Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Sylphs    02/11/2014    6 recensioni
Il regno di Arendelle viene messo sotto assedio dal sanguinario Drago Bludvist e dalla sua armata di bruti. La Regina Elsa è l'unica che potrebbe salvare il suo popolo e servirsi dei suoi poteri per vincere la battaglia, ma è divorata dalla paura di perdere il controllo e piena di dubbi. Dubbi che le verranno chiariti da un incontro con nient'altri che Pitch Black, l'Uomo Nero, l'unica presenza che le è stata accanto fin da quando era una bambina e che ha mostrato interesse per lei... e per la sua magia, che Pitch sembra bramare fortemente. Egli le propone di abbandonare Arendelle e la sorella e di fuggire con lui, di forgiare un'alleanza che li renderà invincibili, ma il senso del dovere di Elsa è più forte di qualsiasi cosa... e intanto, Drago Bludvist e i suoi riescono a penetrare in città e la situazione precipita.
Crossover di "Frozen", "Le cinque leggende" e un pochino anche di "Dragon Trainer 2", ma solo per quanto riguarda il cattivo.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna, Elsa
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Once upon a fear
 
 
 
 
 
 
I singhiozzi delle donne raccolte nel salottino provocavano in Elsa un pulsare sordo alle tempie, un malessere che cresceva di minuto in minuto e che rendeva sempre più arduo trattenere la tempesta di ghiaccio che le infuriava nel cuore. Aveva alle spalle anni di addestramento e resisteva, occultando il gelo del suo animo provato dietro un’espressione calma e imperturbabile – l’espressione di una vera regina, quella che suo padre non aveva mai perso – ma, al sicuro dentro il tessuto caldo e lanoso dei guanti, le sue unghie avevano martoriato con spietatezza i palmi aprendovi tagli sanguinanti. Non poteva fare a meno di sentirsi responsabile, una sensazione che conosceva bene e che odiava nel profondo.
“Elsa” sua sorella Anna, che le sedeva accanto e che le aveva tenuto la mano durante tutte quelle ore di attesa e di agonia, come una bambina che ha bisogno del conforto della stretta di un genitore, aveva il viso pallido, sbattuto, gli occhi gonfi e arrossati che non riuscivano, non volevano nascondere l’angoscia; del resto, la principessa non aveva mai nascosto nulla di sé: “Elsa, la barriera sta cedendo, non reggerà ancora a lungo!”
I piagnucolii delle altre occupanti del salottino, che andavano dalla gentildonna più altolocata alla più misera sguattera di cucina, aumentarono d’intensità mentre la giovane Regina di Arendelle chiudeva gli occhi e chiamava a raccolta il suo ferreo autocontrollo.
Sì, la barriera che aveva eretto a difesa della città era sul punto di spezzarsi, poteva percepirlo sottopelle, sentire il ghiaccio indebolirsi sotto i colpi di ascia e di piccone dei nemici, che infrangendosi con strenua caparbietà sulla lastra traslucida ne crepavano la gelida superficie, disegnandovi sopra una ragnatela sempre più estesa che a breve sarebbe esplosa in una fontana di schegge scintillanti e avrebbe lasciato loro libero accesso alla sua casa, al regno che aveva giurato di proteggere e che qualche anno prima aveva salvato dalla furia dei propri stessi poteri, dall’inverno perenne che infine aveva sconfitto grazie all’amore. 
Stavolta, tuttavia, non era se stessa che doveva combattere: un Signore del Nord con nient’altro in mano che una fortezza desolata e un esercito di bruti raccolti dalle montagne e dai più infimi recessi della Terra – esercito che, malgrado la scarsa disciplina e la mancata omogeneità, s’era rivelato agguerrito e letale – aveva avanzato diritti su Arendelle appellandosi ad una qualche discendenza che poggiava su fondamenta di vetro fragilissimo, ed Elsa aveva rifiutato di cedergli i territori e i feudi che chiedeva, non tornando indietro sulla propria decisione neppure quando egli era passato a vere e proprie minacce, quando l’aveva chiamata mostro e strega e le aveva promesso che sarebbe tornato per distruggerla. Quegli insulti la ferivano ancora, in una zona sepolta e inaccessibile che mai avrebbe mostrato esternamente, tuttavia il suo desiderio di difendere Arendelle, Anna e il suo popolo dopo averli messi in pericolo così stoltamente in passato era solido e acuminato come il ghiaccio, e sarebbe morta piuttosto che consegnarli ad un uomo rozzo e crudele con la parola tiranno scritta in fronte.  
Uomo che, trascorso qualche mese, era tornato come promesso accompagnato da un’orda di guerrieri vestiti di pelli scuoiate d’orso e foca, guerrieri con pitture di sangue sul volto e demoni nello sguardo, a cingere d’assedio Arendelle, che trovandosi in mezzo ad un fiordo s’era vista circondata da ogni parte da avversari. Per dare il tempo a tutti i cittadini capaci di scendere in campo di organizzare una difesa, Elsa aveva creato intorno alla città una cupola di ghiaccio duro come diamante, un muro che li proteggesse, almeno temporaneamente, dall’avanzata dei nemici, i quali, inneggiati dal loro comandante, avevano preso a scalfirla con armi e picconi, assottigliandone via via lo spessore mentre i soldati di Arendelle si preparavano a riceverli e donne, vecchi e bambini si rifugiavano al castello. Ora la cupola stava per crollare e la regina sentiva la disperazione delle donne a lei prossime crescere, la preoccupazione per i loro uomini che rischiavano la vita saturare l’aria, le preghiere mescolarsi ai lamenti e ai pianti. La reggia era gravida di paura, e quella che lei provava era probabilmente la più forte e paralizzante perché non si permetteva di sfogarla, perché la teneva stretta a sé, consentendole di affondare radici di oscurità nel suo cuore e di espandersi indisturbata.
Celarla, non mostrarla.
Anna le strinse ancora più forte la mano guantata: “Perché non sono ancora giunti i rinforzi da Corona?!”
Elsa serrò le labbra, guardando un punto indefinito sulla parete foderata di carta da parati rosso scuro: “Il viaggio per mare dura diverse ore, e non sappiamo nemmeno se il messaggero ha già portato la nostra richiesta di soccorso…”
“Ma se si fosse perso?” la voce di sua sorella era alta e stridula, rotta da un principio di isteria: “Se la Regina Rapunzel non avesse voluto aiutarci?”
“Ci aiuterà, Anna” il tono di Elsa, per contro, era fermo e pacato, non rivelava nulla del terrore gorgheggiante che le si agitava nello stomaco e che le faceva desiderare di rincantucciarsi in un angolo con le mani sulle orecchie, tremante: “L’alleanza che abbiamo siglato con Corona è vincolante, e la Regina Rapunzel una sovrana giusta… i rinforzi giungeranno”.
“Come fai a rimanere così calma?” c’era quasi un che di accusatorio nella fisionomia della principessa: “Come fai a non essere spaventata?”
Tu non immagini neanche quanto lo sia.
Si sforzò di parlare in modo rassicurante: “Non accadrà nulla a Kristoff”.
“Sì, invece!” Anna si morse convulsamente il labbro: “Non appena la barriera cederà, e dovrà combattere contro quei brutti ceffi… sono troppi! E lui è solo il mastro consegnatore del ghiaccio, non un combattente! Lo… lo uccideranno, lo…” alcune lacrime cominciarono a rigarle le guance: “È una catastrofe!”
Una fitta colse Elsa dinnanzi al pianto della sorella. Il dolore di Anna la annientava ogni volta, era sempre stato così, fin da quando l’aveva ferita inavvertitamente con i suoi poteri da piccola, e avrebbe dato qualsiasi cosa, anche la vita, pur di porvi rimedio. Ma se la situazione – che sì, era disperata, e lei per prima se ne rendeva conto, lei per prima riconosceva che i rinforzi sarebbero arrivati troppo tardi, quando non ci sarebbe stato più niente da salvare – persisteva, non avrebbe potuto fare alcunché per salvare la sorella da morte certa… o da un destino anche peggiore. Era usanza dei signori del nord prendere in sposa a forza la figlia del sovrano del regno conquistato (o la regina stessa, se era abbastanza giovane e piacente), ma Drago Bludvist la giudicava una strega diabolica… mentre non avrebbe avuto nulla da ridire su Anna, fresca, graziosa e del tutto priva di magia.
Non permetterò che le faccia del male.
Le accarezzò i capelli rossicci, soffermandosi a massaggiarle le tempie, e la ragazza, esausta, le si accasciò contro la spalla, sprofondando in un torpore agitato. Aveva insistito con la consueta testardaggine per scendere in battaglia al fianco di Kristoff, ma Elsa lo aveva espressamente vietato. Ed ora temeva follemente per la sorte dell’amato, gli occhi fissi sul tramonto sanguigno che splendeva fuori dalle finestre e sul lucore della cupola pronta a spezzarsi.
“Elsa?” mormorò, esangue.
“Sì?” la incoraggiò la sovrana, con voce e volto fermi.
Un tremito scosse la figura magra della principessa: “Sarebbe tutto diverso se tu…”
Non concluse la frase, lanciandole un’occhiata furtiva e accorata, ma Elsa ne udì comunque la fine risuonarle nella mente, strillando accusa e alimentando i suoi sensi di colpa.
“Sarebbe tutto diverso se tu raggiungessi i soldati, se combattessi Drago Bludvist con i tuoi poteri”.
Sì. Sì, sarebbe stato tutto diverso. Se solo non fosse stata così gonfia di paura, la stessa paura che l’aveva accompagnata per tutta la vita, e di quell’insicurezza agghiacciante che si ripresentava maligna a bussare alla sua porta. Perché l’amore le aveva sì insegnato a domare la magia gelida e turbolenta che le scorreva nelle vene, a piegarla al suo volere, ma quella era pur sempre in agguato, violenta e imprevedibile, e non aspettava che un suo singolo momento di debolezza per prendere il sopravvento e annientare lei e tutti coloro che amava. Più che una parte di lei era una sorta di entità, di estranea che si nutriva di desiderio, di gioia e di rabbia e non aveva vincoli, non aveva scrupoli per nessuno… sì, la Regina delle Nevi dentro di lei non aveva scrupoli per nessuno… e se si fosse messa alla prova affrontando una vera battaglia, avrebbe potuto…
Ho quasi ucciso i bravi del duca di Weselton, quella volta…
Il ricordo bruciava. La frustrazione, l’ira, la paura si erano impadronite di lei e avevano permesso alla Regina delle Nevi senza cuore di emergere, di scatenare la magia e di non fermarsi davanti a nulla, neanche ad una vita umana che si spezzava… solo l’intervento del principe Hans l’aveva snebbiata, riportando Elsa in superficie ed impedendo il crimine.
Ma stavolta non ci sarebbe stato nessuno a ricordarle chi era davvero, stavolta ci sarebbero stati nemici a perdita d’occhio e una paura sconfinata a dominarla, e da quella paura sarebbe nato il mostro, in quella paura si sarebbe alimentato, per quella paura avrebbe ucciso innocenti.
Non vedete? Non posso!
La paura l’aveva sempre, sempre rovinata.
E proprio perché hai troppa paura condannerai tua sorella, il suo amato e il tuo popolo a morire in un oceano di sangue e disperazione.
Incapace di sopportare oltre il clima soffocante, pregno dell’odore delle lacrime e del sudore, che invadeva il salottino Elsa si alzò ed uscì rapidamente, ignorando i richiami perplessi e spaventati di Anna. Aveva bisogno di solitudine, di isolamento, aveva bisogno di stare qualche momento in pace con i suoi demoni e le sue paure, e se non lo avesse fatto la sua maschera impassibile e rassicurante sarebbe crollata e le sue debolezze messe a nudo… e tutte quelle persone che contavano su di lei e che da lei dipendevano si sarebbero ritrovate senza una guida.
Come posso essere la loro guida, io, che muoio di terrore per me stessa? Non passerà mai…
Si rifugiò, tremando, in un’anticamera stretta e invasa dalle ombre, dove l’unica luce era quella rossastra che filtrava dal lucernario sul soffitto e dove la polvere trasudava dal pavimento di marmo e dalle pareti stuccate. Si appoggiò contro una colonna, rilasciando un sottile gemito, e si tolse dal capo la coroncina d’oro, leggera ma al tempo stesso terribilmente pesante, ripensando a quando aveva compiuto lo stesso gesto nel suo palazzo di ghiaccio con l’idea assurda e meravigliosa di non gettar via soltanto la tiara ma tutti i rimorsi, le sofferenze, il senso di inadeguatezza, la paura…
“Ma la paura non muore mai” ansimò nel silenzio denso.
“Hai ragione, Maestà” una voce insinuante e beffarda uscì dall’oscurità, un veleno che sapeva di miele e ti strisciava languidamente sotto la pelle, senza che te ne accorgessi, impossessandosi del tuo corpo: “La paura non muore mai… ed io con essa. Finché esisteranno persone come te, avrò la speranza di sconfiggere quei patetici Guardiani e portare nel mondo i miei Incubi”.
Elsa non trasalì, non si stupì nemmeno. Anzi, per un folle attimo si ritrovò quasi a provare sollievo, a sentirsi liberata da un immane peso che la schiacciava al suolo togliendole il respiro. Era come quando riascolti una canzone che udivi da bambino e iniziavi a dimenticare, come quando una presenza scomparsa da tempo ritornava insieme al suo bagaglio di ricordi.
“Pensavo che non ti avrei più rivisto, Pitch” commentò con una specie di disperata ironia, raddrizzandosi con la compostezza di una regina e girandosi in direzione della voce dell’Uomo Nero.
Lo trovò nell’angolo più buio dell’anticamera, ad assorbire il tocco delle tenebre con beatitudine e a fissarla intensamente con i suoi occhi argentei che parevano leggerle l’anima, gli unici a cui non fosse mai riuscita a nascondere nulla, gli unici che l’avevano vista fin dall’inizio per ciò che realmente era; anche se lo aveva incontrato per la prima volta ad otto anni, il tempo non lo aveva sfiorato, i suoi capelli erano ancora neri come inchiostro e il suo volto, affilato e bianco come un osso, non aveva rughe. La tunica color della notte gli fluiva sul corpo magro come una colata di pece, strisciando sul pavimento.
Sorrise, scoprendo gli scintillanti denti aguzzi che avevano popolato parte dei suoi innumerevoli incubi infantili: “Devo confessare che iniziavo a temerlo anche io, Elsa” la sua voce beffarda non lasciava trapelare niente all’infuori di un’intrinseca malvagità e un roco, spaventoso languore quando scandì il suo nome: “Ero convinto che avresti ceduto alle tue paure molto prima… ma sei sempre stata un’ottima combattente, sì? È questo che mi piace di te” le accennò una riverenza ironica: “Lieto di rincontrarti… e di assaporare di nuovo la tua paura” un lampo di cupidigia gli attraversò le iridi d’argento: “Non è quel genere di gusto che si dimentica. Ha un’intensità e uno spessore quasi…irresistibili”.
La donna rabbrividì ma non incurvò la schiena, mantenne una postura rigida, altera: “Vattene, Pitch” nel petto, il cuore le tremolava: “Ti prego, lasciami in pace”.
“Come?” lui si finse mortificato, portandosi al petto una mano scarna e affusolata: “Vuoi scacciare il tuo unico confidente?”
Il volto d Elsa si tese: “Tu non sei niente”.
“Ingrata” l’Uomo Nero glielo disse con una traccia di divertimento sulle labbra sottili: “Avete davvero la memoria corta, voialtri fragili esseri umani… hai già dimenticato i nostri incontri notturni? Come fossi stato la tua unica compagnia nell’isolamento che i tuoi genitori ti avevano imposto? E come mi confidavi le tue deliziose pene? Ti ho visto crescere al loro posto, mia Regina. Ti ho vista sbocciare… sbocciare la tua bellezza… e mi sono preso cura della tua paura, l’ho fatta crescere e svilupparsi al meglio. È bastato che la tua cara sorellina e il tuo popolo ti accettassero perché scordassi?” emise un sospiro melodrammatico: “Mi deludi, davvero. Pensavo fossi in grado di capire che non ti accetteranno mai per davvero… così come i Guardiani non accetteranno mai me”.
Elsa si circondò il busto con le braccia; non aveva mai avuto problemi a fronteggiare Pitch perché era fatto dello stesso terrore e delle stesse, paralizzanti angosce che l’avevano forgiata negli anni, era familiare, quasi bene accetto, ma non era un alleato, e non se lo doveva dimenticare. Specialmente in quella circostanza.
Parlò freddamente: “Non sono cose che ti riguardano”.
“Oh, debbo dissentire, Maestà” Pitch rise causticamente, una viscida, soffusa risata che le accapponò la pelle e riverberò in ogni angolo dell’anticamera buia, strappando guizzi alle ombre in movimento: “Quello che sta succedendo nel tuo grazioso regno mi riguarda più di quanto tu creda. Percepisco tanta di quella paura, qui, che potrei rimanere sazio per un anno intero… è addirittura più forte di quella che hai seminato con la tua piccola fuga. E tu sai, fiocco di neve, che dove c’è la paura… ci sono io”.  
Di nuovo, Elsa si piantò le unghie nei palmi delle mani, tremando appena sotto l’abito e cercando spasmodicamente di non perdere l’autocontrollo: “Pensano che io farò la differenza, Pitch” qualcosa in lei si ribellava all’idea di affidare ancora una volta i suoi segreti a quell’essere di tenebra e luce lunare, ma avere accanto qualcuno che la capiva, che condivideva il suo destino, qualcuno a cui aprire il suo cuore era un piacere troppo forte perché potesse rinunciarvi; e anche se lei ed Anna si erano riappacificate, l’animo di sua sorella era troppo semplice, allegro e superficiale per comprendere le sfumature di quello di Elsa: “Pensano che li salverò tutti. Ma io non sono in grado di salvarli! Io… io li distruggerò, Pitch, se mi lascio andare” la prima crepa aveva intaccato la calma della sua voce: “Non c’è nessuno che io possa aiutare”.
Sapeva che non avrebbe trovato dispiacere né compassione sul viso di gesso di Pitch Black, ma ne era felice. Non avrebbe sopportato di essere compatita, riversata di inutile e umiliante pietà. Al contrario, la torbida comprensione che spirava dall’Uomo Nero la accarezzava come un balsamo che lenisce le ferite.
“E perché dovresti volerli aiutare, Elsa?” le domandò, piano, muovendo un passo verso di lei. Le ombre sembravano seguirlo, spostarsi quando lui si spostava, e s’avvicinarono alla regina che pure non si mostrò spaventata o atterrita. Al contrario, alzò sul suo interlocutore due occhi quasi sperduti.
“Cosa?”
Quelli argentei di Pitch erano foschi, alieni, pieni di cose segrete e innominabili: “Perché dovresti aiutare quegli esseri così inferiori a te? Se lo meritano, forse? Non credo. Hai dimenticato come ti hanno trattata, come ti hanno ripudiata? Come ti hanno costretta a nasconderti in una stanza, a combattere contro te stessa, a non esistere? Non hanno mai creduto in te, e ne parlo con cognizione di causa” uno spasmo di rabbia gli attraversò i lineamenti taglienti: “Perché dopo i Secoli Bui, nessuno ha mai creduto neppure in me”.
Elsa scosse appena la testa, stringendosi alla colonna finché il granito nero non le si conficcò nelle scapole: “È… il mio dovere”.
Buttando indietro il capo, Pitch scoppiò in una risata malvagia e schernitrice, un concerto di orrore che riecheggiò tutt’intorno e fece rizzare i capelli sulla nuca alla Regina, un gioco di echi striduli che si perse da qualche parte nel silenzio e che nessuno poteva udire a parte lei – perché nessuno, a parte lei, credeva nell’Uomo Nero.
“Il tuo dovere” ripeté, grondando disprezzo: “Parli come i Guardiani. Qualcuno ti dona un potere che non hai voluto, ti condanna ad un’esistenza di isolamento, e devi metterlo al suo servizio? Se conquisti un potere te lo tieni, lo rafforzi e lo usi a tuo piacimento” scoprì i denti affilati in uno dei suoi sorrisi inumani: “E il tuo, di potere, è prodigioso, Elsa. Non lasciarlo marcire per una causa persa! Lascia questi esseri al loro destino e vieni via con me!”
L’espressione della giovane donna s’indurì, diventando fredda come il ghiaccio: “Questa proposta me l’hai già fatta, Pitch, e la mia risposta non è cambiata”.
Il ghigno di lui non scomparve, ma si fece più buio, più feroce, e le tenebre s’addensarono intorno alla sua scarna figura.
“Cos’è che ancora ti trattiene?” sibilò: “La tua sciocca sorellina? Quella nullità che sarebbe dovuta morire due volte e che per due volte avete strappato al giusto destino?”
La furia s’impossessò in un istante di Elsa, annebbiandole la vista e facendole ribollire il sangue. Fulminò Pitch, mentre una nebbia scarlatta le calava davanti agli occhi, e impulsivamente allungò le mani verso di lui, da cui scaturì rapida e inarrestabile una saetta di ghiaccio tagliente quanto il suo grido: “NON NOMINARE MIA SORELLA!”
Forse l’Uomo Nero se l’era aspettato, forse aveva solo riflessi pronti, in ogni caso mosse di lato, fluido come un liquido, ed osservò tranquillamente il getto di magia biancastra che pioveva contro la parete e vi apriva un foro fumante e disseminato da frammenti di ghiaccio appuntiti. Una vaga ombra di ammirazione comparve sul suo volto pallido.
“Sbalorditivo” mormorò tra sé.
Elsa ansimava, inorridita da quanto fatto: quell’attacco, scagliato d’impulso, era stato mortale, se Pitch non lo avesse schivato avrebbe potuto provocargli danni incalcolabili, e non era stata neppure in grado di fermarsi, o di mitigarlo. Cadde sulle ginocchia, gravata dal peso spietato della paura e con la bocca piena del sapore dolciastro dell’orrore, e si nascose il viso fra le mani: “Non vedi?” la sua voce, adesso, era spezzata, proprio come la cupola che non avrebbe protetto il suo popolo: “Non vedi come tuttora non faccio altro che distruggere?!”
Era tanto presa dalla propria disperazione che non s’accorse dei passi silenziosi che le si avvicinavano, né della tenebra che la avvolgeva pian piano nel suo abbraccio seducente. Lo notò solo quando avvertì il contatto di una mano estranea che le si posava delicatamente sulla spalla, e s’irrigidì, ma la prostrazione le rese impossibile ritrarsi. Al contrario, trovò quella stretta stranamente confortante.
“Elsa, Elsa” le parve, ma aveva ancora il viso nascosto tra le mani e non poteva esserne sicura, di cogliere quasi una nota di rammarico, di comprensione benevola in Pitch: “Credimi, per quanto possa apparirti assurdo, io ho a cuore il tuo benessere”.
“Hai a cuore il tuo tornaconto” ringhiò la regina in uno scatto di ribellione, gli occhi azzurri animati da un bagliore di risentimento: “Non fingere con me, Pitch. Vuoi che venga via con te perché metta il mio potere al servizio della tua causa. Dimmi… è sbagliato sottomettersi a chi me l’ha donato, mentre usarlo per accontentare te sarebbe giusto?”
L’Uomo Nero ridacchiò, una risatina sorpresa e ammirata: “Sei molto più intelligente dei Guardiani, Regina. Se non ti ponessi tanti freni, niente e nessuno potrebbe sconfiggerti. È vero, lo ammetto, i miei consigli non sono completamente disinteressati… del resto, non sarei il signore della paura se così non fosse, giusto? Ma penso sinceramente che se ci alleassimo, se abbandonassi il tuo patetico popolo, saresti libera. Libera e inarrestabile. Lascia la tua vita umana, Elsa, è come una zavorra che imbriglia il tuo potere, e abbraccialo fino in fondo! Non sei fatta per vivere tra quelle creature inferiori… e questo è il momento perfetto per fare il passo!”
Trascorsero qualche istante in silenzio, guardandosi negli occhi, Elsa tesa e semi accasciata sul pavimento, Pitch inginocchiato presso di lei con le iridi argentee brillanti e un sorriso carico di aspettativa sulle labbra. La Regina di Arendelle non lo avrebbe mai ammesso, ma qualcosa, dentro di lei, aveva levato un rintocco durante il discorso dell’Uomo Nero, ci si era riconosciuta, e ne era malsanamente attratta, soggiogata. Per un istante si concesse di immaginare come sarebbe potuto essere se avesse chiuso la porta in faccia al suo passato, rinnegato la sua identità di sovrana con tutte le responsabilità annesse e si fosse lasciata andare completamente.
Niente più sensi di colpa.
Niente più maschere da indossare per tener fede al suo ruolo.
Niente più sotterfugi e bugie.
Niente più malinconia e dolore.
Sarebbe stata libera.
Sarebbe stata… con Pitch.
Il suo cuore accelerò leggermente i battiti quando quel pensiero le attraversò la mente.
Con Pitch.
Pitch, che era stato il suo unico amico, il suo unico confidente da quando s’era rinchiusa nella sua camera, tutto il mondo fuori, troppo terrorizzata per avere contatti con la sua famiglia. Pitch, che si era seduto sul bordo del suo letto e le aveva carezzato i capelli mentre gemeva e sudava in preda agli incubi – incubi di cui si nutriva e di cui aveva bisogno, ma anche se non disinteressato, le aveva dato conforto – , bisbigliandole parole dolci all’orecchio non appena si svegliava. Pitch, contro cui aveva potuto sfogare rabbia e frustrazione quando diventavano insopportabili, e che l’aveva ascoltata gridare, piangere e inveire senza fare una piega, con un lieve sorriso sul volto e quella luce avida e affascinata nello sguardo. Pitch, che l’aveva abbracciata e le aveva offerto il rifugio del proprio petto il giorno in cui i suoi genitori erano morti e s’era sentita priva di tutto, dominata da una paura agghiacciante e soprannaturale, che l’aveva tenuta stretta finché i singhiozzi si erano estinti e la neve aveva invaso completamente la stanza, finché non era sprofondata in un sonno febbrile e, per l’ennesima volta, tormentato dagli incubi. Pitch, che le era rimasto accanto quando tutti gli altri erano rifuggiti.
Sarebbe stata con lui, e indietro avrebbe lasciato un regno condannato che non poteva salvare.
I loro volti erano ad una spanna di distanza l’uno dall’altro, entrambi bianchi in maniera quasi innaturale, ma quello di lui con la sfumatura grigiastra che contraddistingue tenebre e ombra, quello di lei azzurrino come puro ghiaccio. Il loro fiato che andava a sfiorare le guance dell’altro era gelido come le cose morte e congelate, sepolte nelle viscere della terra scura e imprigionate nella neve.
“Elsa” bisbigliò Pitch, una passione e un desiderio violenti nella voce – la regina si persuadeva che fosse passione e desiderio per i suoi poteri, per le possibilità che gli avrebbero aperto se li avesse avuti, ma un’esile parte di lei levava un fievole canto di speranza insinuando che in realtà fosse la donna e non la Regina delle Nevi ch’egli voleva – , spostandole una ciocca di capelli chiarissimi dietro l’orecchio e accostando le labbra alle sue.
Se gli permetto di baciarmi, sarò perduta. Sarò sua per sempre.
E lui sarò mio…
La ragione appariva tanto lontana, in quell’anticamera polverosa e isolata. Elsa lasciò che le palpebre si abbassassero e che le difese crollassero e si avvicinò a sua volta, una preghiera a risuonarle disperata nel cervello.
Lasciati andare lasciati andare lasciati andare…
Poi ci fu un rumore, irreversibile nel silenzio rarefatto. Il crash secco e definitivo del ghiaccio che si rompe, che cede sotto l’ennesimo colpo di piccone – “Spezzalo in due, mostrerà, quello che l’uomo ancora non sa” – frantumandosi e crollando con uno stridulo grido di disperazione, grido che solo le sue orecchie potevano percepire. Le sembrò che anche dentro di lei qualcosa si spezzasse, che proprio come la cupola che aveva creato il suo cuore cadesse in polvere, e tornò bruscamente alla realtà, sgranando gli occhi e allontanandosi bruscamente da Pitch: “No!”
Una ridda di pensieri angosciosi la invase, soffocandola di nuovo sotto una coltre opprimente di paura.
La barriera ha ceduto.
I nemici sono entrati.
Arendelle, Arendelle cadrà!
“Arendelle” boccheggiò, sentendosi stritolare da una morsa gelida: “Loro sono ad Arendelle!”
Il sogno che per pochi, irreali attimi l’aveva cullata, quel senso di possibilità di cui s’era sentita ebbra al punto da credere che davvero potesse abbandonare sua sorella e la sua vita per un nuovo cammino di totale libertà e di assoluta inumanità, era andato in frantumi insieme alla cupola ed ora vedeva di nuovo con una chiarezza spietata, senza scampo.
Non poteva voltare le spalle al suo regno così come aveva fatto due anni prima fuggendo sulla Montagna del Nord. Perché il suo regno aveva bisogno di lei. Senza di lei… sarebbe caduto.  
Le dita lunghe e affusolate di Pitch s’erano serrate per un istante sulla ciocca dei suoi capelli biondi quasi con violenza, quasi lui volesse trattenerla al suo fianco con la forza e impadronirsi di lei lottando, ma poi si aprirono riluttanti e la lasciarono andare, e gli occhi argentei la guardarono, oscuri, crudeli e imperscrutabili, mentre artigliava la stoffa dell’abito e ripeteva: “Ad Arendelle, sono ad Arendelle!”
“E così hai scelto” sibilò l’Uomo Nero lentamente, incapace di nascondere l’astio: “Hai scelto loro. Hai scelto di rimanere sola”.
Elsa lo fissò, presa da una fitta che non seppe bene interpretare: “Pitch…”
Lui levò seccamente una mano, imponendole il silenzio: “Non aggiungere altro, Maestà. Se vuoi rimanere sola, circondata da creature deboli che ti disprezzano… bene! Rimani sola!”
Schioccò le dita, cospargendosi di una coperta di ombre e di oscurità, e in quelle ombre e in quell’oscurità si dissolse, ed Elsa si ritrovò a provare lo stesso, orribile senso di abbandono che la assaliva da piccola quando Pitch svaniva alle prime luci del giorno, abbandonandola in pasto ai suoi demoni, a trattenere lacrime infantili che premevano contro le palpebre.
“Pitch” sussurrò, la voce roca, e poi chiuse gli occhi e li strinse e combatté ferocemente contro le sue emozioni.
Celarle, non mostrarle, celarle, non mostrarle.
Quel confronto le aveva portato consiglio, dopotutto. Le aveva fatto capire che Arendelle dipendeva dalla sua prossima mossa, che lo aveva fra le mani e che se non avesse agito… lo avrebbe visto cadere sotto il dominio di un tiranno.
Lo aveva capito proprio perché aveva provato ad immaginare il suo regno senza di lei.
Il retrogusto di amarezza e di dolore che le era rimasto sulla lingua era solo un effetto collaterale.
 
L’ultimo bagliore violaceo del crepuscolo si perdeva nel firmamento e fuori dalle finestre iniziava a impazzare una cacofonia di grida, imprecazioni, stridore di lame che si scontravano e gorgoglianti lamenti di moribondi quando Anna e le altre donne, soffocate dal terrore e dall’apprensione, videro una sagoma affusolata e luccicante stagliarsi sulla soglia.
Elsa aveva abbandonato i suoi panni di Regina delle Nevi dopo aver fatto tornare l’estate per convertirsi ad un vestiario più consono e scialbo, un vestiario che cercava, senza riuscirci, di farla assomigliare alle altre donne, di renderla uguale a loro quando non lo sarebbe mai stata. Adesso, tuttavia, era come se fosse tornata ad abitare la pelle giusta, gettando ogni finzione e mostrandosi in tutta la sua aliena bellezza: l’abito azzurro e impalpabile abbracciava le sue curve, evidenziandole, il mantello la seguiva leggero e la treccia poggiava elegantemente sul seno. L’aria intorno a lei era carica di elettricità e magia in esubero.
Anna fu la prima a riaversi dallo stupore e a sussurrare, con una luce di speranza che le accendeva il viso pallido e sbattuto: “Scenderai in campo?”
Elsa le sorrise; un sorriso privo di allegria, ma fermo e determinato come quello di una vera sovrana.
“Scenderò in campo”.
 
Non aveva visto mai uno spettacolo altrettanto straziante, tale da farle sembrare i propri dolori un’inezia, in confronto a quelli dei soldati che si battevano per la salvezza di Arendelle e della famiglia reale.
Ovunque posasse lo sguardo, c’era morte. Per le vie della città guerrieri si scontravano all’ultimo sangue, in un concerto di acciaio contro acciaio e muscoli contro sudore, e cadevano sotto i fendenti e gli affondi avversari levando grida al cielo notturno, le case venivano depredate e private dei mobili e delle ricchezze ivi contenute e sangue appiccicoso, di un rosso squillante, aveva impregnato il suolo, attaccandosi alle scarpette azzurre di Elsa. Non c’era una sola zona del luogo che non fosse impegnata negli scontri, e intorno al perimetro della città giacevano, come macabre reliquie, i frammenti della cupola, titani di ghiaccio che luccicavano appena nella penombra. Il cuore della giovane regina diveniva sempre più pesante e dolente via via che avanzava, avvicinandosi all’occhio del ciclone, e contemplava i cadaveri dei suoi sudditi, immolatisi per la salvezza del regno.
Se fossi intervenuta prima…
No. Non era tempo per l’autocommiserazione. Era tempo di agire. La situazione era disperata, non si vedeva traccia delle navi provenienti da Corona che avrebbero dovuto condurre i rinforzi presso di loro, e il puzzo intenso e dolciastro della paura saturava l’aria, così forte da risultare disturbante.
Pitch deve essere per forza qui intorno…
Rabbrividì. Neppure a lui doveva pensare. Indugiare in quella debolezza sarebbe stato imperdonabile da parte sua.
Nelle vicinanze del mare, la battaglia infuriava particolarmente violenta. Gli avversari menavano colpi implacabili per passare e raggiungere il palazzo reale, e i difensori opponevano una strenua resistenza. L’acqua era tinta di rosso e vi galleggiavano corpi simili a burattini inerti. Elsa strinse i denti, si fermò e prese alcuni profondi respiri.
Hai riportato l’estate. Puoi farcela.
Come Pitch le aveva suggerito, si lasciò semplicemente andare, accettando e chiamando il potere che le danzava nelle vene. Lo sentì percorrerle il corpo in un flusso rapido e quasi euforico, pizzicarle sulla punta delle dita, e avvertì una profonda, ineffabile beatitudine a mostrarlo, a non opporsi al desiderio ancestrale di farlo scivolare fuori da lei, all’esterno. Era come… seguire la corrente, anziché opporvisi.
È questo che sei davvero… proprio come diceva Pitch.
Fiotti di una magia fredda e inarrestabile le scaturirono dai palmi graffiati delle mani e saettarono nell’aria puzzolente di sangue e morte, solidificandosi in durissimo ghiaccio che s’innalzò a dividere i soldati di Arendelle da quelli del Signore del Nord, impedendo loro di seguitare a combattere. Si levarono grida di stupore mentre i guerrieri arretravano, sbalorditi, e fissavano le sculture scintillanti sopraggiunte a separarli gli uni dagli altri.
Elsa sorrise, un tutt’uno con la sua magia, e semplicemente permise alla propria immaginazione di correre libera, di fondersi con il suo potere e diventare realtà.
Quelli che prima erano semplici blocchi inanimati creati per interrompere gli scontri mutarono, contraendosi e sussultando, e assunsero delle forme familiari, che se i soldati accolsero con urla di terrore, lei e forse Kristoff, perso in quella moltitudine, riconobbero: i giganti di ghiaccio, con artigli lunghi e acuminati e piedi grossi come carrozze, ruggirono e caricarono l’esercito del Signore del Nord, le voci roboanti che si univano in un’unica esclamazione.
“Andate via!”
Elsa rise, una risata leggera, inumana, aggraziata che viaggiò intorno a lei come una canzone. Non pensava sarebbe stato così… semplice. Ma era come quando aveva costruito il palazzo di ghiaccio, aveva dovuto solamente… liberare la propria natura, consentirle di venire allo scoperto. Quella era lei, e non c’era niente di sbagliato. Niente! Usare la magia, non porle vincoli… equivaleva ad essere se stessa.
“Strega…”
Quel sibilo imbevuto di astio e disgusto, quell’insulto che la sferzò come un colpo di frusta la portò a voltarsi di scatto e a puntare lo sguardo sull’uomo immobile in mezzo ad una distesa di cadaveri ancora freschi, lo spadone a due mani inzaccherato di sangue e il volto stravolto in un’espressione di collera folle, insensata. La regina assottigliò le palpebre e strinse le labbra, riconoscendolo.
Si faceva chiamare Drago Bludvist, ma dubitava fortemente che fosse il suo vero nome. Non aveva terre nel vero senso della parola e il suo esercito era composto da bruti messi insieme alla peggio, ma si considerava ugualmente un signore della guerra, venuto dall’estremo nord e impaziente di costruirsi un regno. Non era particolarmente vecchio perché non c’erano fili grigi nella sua incolta chioma scura né rughe sul suo viso aquilino… tuttavia la stazza massiccia e sgraziata, la protesi metallica al posto del braccio e lo sguardo di brace negli occhi parlavano di qualcosa di antico, putrefatto, maligno. E la strana pelle che portava drappeggiata addosso – pelle di drago, si mormorava – lo rendeva ancora più cupo e temibile a guardarsi.
“Mostro” sputò fuori con acredine, contemplando con le pupille rimpicciolite dalla rabbia i golem di ghiaccio che respingevano i suoi bruti, costringendoli ad arretrare verso il mare: “Sei come tutto ciò che inquina questa terra… come i basilischi, gli elfi e i draghi… il tuo sangue puzza della magia dei demoni” la mano metallica era convulsamente serrata sull’elsa dello spadone: “Non meriti di vivere!”
L’espressione di Elsa non perse la sua ferma risolutezza, ma qualcosa dentro di lei si incrinò. Il raccapriccio di cui era intrisa la voce di Drago Bludvist… quelle parole… erano le stesse che l’avevano perseguitata per ventun anni di vita, che aveva visto esitare sulle labbra di coloro che la circondavano e che per primo il duca di Weselton aveva avuto il coraggio di pronunciare.
“Loro non ti accetteranno… non crederanno mai in te!”
Nello stomaco la tensione e l’amarezza si agitavano.
“Lascia in pace il mio regno!” esclamò, fredda e tagliente come un dardo di ghiaccio: “Tornatene da dove sei venuto e non farti più vedere!”
Drago Bludvist scoppiò in una risata raschiante: “Il giorno in cui prenderò ordini da una donna, da una puttana demoniaca, sarà quello in cui il sole sorgerà ad occidente!”
Le guance di Elsa si arrossarono di umiliazione per l’insulto.
Uccidilo. Colpiscilo. Mettilo a tacere.
Lottò contro se stessa, imponendosi autocontrollo, impaurita da come la gabbia che imprigionava la Regina delle Nevi stesse assottigliandosi, e disse ancora, altera: “Non puoi vincere, Drago. Arrenditi adesso e risparmierò te e il tuo esercito!”
Lui sorrideva, tracotante; il sorriso di chi sente d’avere la vittoria in pugno: “Pensi che i mostri che hai evocato basteranno, troia?”
Un’altra ingiuria, un’altra ancora, e lo ucciderò.
Affondò le unghie nei palmi: “Non conosci il mio potere. Tu non sai di cosa… di cosa sono capace. Vattene, oppure…”
“Smettila di sprecare fiato, strega” ribatté il massiccio Signore del Nord: “Ne ho ammazzati fin troppi di mostri come te”.
Mostro. Quell’ennesimo insulto che aveva sentito tante, troppe volte fu la goccia che fece traboccare il vaso. Di nuovo la sua vista si macchiò di rosso cremisi e il potere le crepitò nelle vene come elettricità, facendole frizzare e ribollire il sangue. Lanciò un grido acuto e penetrante e scagliò contro Drago Bludvist un getto della sua magia, desiderando, con ogni fibra del suo essere, di distruggere quella patetica creatura inferiore che la disprezzava, aborriva, che la faceva sentire sbagliata.
Lui fu fulmineo: un attimo prima che il getto di potere lo raggiungesse, s’avvolse nel suo strano mantello completamente, finendo per assomigliare ad una sorta di enorme pipistrello, e il fulmine azzurrino vi rimbalzò contro inoffensivo senza causargli il minimo danno.
Elsa strabuzzò gli occhi, senza fiato, e Drago Bludvist rise come una bestia sanguinaria ed esaltata.
“I tuoi poteri non mi fanno nulla, sgualdrina” ringhiò: “Ho spaccato in tanti piccoli pezzi la tua cupola e spaccherò in pezzi anche te!”
Con un unico, impressionante balzo azzerò la distanza tra di loro, sollevando l’immane spadone mentre le trecce brune gli sussultavano dinnanzi al volto folle e rabbioso, ed Elsa all’improvviso ebbe paura, non di se stessa e della propria natura ma di un pericolo esterno, della morte che le soffiava il suo fiato sul collo, come quella volta all’alba, in presenza di Hans e degli scagnozzi del duca.
Si fece schermaglia con un braccio, chiudendo gli occhi, e quasi involontariamente si materializzò davanti una lastra di ghiaccio su cui la lama dello spadone s’infranse innocua, scatenando un turbine di scintille e spezzandone qualche frammento.
Drago Bludvist emise un grugnito d’ira e disappunto ma non demorse, ruotando intorno alla lastra che proteggeva la regina e provando ad attaccarla con un fendente laterale. Lei sussultò e, con la stessa prontezza di riflessi con cui Pitch aveva schivato il suo lampo magico, ne sparò un secondo che, solidificandosi in ghiaccio, immobilizzò a mezz’aria il polso dell’avversario, impedendogli di concludere l’attacco. La donna indietreggiò subito, portandosi a distanza di sicurezza, mentre il Signore del Nord ruggiva come un animale e, con un violento strattone, liberava il braccio frantumando il ghiaccio che lo aveva imprigionato.
“La tua magia non durerà in eterno, cagna” ansimò, guardandola con odio: “Ti stancherai prima o poi!”
Ansimante e affaticata, Elsa arretrò ulteriormente, cercando di raggruppare quei pochi pensieri confusi e terrorizzati che le fluttuavano nella mente, di recuperare il controllo, ma la paura la dominava ormai pressoché totalmente e le annebbiava il cervello.
Drago Bludvist si sbagliava. Il suo potere non aveva un limite di tempo, non le consumava le energie, perché era parte di lei, ci era nata e lo serbava dentro insieme alla capacità di bere, mangiare e dormire. Ma era un potere ingovernabile, che dipendeva troppo dalle sue emozioni, e per la prima volta incontrava qualcuno che poteva tenergli testa.
Pitch, dove sei? Pitch, aiutami!
Aveva rifiutato Pitch, gli aveva voltato le spalle preferendogli Arendelle. Perché sarebbe dovuto tornare? Era l’Uomo Nero, non conosceva la lealtà, l’onore…
L’amore.
Il cielo, sopra quella Arendelle tumultuosa, era livido e pregno di ombre, con una pallida luna piena come unica fonte di luce… una luce, tuttavia, malsana, smorta e lattescente.
Elsa provò ad intrappolare Drago contro la facciata di un edificio creando una scultura di punte di ghiaccio affilate che ce lo inchiodasse – e ringraziando, nel frattempo, la propria trovata dei giganti di neve, che si stavano occupando dei nemici senza necessitare d’un suo intervento – ma il Signore del Nord riuscì, con un formidabile pugno, a spaccare il peso gelido che lo spingeva indietro e a riacquistare un vantaggio; possedeva una forza spaventosa, quasi disumana. La forza della follia? Dell’odio?
La lama dello spadone le sibilò ad un soffio dal viso ed Elsa gridò, d’impulso, perdendo l’equilibrio, inciampando nel mantello e cadendo pesantemente sul terreno di pietra, con le ginocchia che protestavano per il dolore. Si rannicchiò su se stessa, ansimando, gli organi strizzati nella morsa soffocante della paura, e il trionfo lampeggiò sulla faccia rude di Drago Bludvist, accendendo bagliori malsani nei suoi occhi piccini e famelici.
“E ora, puttana” borbottò: “Un po’ di giustizia!”
Le tempie d Elsa martellavano, il cuore sembrava sfondarle la cassa toracica.
No no no…
Chiuse gli occhi quando lo spadone descrisse una parabola in aria dritto contro di lei – anche Hans aveva provato a trafiggerla allo stesso modo… il ciclo si ripeteva – in attesa di un dolore fisico che non aveva mai provato e che la portava a domandarsi se sarebbe stato simile a quello morale… un dolore che, però, non venne.
Perché una figura alta, pallida e magra come la lama di un fioretto apparve all’improvviso dinnanzi a lei, come creata dalla notte, e sollevò la scarna mano da cui prese forma un muro di oscurità pulsante, di ombre in estasi che contorcendosi accolsero al posto della regina lo spadone di Drago, facendogli tagliare vuoto, aria e nient’altro.
“Cosa…?” boccheggiò il Signore del Nord.
Gli occhi azzurri di Elsa, al contrario, si dilatarono: “Pitch?”
L’Uomo Nero era lì, ad un passo da lei, tenebroso, scuro e alieno, e rivolgeva ad un Drago Bludvist incapace di vederlo un sorriso derisorio e maligno che rivelava i lunghi denti appuntiti.
Lo stupore in Elsa era tanto forte da sovrastare la paura: “Tu… tu sei tornato!”
Pitch si volse a mezzo busto e i suoi occhi argentei la fissarono con intensità: “Sei una creatura troppo bella e impareggiabile perché un individuo del genere ti annienti, Elsa” le disse in quel suo sibilo insinuante e pieno di significati nascosti: “Il mondo sarebbe un posto di gran lunga più noioso se non ci fossi”.
Il volto candido della regina era pieno di sbalordimento e speranza: “Pitch…”
“ELSA!”
Il grido, gettato da una voce femminile squillante e orribilmente familiare, la strappò allo stato contemplativo in cui era caduta e le gelò il sangue nelle vene, facendole sbarrare gli occhi in un’espressione di terrore: “Anna!”
Sua sorella, in groppa ad un cavallo bianco prelevato dalle scuderie del palazzo e con ancora addosso il sontuoso abito verde con cui l’aveva vista nel salottino, cavalcava a spron battuto dritto verso di lei, Pitch e Drago Bludvist, spronando il destriero i cui zoccoli risuonavano sonoramente sull’assito e fissandola con apprensione, i capelli rossicci sparsi nel vento.
Le aveva ingiunto di rimanere al sicuro, di non mettere a repentaglio la vita, e come al solito Anna aveva fatto di testa sua, le aveva disubbidito, gettandosi tra le braccia del pericolo. Pericolo che si concretizzava nella figura sgraziata di Drago Bludvist, i cui occhi scuri seguivano l’avanzata galoppante della principessa con una luce che Elsa non avrebbe voluto vedere mai, così come non avrebbe voluto vedere la mano metallica del Signore del Nord aggiustare la presa sull’elsa dello spadone, come per caricare un colpo.
Anna. La spada. Non di nuovo!
“Vattene!” urlò con angoscia pura: “Anna, vattene!”
“Non lo farà” replicò Pitch, tranquillo, quasi compiaciuto: “Non ha paura. Teme troppo per te per averla”.
La regina gli strinse il braccio spasmodicamente: “Io non la lascerò morire!”
“Non pensi che finirebbe per morire comunque, prima o poi?”
“No!” serrò i denti: “Non qui, non adesso, non così!”
L’Uomo Nero studiò la sua smorfia di selvaggia risolutezza per qualche istante, poi si aprì nel suo sorriso ambiguo e bizzarramente comprensivo.
“Allora accetta la tua paura” le sussurrò all’orecchio, accarezzandole il fianco: “Fattela alleata, e non lasciarti sopraffare da lei. Collaborate”.
Elsa trasalì quando intese il significato di quelle parole: “Tu vuoi…”
“Coraggio” l’Uomo Nero si mise alle sue spalle, facendo aderire il petto alla schiena della regina e intrecciando le mani alle sue: “Dopotutto, niente si sposa meglio con il freddo dell’oscurità!”
Sì. Sì, era così.
Accetta la tua paura. Collaborate.
Per la prima volta nella sua esistenza, Elsa si affidò a qualcun altro, permettendogli di entrare in comunione con lei. E non si pentì che quel qualcuno fosse l’Uomo Nero in persona. Chi se non lui? Lui che fin dall’inizio aveva saputo chi lei fosse veramente e che l’aveva accettata, che l’aveva desiderata, anzi, esattamente per ciò che era?
Una sorta di freccia andò creandosi tra le sue mani e quelle di Pitch, un dardo che era sia ghiaccio sia oscurità, dalla superficie azzurrina e luccicante che conteneva, all’interno, un pulsare eccitato di ombre in movimento, ed Elsa rimase incantata dalla sua selvaggia e aliena bellezza, dal modo in cui il suo potere e quello di Pitch coesistevano alla perfezione, da quanto sembrava… giusto.
“E ora” disse l’Uomo Nero: “Lasciamolo andare”.
Lasciamolo andare.
Anna era ormai vicinissima e Drago Bludvist aveva alzato lo spadone per trafiggerla quando la freccia di freddo e oscurità, scagliata all’unisono dall’Uomo Nero e la Regina delle Nevi, lo colpì piantandoglisi al centro della schiena e strappandogli un urlo simile ad un latrato; una convulsione impressionante lo attraversò, gli occhi si sbarrarono al punto da uscire quasi dalle orbite e un fiotto di sangue gli scaturì dalla bocca mentre crollava pesantemente a terra, abbandonando la presa sull’arma e portandosi le mani alla punta della freccia che gli sporgeva dal petto. Il suo viso era divenuto livido e terreo come quello di un uomo assiderato, o prossimo a morire di paura.
Anna fermò il cavallo tirando le redini e contemplò sconvolta il corpo fremente del Signore del Nord, quindi sollevò lo sguardo su Elsa e sorrise, raggiante.
“Lo hai sconfitto!” esclamò: “Viva la Regina Elsa!”
Elsa, però, non faceva caso a lei. Non al momento, almeno. Aveva il viso sollevato verso Pitch, e quello di Pitch era abbassato verso il suo. Una delle mani dell’Uomo Nero ancora le indugiava sul fianco, ma non trovava nulla di sgradevole in quel contatto.
“Ci… ci siamo riusciti” bisbigliò, attonita: “Lo abbiamo battuto!”
Lui ghignò, scostandole i capelli dalla fronte, ormai pressoché liberi dal vincolo della treccia, ma aveva una luce particolarmente penetrante nelle iridi argentee: “Avevi dubbi, Maestà?”
Elsa non rispose, le guance scarlatte per la foga e il trionfo, il seno che s’alzava e s’abbassava affannosamente. Il suo contegno era volato via, da qualche parte, e francamente non le importava di recuperarlo.
“Era questo che avevo sempre cercato di dirti” proseguì l’Uomo Nero: “Noi siamo perfetti per stare insieme, Elsa! E non conta cosa facciamo, se difendiamo il tuo piccolo regno o annientiamo il regime dei Guardiani… nessuno può impedircelo! Elsa, abbiamo bisogno l’uno dell’altra!” fece una pausa e chinò leggermente il capo: “Io ho bisogno di te”.
Le labbra della regina tremarono: “Pitch, io…”
“Elsa, attenta!”
Aggrottò la fronte. Era… la voce di Anna, quella?
Dolore.
La invase completamente.
Ustionante.
Assoluto.
Inaspettato.
Il dolore dello spadone che un Drago Bludvist agonizzante ma ancora vivo le aveva conficcato nello stomaco, approfittando della sua distrazione e di quella di Pitch e producendo un ultimo, gracchiante riso invasato prima di accasciarsi, esanime e immobile.
Elsa sentiva e non sentiva la lama dentro la carne, più che altro tutto, all’improvviso, era divenuto doloroso, respirare, far battere il cuore, rimanere in piedi, pensare. Non era neppure troppo stupita.
Il ciclo si ripete… e si chiude.
Il volto affilato di Pitch parve trasfigurarsi completamente, diventare qualcosa di livido, stravolto, molto più spaventoso di quel che appariva prima, e la sua voce venne fuori come uno stridente, atroce ruggito che nessuno all’infuori di lei poté udire: “NO!”
C’era anche un grido… femminile. Anna.
Mi dispiace, Anna, mi dispiace…
Un attimo prima che le gambe le cedessero, si sentì afferrare dalle braccia di Pitch, di quel nuovo Pitch dal volto stravolto e dagli occhi pieni di qualcosa che assomigliava a dolore e a sgomento e ad una rabbia infinita – poteva l’Uomo Nero provare simili emozioni? – il quale se la portò al petto, come aveva fatto il giorno della morte dei suoi genitori, e s’inginocchiò, ripetendo in una cantilena ossessiva.
“No, no, NO!”
Elsa lo sentiva a malapena. Non sentiva, ad esempio, le grida del popolo di Arendelle, che non scorgeva l’Uomo Nero ma vedeva la propria regina cadere, eppure lui doveva aver usato la sua magia perché nessuno, nemmeno Anna, riusciva ad avvicinarsi quel tanto che bastava a toccarla. Voleva averla tutta per sé… per una volta, almeno, averla tutta per sé.
“No” ansimò, stringendola con forza, folle, esagitato, insensato: “No!”
“Pitch…” provò a sussurrare Elsa. Il potere era ancora dentro di lei, ma lo sentiva sgocciolare via, e per la prima volta in vita sua aveva freddo. Solo dalle braccia di Pitch emanava un minimo di calore. Il suo impalpabile abito azzurro era zuppo di sangue.
Lui le accarezzò convulsamente i capelli, sciogliendoli definitivamente dalla treccia, le fece una carezza tremante sul viso cereo, quindi levò al cielo, alla lontana luna piena, uno sguardo pieno di una animalesca e suprema disperazione.
“Falla diventare un Guardiano!” gridò a squarciagola: “Uomo della Luna, maledizione, falla diventare un Guardiano! Mi hai creato e non ti ho mai chiesto niente, non ho protestato neppure quando hai dato vita a quegli idioti e gli hai fatto guastare il mio regno con la meraviglia, i sogni e la speranza… ma adesso, per l’eterna oscurità, io esigo che tu la faccia diventare un Guardiano!”
Non accadde nulla. La luna se ne rimaneva appesa nel firmamento, emanando quel suo scintillio irraggiungibile e indifferente, e il sangue scivolava fuori da Elsa insieme alle sue percezioni del mondo esterno.
Forse è meglio così…
Ma Pitch non si arrendeva. Continuando a stringerla al petto con tutte le forze, la testa rovesciata all’indietro e gli occhi fissi sulla luna, ribadiva lo stesso, insensato messaggio.
“Falla diventare un Guardiano! Una compagna per me! È perfetta, non puoi negarlo! Gli altri sono insieme, badano l’uno all’altro, c’è bisogno di equilibrio! Falla diventare un Guardiano!”
“Pitch!” ripeté Elsa, con maggiore forza, e stavolta riuscì ad attirare su di sé l’attenzione dell’Uomo Nero.
“Elsa” sussurrò: “Elsa, non te ne andare! Lascia che lo convinca! Lui ha bisogno di te! Elsa, resisti! Non…”
Vuole il mio potere… o vuole me?
Persa in un mare di fredda nebbia che le si premeva addosso, la regina si lasciò andare e, con quella poca voce che le restava, sussurrò: “Pitch, baciami, ti prego”.
Lui la fissò, respirando appena, le pupille dilatate.
Poi si chinò e posò le sue gelide labbra su quelle altrettanto fredde di Elsa, e di nuovo quell’unione le parve perfetta, le parve giusta, e sorrise contro la bocca di Pitch, finalmente in pace con se stessa.
Ho salvato Arendelle. Ho trovato il Vero Amore.
Quando l’Uomo Nero interruppe il bacio, tra le sue braccia non c’era più una donna viva, ma una gelida, inanimata statua di purissimo e infrangibile ghiaccio.
La morte più appropriata per la Regina delle Nevi.
 
“Mio Signore?”
Nelle tenebre perpetue della dimora di Pitch Black, la voce dell’Incubo che aveva mandato in perlustrazione e che solo lui era in grado di capire – per tutti gli altri, i suoi erano semplici nitriti incomprensibili – arrivava in maniera soffusa, viaggiando attraverso gallerie pregne di oscurità e passaggi stretti e fetidi.
L’Uomo Nero, intento a contemplare l’impressionante monumento del globo terrestre che aveva davanti, un globo scuro, ombroso e pulsante come la sua stessa anima, parlò senza staccare gli occhi da esso: “Cosa?”
L’Incubo indugiava a qualche metro di distanza, sbuffando e picchiando nervosamente uno zoccolo sul terreno.
“Ho scoperto perché l’Uomo della Luna non ha trasformato la Regina Elsa in una Guardiana”.
Un tremito, uno solo, scosse il corpo di Pitch. La voce, tuttavia, non perse il proprio accento beffardo, per quanto fosse comparsa una nota forzata in essa: “Ebbene?”
“Ce n’è già un altro, un altro Guardiano, intendo, capace di manipolare il ghiaccio. Un ragazzino di nome Jack Frost”.
Le labbra pallide e sottili dell’Uomo Nero si contrassero, poi pronunciarono quel nome lentamente, viscidamente, rigirandoselo in bocca: “Jack Frost”.  
Gli occhi argentei brillavano di odio.
 
Angolo autrice: Hello everyone! Lo so, lo so, questa shot è un mezzo poema, e lo so, non è un granché… ma ce l’ho in mente da parecchio tempo e, shippando tantissimo Elsa/Pitch, oggi mi sono decisa a metterla su carta : ) mi odierete a morte per il finale… ma ero in vena di tragedie alla Titanic e… lo confesso… non mi dispiace come si è concluso il tutto :’) so che nel film Pitch mostra di nutrire interesse per Jack Frost e gli propone pure un’alleanza, ma mi piace pensare che in realtà dietro ci fosse tutta una storia di odio e di sete di vendetta e che volesse fregarlo alla grande… i miei consueti deliri insomma XD io comunque Elsa l’avrei vista perfetta come Guardiana coi poteri del ghiaccio e compagna di Pitch (nulla togliendo a Jack!).
Ora… per chi ha visto “Dragon Trainer 2”, riconoscerà sicuramente Drago Bludvist perché è il villain di quel film, che mi sono prestata da sola e che ho trasferito qui… eravamo già in tema di crossover, poi sia “Dragon Trainer” sia “Le cinque leggende” sono firmati Dreamworks, e inoltre mi occorreva un Signore del Nord pazzo, non troppo complicato di carattere e assetato di sangue e… beh, lui cascava a fagiolo :D peraltro, maledizione, ha portato alla morte di Stoik, quanto lo odio, e mi sembrava bastardo e perfetto per causare quella di Elsa! In questa shot non ha l’esercito dei draghi appresso, ha dei bruti – oddio un po’ sul genere Mance Rayder del Trono di Spade XD – ma possiede il mantello fatto con la loro pelle, che gli funge da super protezione.
Ah, e Corona è il regno di cui Rapunzel è principessa e futura regina – qui è diventata regina – che immaginavo alleato di Arendelle visto che lei e Eugene si vedono partecipare all’incoronazione di Elsa : )
Che dite, mi do all’ippica? O può andare? Pareri, critiche, consigli sono bene accettissimi qui, se qualcuno volesse farmi sapere cosa ne pensa, ne sarei davvero davvero felice!
Un bacione,
Sylphs

 
  
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