Desiderio di te
Un sottile spiraglio di
luce filtrava
dalla serranda non completamente abbassata.
Jellal
aprì gli occhi gradualmente,
stropicciandosi le palpebre con delicatezza e sbadigliando sonoramente.
Che ore erano? Ma,
soprattutto, che
cosa aveva fatto la sera prima?
Si mise a sedere,
le gambe ancora
nascoste dalle coperte, e provò a mettere a fuoco la stanza.
Si stiracchiò la
schiena e sbadigliò di nuovo, provando a ricordare cosa
fosse accaduto.
Poi lo sguardo gli
cadde alla sua
sinistra.
Accanto a lui,
profondamente
addormentata, giaceva Erza. Le lenzuola la coprivano dai reni in
giù e la
schiena, nuda e immacolata, era esposta all’aria. I capelli
erano sparsi
intorno a lei, come se avesse combattuto una feroce lotta; nel momento
in cui
fece quella considerazione, Jellal arrossì di colpo,
sorridendo però sotto i
baffi.
Effettivamente era
stata una nottata
movimentata. Prima erano andati a cena con Laxus e Mirajane –
anche quei due
non la contavano giusta a nessuno, da un periodo a quella parte
– poi erano
tornati a casa e… Be’, era successo quel che era
successo. Forse avevano
entrambi bevuto un po’ troppo rispetto al solito, ma non era
detto che la
passione che li aveva improvvisamente travolti fosse riconducibile
all’alcol. Anche
perché, come Jellal si disse mentalmente, non aveva bisogno
di certi espedienti
per essere attratto da Erza, per desiderarla e farla sua.
E con un pizzico di
imbarazzo pensò
che quella verità valesse anche per lei.
La
guardò per lunghi minuti, incerto
se accarezzarle o meno la schiena: temeva che in quel modo
l’avrebbe svegliata.
Si limitò allora ad abbassarsi su di lei e, scostata una
ciocca di capelli che
le ricadeva sul viso, le depositò un leggero bacio sulla
tempia. Poi si
ritrasse, pronto a cercare i vestiti che erano finiti negli angoli
più remoti
della stanza.
-Dove vai?-.
Sentì
una mano tiepida chiudersi
attorno al suo polso e fu costretto a girarsi: Erza si era svegliata,
ma aveva
ancora gli occhi impastati di sonno.
-Preparo la
colazione-, sussurrò lui.
-E poi vado a lavoro-.
-Ma è
sabato!-, sbuffò la ragazza.
-Rimani qui con me per altri cinque minuti…-,
cercò di tirarlo a sé.
-Farò
tardi-, disse pazientemente
Jellal. Poi gettò un’occhiata alla sveglia sul
comodino: -Sono già le sette e
alle nove devo incontrare Makarov per…-.
-E dai, mancano due
ore. Non saranno
cinque minuti di coccole a farti licenziare-, protestò
vivacemente Erza, che
adesso si era seduta e gli circondava le spalle con le braccia, facendo
aderire
il proprio petto alla sua schiena.
-Sei insaziabile-,
la prese in giro il
ragazzo, baciandola e accarezzandole una guancia. -Ma dovrai aspettare
che io
torni stasera-.
Si alzò,
recuperò da terra un paio di
pantaloni e scese in cucina, lasciando Erza a letto. Prese la
macchinetta per
il caffè dalla credenza e aspettò che il liquido
bollisse sul fuoco; nel
frattempo recuperò burro e marmellata dal frigorifero,
ponendo sul tavolo anche
latte freddo e fette biscottate.
-Vado a farmi una
doccia-, lo avvisò
Erza, affacciandosi sulla porta della cucina.
-Ma il
caffè è quasi pronto!-.
-Ci
metterò poco, non preoccuparti-.
Jellal la vide
sparire e sospirò.
Ritirò il caffè dal fornello e lo
versò in una tazzina, aggiungendo subito dopo
un cucchiaio e mezzo di zucchero: non credeva che ci fosse niente di
meglio per
iniziare la giornata con il piede giusto. Mangiò al volo tre
biscotti –
rigorosamente integrali; da quando Mira aveva consigliato a Erza di
comprare
quella tipologia, sul loro tavolo erano scomparsi tutti quelli con
gocce di
cioccolato – e poi bussò alla porta del bagno.
-Io vado-, disse
alla ragazza, che
evidentemente non era ancora uscita dalla doccia. -Ti ho lasciato il
caffè
nella macchinetta. Sbrigati o si raffredderà troppo!-.
Pur non ricevendo
risposta, Jellal
corse in camera da letto per prendere le ultime cose da portare in
Gilda. Mise
gli stivali ai piedi – fino a quel momento aveva tenuto delle
ridicole ciabatte
pelose che Laxus gli aveva regalato per il compleanno – e
aprì l’armadio per
recuperare il solito mantello blu.
Non lo vide subito.
Si affannò a
cercarlo per qualche minuto, trafficando tra grucce e altri vestiti
ordinatamente sistemati sui diversi ripiani interni del mobile. Ma
nulla: era
sparito.
Uscì
dalla stanza e gridò in direzione
del bagno: -Erza, hai visto il mio mantello?-.
Silenzio.
-Erza?-.
Ancora niente.
-Ma tu guarda se
non devo fare
tardi!-, esclamò, tornando in camera da letto e mettendo a
soqquadro l’armadio.
-Sono le sette e mezza e sarei già dovuto essere per
strada…-.
Sbirciò
perfino nei cassetti della
ragazza – “Da qualche parte dovrà pur
essere, no?” – e alla fine si arrese ad
indossare una giacca qualsiasi.
-C’è
qualche problema?-.
La voce di Erza,
alle sue spalle, lo
fece sobbalzare.
-Non trovo il mio
mantello-, disse a
denti stretti Jellal, tenendo ancora la testa dentro
all’armadio per verificare
un’ultima volta se fosse davvero sparito.
-Cercavi questo?-.
Riemerse da dietro
le ante del mobile
e si voltò verso di lei, rimanendo a bocca aperta.
Erza era appena
uscita dalla doccia.
Se ne stava appoggiata allo stipite della porta e lo fissava con una
luce
maliziosa negli occhi; il suo viso era leggermente arrossato a causa
dell’acqua
calda usata e i capelli bagnati le ricadevano elegantemente su una
spalla.
Ma ciò
che lo colpì fu il resto.
Perché
Erza non era avvolta da un
asciugamano, no.
-È…
Il mio
mantello?-,
chiese Jellal, sgranando gli occhi e sforzandosi
di non balbettare.
La ragazza
annuì in silenzio. Aveva
annodato il capo poco sopra il seno, lasciando scoperte le gambe da
metà coscia
in giù, e non proferì parola per godersi al
meglio l’espressione piacevolmente
sconvolta del giovane davanti a sé.
-Lo vuoi?-, gli
domandò, indicando la
stoffa umida che le aderiva perfettamente ai fianchi.
-M-mi serve-,
replicò lui con scarsa
convinzione.
-Allora vieni a
prendertelo-,
bisbigliò lei, passandogli accanto e facendo il giro del
letto, su cui si
lasciò cadere un attimo dopo.
-Erza, ti
prego…-, la supplicò Jellal,
congiungendo le mani e scuotendole appena.
-Devi desiderarlo
davvero tanto per
comportarti così-, gli fece notare la ragazza, facendo
scivolare una mano lungo
il fianco sinistro. -Ma non abbastanza, se non l’hai ancora
recuperato-.
-Devo uscire-,
provò a rimanere
impassibile lui – come se fosse stato possibile.
-Nessuno ti sta
trattenendo, sai?-.
Il tono
dannatamente sensuale che Erza
stava adottando lo trascinava sempre più in un baratro in
cui avrebbe finito
per cadere. Si disse di dover resistere, di non farsi tentare da quelle
parole.
-Infatti me ne sto
andando-, provò a
replicare.
-Sei ancora
lì?-.
Jellal odiava quel
modo di fare. E lo
odiava perché sapeva che alla fine avrebbe ceduto al
desiderio che stava
crescendo in lui di secondo in secondo.
-Dammi il
mantello-, scandì per
l’ultima volta.
-Prenditelo da
solo-.
Erza gli rivolse
una di quelle
occhiate che normalmente sfoderava nei momenti più bollenti
della serata;
sollevò un sopracciglio e batté languidamente le
palpebre, distendendo le
labbra in un sorriso inequivocabile. Dal canto suo, Jellal
fissò per un istante
la sveglia, arrotolò le maniche ancora sbottonate della
camicia e poi, inspirando
profondamente, le disse: -L’hai voluto tu-.
Si
lanciò sul letto con un balzo,
affiancando la ragazza e scansando le lenzuola sotto cui era tornata a
rifugiarsi, poi l’abbracciò e inspirò
il profumo dolciastro dello shampoo con
cui aveva lavato i lunghi capelli scarlatti.
-Visto? Non costava
molto coccolarsi
ancora un po’-, gli sussurrò lei sulle labbra
subito prima di baciarlo.
-Ah,
perché a questo punto credi che
ti lascerò andare tanto facilmente?-, le fece notare il
ragazzo.
-Ma non
è tardi?-, lo prese in giro
imitando il suo tono di voce.
-Farai bene ad
inventare una scusa con
cui giustificarmi davanti a Makarov, perché non ho nessuna
intenzione di dirgli
in che
modo mi
hai trattenuto-.
La strinse di
più a sé e intrufolò una
mano sotto il mantello, solleticando la sua pelle ancora umida. Erza
mugolò
parole che Jellal non si curò di capire, tanto era forte il
desiderio che ormai
si era impadronito di ogni fibra del suo essere. E insieme si sciolsero
in
quella passione che li travolgeva ogni volta che si trovavano fianco a
fianco,
ogni volta che i loro occhi si incontravano.
Quando il ragazzo
si presentò in Gilda
con un’ora e mezza di ritardo, Makarov fece finta di non
notare i capelli ancor
più scompigliati del solito e la macchiolina rossastra che
faceva capolino dal
colletto alzato della giacca, così come preferì
non indagare sul perché
indossasse un mantello bagnato fradicio. Il Master si limitò
a sospirare e ad
affidargli una missione particolarmente impegnativa.
-Mi raccomando-,
gli disse prima di
congedarlo, -devi sbrigarla entro stasera. Non vorrai farti desiderare
troppo a
casa, vero?-.
Jellal non
capì mai dove si fosse
rintanato il suo cuore all’ascoltare quelle parole.
L’unica cosa che ricordò
con notevole imbarazzo fu la sensazione di rossore che di colpo gli
aveva
infiammato il viso, costringendolo a salutare in fretta Makarov e a
distogliere
i pensieri dal corpo caldo e sinuoso che aveva stretto tra le braccia
fino a
qualche momento prima.
Si ripromise che
avrebbe fatto pagare
a Erza quella figuraccia. E nell’escogitare il piano si
lasciò sfuggire un
sorrisetto malizioso che nessuno, vedendolo, avrebbe potuto
fraintendere.