Capitolo 1. Fingers
crossed
Una bambina di nove anni dai lunghissimi capelli color castagna
sfrecciò lungo
i corridoi del castello utilizzando la sua velocità da
vampira. Mentre correva
incrociò un paio di cameriere con in mano delle lenzuola che
caddero
rovinosamente a terra al suo passaggio.
La bimba si fermò di scatto, facendo sobbalzare dallo
spavento Stefan, amico di
vecchia data e segretario del re, che era appena uscito dalla sala del
trono,
con a seguito il padre della combina guai.
Elena si chinò raccogliendo mortificata le lenzuola per poi
porgerli alle
domestiche.
"Scusatemi." sussurrò dispiaciuta, rivolgendo loro uno
sguardo
tenerissimo che avrebbe fatto sciogliere chiunque.
"Non è successo nulla di grave, principessina." le disse una
delle
due, mentre l'altra le rivolgeva un mezzo inchino, sintomo di
riverenza. La
bimba alzò gli occhi al cielo sbuffando.
"Anna, Vicky ci conosciamo da quanto? Nove anni?" prese a contare
sulle dita mostrando loro infine un nove al quale le due risposero con
un
ghigno divertito.
"Ve lo chiedo per cortesia. Anzi no! Ve lo ordino ..." cercò
di
indurire i tratti rendendola però ancora più
buffa. Nel pronunciare l’ordine
il suo tono si abbassò di qualche
decibel "Per favore chiamatemi
Elena, odio essere chiamata principessina
e voi lo sapete benissimo." concluse infine incrociando le braccia
sotto
il seno minimamente pronunciato. Nel frattempo il Re si
portò alle spalle della
figlia cercando di non farsi sentire.
Le due domestiche si inchinarono a mo' di saluto.
"Ah giusto, odio anche questo gesto! Quando passo io vi
ordino di non inchinarvi." il suo tono si abbassò
nuovamente mentre pronunciava l'ordine, quasi avesse timore di sembrare
scortese mentre dava delle direttive.
"In realtà quel gesto era indirizzato a me figliola."
"Papà." un brivido le corse lungo la spina dorsale. Sapeva
che
l'avrebbe sgridata, ultimamente lo stava facendo sempre più
spesso. Ovviamente
per sgridata intendeva una semplice
ramanzina e nulla di più.
Il re non le aveva mai alzato le mani, aveva troppo a cuore sua figlia
e non le
avrebbe mai torto un capello.
"Quante volte ti ho detto di non correre per i corridoi?"
"Mi dispiace papino, giuro che
non lo farò mai più." a queste parole
accompagnò uno sguardo da cucciolo
bastonato sporgendo il labbro in fuori in modo da sembrare il
più convincente
possibile.
Una delle due domestiche, Anna, notò con profondo
divertimento, che la bimba
teneva due dita incrociate dietro la schiena. Stefan nel frattempo se
la rideva
guardando quella scenetta comica che oramai era diventata d'obbligo da un po' di tempo a
quella parte.
"Lo spero. " le rispose Grayson, posando una maso sulla spalla della
piccola, cercando in tal modo di intimidirla.
Ci riuscì.
Un poco.
"Posso andare ora?" Elena gli rivolse uno sguardo innocente
dondolando sui piedi. Ciò fece insospettire il Re.
"Dove di preciso?" il re assottigliò gli occhi guardingo.
"Avevo intenzione di fare una passeggiata fuori dal castello."
rispose evasiva spostando lo sguardo altrove.
"Intendi nei giardini?"
"Si!" rispose troppo in fretta la piccola Elena, portandosi dietro
l'orecchio una ciocca di capelli.
"Volevo dire si." affermò
infine con più calma.
Grayson la osservò sospirando appena e dopo alcuni secondi
riprese a parlare.
"D'accordo, l'importante è che non esci fuori dalla tenuta.
Ce l'hai un
orologio?" la bimba annuì con la testa, un sorriso le
spuntò sulle labbra
non appena comprese che finalmente il padre le stava permettendo di
uscire dal
castello da sola, senza una scorta.
"Bene, 5 minuti prima di mezzogiorno devi già essere in sala
da pranzo
altrimenti giuro su tuo nonno che
ci
guarda dal cielo che non uscirai più da sola da questo
castello fino alla
maggiore età. Sono stato chiaro?" la bimba
deglutì osservando gli occhi
quasi spiritati di suo padre.
"Cristallino." gli rivolse un sorriso sincero e ricominciò a
correre
per i corridoi verso l'uscita. Grayson alzò gli occhi al
cielo.
"Non cambierà mai." spropositò Stefan ridendo di
gusto e tirando un
colpetto sulla spalla del re, che nel frattempo era rimasto assorto nei
suoi
pensieri.
"Seguila. " disse infine l'uomo fissando dritto negli occhi il suo
migliore amico. Quest'ultimo smise di ridere tornando serio in un
attimo.
"Cosa? Ma se le hai appena detto che..."
"So ciò che le ho appena detto. Adesso tu la seguirai . Se
le dovesse
capitare qualcosa, ti ammazzo." al che gli rivolse le spalle
dirigendosi
verso la sala principale.
Controvoglia Stefan assecondò il volere del proprio re.
Perché in quel momento era proprio così che si
stava comportando, da re e non
da amico.
Ed era la prima volta che lo faceva nei suoi confronti.
Per un momento si sentì in colpa. Se Elena lo avesse
scoperto, non glielo
avrebbe mai perdonato.
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Il giardino dei Gilbert era immenso. Elena guardò estasiata
quel posto colmo di
verde, fiori ma sopratutto rose. Adorava le rose. Poteva dire con
certezza che
erano i suoi fiori preferiti. Ne annusò una per poi
lasciarsi andare ad un
sospiro estasiato. Un sorriso dolcissimo le spuntò sulle
labbra.
Dopo aver percorso il giardino ed aver aggirato alcuni cespugli di
lavanda, si
tolse le scarpe gettandosi infine sul prato .
Ad un tratto una bellissima farfalla dalle tonalità celesti
le si posò sul naso
solleticandoglielo, il suo sorriso si allargò ulteriormente
provocando così la
fuga della farfalla.
La brunetta non ci pensò più di un secondo ad
alzarsi in piedi per poterla
seguire. La farfalla batteva le ali maestosamente, quasi a voler
mettere in
chiaro la sua bellezza, come se fosse a conoscenza del fatto che le
sfumature
di blu delle sue ali non fossero qualcosa di già visto e
consueto, ma unico.
Stava ancora inseguendo l'animale quando ad un tratto udì
dei passi furtivi che
la fecero arrestare di colpo.
Elena annusò l'aria restando sull'attenti e dopo alcuni
secondi si gettò, da
vera e propria incosciente, su di un cespuglio a pochi passi da lei.
Una testa mogano sbucò fuori da quest'ultimo prima di poter
essere colpita in
pieno.
"Zio Stef!" sussurrò Elena con ancora il cuore in gola.
"Mi hai fatto prendere un colpo. Che ci fai tu... oh!" Stefan la
guardò da sopra le sue lunghissime ciglia che gli
incorniciavano perfettamente
le iridi verdi.
"Non ci posso credere, mi ha presa in giro. Mi hai seguita?!" la
bambina tirò uno spintone a suo zio che, ovviamente, non si
spostò di neanche
un centimetro.
"Mi dispiace Elena, io ero contrario. Tuo padre ha agito solo
d'impulso,
l'ha fatto per il tuo bene."
"Per il mio bene? Per il mio
bene oppure per il suo dannato vizio di avere sempre tutto sotto
controllo? Di
avere la mia vita sempre sotto
controllo? Mi sento così umiliata." gli occhi della brunetta
si
inumidirono per via delle lacrime che spingevano per scendere. Decise
comunque
di trattenersi osservando contrariata suo zio. Stefan, dal canto suo,
abbassò
lo sguardo mortificato.
"Senti Elena, per quanto sia contrariato dal comportamento di tuo
padre,
provando a mettermi nei suoi panni, beh gli do ragione. Insomma non ha
tutti i
torti nel volersi assicurare che la sua figlia combina guai non si sia
cacciata
in un altro dei suoi numerosi pasticci."
"Ah bene, adesso mi stai anche insultando."
"Non puoi negare che non sia vero. " Ribatté Stefan sicuro
di avere
ragione. La bambina ci rifletté un po' su prima di
rispondergli.
"Se ti stai riferendo a ciò che è successo la
settimana scorsa, quella non
è stata colpa mia!"
"Ah si giusto, perché dei girini sono finiti nella tua vasca
da bagno
spuntando così dal nulla. Tuo padre ti aveva vietato di
prenderli da quello
stagno e tu gli hai spergiurato che non l'avresti fatto. E invece? Ecco
dieci
giovani rane che saltellano qua e là in giro per i corridoi
del palazzo. "
La bimba serrò le labbra con l'intento di trattenere le
risate.
"Avevo incrociato le dita dietro la schiena, non vale un giuramento se
le
tengo incrociate."
"Allora lo avrà fatto anche tuo padre poco fa. Incrociare le
dita,
intendo."
Elena sospirò non potendo contraddirlo.
"Mi aspetto comunque delle scuse da lui. Quando ne combino una delle
mie
gli chiedo sempre scusa."
"Se magari non gli fai sapere che mi hai scoperto mentre ti seguivo mi
faresti un enorme piacere." un sorrisino spuntò sulle labbra
del vampiro.
"E dove sarebbe il divertimento allora, Stefan?" ovviamente
scherzava, le piaceva prenderlo in giro, e comunque non aveva alcuna
intenzione
di metterlo nei guai con suo padre.
"Perfida."
"Cretino."
"Pestifera."
"Spione." Stefan
spalancò la
bocca fintamente indignato. Sapeva che ogni loro discussione terminava
con lei
che aveva sempre l'ultima parola. Questa volta non glielo avrebbe
permesso,
promise a se stesso.
"Certo che sei proprio una str..ega. Ciao Caroline." Stefan si
spettinò i capelli in un impeto di imbarazzo.
Quel gesto non passò inosservato agli occhi di Elena, che si
precipitò ad
escogitare un piano per togliersi dai piedi suo zio.
"Stefan, Elena, che sta succedendo qui?" Caroline, la migliore amica
di sua madre, fece la sua apparizione impedendo dunque a Stefan di
farsi
scappare parole che il re gli avrebbe fatto sicuramente ingoiare, se ne
fosse
stato capace.
"Noi stavamo ..."
"... parlando di te. Sai zia, allo zio Stef piaci davvero molto,
però non
ha il coraggio di dirtelo in faccia. Ciò che gli stavo
appunto dicendo è che carpe diem
è il mio motto, ed è proprio
ciò che deve fare lui con te. Cogli l'attimo Stef.
Dichiarale il tuo amore.
" Stefan smise di respirare - non che ne avesse bisogno- e per un
attimo
si sentì mancare il terreno da sotto i piedi. Il suo viso
assunse tutte le
sfumature di rosso possibili ed inimmaginabili. Quella
peste l'aveva fatta franca ancora una volta.
E mentre Caroline attendeva con braccia incrociate delle
spiegazioni, Elena
approfittò dello shock momentaneo di entrambi i suoi zii per
potersela dare a
gambe.
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La farfalla dalle ali blu cominciò a svolazzare attorno ad
Elena, che nel
frattempo stava percorrendo spensierata l'ala sud del giardino. D'un
tratto la
creatura si posò su di un cespuglio, che si ergeva altissimo
a circondare
l'intero castello.
Nel tentativo di acchiapparla, Elena mise le mani in avanti cercando di
non
farla spaventare. Stranamente l'animale non si mosse. Ma quando Elena
posò la
mano sul cespuglio, qualcosa attirò la sua attenzione.
Si accorse che la consistenza dell'erba fosse inferiore rispetto a
quella
adiacente. Sarebbe bastata una piccolissima pressione per poter
accedere
dall'altro lato del giardino.
Ma questo avrebbe significato uscire dal castello.
Cosa c'era al di fuori di esso? Si chiese la bambina pervasa da un moto
di
curiosità.
Perché suo padre non voleva farla andare in giro da sola? In
fondo era pur
sempre una vampira, in un modo o nell'altro se la sarebbe cavata.
La farfalla zampettò in avanti, per poi sparire all'interno
della fessura nel
cespuglio.
"Dove vai?" le chiese Elena tentando di riacchiapparla. E, con la
scusante di voler riprendere la creatura, decise di inseguirla uscendo
così dal
castello.
Percorsi alcuni chilometri, non si accorse di essere uscita anche dal
regno.
Elena proseguì lungo un sentiero che, man mano ci si
allontanava dal castello,
si faceva sempre più cupo e devastato. Ben diverso dal
paesaggio ben curato ed
armonioso che era abituata a vedere durante le passeggiate con i suoi
genitori
nel villaggio.
Per un momento aveva pensato di tornare indietro, la farfalla l'aveva
persa di
vista già da un pezzo perciò non sussisteva
più una scusante per il fatto di
essersi allontanata dal palazzo; quando ad un tratto in lontananza
scorse un
piccolo villaggio, anch'esso dall'aspetto tetro e ... grigio.
Tutto urlava grigio in quel posto,
niente a che vedere con il verde
che
regnava sovrano nel suo palazzo.
Un muro fatto di mattoni malandati circondava disastrato il villaggio.
Un bambino, più o meno della sua età, era
schiacciato contro di esso. Aveva i
capelli scurissimi, color corvino,
gli occhi di un celeste, in quel momento tendente al grigio,
quasi a volersi mimetizzare con l'ambiente.
I suoi vestiti invece, canotta bianca e pantalone di tuta nero, erano
logori e
sporchi a differenza invece della mise di Elena - blu jeans,
magliettina
colorata e giubbottino di pelle blu- che ancora odorava di pulito.
Sebbene il suo aspetto trasandato, la principessina, rincuorata dal
vedere un
bambino in quel posto, decise di avvicinarsi.
"Ehi tu che stai facendo?" il bambino la squadrò dalla testa
ai piedi
tentando di capire chi fosse. Non l'aveva mai vista prima, ergo era una
sua
nemica.
"Zimefungwa!"
"Che?"
"Significa sta zitta e vattene straniera!
In realtà solo sta zitta,
il resto
era solo una mia esortazione."
"E di grazia ... "si atteggiò Elena, con un'espressione
buffa in
volto "...perché dovrei tacere?" il corvino
sbuffò irritato.
"Dico, sei scema o cosa? Abbassa la voce!"
"Non ti sto urlando contro, semmai quello sei tu! Io mi ero solo
avvicinata perché sei l'unico qui in giro che sembra avere
la mia età ed ero
solo curiosa di sapere cosa stessi facendo. Giochi per caso a
nascondino?"
"A nascoche?" Elena spalancò la bocca shoccata.
"Non conosci nascondino?" Il corvino scosse la testa sbirciando
dietro al muretto. Quella bambina era un contrattempo, doveva
liberarsene al
più presto o lo avrebbe solo ostacolato.
"Nascondino è un gioco in cui ci sono almeno due giocatori.
Uno conta
mentre l'altro o gli altri si nascondono. Quello che conta, dopo aver
finito di
contare, deve andare alla ricerca delle persone che si sono nascoste e
..."
"Chi?"
"Quello che conta, te l'ho appena detto."
"No, scema. Chi te lo ha chiesto?" La brunetta lanciò uno
occhiataccia al ragazzo che nel frattempo aveva accennato ad un
sorriso.
"Certo che hai proprio un caratteraccio. "
"D'accordo. Non mi interessa, non sei neanche la prima a dirmelo
perciò,
siccome sembri non sopportare la mia persona, che ne dici di
andartene?"
Sputò tra i denti. Elena abbassò per un attimo lo
sguardo sconsolata. Quel
ragazzino dai profondi occhi blu l'aveva trattata davvero male e lei ne
era
rimasta ferita.
Il corvino sbuffò tirandosi indietro i capelli.
"Che hai deciso?" le chiese infine spazientito.
"Non c'è bisogno di essere così acido. Me ne
vado. "
Ed effettivamente era ciò che stava per fare, gli aveva
già voltato le spalle
quando ad un tratto si sentì catturare in una morsa ferrea.
Due piccole mani
spingevano sulla sua bocca per farla tacere.
Elena tentò di divincolarsi da quella presa non riuscendo
però a liberarsi.
Voltò per un attimo lo sguardo verso il suo oppressore e si
accorse che si
trattava del ragazzino di prima.
Con le labbra le mimò un fa
silenzio,
mentre la presa sul suo corpo tendeva a diminuire fin quando non fu del
tutto
libera. Con delicatezza il bambino la sospinse contro il muretto
facendole
segno con i suoi occhi di stare accostata ad esso senza fiatare.
Nel frattempo cinque uomini vestiti di tutto punto oltrepassarono il
muro
proseguendo per il sentiero che portava nel regno dei Gilbert. Dei
sacchetti
penzolavano dalla loro cinta.
A passo felpato il corvino si avvicinò a loro e senza alcun
tipo di esitazione
riuscì a sfilare tre dei cinque sacchetti appartenenti a
quei signori, mentre
discutevano di finanza ed altri argomenti riguardanti il denaro.
Elena ci mise un secondo a comprendere che quei sacchetti contenessero
del
denaro ed ancor meno per capire che il ragazzino stesse derubando
quegli
uomini.
Avrei dovuto ascoltarlo e me ne sarei
dovuta andare, si disse spingendosi contro al muro nel
tentativo di non
farsi notare.
Purtroppo per lei però, per colpa della sua sbadataggine o
del fato, che aveva
fatto in modo di sistemare un legnetto dietro la ragazza, il suono del
suo
piede mentre lo pestava attirò l'attenzione di uno di quegli
uomini, proprio
mentre il ragazzino dagli occhi blu stava tentando di sganciare il suo
sacchetto dalla cinta. Dopo aver osservato Elena, l'uomo
spostò l'attenzione
sul punto in cui gli occhi della bambina erano rimasti fissi fino a
quel
momento. Lo sguardo dell'uomo si puntò sugli occhi blu del
bambino.
Il corvino sorrise sornione mentre malediva mentalmente la ragazza; con
un
balzo si fece indietro voltandogli le spalle. L'uomo fu scosso da un
tremore
che gli pervase l'intero corpo, i costosissimi vestiti che portava si strapparono mostrando
un mucchio di peli
che pian piano stavano raggiungendo anche il suo volto.
Quando gli spuntarono anche le zanne, Elena, shoccata da ciò
che stava
assistendo, decise di rendere partecipe di quella visione anche il suo
compagno
di disavventure.
"Attento!" urlò, facendo così voltare il corvino
giusto in tempo per
schivare l'attacco di quella strana creatura. Con una piccola corsetta
il
bambino raggiunse Elena prendendola per mano. Nel frattempo anche gli
altri
uomini avevano assunto lo stesso aspetto del primo.
"Corri." le disse soltanto, spingendola in avanti verso un sentiero
adiacente. Elena non fece storie, ed ancora mano nella mano con quel
ladruncolo,
prese a correre come mai aveva fatto nella sua esistenza.
Il fatto che avessero un fisico esile permise loro di ottenere un
notevole
distacco dalle creature, che invece erano ingombrate dalla loro
massiccia
corporatura.
Mentre sfrecciavano tra gli alberi seguiti da quelle bestie, Elena
cominciò a
pensare agli avvertimenti di suo padre ed al fatto che non avrebbe mai
dovuto
disobbedire al re. Con un balzo saltarono su di un tronco abbattuto per
poi
svoltare a sinistra; nel frattempo le creature
pelose, come le aveva soprannominate Elena, si fecero sempre
più lontane.
Sentendosi osservata, voltò lo sguardo verso il bambino, che
in quel momento
aveva tirato involontariamente le labbra verso l'alto.
"Cosa?" sussurrò Elena tentando di capire ciò che
passasse per la
testa del corvino.
"Sei veloce ..." le disse con un pizzico di ammirazione mentre
aggiravano uno dei numerosi ostacoli presenti nel bosco. Quella
semplice frase
fece avvampare la piccola che per un attimo perse l'equilibrio cadendo
rovinosamente a terra, portando dunque con se il corvino che non le
aveva
lasciato la mano neanche per un secondo. Le bestie acquisirono
vantaggio.
"... purtroppo sei anche molto
sbadata." il ragazzino si rialzò aiutando la sua compagna di
fuga a
rimettersi in piedi. I ringhi delle creature
pelose si fecero sempre più vicini.
Il corvino si guardò attorno tentando di escogitare un
piano, quando ad un
tratto il suo sguardo si posò su di un ruscello.
Guardò alle sue spalle per
capire quanto vantaggio avessero sulle creature e, dopo aver appurato
che
fossero ancora abbastanza lontane, spronò Elena a seguirlo.
Salirono su di un masso e con un salto oltrepassarono il ruscello
inoltrandosi
nei boschi.
Ad un certo punto il ragazzo si fermò guardando la bambina
intensamente.
"Annusa l'aria." lei lo fece all'istante.
"Riesci a riconoscere la tua scia?" la bimba annuì con
incertezza.
"Bene, ora dobbiamo ripercorrere lo stesso sentiero di prima. Arrivati
al
ruscello, ci getteremo in acqua e ci nasconderemo sotto il masso. Tutto
chiaro?" Elena lo guardò per un attimo come se fosse un
alieno.
Il bambino era stato più che chiaro, purtroppo
però non riusciva a capire dove
volesse andare a parare.
Moriremo, pensò
paralizzandosi di
colpo. Un brivido di paura le attraversò la schiena, poco
prima di essere
scossa dal ragazzo.
"No, scema, che non moriremo!" Elena sconsolata si accorse di aver
pensato ad alta volte. Gli occhi del ragazzino si assottigliarono
osservando lo
sguardo terrorizzato di Elena.
"Te lo prometto... " aggiunse in seguito tentando in tutti i modi di
far riprendere la bambina.
Tirando su con il naso, Elena scrutò gli occhi del corvino
trovandoci
all'interno pura sincerità.
In quel momento capì di potersi fidare di lui.
Con un leggero sorriso lo strattonò facendogli capire le sue
intenzioni.
Il bambino ricambiò con meno vigore, prima di riprendere la
loro corsa verso il
ruscello.
Arrivati di fronte alle acque turchesi, vi si gettarono entrambi
andando a
ripararsi sotto il masso da cui si erano lanciati. Al che riemersero
con il
solo capo attendendo l'arrivo delle creature.
Queste non mancarono ad arrivare. Si posizionarono proprio sopra il
masso in
cui si trovavano i due e, dopo aver annusato l'aria, oltrepassarono il
ruscello, proprio come avevano fatto poco prima i due bambini.
Appurato che tutte e cinque le bestie si fossero inoltrate nel bosco,
il
corvino cominciò a nuotare verso la riva opposta mentre
Elena lo seguiva
silenziosa.
Usciti dall'acqua i due presero a correre, involontariamente, lungo il
sentiero
che portava nel regno dei Gilbert.
Percorsi alcuni chilometri, il bambino sentì delle risate
provenire dalla sua
destra. Con la coda dell'occhio prese ad osservarla. Era bagnata come
un
pulcino ed aveva un dolce sorriso sulle labbra.
Elena aveva cominciato a ridere ripensando a tutto ciò che
era appena
successo. La paura
era scomparsa
rimpiazzata da orgoglio e fierezza per se stessa.
"O mio Dio, o mio Dio! Hai visto cosa abbiamo
appena fatto? Abbiamo seminato quelle creature
pelose prendendoci gioco di loro e tu ..." il ragazzino prese
a
fissarla apertamente sentendosi preso in causa.
"Tu sei un genio! Hai sfruttato il fatto che avrebbero seguito la
nostra
scia, e nell'acqua il nostro odore scompare, così adesso si
staranno guardando
attorno nel bosco, nel punto in cui scompare la scia, chiedendosi che
fine
abbiamo fatto. Te la immagini la loro faccia pelosa mentre odorano
l'aria non
trovando più le nostre tracce? Io me li immagino mentre
ululano gli uni a gli
altri : << corbezzoli, si sono volatilizzati
>>, credendo che ci
siamo, tipo, teletrasportati da qualche parte chi sa dove, mentre la
verità è
che noi abbiamo solo giocato di astuzia!" disse tutto d'un fiato,
euforica. La risata cristallina di Elena risuonò nel bosco e
per un attimo il
ragazzino si perse nel sentire quello scampanellio celestiale. Non
aveva mai
sentito una risata più pura di quella e, dovette ammettere a
se stesso, che gli
piaceva.
Per un attimo adorò la risata della bambina dagli occhioni da cerbiatta.
Quegli occhi li aveva notati sin da subito, ma solo in quel momento,
illuminati
da quello sprizzo di ilarità, li stava apprezzando sul serio.
E mentre la guardava ridere di gusto imitando le creature
pelose, non si accorse neanche di aver pronunciato una
frase che lo fece arrossire all'istante .
"Wewe ni nzuri." disse rosso in viso, per poi spostare violentemente
lo sguardo verso il sentiero che stavano percorrendo, ora ad un passo
meno
elevato di quello precedente.
"Oh, ti prego, smettila con questa strana lingua, lo so che mi stai
prendendo in giro. Non è carino da parte tua. " il bambino
fece una mezza
risata fingendo di darle ragione, mentre nella sua testa non faceva
altro che
ripetere: se solo sapesse che l'ho appena
considerata bellissima ... Forse un giorno glielo avrebbe
detto, forse quello
era solo l'inizio di una lunga amicizia, rifletté il corvino
riprendendo ad
osservare con la coda dell'occhio la sua compagna di disavventure.
In fondo non era male. Un po' maldestra, però avrebbe sempre
potuto insegnarle
lui qualche dritta.
Improvvisamente Elena si fermò facendo involontariamente
arrestare anche il
ragazzino.
"Ora che ci rifletto, mi hai fatta diventare tua complice in un furto e
non so neanche il tuo nome."
"Prima dimmi il tuo." le rispose, sedendosi all'ombra di un albero.
In breve Elena lo raggiunse.
"Sono Elena." affermò rivolgendogli un tenero sorriso. "Ora
tocca a te."
"Damon, il mio nome è Damon." accarezzando il prato con le
mani. Nel
frattempo Elena aveva contratto le labbra in una risata.
"Perché ridi?" le chiese il corvino poggiando la testa
contro il
tronco incrociando le braccia al petto.
"Non te la prendere ma ... il tuo nome è davvero strano."
"Non tanto strano quanto quello di mia sorella. Il suo nome
è Shitani che
di per sé significa diavolo,
o
comunque qualcosa riguardante Satana.
Noi però la chiamiamo Vitani,
battaglia."
"Perché battaglia?" gli
domandò curiosa.
"Non sei mai entrata nella sua stanza." e per la prima volta da
quando si erano conosciuti, si lasciò andare ad una risata
genuina, che ad
Elena piacque davvero tanto. Si aggregò anche lei al suo
riso.
"Sono comunque ancora dell'idea che il tuo nome sia il primo in
classifica
nella top ten dei nomi più strani
di
sempre." lo sbeffeggiò facendogli una linguaccia.
Damon, dal canto
suo, non aspettò un secondo per ribattere.
"Ah davvero?" con un ghigno si portò in posizione d'attacco,
gli
occhi gli si contornarono di violaceo per via delle vene che pulsavano
ripetutamente, i canini spuntarono fuori come lame affilate.
In un attimo la atterrò posizionandosi sopra di lei e
ringhiandole contro.
"Rimangiatelo!" Dopo un primo momento di shock, Elena lo
fronteggiò
sperando di non fargli notare insicurezza nella voce.
"Mai." disse infine, fissandolo con uno sguardo di sfida che fece
divertire il giovane.
"Va bene, l'hai voluta tu." le soffiò in viso,
posizionandole le mani
sui fianchi e cominciando a solleticarglieli, provocando
così l'ilarità di
Elena.
"Basta, basta, va bene mi arrendo! Hai vinto tu! Il tuo nome
è bellissimo!
Sei contento?" Damon riassunse l'aspetto di un semplice bambino per poi
allontanarsi da lei con un sorriso strafottente sul volto.
"Contentissimo." decretò infine alzando contemporaneamente
le
sopracciglia, per poi darle le spalle con l'intenzione di raggiungere
l'albero
da cui si erano allontanati poco prima.
"Mai voltare le spalle al nemico."
sussurrò Elena, comprendendo solo in quel momento le parole
che le aveva da
sempre ripetuto suo padre.
"Cosa hai ..." non fece in tempo a finire la frase che si
ritrovò
Elena aggrappata alla sua schiena, con i canini in fuori e la stessa
espressione che aveva assunto lui qualche istante prima.
In pochi secondi riuscì ad atterrarlo regalandogli la stessa
tortura che aveva
subito lei poco prima.
"Hai detto che avevo vinto. Per poco non alzavi bandiera bianca per
farmi
smettere." le urlò tra le risate.
"Ho mentito." gli rivelò , ricevendo in cambio
un'occhiataccia.
"Se incroci le dita dietro la
schiena il patto non vale." spiegò infine
smettendo per un attimo di
solleticarlo. Quell'attimo bastò a Damon per capovolgere la
loro posizione, in
modo che si ritrovasse lei al di sotto di lui.
"Lo terrò a mente, Elena."
sussurrò riassumendo l'aspetto di un vampiro ed
appropriandosi di un ghigno
divertito che non spaventò per nulla la bambina.
Anzi, per un attimo lo considerò addirittura davvero
molto bello, cosa che la fece arrossire vistosamente.
E proprio nel momento in cui Damon stava per ricominciare quel martirio, un ringhio li interruppe.
In un attimo Damon venne scaraventato a qualche metro di distanza. Un
gemito di
dolore fuoriuscì dalle labbra del bambino.
Un gruppo di vampiri dall'aspetto minaccioso gli ringhiavano contro.
Uno di questi si mise davanti alla sua
nuova amica, come a volerla proteggere con il suo corpo. Come
se lui le
avesse potuto fare del male.
"Papà ..."
"Con te farò i conti dopo Elena." la zittì,
continuando poi a
ringhiare in direzione di Damon.
In un secondo un'altra figura li raggiunse, posizionandosi questa volta
davanti
al corvino, che si era appena alzato.
"Zira." ringhiò tagliente Grayson in direzione della nuova
arrivata.
"Grayson." gli occhi azzurri della donna saettarono sul gruppo di
vampiri per poi soffermarsi su di una figura in particolare.
"Miranda." ringhiò contro la madre di Elena, cominciando a
comprendere solo in quel momento che relazione avesse la ragazzina con
quella
gente.
"Siete nel mio regno. Vi do un minuto per andarvene via di qui,
altrimenti
sarò costretto ad attaccare." Nel frattempo i bambini
osservavano la scena
muti, alternandosi ogni tanto qualche sguardo dispiaciuto.
"Non è necessario trattarci in questo modo, vostra
maestà." ovviamente ironica.
"Non dovreste essere qui, siete stati esiliati da questo posto dodici
anni
fa, ora andatevene."
"Mio figlio, non era a conoscenza del patto. Sono venuta qui solo per
recuperarlo.
Però se vuoi, puoi sempre prendertela con lui." in un attimo
Zira afferrò
per le spalle Damon, spingendolo ai piedi del Re.
Il corvino gli rivolse uno sguardo di pietà, che
colpì in pieno il sovrano.
Ovviamente Grayson non avrebbe mai fatto del male ad un bambino, Zira
lo sapeva
benissimo.
Nonostante tentasse in tutti i modi di assumere uno sguardo
impassibile, alla
vista degli occhi terrorizzati del bambino, si lasciò
sfuggire un sospiro di
compassione per lui. La donna dagli occhi di ghiaccio sorrise tirando
per i
capelli Damon in modo da farlo rialzare.
Elena fece un passo in avanti leggendo nel volto del suo amico puro
dolore- e
non solo fisico; purtroppo però venne tirata indietro da sua
nonna Sarabi, che
se la mise dietro le gambe.
Damon la fissò per un secondo, per poi riabbassare lo
sguardo sulle sue scarpe.
"A titolo informativo, lui è Damon. Venne scelto da Scar in
persona per
diventare il suo legittimo successore al trono poco prima che tu lo
ammazzassi
e ci rilegassi in quel posto infernale." lo sguardo di Zira si fece
falsamente triste.
"L'acqua depurata scarseggia, per non parlare del cibo, gli umani non
hanno alcuna intenzione di patteggiare con noi. Siamo costretti a
rubare per
procurarci qualche sacca di sangue sintetico e ad insegnarlo anche ai
nostri
figli." proseguì indicando con lo sguardo Damon ed il suo bottino, che ancora tremava sotto le
mani di sua madre.
Ed in quel momento Elena capì il motivo per cui Damon stesse
derubando quella
gente.
Non lo biasimò, anzi provò pietà per
lui e la sua famiglia. Provò compassione
anche per quella Zira, che si era rivelata essere l'unico motivo per
cui il suo
amico stesse tremando.
Sicuramente, si disse, non era stato solo suo padre ad aver
terrorizzato Damon.
Ci doveva essere qualcos'altro sotto. E quel qualcos'altro era proprio
davanti
ai suoi occhi ed aveva un unico nome: Zira.
"Queste sono le condizioni in cui ci hai costretti a vivere Grayson."
"Ed è qui che ti sbagli Zira. Io non ho costretto nessuno a
vivere in quel
modo. Vi avevo concesso un compromesso che però non
è stato accolto. Siete
stati voi a ridurvi in questo stato e non io. Avete voluto costruire
una vostra
società? Ben venga. E' ora di raccogliere ciò che
avete seminato e di accettare
la realtà dei fatti. E la realtà è che
vi siete dati voi stessi la zappa sui
piedi e nessun altro." Zira contrasse le labbra con gli occhi iniettati
di
rabbia.
"Ora andatevene." E così fecero. La donna prese per il
gomito Damon
spingendolo verso La terra di nessuno,
il luogo in cui abitavano tutti quelli della loro specie.
E nel mentre Elena veniva sospinta nella direzione opposta da suo
padre,
precisamente nel regno dei Gilbert,
entrambi i bambini si voltarono un'ultima volta l'uno verso l'altro con
sguardo
sconsolato.
"Ciao." sussurrò Elena, mentre si inoltrava in un sentiero
in
compagnia della sua famiglia.
"Ciao." rispose Damon, sicuro però di non essere stato
sentito,
perché ormai Elena era scomparsa dalla sua vista.
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Delle mani esili aprirono il frigorifero estraendone una bottiglia di
sangue
sintetico: un miscuglio di qualche agente chimico con gli stessi
principi
nutrienti del plasma.
Con espressione schifata, Vitani si fece forza e senza pensare a
ciò che
effettivamente stesse affluendo nella sua bocca, cominciò ad
ingurgitare quella
roba senza troppe cerimonie.
Purtroppo quel giorno non sarebbe potuta andare a caccia,
sua madre era uscita come anche i suoi due fratelli, perciò
si doveva accontentare di qualche goccia di sangue che non aveva
lontanamente
il gusto di sangue.
Uscire di casa lasciandola incustodita era fuori discussione, qualcuno
se ne
sarebbe potuto appropriare costringendoli a traslocare. Vitani odiava
traslocare e quella era una sfortuna che le era già capitata
tre volte in tutti
i suoi dieci anni di vita.
Quella casa le piaceva e non aveva alcuna intenzione di farsela fregare
da
qualcuno.
Un rumore la ridestò dai suoi pensieri. Dopo aver aggirato
l'isola della cucina
entrò nel soggiorno, dove due paia di occhi scuri la
osservavano impassibili.
"Già di ritorno?" chiese a suo fratello mentre si andava a
sedere sul
divano. Continuando a bere fece vagare gli occhi in giro per la stanza
cercando
con lo sguardo l'altro suo fratello.
"Enzo ... dov'è Damon?"
"Non ne ho idea." Vitani fece uno scatto alzandosi dal divano,
dopodiché scagliò la bottiglia di sangue
sintetico in direzione di Enzo.
Quest'ultimo si scansò in tempo, facendo in modo che la
bottiglia di vetro si
infrangesse sul muro. Del sangue colò sulla parete
raggiungendo infine la
moquette color panna, che si sporcò inevitabilmente di rosso.
"La mamma ti ucciderà per questo." il moro
osservò con un sorriso il
disastro combinato dalla sorella.
"Non prima di averti ammazzato per aver abbandonato un'altra volta
Damon." gli rispose a tono, sperando che il suo fratellino non si fosse
cacciato in nessun guaio.
"Damon di qua, Damon di là. Dovevo essere io il prescelto.
Lui non è
neanche il figlio di Scar." la sua espressione si fece glaciale mentre
si
avvicinava a fronteggiare sua sorella.
"Sarei dovuto diventare io il
nuovo sovrano. Non capisco perché invece abbia scelto lui. Che cos'ha in più di me?
E' solo un moccioso combina guai. Se
solo mamma me lo chiedesse, andrei ad uccidere con le mie mani quel
Grayson dei
miei stivali. Diventerei il nuovo Re e fine della storia. Tutto
è bene quello
che finisce bene." Era ubriaco. Ancora una volta era tornato a casa
ubriaco e Vitani odiava vedere suo fratello ridotto in quello stato.
"Ormai hai diciassette anni fratellino, pensavo fossi più
intelligente. Tu
sei uno psicopatico impulsivo ed ubriacone che non pensa alle
conseguenze delle
proprie azioni. Se solo ti avvicinassi al re, ti faresti ammazzare da
lui. Ecco
perché Scar non ha scelto te ma lui." A quelle parole Enzo
scattò nel
tentativo di afferrare la sorella, la quale scappò dalle sue
grinfie portandosi
dall'altro lato della stanza.
"Prova a ripeterlo se hai il coraggio." Vitani la accolse come una
sfida.
"Psicopatico ..." scandì per bene la parola fronteggiandolo
"Impul..." in un attimo si ritrovò le mani di Enzo strette
attorno al
collo. L'alito gli puzzava di alcol e fumo. Vitani cominciò
a scalciare nel
tentativo di liberarsi.
Un tonfo li fece voltare entrambi verso la porta di ingresso.
"Mamma." le sorrise Enzo, sperando di ricevere un saluto altrettanto
caloroso.
"Enzo, toglile le mani dal collo. Non ho tempo per voi ora."
Sbraitò,
dopodiché tirò per i capelli Damon buttandolo con
brutalità per terra.
Dopo essersi liberata dalle mani di Enzo, che ovviamente aveva obbedito
come un
cagnolino agli ordini di Zira, Vitani scivolò per terra nel
tentativo di
raggiungere il suo fratellino. Sua madre le lanciò
un'occhiataccia intimandola
a farsi da parte. Dopo qualche istante di esitazione, si
spostò da lui
osservando la scena in silenzio. La donna sferrò un calcio
violento nello
stinco del corvino.
"Cosa credevi di fare? " lo colpì di nuovo senza
pietà, questa volta
sul fianco.
"Sai chi ha ucciso Scar?"
"Grayson." disse in un sussurro.
"Sai chi ci ha relegati in questo posto?" nuovamente gli venne
sferrato un calcio che lo fece rantolare dal dolore.
"Grayson." con le lacrime agli occhi. Questa volta si chinò
su di lui
prendendolo per il colletto. Lo strattonò.
"Sai cosa me ne faccio delle tue lacrime?" Damon non rispose, ma
tenne comunque gli occhi fissi in quelli di Zira.
"Pensavi sul serio che aggraziandoti sua figlia il re
ti avrebbe accolto a braccia aperte nel suo bucolico regno
incantato?" a quelle parole seguì un minuto di silenzio,
durante il quale
Damon cercò un modo poco diretto per dirle che Elena ...
"Non era poi così male." sentenziò infine
riferendosi alla bambina
dagli occhioni da cerbiatta.
Strinse in seguito gli occhi aspettando come risposta un ceffone o
comunque
qualcosa di doloroso ... che però non sopraggiunse. Sua
madre, contro ogni sua
aspettativa, stava sorridendo in direzione del bambino.
"Adesso capisco perché Scar ti ha scelto. Ti ha visto solo
quando eri
ancora in fasce ma ha intravisto nei tuoi occhi il suo stesso spirito.
Faceva
parte del tuo piano sin dal principio, non è vero?". Se
avesse mentito,
Zira se ne sarebbe subito accorta, aveva quello strano potere innato di
comprendere quando qualcuno le stesse mentendo. Doveva trovare una
scappatoia
per venirsene fuori illeso.
Qualsiasi cosa, qualsiasi cosa, continuava
a ripetersi senza sosta come un mantra. Ed ecco che la risposta
sopraggiunse
dalla causa del litigio con sua madre.
Se incroci le dita dietro la schiena il
patto non vale, gli aveva detto Elena con tanta innocenza
nella voce.
E come se fosse una cosa davvero semplice, senza lasciar trasparire
alcun
tentennamento, incrociò le dita dietro la schiena mentendo
così a
sua madre.
"Si è così. Scar merita di essere vendicato.
Faceva tutto parte del mio
piano, mamma. Te lo giuro." il
peso della menzogna venne alleviato da quel semplice gesto furtivo.
La sua risposta parve convincere Zira che con un moto di orgoglio nella
voce
gli mormorò un semplice "Lo sapevo.
Damon, d'ora in avanti devi tenere a mente che tutto ciò che
farò e dirò sarà
soltanto per il tuo bene. Devi imparare a convivere con l'odio e con il
dolore.
Se non saprai come gestirli allora non potrai mai essere un grande
sovrano."
Lo stava per afferrare per il collo quando ad un tratto Damon si
scansò
ringhiandole contro. Gli occhi iniettati di sangue.
Zira sorrise pervasa da un moto di orgoglio.
"Vedo che stai capendo." Fece un passo in avanti accarezzando
lievemente la guancia di suo figlio.
"Ora va a dormire. Da domani comincia il nostro addestramento."
Poi si girò verso gli altri due suoi figli.
Lanciò un'occhiata alla parete
ricoperta di sangue e senza chiedere alcuna spiegazione
parlò.
"Voi due, ripulite quello schifo." per poi dirigersi verso la sua
stanza.
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"Sono molto deluso da te Elena, sappilo."
"Lo so e mi dispiace." la bambina abbassò lo sguardo verso
la punta
delle sue scarpe mortificata.
"Ti avevo chiesto solo una cosa Elena, di non uscire mai
da sola dal castello ed invece tu mi hai disubbidito. Pensa che
per trovarti ho dovuto fare un incantesimo di localizzazione, senza
l'aiuto di
Bonnie non sarei mai riuscito a trovarti e chissà cosa
sarebbe successo."
"Damon non mi avrebbe mai fatto del male."
"Tu non conosci questo Damon, tu
non sai cosa sono capaci di fare quelli
come lui." le urlò contro con rabbia facendola
spaventare più del
necessario. Elena indietreggiò fissando terrorizzata suo
padre.
"Quelli come lui? Che cosa
intendi esattamente con quelli come lui?"
"Intendo gli ibridi,
Elena."
"E che cosa sono?" Grayson sospirò, era arrivato il momento
di
raccontarle la verità.
"Vieni con me." la spronò, avviandosi insieme verso le scale.
Raggiunto il punto più alto del castello, Grayson prese in
braccio sua figlia
facendole osservare il paesaggio.
Elena rimase per un attimo senza fiato.
"Tutto ciò che ti circonda un giorno sarà tuo,
piccola mia." le disse
tenendola stretta nel suo abbraccio.
"E' davvero ... spettacolare."
"Già." affermò compiaciuto Grayson, sorpreso di
aver lasciato per la
prima volta Elena senza parole.
Si voltò verso sud indicandole un punto molto distante e grigio rispetto al verde che lo
circondava.
Elena intuì subito che si trattasse del villaggio in cui
abitava Damon.
"Lo vedi quel posto?" la bambina annuì, sperando che suo
padre non
scoprisse che si era spinta fino a quel punto, poco prima.
"Quella è la terra di nessuno. Il luogo in cui dodici anni
fa ho esiliato
personalmente tutti quelli della stessa specie di Zira e di suo
figlio."
Elena spalancò le labbra non capendo il motivo della
decisione di suo padre.
Fino a quel momento le era sembrato che fosse lui il cattivo nella
storia e non
il contrario.
"Devi sapere che quando avevo la tua stessa età a regnare
c'era un re
davvero buono, tuo nonno, Mufasa. Forse proprio per la sua infinita
bontà fu
fatto fuori da suo fratello, Scar, che con uno stratagemma
riuscì a farmi
scappare dal mio regno, riuscendo così ad assumere il
controllo di
quest'ultimo.
Prima della mia nascita era Scar il legittimo successore al trono, ma
vedendosi
tolta questa possibilità aveva cominciato a nutrire gelosia
nei miei confronti.
Dopo alcuni anni scoprii la verità sul conto di Scar.
Purtroppo però aveva già
trasformato il regno in un vero e proprio porcile gestito
dagli ibridi.
Decisi dunque di tornare e di rivendicare ciò che era mio di
diritto."
"Ma perché proprio gli ibridi e che cosa sono?"
"Scar era solo il fratellastro di tuo nonno. In comune avevano solo la
madre, mia nonna. Lei aveva avuto una ... relazione con un licantropo.
E
dall'unione di un licantropo ed un vampiro ne esce fuori un ibrido.
Gli ibridi sono delle creature che, a differenza dei licantropi, non
hanno
bisogno della luna piena per potersi tramutare in lupi mannari." Quindi
quelle creature pelose erano in
realtà ... ibridi,
rifletté Elena
cominciando a capire. Poi ad un tratto una domanda esplose nella sua
testa.
"Damon ... Damon è un ibrido?" più che una
domanda sembrava
un'affermazione. Suo padre comunque le rispose.
"Si." La bambina prese un lungo respiro aspettando che suo padre
proseguisse la storia.
"Comunque, quando tornai nel regno era ... totalmente diverso da come
lo
vedi ora. Evito di raccontarti in che condizioni misere vivevano i
cittadini
anche perché... sono dei ricordi davvero molto spiacevoli."
Elena non
resistette all'impulso di aggrapparsi al suo collo ed accarezzargli i
capelli
nel tentativo di consolarlo.
Suo padre sorrise, con ancora gli occhi velati di tristezza.
"Non fa niente. Finisci il racconto però, ti prego."
"Arrivai nella stanza del trono e Scar mi accolse ricordandomi il modo
in
cui aveva ammazzato mio padre. Accecato dalla rabbia fui proprio io, e
questo
lo devo ammettere, ad incominciare quello scontro che si sarebbe in
seguito
concluso con la sua morte.
Gli ibridi, vedendo il mio gesto come un affronto nei confronti della
loro
razza, decisero di non appoggiare la mia rivendicazione del regno.
Scatenarono
risse e guerriglie inutili che mi portarono ad un'unica conclusione:
quella di
allontanarli dal mio regno e dunque di esiliarli da queste terre. Da
quel
momento riuscii a ripristinare tutto ciò che era stato
distrutto con l'arrivo
di Scar e a far risplendere nuovamente la luce sul regno."
"Zira era una degli ibridi che hai esiliato, non è vero?"
"Non solo tesoro. Zira era l'amante di Scar, la madre dei suoi
figli." il mondo sembrò crollarle addosso mentre i pezzi del
puzzle si
stavano ricomponendo tutti quanti.
Questo significava che Damon era suo cugino.
In quel momento Elena non capì il motivo per cui quella
rivelazione l'avesse
scossa così tanto. Tentò comunque in tutti i modi
di scacciare quei pensieri
dalla testa per riportare l'attenzione su suo padre.
"Tesoro, mi devi promettere che non ti avvicinerai mai più a
loro.
Promettimelo." Elena fissò suo padre negli occhi
riflettendoci su. Aveva
capito il motivo per cui suo padre nutrisse dell'astio nei confronti di
Zira,
ma non riusciva a capacitarsi del fatto che odiasse anche Damon. Elena
aveva
letto negli occhi del bambino che non le avrebbe fatto del male, lei sapeva che quella era la pura
verità e
nessuno, neanche suo padre che ora attendeva una risposta da lei, le
avrebbe
potuto far credere il contrario.
Decise così di incrociare le dita dietro la schiena,
pronunciando dunque la sua
menzogna.
"Te lo prometto."
"Bene." le aveva risposto con un sorriso, che però non venne
mai
ricambiato.
"Ti ho raccontato questa storia affinché tu possa diventare
in futuro una
buona sovrana." Quelle parole, che tante volte aveva sentito
pronunciare
da suo padre con così tanta leggerezza, ora sembrarono
acquisire un peso
ingente.
"Non ci riesco ..." disse lei infine muovendosi tra le braccia di suo
padre per poter scendere. Lui la assecondò.
"Non ho alcuna intenzione di diventare sovrana sapendo che al di fuori
del
mio regno ci sono delle persone costrette a vivere in quelle
condizioni."
"Quelle non sono persone. E tantomeno vampiri. Per me hanno smesso di
contare quando hanno deciso di ribellarsi in favore di Scar. Gli avrei
offerto
una vita agiata, proprio come la nostra. Purtroppo loro erano accecati
da un
sentimento d'odio troppo potente che non gli permise di considerare gli
effetti
negativi delle loro stesse azioni. Hanno avuto la loro
possibilità, non l'hanno
colta. Ora sono problemi loro.
E comunque quando sarai grande non potrai sottrarti dai tuoi doveri di
regnante.
Tranquilla, ti aiuterò io ad essere una brava sovrana.
Infondo siamo un'unica realtà." La bambina annuì
infine poco convinta, dando
dunque ragione al padre.
"Ora puoi andare. Anzi no ferma un attimo ..." Elena si
fermò
fissandolo negli occhi. Sul volto di Grayson un ghigno poco piacevole.
"Non uscirai più di casa da sola fino alla maggiore
età." concluse,
per poi voltarle le spalle.
La bambina deglutì osservandolo scomparire dalla sua vista.
L'aveva giurato su Mufasa, significava dunque che non stesse scherzando.
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Un rumore fece
sobbalzare Elena. Si era
da poco messa a letto sperando di potersi addormentare, ma le immagini
di
quella strana giornata cominciarono a tormentarla senza
pietà, impedendole di
dormire.
A piedi scalzi decise dunque di scendere dal letto avviandosi verso la
finestra. La aprì sperando di capire da dove provenisse quel
suono. Si guardò
per un attimo attorno, per poi fissare la sua attenzione su di una
figura in
piedi sull'albero. Vestito di nero con i capelli dello stesso colore di
una
notte senza stelle, sventolati dalla brezza notturna.
La figura parlò con un sorriso tra le labbra.
"Ciao." disse soltanto. Elena rimase per un attimo indecisa sul da
farsi.
Contro ogni aspettativa, la parte più irrazionale di lei
prevalse.
"Ciao." gli rispose, senza però capire in che guaio si
stesse
cacciando.
Come avrete capito, questa fanfiction è una rivisitazione (vampiresca) de "Il Re Leone II"- i temi ed alcune conversazioni saranno dunque simili a quelle del cartone animato. Sarà una specie di crossover tra le due storie, con protagonisti Damon ed Elena ed altri personaggi tutti da scoprire.
Spero che questa storia non faccia schifo (XD) o comunque di non avervi annoiata- in fondo sono tredici pagine di word D: Non so neanche io come sono riuscita a scriverle in soli tre giorni.
Volevo fare alcune precisazioni; trattandosi di un AU (alternative universe) e talvolta di una OOC (out of character), la storia si discosterà da quella che siete abituati a vedere nel telefilm, i personaggi avranno connotazioni differenti da quelle consuete (carattere etc.) ed i legami di parentela saranno anch'essi differenti. Dunque se avete qualche dubbio, sopratutto per quest'ultimo punto, non abbiate paura di chiedermi delucidazioni.
Di seguito vi lascio le foto dei personaggi di cui avete letto fino ad ora.
Fatemi sapere cosa ne pensate ed ovviamente ogni consiglio/critica sono ben accetti. In base alle vostre opinioni valuterò se continuare o meno la storia.
Un bacio,
SweetD.
Li avevate immaginati così? Fatemi sapere :)