuto tempo.

Adesso, invece, sentiva di non averne più. Ed era per quel motivo che si era comportato come un lunatico isterico con tutti, era per quel motivo che il buon Alex sembrava cattivo. Alex aveva solo paura di perdere il suo migliore amico.

"Le ho detto quelle cose perché ero fuori di me." spiegò quasi in un sussurro. "Però non ci credo veramente. Lei è...lei...voi due state bene insieme. Voglio dire, tu sei un ragazzo con la testa a posto e...beh, insomma, sì, hai la testa a posto, ma sei comunque scapestrato...ma meglio, voglio dire, è una cosa che piace alle donne. Poi Taylor è tutta...beh...è tutta lì..." sagomò l'aria come per dire che Taylor era piccoletta e graziosa. "Questo è sicuramente positivo, perché...è come se vi compensiate, no? Nel senso, non che tu sia alto e lei bassa...sì, comunque sei alto. Però lei non è bassa. È minuta, ecco...e secondo me ti si addicono le ragazze minute."

Sospirò continuando a fissare invano le palpebre immobili del suo amico. Nessun segno.

"Mi dispiace." disse in un sospiro sconsolato. "So quanto lei sia importante per te...e anche per me. In fondo, è diventata mia amica. E io sono suo amico. Ti prometto che mi farò perdonare da lei, però tu devi esserci, Jerry." e nel pronunciare il suo nome, la sua voce si incrinò. "Devi esserci per vedere quanto bella è la tua Taylor quando fa pace con le persone, ma anche quando è furiosa, specialmente se l'oggetto della sua furia sei tu, perché ti assicuro che i suoi occhi omicidi sono un vero spettacolo. Devi esserci per sentire il tono dolce di quella bestia di Richard quando parla di Allyson, devi esserci per darmi dell'idiota e fare delle espressioni disperate quando non capisco cosa vuoi dire. Devi esserci, Jerry. Io..." fece pressione con la mano sopra la sua e fissò gli occhi sul suo volto mentre una lacrima gli rigava la guancia. "Ho bisogno di te."

Purtroppo era troppo fragile e stressato per riuscire a essere forte come tutti gli dicevano. Purtroppo non aveva il carattere della sua ragazza o del suo migliore amico e nelle situazioni negative si lasciava sopraffare dagli eventi. Purtroppo non era disposto ad accettare di non avere più tempo da spendere con Jeremy.

Come era sempre successo, Alex non avrebbe lasciato Jeremy. Alex lo avrebbe sempre cercato. Alex si sarebbe sempre preoccupato per quel bambino orfano che si fissava le scarpe. Sempre.

Perciò scoppiò a piangere per l'ennesima volta davanti all'immagine del suo migliore amico che non dava segni di vita, se non artificialmente indotti, e si accasciò sul suo addome nascondendo il viso nelle maniche di quel maglione rosso.

Andò avanti a lungo, senza nemmeno accorgersi della mezzanotte che scoccava e dei festeggiamenti di Capodanno dalla finestra. Non fece gli auguri a nessuno, non rispose alla chiamata di Allyson, rimase in balia di profondi e incontrollabili singhiozzi e lacrime bollenti che si perdevano nella sua barba di qualche giorno e cadevano sul bianco del lenzuolo.

Contemporaneamente, più distante e nel buio della sua camera, Taylor soffocava il pianto nel bianco della sciarpa di Jeremy. Con quale faccia si sarebbe presentata in ospedale la mattina seguente, sapendo che aveva promesso a tutti che l'avrebbe piantata di essere così debole? Il correttore faceva miracoli con i brufoli, ma con occhi gonfi e arrossati no.

Sua madre si sarebbe preoccupata, Allyson l'avrebbe sgridata, Tessy l'avrebbe compatita e Oliver l'avrebbe spronata a tenere duro. E Jeremy? Cos'avrebbe pensato di lei il suo Jeremy?

Questo pensiero fece aumentare l'intensità dei suoi singhiozzi. Magari avrebbe potuto trasformarsi in un orso scontroso come aveva fatto Alex e permettersi di esprimere la sua disperazione come e quando le pareva, oppure avrebbe potuto continuare a fare buon viso a cattivo gioco. Così si sarebbe ridotta, come da una settimana a quella parte, a passare delle ore con lui, parlargli, sorridergli, accarezzarlo, e poi piangere nella sua solitudine. Lei voleva essere forte, ci provava, ma più si sforzava, più soffriva in seguito. Come quando bevi tanto da diventare euforico e le conseguenze si fanno sentire solo dopo, in proporzione all'alcol ingerito.

Strinse quella sciarpa contro il suo petto, poi la fece salire per strofinarcisi la guancia e infine vi posò sopra le labbra nel ricordo di un bacio che avrebbe riassaporato più di ogni altra cosa al mondo.

Il caldo delle labbra di Jeremy che vinceva il freddo dell'aria su ogni singolo centimetro di pelle. Tutto l'amore, il bello della vita e la felicità concentrati nell'unione bollente di due paia di labbra congelate. E un cuore grande, grande da morire.

Ormai era il primo gennaio e, secondo i medici, Jeremy non avrebbe resistito oltre.

Proprio quel cuore così grande batteva sempre più lentamente, il suo respiro era ogni giorno più debole e la speranza che potesse salvarsi era flebile come il battito che, in silenzio, appoggiandosi al suo petto, Taylor ascoltava spesso.

Così diverso da far male dal battito che l'aveva cullata una notte non troppo lontana, dopo la sparatoria in uno squallido locale di Stroud.

Era stata la prima volta in cui aveva sentito di essere a casa, tra le braccia di Jeremy. La prima volta in cui un pensiero davvero bizzarro le aveva attraversato la mente: di provare qualcosa per quel gradissimo stronzo che l'aveva rapita.

E da perfetta isterica, Taylor sbottò in una risata solitaria che riecheggiò nella stanza. Si ricordò di quando aveva provato a scappare dall'hotel di Cirencester, sfruttando l'ingenuità di Alex e irritando Jeremy a tal punto da fargli pensare che il suo amico volesse provarci con lei in una situazione del genere. E poi era stato lo stesso cretino a innamorarsi come un barbagianni.

Poi si ricordò di quella mattina in cui l'aveva trascinato in chiesa e di quando gli aveva dato una testata facendogli sanguinare il naso o ancora di quel giorno in cui avevano investito un uomo travestito da Babbo Natale e avevano finto di chiamarsi Tracy e Ludwig e di essere una coppia e tutto ciò la faceva ridere perché si era divertita. Era stata davvero felice, come mai lo era stata prima di allora.

E adesso Taylor aveva la sensazione che il tempo le stesse scivolando dalle dita, assieme a Jeremy. Il suo Jeremy. Il Jeremy che amava e che non l'avrebbe mai saputo.

Perché Jeremy aveva usato tutta l'energia che gli rimaneva per dirle che si era innamorato di lei, andando contro tutto e tutti, consapevole di ogni rischio. Mentre lei che, paradossalmente, era quella che aveva sempre rischiato di meno, non aveva trovato il modo per farlo. Ed era irrimediabilmente tardi.

Mentre di sotto una bottiglia di champagne veniva stappata tra schiamazzi e risate, la porta della sua stanza si spalancò e la luce artificiale che la illuminò di colpo svelò un aspetto terribile, l'aspetto della paura.

Oliver non disse nulla, chiuse semplicemente la porta alle sue spalle, posò il bicchiere e il piatto di pudding sulla scrivania e in due ampie falcate raggiunse Taylor.

Si sedette cauto sul piumone accanto a lei, si allungò in avanti e la avvolse in un abbraccio grande, caldo, protettivo, paterno. Taylor tremò e intensificò il suo pianto abbandonandosi sul petto del suo papà.

Erano circa le quattro quando la ragazza venne rapita da un sonno disperato, a cui lei era riluttante, ma a cui aveva dovuto soccombere.

Un sonno che le faceva dare calci e pugni alla coperta che Oliver le aveva adagiato sopra, perché quella coperta non era il corpo di Jeremy.

Un sonno che l'aveva presa contro il suo volere, un altro rapimento, che però stavolta non avrebbe portato a nulla di buono.

----

Alex, invece, era già sveglio da mezz'ora. Aveva dormito un paio d'ore abbondanti sull'addome di Jeremy e si era svegliato di soprassalto sognando di soffocarlo con il peso della sua testa.

Si era alzato più intontito che mai, con le ginocchia che tremavano per la stanchezza e un lato del viso rigato dai segni lasciati dal lenzuolo. Aveva pianto e sbavato, così si era diretto verso il comodino e aveva elegantemente usato l'acqua dei fiori che avevano portato a Jeremy per rinfrescarsi il viso.

A quel punto si era ritrovato con la faccia bagnata e aveva risolto di asciugarsi, naturalmente, con il lenzuolo del lettino.

Stava giusto sfregandosi gli occhi, quando qualcosa catturò la sua attenzione. Si asciugò bene le ciglia per assicurarsi che non fosse il riflesso delle gocce e si rese conto che il suo sguardo non lo aveva ingannato. Così si avvicinò con timore e mise a fuoco mentre il suo battito cardiaco accelerava pericolosamente.

Appena si accertò di ciò che stava succedendo, sentì il seme del panico diffondersi dal suo petto e paralizzare tutti i muscoli.

Una goccia di sangue, densa e scura, quasi nera, stava scendendo dal naso di Jeremy, avanzando con una lentezza sconcertante e destabilizzante. Alex rimase per un millesimo di secondo a osservarla, fintanto che la sua concitata e preoccupata concentrazione non fu scossa da un improvviso rumore dei macchinari.

Un suono acuto lo aveva spaventato a morte e si era messo a scandire un ritmo dal significato sconosciuto, ma che continuava a velocizzarsi e rallentare, irregolare come la pioggia spinta dalle raffiche di vento durante una burrasca.

Tutto ciò ebbe l'effetto di paralizzarlo completamente e gli mozzò il respiro. Nella sua mente esplose il pensiero che Jeremy stesse per morire, che il suo cuore stesse per fermarsi e che lui dovesse assolutamente correre ad avvisare i medici. Ma non ci riusciva, perché sembrava che i suoi muscoli si fossero fossilizzati nella loro posizione.

Non respirava bene, o forse non respirava più. E questa frase si adattava molto bene per descrivere sia Jeremy che Alex.

Quest'ultimo, preso da un vero e proprio attacco di panico, non poteva fare nulla se non fissare con occhi sbarrati il sangue che ora, a corposi fiotti, scendeva dal naso di Jeremy, colava sulla sua mascherina e macchiava la coperta e il petto nudo del ragazzo.

Ma fu proprio quando il sangue penetrò nelle fessure della mascherina che Alex finalmente si disincantò.

Come sbloccato da un incantesimo di Medusa, corse di filato a togliergli quell'arnese dalla faccia, mentre lui iniziava a rantolare a causa del liquido che gli era entrato nella bocca e lo stava soffocando.

Alex slacciò il nodo dietro il collo e nell'attimo in cui sfilò la mascherina dalla bocca di Jeremy, pensò che se il suo amico fosse morto per colpa di quella sua ennesima stupidaggine, non si sarebbe mai dato pace e sarebbe morto anche lui.

Ma Jeremy, liberato da quell'obbligazione, sputò sangue e saliva, tirò un lungo respiro e aprì gli occhi.

Alex, che aveva lo sguardo fisso sulla sua faccia, sembrò essere abbagliato come quel giorno a scuola, quando osservò i suoi occhi per la prima volta. Così ora si stupì immotivatamente di quel colore, di quella luminosità e di quella chiarezza.

Jeremy si pulì la bocca con l'avambraccio e, alzandosi leggermente con il busto, si tappò il naso con i dorso della mano e si mise a testa in su, per contenere l'emorragia.

Poi spostò gli occhi sul suo amico, immobile a fianco a lui, una mano a mezz'aria con in mano la sua mascherina per l'ossigeno e l'altra a grattarsi la guancia, l'espressione tipicamente tra l'ebete e l'infinito.

"Alex." lo chiamò.

"Jerry?" biascicò lui, incapace di pensare.

"Alex, dai, prendi uno straccio, qualcosa. Sto facendo un casino qui, muoviti."

Il moro lo guardò se possibile ancora più stupito e si girò lento come uno zombie per cercare quello che gli era stato chiesto.

Rimediò una federa azzurrina che piegò in quattro e pose sotto il naso del ragazzo, muovendosi sempre come in una moviola e guardandolo poco, cercando di assimilare prima il tutto nella sua mente.

Era esattamente come quella volta in cui aveva preso una A in fisica. Gli ci era voluto un po' prima di realizzare che fosse capitato veramente, e soprattutto a lui.

Finalmente, dopo svariati secondi che Jeremy aveva più saggiamente impiegato ad asciugare la perdita si sangue, se ne uscì con qualcosa di intelligente.

"Chiamo il dottore." disse.

"Eh, direi." rispose Jeremy, sorridendo. "Ma prima dammi una mano qui."

Non ancora totalmente lucido e preda degli eventi, Alex diede priorità al problema presente e si sedette sulla sedia lì accanto, reggendo la federa per Jeremy.

"Devi stare a testa in giù e premere sul naso." gli disse, come ogni volta che si trovava ad affrontare questi episodi, talmente frequenti con Jeremy fin da quando aveva undici anni.

"Sì, così facciamo le cascate del Niagara."

Alex si fermò e sorrise immediatamente nel sentir giungere quella frase alle sue orecchie.

In quel momento aveva realizzato di aver preso una A. In quel momento, si era reso conto che Jeremy era vivo.

Jeremy era tornato con lui. Il suo migliore amico, di cui lui aveva bisogno, era lì. Era vivo. Non l'aveva abbandonato, nemmeno questa volta. Perché lui era Peter Pan e nessun Capitan Uncino del cazzo gli avrebbe mai messo i piedi in testa.

Lo guardò commosso e si aprì in un gran sorriso traboccante di sollievo, che si trasformava da istante a istante in euforia, mentre il suo cuore batteva forte.

Anche Jeremy ricambiò, le guance che incominciavano miracolosamente a prendere colore. E quello, si poteva dire, era davvero un miracolo.

Alex si alzò in piedi: "Vado ad avvisare i medici." disse, ma in realtà era impaziente di dirlo a tutti, al mondo intero. Doveva correre da Taylor e darle questa notizia ed era sicuro che allora l'avrebbe perdonato, poi doveva farlo sapere ad Allyson e Richard e doveva raccontare a Jeremy di Cordano e della punizione che si era meritato.

Ma in quel momento la domanda più sorprendente e martellante nella sua mente era "Che cosa è successo?". Com'era stato possibile che Jeremy ce l'avesse fatta? Cosa l'aveva salvato? Le sue parole di quella notte? L'amore di Taylor? L'amore per Taylor?

Allora prima di uscire, si rivolse di nuovo all'amico, incredulo e felice: "Ma cos'è successo, Jerry?"

Il biondo, anche se debole e decisamente provato, gli sorrise, felice che tutto fosse andato per il meglio.

"A me lo chiedi?" rispose sorridendo.

L'unica cosa che sapeva era che, quella terza domenica d'avvento, Cordano e Richard l'avevano inseguito per le strade di Bourton, e poi l'avevano picchiato fino a farlo finire in ospedale, per non aver ancora sanato il suo debito di duemila sterline.

Da lì in poi non ricordava più nulla.



--------------------------------------------------------------------------------------------------------



Vi prego, non m'accoppate.

Il titolo, "Tutti i tipi di amore", descrive, appunto, tutti i modi in cui, in questo capitolo, il sentimento si manifesta. L'amore di una mamma per la figlia, quello di un papà per la figlia, quello di un uomo per una donna, quello di una ragazza per un ragazzo, quello di un amico nei confronti del suo migliore amico. Evviva l'ammmore.

Vi piacerebbe leggere anche l'ULTIMO capitolo di questa storia? Beh, restate in attesa, lo vedrete sullo schermo del vostro PC il 1 gennaio 2017, come regalo di Natale da parte mia e augurio a tutti di un meraviglioso anno nuovo.

Buon Natale!


   
 
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Yellow Daffodil