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Autore: xingchan    03/11/2014    4 recensioni
“Aspettò che le foglie infuse rilasciassero il loro aroma, e nel mentre si avvicinò alla finestra per affacciarvisi, ancora una volta. E quel che vide era così bello che la sua meraviglia fu nuova, eppure la stessa di sempre, immaginando cosa ci fosse ancora più in là: con le acque del Brandivino che rilucevano al sole caldo e vivificatore, i campi coltivati con le sue delizie, i giardini fioriti delimitati da alberelli da frutto, la Contea sembrava essere in grado di guarire anche la più infausta delle malattie.”
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bilbo, Frodo, Rosie Cotton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Concerning hobbits'
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13 Marzo 1394 , secondo il Calendario della Contea.
 

 
“Signor Bilbo, ci racconti del drago Smaug!”
La squillante vocina di Pervinca Tuc arrivò fin dentro casa Baggins, mentre Frodo preparava sapientemente il tè a tutti i bambini che stavano sostando davanti all’ingresso in attesa di una nuova narrazione di Bilbo.
Di tutte le faccende in cui aiutava il vecchio Baggins, quella certamente era la più piacevole. Accogliere in quel modo così caloroso i loro piccoli visitatori per lui era come ritornare al tempo in cui Bilbo lo aveva adottato, quel lontano dì di cinque anni prima. La prima cosa che gli preparò, per consolarlo, fu proprio una tazza di tè, accompagnata da tre pan di spagna e tanta marmellata alle amarene.
E mentre mangiava, guardava fuori, oltre la finestra tonda, ansioso di conoscere Hobbiville da cima a fondo, seppur con una punta di timore.
Aspettò che le foglie infuse rilasciassero il loro aroma, e nel mentre si avvicinò alla finestra per affacciarvisi, ancora una volta. E quel che vide era così bello che la sua meraviglia fu nuova, eppure la stessa di sempre, immaginando cosa ci fosse ancora più in là: con le acque del Brandivino che rilucevano al sole caldo e vivificatore, i campi coltivati con le sue delizie, i giardini fioriti delimitati da alberelli da frutto, la Contea sembrava essere in grado di guarire anche la più infausta delle malattie.
Nel cuore di ogni Mezzuomo c’era quel dolce quanto antico amore per lei e le sue verdissime terre, e Frodo non faceva eccezione.
E se mai avesse dovuto partire, sarebbe sempre tornato al suo buco hobbit sotto il colle. Perché mai una cosa fu sentita come tale per lui, dalla morte dei suoi genitori. E mai ci sarebbe stato posto migliore per lui, se non nella Contea.
Mai cosa fu più dolce della consapevolezza di vivere e morire lì nella completa beatitudine della vita campestre, per quanto l’avidità dei Sackville-Baggins potesse permetterlo.
“Frodo! Frodo!”
Il richiamo di Bilbo lo riscosse, ed accantonò subito le sue riflessioni per porre tutto il preparato con biscotti su di un vassoio ed uscire.
I bambini esultarono quando lo videro accovacciarsi davanti a loro, carico di cibo. E quando finirono di mangiare, Bilbo intimò loro di ritornare alle proprie case, altrimenti i loro genitori avrebbero sicuramente dato la colpa a lui per il ritardo dei loro figli.
“E saranno guai anche per me!” confessò ironico. “C’è dell’altro tè?” chiese poi, entrando finalmente a casa.
“No, il tè è finito. Te ne preparo ancora dell’altro se vuoi!”
“Sì! Grazie figliolo!”
“Ah, dimenticavo: sono passati i Sackville-Baggins e ti hanno lasciato questa lettera.” disse il giovane mentre lo vide sedersi al tavolo.
Gliela porse così da permettergli di leggerla, ed il viso dello zio, invece di crucciarsi (e di leggerla), assunse un’espressione divertita.
“Le solite minacce!” disse stracciandola. “Sono ancora increduli che sia arrivato a quest’età!” asserì il vecchio Hobbit con noncuranza. “Ancora non si sono arresi all’evidenza del mio ritorno, e ci stanno facendo i conti ora più che mai.”
“Non ne erano sicuri, penso.”
“C’era gente che qui a Hobbiville mi dava praticamente per spacciato,” replicò Bilbo “ma come vedi sono ancora qui!”
Frodo sorrise a quella semplice constatazione, e pensò a cosa aveva comportato per lui avere Bilbo ancora nella Contea. Se lui non ci fosse stato, non avrebbe neanche avuto la possibilità di vivere ancora come in una famiglia.
“A proposito, come va con il tuo libro?” chiese Frodo.
“Sono bloccato;” ammise lo zio “raccontare degli elfi è molto più arduo di quello che mi aspettavo. Ma su una cosa sono assolutamente certo: sarai il primo a leggerlo, ragazzo mio!”
“Sul serio?”
Il viso di Frodo s’illuminò di una raggiante felicità, e d’un tratto si scoprì letteralmente impaziente di impossessarsene per poter divorarlo; tuttavia l’anziano dovette bloccare la sua esplosione di euforia.
“Sì sì, ma ora calmati. Sembra che il mondo di fuori ti appaia più eccitante della Contea.”
“No, ma cosa dici? Io amo la Contea e...”
Io amo la Contea? È la cosa più bella che uno Hobbit potesse mai dire, Frodo. Benché tutti gli Hobbit nel profondo del loro cuore la amino, non ho mai sentito nessuno asserirlo con così tanta naturalezza e convinzione.”
Frodo annuì pensoso. “È l’unica, Bilbo.” rincarò, volgendo gli occhi alla finestra.
E Bilbo comprese, che il suo nipote ed erede non l’avrebbe mai lasciata di sua spontanea volontà, e di certo, tanto meno per seguirlo.
 

 
***
 
 
13 Marzo 1421, secondo il Calendario della Contea.
 

Per Frodo, quella era stata la crisi più violenta di tutte.
Le fitte erano tali da mozzargli il già fiacco respiro, non consentendogli di avere neppure un attimo di tregua. Non si era neanche reso conto che i suoi capelli erano ormai pregni di sudore, quando, al contrario, sentiva brividi di freddo attraversargli tutta la colonna vertebrale fino a sfociare nello squarcio avvelenato.
Sembrava che il dolore della ferita velenosa di Shelob quel giorno avesse deciso di intensificarsi, tanto che neppure quel rametto di athelas era servito granché.
E così aveva preferito nasconderlo, soprattutto a Sam, poiché non avrebbe dovuto affaccendarsi per lui quando c’erano questioni più urgenti a cui dover andare incontro.
Povero Sam.
Aveva già molto da fare nel prendersi cura di Rosie alla sua prima gravidanza, e vedere che si preoccupasse per lui rendeva Frodo estremamente colpevole. Sam era più o meno consapevole che non c’era cura per il suo signore, ma non mancava mai di cercare una soluzione anche quando la situazione si faceva disperata al punto da rinunciarci.
Ecco perché Frodo non aveva intenzione di farsi scoprire sofferente.
Estraniarsi dal mondo circostante lo aiutava a pensare meno a quanti problemi stava arrecando a se stesso ed alla neonata famiglia del suo amico, e non era raro che lo si vedesse addossato ad un albero con il naso immerso in  qualche libro. Lo avrebbe fatto or ora, se fosse stato in grado di alzarsi dal suo giaciglio.
Si sentiva di disturbo, e di giorno in giorno lo turbava il pensiero che in qualche modo era di troppo lì, nella sua casa, e che non appartenesse più a quei luoghi.
Non come prima.
Una volta ritornato nella Contea, si era sentito profondamente a disagio. Neanche la vicinanza dei suoi amici era riuscito a rendere la sua nuova vita simile a quella di prima.
Tutto era diventato pericolosamente instabile per lui, la gaiezza di un tempo sostituita dalla sofferenza fisica delle ferite subite e dalla costante presenza dell’Anello nella sua testa, in grado di far ritornare a galla la sua più turbe abiezione.
In molte occasioni gli capitava di sentirsi incredibilmente bene, le ombre del Male piacevolmente dissipate, proprio come accadde quel venticinque di Marzo in cui riuscì a distruggere l’Anello del Potere.
Ma in quel giorno, quando quella sensazione reale, tangibile, fatta di gelo che gli penetrava nella pelle si presentava, come un impietoso promemoria, gli sembrava di essere sistematicamente sull’orlo di un baratro colmo di dolore e pazzia, dove la comune luce del giorno si trasformava inevitabilmente in una notte crudelmente destinata solo a lui.
Non c’era possibilità di scampo né tregua, tanto meno uno spiraglio su cui riporre le sue più flebili speranze. Doveva soltanto sperare che quel giorno scorresse via celermente, e che il dolore fisico scomparisse fino a scemare del tutto.
Almeno, fino all’anniversario successivo.
Senza contare quella ferita subita sulle Colline Vento, ch’era per lui ben lungi dall’essere meno dolorosa.
Il ricordo gli riempì il cuore di rinnovata paura, e ciò lo fece rannicchiare come un riccio sofferente nel letto su cui dormiva, lo stesso che una volta era appartenuto a Bilbo. La stanza che occupava da ragazzo l’aveva messa volentieri a disposizione per il bambino o la bambina di Sam, e lui aveva occupato quella dello zio.
In quegli ultimi tempi si soffermava spesso a pensare a Bilbo.
Gli mancava terribilmente, ed avrebbe voluto che fosse al suo fianco a consolarlo con quel suo tipico modo semplice e talvolta impacciato che in un modo o nell’altro lo faceva sorridere.
Anche il solo abbracciarlo per un istante lo avrebbe fatto stare meglio.
Per molte ore in casa si sentiva solo il fuoco ardente scoppiettare nel caminetto, ma all’improvviso Rosa andò da lui per controllare come stesse. E quando scoprì che stava terribilmente male, amorevolmente tentò di abbassargli la febbre con un panno umido, gesti per cui Frodo si rammaricava di non riuscire a ringraziare.
Lui non doveva neanche essere ancora lì con loro.
“Sam sarà qui a momenti, signor Frodo!” disse Rosa per tentare di rasserenarlo.
“Sam non può far niente, Rosie. Non voglio che si preoccupi quando non c’è più rimedio. Non dirgli nulla.”
La donna l’osservò con aria interrogativa, non capendo.
“Perché?”
“Perché non avrò più occasioni di guarire, non qui. Fin da quando sono tornato ho avvertito qualcosa di strano, come un disagio... E questo” disse posando sullo squarcio una mano chiusa a pugno contenente la pietra bianca che soleva portare “non fa che ricordarmelo. Un giorno, non sarò più un Hobbit della Contea, Rosie.”
Rosie gli prese la mano con la speranza di infondergli serenità, e lo guardò bene, gli occhi colmi di lacrime non ancora libere.
Era stanco, provato come non lo aveva mai visto.
Quello Hobbit gioviale e sveglio di una volta, che numerose volte le aveva chiesto boccali di birra per sé ed i suoi amici al bancone del Drago Verde e permesso di raccogliere qualche fiore dal suo giardino a dispetto delle occhiate affrante e di protesta di Sam, non c’era più.
Quel Frodo Baggins che aveva davanti a sé era null’altro che un’ombra, un pallido riflesso di uno specchio che si stava pian piano opacizzando, annullando ciò ch’era in precedenza.
Frodo ebbe un altro spasmo, e istintivamente strinse la mano offertagli dalla Hobbit. Lacrime scesero sulle sue guance, mentre piano il dolore ancora una volta sembrò attenuarsi.
Si sentiva completamente esausto, e nonostante non volesse uscire dai confini dell’amata Contea, non voleva neanche scartare la proposta di Gandalf. Perché per quanto riuscisse a resistere, non poteva andare avanti in quel modo, desiderando ardentemente la morte come l’unica strada percorribile.
E fu in quel preciso momento che si rese conto che amare la propria terra non basta, non quando non si riesce a lenire le proprie ferite. La Contea non era più in grado di mitigare la sua sofferenza, perché questa era maggiore di qualsiasi amore una creatura potesse mai provare.
Amava la Contea, ma non era più il luogo per lui.
Ma sarebbe stata sempre la sua casa, dov’era nato e vissuto, il luogo dove lui e Bilbo s’incontrarono, e trovarono l’uno la propria vera famiglia nell’altro.
Chiese di esser lasciato solo, mentre le tenebre calavano su Hobbiville e Sam era di ritorno.
Avrebbe voluto arrivare allo scrittoio, a continuare la storia del Libro Rosso, ma si disse che per quel giorno non ne avrebbe avute le forze; certo, comunque, che avrebbe scritto interamente la sua parte nella storia.
Prima di andare.
 
 
 
 
NDA
 
Nel caso non ve lo ricordiate, Pervinca Tuc è una delle sorelle maggiori di Peregrino.
Nel libro Sam non sa molto di queste scariche di dolore ad ogni anniversario, ma ho pensato che stando con i novelli sposi qualcuno avrebbe dovuto accorgersene (e da qui parte Rosie).
Avevo voglia di scrivere una scemata e l’ho fatto! xD
Passo e chiudo.

 
   
 
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