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Autore: Gobbigliaverde    02/11/2014    3 recensioni
- Possibile che ho passato tre anni della mia vita a cercare di credere alla magia, e ora tutti mi dicono l'inverso? -
C'è chi perde la persona che ama, chi perde la strada, chi la famiglia, e chi la memoria. In questo mondo c'è di tutto. Ma siamo qui tutti assieme, su questo pianeta, per aiutarci a vicenda a ritrovare quel pezzettino di noi che abbiamo perso. In questa vita l'unica regola è rompere le regole... e queste regole sono dettate dalla magia.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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HALLOWEEN NIGHT (parte 1)

 

 

— Emma. E-M-M-A. Emma. — Mi schiarisco la gola. La mia voce esce dalle labbra come un grugnito.
    Sono passati due giorni dal fatidico “risveglio”, e ancora non è cambiato nulla. Sono di fronte allo specchio, a fissare dritto negli occhi un viso un po’ malandato e malaticcio, dove attraverso le occhiaie nere e le labbra screpolate si intravede ancora la Emma Swan di una volta. Una volta. Quale volta? È mai esistita quella volta? Una Emma Swan senza voce è ancora una Emma Swan. Ma una Emma Swan senza magia?
    Oggi è il giorno di Halloween. Devo portare i bambini ad una festa. Io. Neal mi sta convincendo che posso essere una brava madre. Io. Vivo con un Henry che non è il mio, con una bambina che mi somiglia fin troppo ma non ricordo, con un uomo che dice essere mio marito, ma non so se sono capace di amarlo.
    — Swan. — Questa volta la mia bocca emette un suono gutturale, mi sento un sapiens dell’età della pietra.
    Swan. Una voce che non è la mia mi rimbomba nella testa. Mi guardo attorno sperando che sia nei paraggi. Invece è solo nella mia mente. Se non sono già pazza, sto impazzendo ora. Killian Jones. Chi altri mi chiama così? Appoggio la mano sulla boccetta ‘Memories'. Memorie. Memorie di chi? Mie? No. Io ho già tutto quello che mi serve. Forse le memorie degli altri abitanti di Storybrooke. Ma non siamo lì, siamo a Manhattan. Devo trovare Gold, lui saprà la verità.
    Mi sciacquo il viso e esco dal bagno. Trovo Neal seduto in poltrona con la fronte aggrottata e un foglio in mano. Mi avvicino. Sembra preoccupato. Tento di leggere le righe che scruta con il suo sguardo serio. È un mio referto medico. Lo guardo con aria interrogativa.
    — La memoria. C’è una grade probabilità che non torni mai più. Il che vorrebbe dire che… — Fa una pausa. Non capisco cosa stia leggendo nel mio sguardo, di certo non faccio i salti di gioia. — Non importa — si affretta a concludere.
    Gli faccio cenno di continuare e sorrido in segno di conforto. Ho bisogno di sapere, non mi importa quanto farà male. Di certo non tanto quanto essere tenuti all’oscuro di tutto.
    Neal mi scruta, cercando di capire se è davvero quello che voglio. Annuisco lentamente. Voglio sapere quanto è danneggiata la mia mente.
    — Va bene — bofonchia lui. — Quello che dice questo foglio, è che non recupererai mai i ricordi dei tuoi figli e di noi due — continua lui.
    Io non ci faccio caso più di tanto. Mi ero già preparata a qualcosa di simile. Il destino ha voluto così dal principio. Io non posso vedere i miei figli crescere. È stato così con il mio Henry, e lo è anche con Gemma e questo Henry. Mi ero già messa il cuore in pace sull’argomento. Mi arrendo al destino, ho combattuto fin troppo.
    Neal si distende sulla poltrona stiracchiando le gambe avanti e passandosi una mano tra i capelli. Mi piacerebbe davvero riuscire a soffrire un po’ per lui, ma questa vita non mi appartiene.
    Mi guardo intorno. Devo ancora abituarmi al mio nuovo salotto. Un divano, due poltrone dall’aspetto consunto, un tappeto, niente di più. Non ci si può aspettare altro da una casa con dei bambini, qualunque cosa può essere pericolosa.
    Vicino al telefono c’è un blocchetto di PostIt. Mi avvicino. Ci sono dei numeri appuntati sopra. Sig. Gold: 0467 664783. Non ci penso due volte. Stacco il pezzettino di carta giallo e cerchio il nome con un pennarello rosso trovato lì a fianco. Corro verso Neal e attacco il foglietto sulla sua mano.
    — Sig. Gold — ripete lui. — Lo conosci? — chiede perplesso.
    Come? Lui è tuo padre, Neal! Vorrei urlargli, ma dalla mia bocca esce solo aria. Aria e nient’altro.
    Senza curarsi del fatto che stavo cercando di dirgli qualcosa, continua a parlare. — Sai, è strano che io abbia segnato il suo numero. Ha chiamato tre sere fa, chiedendo se eravamo interessati a oggetti da collezione. È solo un antiquario.
    Annuisco sollevando due pollici in sù.
    — Sì? Sì, sei interessata o sì, ho ragione? — sorride credendo che sia chiaro che non mi interesso di oggetti da antiquariato.
    Alzo nuovamente il pollice, facendogli intendere che la prima risposta era quella corretta.
    — Uno? Intendi dire che vuoi andare da questo tizio? — mi domanda in parte sorpreso. Solleva le spalle e sospira. — E va bene, ti ci porto. Ma dopo ricordati di cucinare quella torta per i ragazzi. Oggi devono andare a quella festa…
    Annuisco di nuovo, contro voglia. 

Neal guida fino alla periferia del nostro quartiere. Io osservo i condomini passare senza vederli realmente, la mia testa è altrove. Quando il maggiolino giallo si ferma, mi slaccio la cintura e scendo dalla macchina.
    Ci troviamo di fronte ad un negozietto schiacciato in mezzo ai grandi palazzi. Ha un aspetto abbandonato, come anche l’insegna: il nome stampato sopra è illeggibile. Dovrebbero pulirla qualche volta. Sembra che sia sporca da anni.
    — Precisamente, da tre anni.
    Mi volto. Un uomo con un bastone mi continua a guardare. Gold, penso. Se la passa bene per uno che lavora in un tale tugurio.
    — Mi leggi nella mente ora? — sentenzio, scrutandolo da capo a piedi. La mia voce sembra ancora un sussurro. Sempre in giacca e cravatta, appoggiato di peso al bastone elegante di legno nero e lucido.
    Neal si volta verso di me, sorpreso. — Con chi stai parlando?
    Lo guardo per alcuni secondi, poi decido di ignorarlo. — Non ti vede. Perché non ti vede? — chiedo a Gold. Devo sembrare una pazza mentre gesticolo in mezzo alla strada, parlando con un uomo invisibile.
    Tremotino ride. Nessuno ha una risata così spaventosa, a parte lui. — Non mi vede perché sono morto. Da tre anni.
    La domanda mi sorge spontanea. — Neal ha detto che l’hai chiamato pochi giorni fa — sussurro così piano che nessuno mi sente a parte Gold.
    Lui si appoggia sulla gamba sana e solleva leggermente il bastone da terra, disegnando piccoli cerchi concentrici sul porfido. — Ho ancora qualche asso nella manica — ridacchia tra se.
    Io mi faccio più seria, e serro i pugni. Non mi piacciono i suoi giochetti, non mi sono mai piaciuti.
    Neal mi prende la mano, visibilmente preoccupato. — Emma? Stai bene?
    Annuisco senza staccare gli occhi da Gold.
    Tremotino si riappoggia sul bastone e si schiarisce la gola. — Tu mi vedi perché conosci cose che loro non sanno. Guarda nella tua tasca.
    Tasca? Piego la testa di lato. Fino a pochi minuti fa le mie tasche erano vuote. C’era solo la boccetta. Mi volto verso Neal, e sento tintinnare qualcosa nella mia giacca rossa. Infilo una mano. Ora ho una boccetta e una vecchia chiave, penso, rigirandomi tra le dita una grossa chiave arrugginita dall’aria piuttosto antica.
    Neal mi guarda sempre più perplesso. — Non saranno mica le chiavi del negozio? — chiede, ma io penso di sapere già la risposta.
    Mi volto verso Tremotino. Il mio sguardo però, incontra solo il marciapiede di pietra.

  
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