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Autore: Amor31    02/11/2014    1 recensioni
Jellal è in ritardo e sta facendo di tutto per arrivare in orario alla riunione con Makarov.
Il problema è che Erza ha un programma diverso per lui...
- Jerza Love Fest - Primo giorno -
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erza Scarlet, Gerard, Makarov
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Desiderio di te

 

Un sottile spiraglio di luce filtrava dalla serranda non completamente abbassata.
Jellal aprì gli occhi gradualmente, stropicciandosi le palpebre con delicatezza e sbadigliando sonoramente.
Che ore erano? Ma, soprattutto, che cosa aveva fatto la sera prima?
Si mise a sedere, le gambe ancora nascoste dalle coperte, e provò a mettere a fuoco la stanza. Si stiracchiò la schiena e sbadigliò di nuovo, provando a ricordare cosa fosse accaduto.
Poi lo sguardo gli cadde alla sua sinistra.
Accanto a lui, profondamente addormentata, giaceva Erza. Le lenzuola la coprivano dai reni in giù e la schiena, nuda e immacolata, era esposta all’aria. I capelli erano sparsi intorno a lei, come se avesse combattuto una feroce lotta; nel momento in cui fece quella considerazione, Jellal arrossì di colpo, sorridendo però sotto i baffi.
Effettivamente era stata una nottata movimentata. Prima erano andati a cena con Laxus e Mirajane – anche quei due non la contavano giusta a nessuno, da un periodo a quella parte – poi erano tornati a casa e… Be’, era successo quel che era successo. Forse avevano entrambi bevuto un po’ troppo rispetto al solito, ma non era detto che la passione che li aveva improvvisamente travolti fosse riconducibile all’alcol. Anche perché, come Jellal si disse mentalmente, non aveva bisogno di certi espedienti per essere attratto da Erza, per desiderarla e farla sua.
E con un pizzico di imbarazzo pensò che quella verità valesse anche per lei.
La guardò per lunghi minuti, incerto se accarezzarle o meno la schiena: temeva che in quel modo l’avrebbe svegliata. Si limitò allora ad abbassarsi su di lei e, scostata una ciocca di capelli che le ricadeva sul viso, le depositò un leggero bacio sulla tempia. Poi si ritrasse, pronto a cercare i vestiti che erano finiti negli angoli più remoti della stanza.
-Dove vai?-.
Sentì una mano tiepida chiudersi attorno al suo polso e fu costretto a girarsi: Erza si era svegliata, ma aveva ancora gli occhi impastati di sonno.
-Preparo la colazione-, sussurrò lui. -E poi vado a lavoro-.
-Ma è sabato!-, sbuffò la ragazza. -Rimani qui con me per altri cinque minuti…-, cercò di tirarlo a sé.
-Farò tardi-, disse pazientemente Jellal. Poi gettò un’occhiata alla sveglia sul comodino: -Sono già le sette e alle nove devo incontrare Makarov per…-.
-E dai, mancano due ore. Non saranno cinque minuti di coccole a farti licenziare-, protestò vivacemente Erza, che adesso si era seduta e gli circondava le spalle con le braccia, facendo aderire il proprio petto alla sua schiena.
-Sei insaziabile-, la prese in giro il ragazzo, baciandola e accarezzandole una guancia. -Ma dovrai aspettare che io torni stasera-.
Si alzò, recuperò da terra un paio di pantaloni e scese in cucina, lasciando Erza a letto. Prese la macchinetta per il caffè dalla credenza e aspettò che il liquido bollisse sul fuoco; nel frattempo recuperò burro e marmellata dal frigorifero, ponendo sul tavolo anche latte freddo e fette biscottate.
-Vado a farmi una doccia-, lo avvisò Erza, affacciandosi sulla porta della cucina.
-Ma il caffè è quasi pronto!-.
-Ci metterò poco, non preoccuparti-.
Jellal la vide sparire e sospirò. Ritirò il caffè dal fornello e lo versò in una tazzina, aggiungendo subito dopo un cucchiaio e mezzo di zucchero: non credeva che ci fosse niente di meglio per iniziare la giornata con il piede giusto. Mangiò al volo tre biscotti – rigorosamente integrali; da quando Mira aveva consigliato a Erza di comprare quella tipologia, sul loro tavolo erano scomparsi tutti quelli con gocce di cioccolato – e poi bussò alla porta del bagno.
-Io vado-, disse alla ragazza, che evidentemente non era ancora uscita dalla doccia. -Ti ho lasciato il caffè nella macchinetta. Sbrigati o si raffredderà troppo!-.
Pur non ricevendo risposta, Jellal corse in camera da letto per prendere le ultime cose da portare in Gilda. Mise gli stivali ai piedi – fino a quel momento aveva tenuto delle ridicole ciabatte pelose che Laxus gli aveva regalato per il compleanno – e aprì l’armadio per recuperare il solito mantello blu.
Non lo vide subito. Si affannò a cercarlo per qualche minuto, trafficando tra grucce e altri vestiti ordinatamente sistemati sui diversi ripiani interni del mobile. Ma nulla: era sparito.
Uscì dalla stanza e gridò in direzione del bagno: -Erza, hai visto il mio mantello?-.
Silenzio.
-Erza?-.
Ancora niente.
-Ma tu guarda se non devo fare tardi!-, esclamò, tornando in camera da letto e mettendo a soqquadro l’armadio. -Sono le sette e mezza e sarei già dovuto essere per strada…-.
Sbirciò perfino nei cassetti della ragazza – “Da qualche parte dovrà pur essere, no?” – e alla fine si arrese ad indossare una giacca qualsiasi.
-C’è qualche problema?-.
La voce di Erza, alle sue spalle, lo fece sobbalzare.
-Non trovo il mio mantello-, disse a denti stretti Jellal, tenendo ancora la testa dentro all’armadio per verificare un’ultima volta se fosse davvero sparito.
-Cercavi questo?-.
Riemerse da dietro le ante del mobile e si voltò verso di lei, rimanendo a bocca aperta.
Erza era appena uscita dalla doccia. Se ne stava appoggiata allo stipite della porta e lo fissava con una luce maliziosa negli occhi; il suo viso era leggermente arrossato a causa dell’acqua calda usata e i capelli bagnati le ricadevano elegantemente su una spalla.
Ma ciò che lo colpì fu il resto.
Perché Erza non era avvolta da un asciugamano, no.
-È… Il mio mantello?-, chiese Jellal, sgranando gli occhi e sforzandosi di non balbettare.
La ragazza annuì in silenzio. Aveva annodato il capo poco sopra il seno, lasciando scoperte le gambe da metà coscia in giù, e non proferì parola per godersi al meglio l’espressione piacevolmente sconvolta del giovane davanti a sé.
-Lo vuoi?-, gli domandò, indicando la stoffa umida che le aderiva perfettamente ai fianchi.
-M-mi serve-, replicò lui con scarsa convinzione.
-Allora vieni a prendertelo-, bisbigliò lei, passandogli accanto e facendo il giro del letto, su cui si lasciò cadere un attimo dopo.
-Erza, ti prego…-, la supplicò Jellal, congiungendo le mani e scuotendole appena.
-Devi desiderarlo davvero tanto per comportarti così-, gli fece notare la ragazza, facendo scivolare una mano lungo il fianco sinistro. -Ma non abbastanza, se non l’hai ancora recuperato-.
-Devo uscire-, provò a rimanere impassibile lui – come se fosse stato possibile.
-Nessuno ti sta trattenendo, sai?-.
Il tono dannatamente sensuale che Erza stava adottando lo trascinava sempre più in un baratro in cui avrebbe finito per cadere. Si disse di dover resistere, di non farsi tentare da quelle parole.
-Infatti me ne sto andando-, provò a replicare.
-Sei ancora lì?-.
Jellal odiava quel modo di fare. E lo odiava perché sapeva che alla fine avrebbe ceduto al desiderio che stava crescendo in lui di secondo in secondo.
-Dammi il mantello-, scandì per l’ultima volta.
-Prenditelo da solo-.
Erza gli rivolse una di quelle occhiate che normalmente sfoderava nei momenti più bollenti della serata; sollevò un sopracciglio e batté languidamente le palpebre, distendendo le labbra in un sorriso inequivocabile. Dal canto suo, Jellal fissò per un istante la sveglia, arrotolò le maniche ancora sbottonate della camicia e poi, inspirando profondamente, le disse: -L’hai voluto tu-.
Si lanciò sul letto con un balzo, affiancando la ragazza e scansando le lenzuola sotto cui era tornata a rifugiarsi, poi l’abbracciò e inspirò il profumo dolciastro dello shampoo con cui aveva lavato i lunghi capelli scarlatti.
-Visto? Non costava molto coccolarsi ancora un po’-, gli sussurrò lei sulle labbra subito prima di baciarlo.
-Ah, perché a questo punto credi che ti lascerò andare tanto facilmente?-, le fece notare il ragazzo.
-Ma non è tardi?-, lo prese in giro imitando il suo tono di voce.
-Farai bene ad inventare una scusa con cui giustificarmi davanti a Makarov, perché non ho nessuna intenzione di dirgli in che modo mi hai trattenuto-.
La strinse di più a sé e intrufolò una mano sotto il mantello, solleticando la sua pelle ancora umida. Erza mugolò parole che Jellal non si curò di capire, tanto era forte il desiderio che ormai si era impadronito di ogni fibra del suo essere. E insieme si sciolsero in quella passione che li travolgeva ogni volta che si trovavano fianco a fianco, ogni volta che i loro occhi si incontravano.
Quando il ragazzo si presentò in Gilda con un’ora e mezza di ritardo, Makarov fece finta di non notare i capelli ancor più scompigliati del solito e la macchiolina rossastra che faceva capolino dal colletto alzato della giacca, così come preferì non indagare sul perché indossasse un mantello bagnato fradicio. Il Master si limitò a sospirare e ad affidargli una missione particolarmente impegnativa.
-Mi raccomando-, gli disse prima di congedarlo, -devi sbrigarla entro stasera. Non vorrai farti desiderare troppo a casa, vero?-.
Jellal non capì mai dove si fosse rintanato il suo cuore all’ascoltare quelle parole. L’unica cosa che ricordò con notevole imbarazzo fu la sensazione di rossore che di colpo gli aveva infiammato il viso, costringendolo a salutare in fretta Makarov e a distogliere i pensieri dal corpo caldo e sinuoso che aveva stretto tra le braccia fino a qualche momento prima.
Si ripromise che avrebbe fatto pagare a Erza quella figuraccia. E nell’escogitare il piano si lasciò sfuggire un sorrisetto malizioso che nessuno, vedendolo, avrebbe potuto fraintendere.

 

   
 
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