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Autore: Mariam Kasinaga    01/11/2014    3 recensioni
Benvenuta nel mio incubo...
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Genere: Dark, Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Incubus

Click!

L’otturatore della macchina fotografica immortalò il porto di Alessandria d’Egitto durante il tradizionale mercato dei pescatori. La turista ripose delicatamente l’oggetto nello zaino, guardandosi intorno: quel viaggio era la giusta occasione per lasciarsi alle spalle le delusioni che si erano succedute nei mesi, in particolare la rottura del fidanzamento con Mark. La donna si tolse il cappellino da baseball e lo usò nel tentativo disperato di rinfrescarsi: a quell’ora del pomeriggio il cocente sole egiziano non lasciava scampo. I pochi turisti che fino a quel momento si erano aggirati curiosi tra le bancarelle, ora cercavano riparo sotto i porticati dei palazzi coloniali, mentre i locali si erano già da tempo rifugiati in alcuni locali del rione. Cercando di resistere stoicamente all’elevata temperatura, Annabelle si avvicinò alla sgangherata bancarella di quello che, a prima vista, sembrava essere un mercante d’antiquariato. La merce da lui proposta era veramente misera, si trattava pressoché di statuette e monili, ma un oggetto attirò la sua attenzione.

Un piccolo orecchino rotondo, forse d’oro, raffigurante un uroboro.
“Volere tu, sì? Belle, belle cose!” la voce squillante del venditore la riscosse dai suoi pensieri. Il vecchio, con il volto abbronzato solcato di innumerevoli rughe, indicava la mercanzia sfoderando un sorriso sdentato.
L’altra sorrise imbarazzata, facendo segno di non avere denaro con sé: “Magari un’altra volta” farfugliò in un inglese stentato.
L’espressione gioviale dell’antiquario non cambiò: “Io regalare te! Tieni, bell’orecchino! Orecchino tiene lontano Molock” aggiunse, abbassando improvvisamente il tono della voce e porgendogli l’oggetto con insistenza.
La turista scosse energicamente la testa e si guardò attorno per cercare un modo con cui porre fine alla conversazione: “Non mi interessa, grazie” replicò gentilmente, avviandosi verso un bar. All’improvviso, si sentì afferrare per la mano e, dopo essersi voltata spaventata, si trovò a faccia a faccia con l’anziano venditore. Il suo sorriso era sparito, sostituito da un’espressione seria e corrucciata: “Molock cercare sempre donne come te. Prendi orecchino! Questo tiene lontano lui” ripetè, depositandole il monile sul palmo della mano e facendole serrare le dita attorno ad esso.
Annabelle lo guardava confusa, senza sapere cosa stesse realmente succedendo. Non appena l’egiziano la lasciò andare, istintivamente guardò il gioiello raffigurante l’uroboro: nonostante avesse considerato la mercanzia dell’antiquario nient’altro che paccottiglia, quell’orecchino pareva essere realmente antico. Alzò lo sguardo per chiedere spiegazioni al venditore, ma non c’era nessuno nei pressi della bancarella.
Stordita da ciò che era successo, gironzolò per qualche minuto nei passaggi nella speranza che il vecchio ricomparisse, poi, non appena il caldo cominciò a farsi insopportabile, infilò l’orecchino in una tasca dello zaino e si diresse verso il suo hotel.

Ossa tranciate, pelle squartata, budella insanguinate... Dovevi essere mia per sempre!

Annabelle lasciò che l’acqua bollente della doccia le scivolasse dolcemente lungo il corpo, accarezzando tutte le sue forme. Meticolosamente applicò il balsamo sui lunghi capelli biondi e, quando anche gli ultimi residui di schiuma furono inghiottiti dal tubo di scarico, aprì la porta scorrevole e si avvolse nel morbido asciugamano bianco fornito dall’hotel. Frizionò dolcemente i capelli, asciugò ogni centimetro del suo corpo e, dopo essersi spruzzata qualche goccia di profumo al mughetto, entrò nella camera da letto per indossare della biancheria pulita.

L’Hotel Ambassador, come la meta del viaggio, erano stati scelti da suo padre. L’uomo, una volta saputo del motivo che aveva portato la figlia a voltare le spalle al fidanzato, aveva cercato in tutti i modi di renderle il momento più facile da sopportare.
La donna si lasciò cadere sul letto, accoccolandosi tra le lenzuola di lino e ripensò a tutto ciò che era successo in quei mesi: la scoperta della dipendenza di Mark, le sedute dallo psichiatra, i litigi e, infine, l’inevitabile allontanamento. Non era stata lei a volere che gli eventi andassero in quel modo: aveva sempre cercato di sostenerlo e di aiutarlo, anche quando passare del tempo in sua compagnia non era altro che ricevere decine di insulti. Aveva cercato di fare del suo meglio, ma non poteva colpevolizzarsi. Doveva vivere quella settimana pensando solo a sé: al suo benessere e alla sua felicità. Quando sarebbe ritornata a Parigi avrebbe ripreso in mano le redini della sua vita e, come ogni volta, sarebbe andata avanti.

Rivolse un’occhiata alla città di Alessandria ammantata di stelle e, dopo poco, si addormentò profondamente.

Unghie strappate, occhi cavati, arti mutilati... Ti trascinerò nell’orrore!

Dapprima il rumore era simile ad un fastidioso ronzio, ma quando cominciò a diventare martellante, Annabelle aprì pigramente gli occhi.
Era come se qualcuno stesse continuamente aprendo e chiudendo il rubinetto del lavabo.
La ragazza si sedette sul letto, ascoltando più attentamente: come poteva esserci un’altra persona, oltre a lei? Lentamente, cercando di non far rumore, afferrò la piccola lampada che si trovava sul comodino: “Chi c’è?” domandò, cercando di mantenere un tono di voce fermo.

Dal bagno non giunse nessuna risposta, ma il rumore si interruppe bruscamente Per un attimo Annabelle fu tentata di uscire dalla stanza alla ricerca di aiuto, ma cambiò immediatamente idea: forse era stato tutto frutto della sua immaginazione, nient’altro che i residui di un sogno. Nonostante questi pensieri, si accorse di star stringendo l’oggetto in modo più saldo: “Il Molock” mormorò istintivamente, ricordando le parole del vecchio antiquario. “Sono solo stronzate” si corresse subito, cominciando ad avvicinarsi alla porta del bagno. Stranamente, si ricordava di averla lasciata aperta, ma poteva essersi chiusa a causa di una corrente d’aria. Afferrò la maniglia e, con disappunto, si accorse di avere il palmo della mano completamente sudato: una parte di lei, quella più irrazionale ed istintiva, continuava ad urlarle di andarsene lontano da lì; l’altro emisfero del cervello, quello evoluto e votato alla ragione, le fece spalancare la porta.

La prima cosa che la sua mente registrò, fu la totale assenza del bagno, almeno così come lo ricordava: le pareti di intonaco bianco erano state sostituite da lastroni di pietra, al posto del pavimento di cotto c’era della strana sabbia color ruggine e, nel lavandino, gorgogliava del liquido denso e scuro simile a sangue. La stanza, o quel che ne rimaneva, era completamente deserta.

Annabelle fece qualche incerto passo in avanti, coprendosi il naso e la bocca con una mano nel tentativo di resistere al tanfo insopportabile. Si avvicinò al lavandino e, dopo aver appoggiato la lampada su una mensola, sfiorò con la punta delle dita la superfice del liquido: “Sto sognando” le suggerì la sua parte irrazionale. Chiuse gli occhi, sperando di ritrovarsi nel suo letto. Quando li riaprì, le sembrò quasi di sentire un lieve profumo di incenso.

“Non sei stata purificata, non hai alcun diritto di stare qui” mormorò una voce dietro di lei.
La donna si girò di scatto, afferrando d’impulso la lampada. Non appena si rese conto dell’identità di chi aveva davanti, sgranò gli occhi dallo stupore: “Mark?” domandò, completamente allibita.
L’altro, vestito con un elegante completo di lino bianco, fece un sorriso sghembo: “Prego!” esclamò, indicandole la camera da letto con un ampio movimento del braccio.

Annabelle scosse nervosamente la testa: “Vattene” sibilò, brandendo in aria l’oggetto per fargli capire che, all’occorrenza, non si sarebbe fatta remore a colpirlo.
Il sorriso sul volto dell’uomo si allargò: “Ti trovi in un posto del genere e questa è l’unica cosa che ti viene in mente di dirmi?” domandò, afferrandola per un polso e trascinandola con forza in camera da letto, buttandola a terra.

“Cosa vuoi?” pigolò la donna, cercando di rimettersi in piedi o, perlomeno, di recuperare la lampada che era caduta poco lontano da lei.
Il calcio che l’altro le assestò allo stomaco le fece mancare il fiato: “Cosa voglio, Annabelle? Voglio vederti soffrire ed implorare pietà. Voglio vedere il tuo bel visino rigato dalle lacrime e, soprattutto, voglio sentirti supplicare per la tua vita” sibilò, inginocchiandosi sopra di lei e strappandole con decisione la camicia da notte.

Annabelle cominciò ad urlare, sperando che qualcuno accorresse in suo aiuto. Cercò di divincolarsi, di colpire il suo aggressore, ma sembrava che i suoi pugni non provocassero nessuna reazione. Noncurante dei continui colpi che riceveva sul petto e sui fianchi, le mani di Mark corsero velocemente ad una tasca interna della giacca, estraendo un piccolo astuccio di pelle nera.

“Sei entrata in quella stanza senza essere purificata” ripetè, con voce atona. “Non preoccuparti, lui ed io sappiamo bene entrambi che non riesci mai a rimanere al tuo posto. Devi sempre porre domande inopportune, entrare in luoghi che ti sono preclusi, rovinare la vita degli altri. Tranquilla, dopo che avrò finito di preparati lui porrà fine alla tua stupida esistenza” continuò, estraendo uno stiletto di metallo.

Improvvisamente, la vittima si irrigidì, spalancando gli occhi dall’orrore: “Mark... Cosa pensi di fare?” domandò, non potendo far a meno di fissare la lama lunga e sottile che il suo carnefice teneva a mezz’aria.
Il volto dell’altro si contrasse in una smorfia, uno strano connubio di eccitazione e pazzia: “Dopo che ti avrò ucciso , ti porterò nell’altra stanza. Prima ti scuoierò, poi ti strapperò le viscere e lui se le mangerà” cantilenò, come se si trattasse di una macabra filastrocca. Annabelle tentò di imporsi la calma: nei telefilm polizieschi che era solita guardare con le amiche, consumando giganteschi barattoli di gelato, le persone che si trovavano in situazioni di emergenza morivano sempre per colpa del panico. Non poteva batterlo dal punto di vista fisico, ma se fosse riuscita a farlo parlare o, meglio ancora, a distrarlo, forse avrebbe avuto una possibilità di salvezza. La sua parte razionale continuava a farle notare le assurde incongruenze che continuavano a manifestarsi accanto a lei: lo stato in cui verteva il bagno, l’apparizione dal nulla di Mark e la sua forza sovrumana. Avrebbe potuto badare a tutti quei particolari, ma se l’avesse fatto, era sicura che sarebbe impazzita.

“Lui chi?” riuscì a domandare con voce roca, sperando che l’altro le desse una risposta.
L’uomo le assestò uno schiaffo: “Domande, domande, domande, sempre domande. Belle, taci!” ordinò, appoggiando lentamente la punta dello stiletto all’altezza dello sterno di lei.
L’altra contrasse i muscoli, la guancia che bruciava a causa del colpo subito: “Non puoi uccidermi” balbettò, cercando di divincolarsi per l’ennesima volta.
Mark avvicinò il viso al suo talmente tanto che riusciva a sentirgli il fiato: “Perché no, amore? Lui è qui, dentro di me. Ha bisogno del cuore di una donna come te e io glielo voglio regalare. Sai perché, Belle? Perché lui mi ha permesso di arrivare fino a qui, di scappare da quella lurida fogna dove i poliziotti mi hanno gettato. Non puoi scappare da lui. Non puoi andartene da noi. La mia rabbia lo nutre, ma ha bisogno di qualcos’altro per poter tornare al suo antico splendore” mormorò, aggiustandole una ciocca di capelli.
La donna lo guardava sconvolta: “Che cazzo stai dicendo?” urlò, afferrandogli il naso con i denti e, senza nemmeno pensare lucidamente, serrando con forza la mandibola.

Mark imprecò, portandosi una mano al volto, e si alzò in piedi furioso, continuando a puntarle addosso la punta dello stiletto: “Non puoi andartene da qui!” esclamò, mentre il sangue usciva copioso dal naso mutilato, scorrendogli sul viso e sporcandogli i vestiti.
Annabelle afferrò d’istinto lo zaino e frugò velocemente in una delle sue tasche, senza distogliere lo sguardo dall’uomo che, col volto ormai trasfigurato, si avvicinava a lunghi passi verso di lei. Trionfante, la donna estrasse l’orecchino raffigurante l’uroboro: “Tu non puoi uccidermi!” ripeté, agitandolo come un’invasata.

Alla vista del monile, Mark si fermò di scatto: “Chi te l’ha dato?” domandò.
L’altra rabbrividì nell’udire quel tono di voce: era cupo e profondo, come se quelle parole fossero state vomitate dal luogo più oscuro della terra. “Non ha importanza. Qualsiasi cosa tu sia, non puoi farmi del male” ribadì, stringendo con forza tra le dita quella sua ultima speranza. Per un attimo, le parve di vedere un bagliore negli occhi dell’altro, una luce sinistra che poteva provenire solo dagli anfratti remoti dell’Inferno.
Mark si tolse la mano dal volto, rivelando brandelli di pelle e cartilagine completamente insanguinati: là dove prima c’era stato il naso, ora si potevano chiaramente distinguere le cavità delle narici e sezioni dell’osso del setto nasale. “Ti credi intelligente? Non sai nemmeno cosa sia quell’oggetto” la derise, appoggiando lo stiletto sul letto. Lentamente, sotto lo sguardo vigile dell’altra, si tolse la giacca del completo e si arrotolò le maniche della camicia: “Non scappi?” domandò, increspando le labbra in un sorriso beffardo.
Gli occhi di Annabelle corsero immediatamente alla porta e fece un timido passo in quella direzione: “Se me ne vado, tu mi inseguirai” ribatté.
L’altro annuì con vigore, facendo schioccare le nocche delle mani: “Non c’è luogo sulla Terra dove tu sia al sicuro. Quell’orecchino, inoltre, può proteggerti soltanto dal Moloch. Perché sia una valida protezione contro di me, avresti dovuto indossarlo” aggiunse, accorciando ulteriormente la distanza che li separava.
L’altra, con una mano sulla maniglia della porta, non poté trattenersi dal domandargli un’ultima cosa: “Perché me lo dici?” chiese, circospetta.
Il sorriso sul volto di Mark si allargò: “Aprila” ordinò, indicando la porta della camera.
La donna eseguì, pronta a precipitarsi in direzione della rampa delle scale e chiedere aiuto a qualcuno delle reception. Non appena uscì dalla stanza, però, rimase pietrificata: al di là della soglia non c’era altro che un lungo corridoio nero, con delle pareti costruite con delle enormi lastre di pietra, completamente ricoperte di sangue rappreso. Alle narici le giunse il nauseante odore di carne marcia in decomposizione, mentre l’aria sembrava portare con sé strazianti urla di dolore.
La voce dell’uomo giunse alle sue spalle, come in lontananza: “Non capita a tutti di incontrare uno stregone. Avresti dovuto indossare l’amuleto nell’esatto istante in cui te l’ha donato. Benvenuta nel mio incubo, Belle”. 

   
 
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