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Autore: Glitch_    03/11/2014    7 recensioni
[Sterek Maleficent!AU]
C’è Derek che per vendicare la sua famiglia e proteggere quel che resta della sua terra chiede aiuto a Madre Luna per diventare uno stregone oltre che un lupo, e poi c’è Stiles, coinvolto nei piani di Derek di riflesso.
Derek adesso vorrebbe solo poter riformulare il suo maleficio, o che il vero amore esistesse davvero…
Genere: Commedia, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Kate Argent, Malia Hale, Stiles Stilinski
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NB dopo questa manca solo la terza e ultima parte, che però devo ancora iniziare a scrivere.




Seconda Parte




Sul finire del primo anno dopo il maleficio, intorno al castello della regina Kate cominciarono a vedersi i primi cambiamenti; la sovrana aveva fatto piantare intorno al perimetro della cittadella dei giovani alberi di sorbo, di una specie antica e rara capace di bloccare il passaggio di qualsiasi creatura non umana, e con l’aiuto di altri stregoni della tribù del sud-est li aveva fatti crescere e prosperare nel giro di pochi mesi.

In piedi sul ramo di una vecchia quercia nelle vicinanze, Derek e Malia osservavano l’operato della regina.

Malia incrociò le braccia al petto, assottigliando lo sguardo e fissando pensosa i sorbi. «Però io da rapace riesco ad atterrare su quei rami…» osservò.

«Tu non sei una creatura sovrannaturale, né un’umana» le spiegò Derek, considerando dall’alto della quercia le possibili vie per il castello, «quindi quegli alberi non hanno alcun effetto su di te». Inarcò il sopracciglio con aria furba. «È un dettaglio che potrebbe rivelarsi utile, un giorno».

«Hai intenzione di marciare fin dentro il palazzo?»

Le rispose sprezzante. «Non avrò riposo fino a quando non avrò dimostrato a Kate che non sono un suo trofeo e chi è il mostro fra me e lei». Schioccò le dita e lui e Malia saltarono giù dalla quercia atterrando entrambi su quattro zampe; ritornarono alla Brughiera, ma non prima di aver spaventato e morso dei soldati di Kate accampati alla muraglia di rovi neri.



Stiles aveva compiuto nove anni festeggiato da quelli che ormai chiamava zii – Deaton, Morrell e Braeden – e con una torta preparata da Braeden, anche se l’aveva fatta impazzire più volte mentre raccoglievano per il bosco i frutti selvatici necessari per farla.

Da quel che aveva sentito Malia stando appollaiata come un normale corvo vicino alla casetta, Stiles non sapeva nulla del maleficio: i soldati di Kate l’avevano portato via dal suo papà di notte e con prepotenza, lasciando l’uomo indietro alle loro spalle a chiedere spiegazioni e aiuto. Al bambino era stato solo detto che era lì perché per salvare la principessina da un grave pericolo tutti i bambini nati il suo stesso giorno dovevano stare lontani dal regno. Nonostante le pressanti domande di Stiles, gli stregoni non gli avevano mai raccontato di che grave pericolo si trattasse, né per quanto tempo ancora dovesse restare nascosto e senza alcun contatto col padre.

Forse, conoscendo Stiles e il suo modo di essere dispettoso e malizioso quando voleva, era per via di tutti questi misteri che non rivelava agli zii degli strani incontri che faceva nel bosco con un coyote e con un lupo, né parlava mai con loro dei doni che la sera riceva da parte di un falco stranamente notturno. Doveva essere una sorta di piccola vendetta nei confronti degli zii, un’altra delle sue monellerie consapevoli con cui esasperarli.

Nel frattempo, Stiles era riuscito nell’impresa di diventare il terrore di tutti gli animali della foresta: quando il bambino s’inoltrava fra gli alberi in cerca di un esserino da acchiappare per costringerlo a farlo diventare il suo compagno di giochi a suon di chiacchiere, tutte le creature scappavano e cercavano alla meglio di evitarlo. Questo però non demoralizzava Stiles, che anzi prendeva tutto come una sfida.

Spesso, quando Stiles correva – e inciampava – fra un albero e l’altro per rincorrere gli scoiattoli sui rami, Malia gli stava alle calcagna col suo aspetto da coyote, latrando ai piccoli roditori e provando a non farsi stringere la coda dalle manine di Stiles.

Derek li osserva stando nascosto nelle vicinanze, sentendosi stringere il cuore tutte le volte che Stiles chiedeva al coyote «Per caso conosci un lupo nero grande e grosso? Sai se passerà di qui di nuovo? E quando?»

Stiles era troppo curioso, e ciò poteva non essere un bene. Tuttavia, Derek continuava a mandargli tramite Malia dei regali mangerecci tutte le notti.



Col passare delle stagioni, fu sempre più chiaro che la parte del maleficio secondo cui la vittima sarebbe cresciuta "in grazia e bellezza, e amata da tutti quelli che avrebbero fatto la sua conoscenza" era rimasta alla principessina e non si era riflessa su Stiles: a parte il fatto che gli animali che lo conoscevano invece che amarlo scappavano alla sua vista, il bambino – adesso ragazzino – non stava per niente crescendo aggraziato.

Stiles inciampava su qualsiasi superficie e su qualsiasi oggetto presente sulla sua via, per non parlare delle volte in cui, mentre gesticolava, colpiva in pieno in maniera erronea cose o persone. Non era raro che Malia da coyote fosse costretta ad afferrarlo con i denti per una manica per non farlo cadere, o che Derek – sempre nascosto da qualche parte – dovesse schioccare le dita per fargli schivare all’ultimo secondo un oggetto pericoloso o contundente. A suo modo, però, quel ragazzino riempiva le loro giornate.

C’era da aggiungere che non di rado Derek si ritrovava quasi a sperare che anche il resto del maleficio non si fosse riflesso su Stiles, visto che non era ancora detto che l’operato dei tre stregoni fosse andato del tutto a buon fine. Forse, per i suoi sedici anni, non sarebbe caduto in un sonno eterno.

Quando Derek compì ventun anni, fissò malinconico il proprio riflesso su uno dei laghetti della Brughiera e decise di lasciar perdere la barba che ormai gli cresceva sempre più sul viso: suo padre e suo zio erano morti ancor prima di dargli consigli su come radersi o prenderlo in giro per la sua peluria folta – anche se questo forse l’avrebbero fatto più che altro le sue sorelle – ed era stanco di indugiare in cose che gli facevano sentire la mancanza di voci familiari o di voci di suoi simili.

«Non ti sta poi così male» commentò Malia, atona e inespressiva come al solito, «anzi adesso sembri davvero un vecchio capobranco della tua età».

Lui inarcò un sopracciglio. «Per la mia specie, ventun anni sono pochi, non è esser vecchio».

«Ah. Beh, sembri comunque più un capobranco».

Peccato che non avesse neanche un beta. Schiaffò piano la mano sulla superficie dell’acqua e andò a controllare in che modo quel giorno i soldati di Kate avrebbero provato a distruggere la muraglia di rovi.

Esalò una mezza imprecazione quando vide che lì c’era anche Stiles, intento a fissare il muro con aria concentrata e pensosa.

Malia sorrise e fece per andargli incontro. «Spuntino!» Derek l’afferrò per la collottola e la tirò indietro.

«Ssssh!» l’ammonì. «Hai il tuo aspetto umano, e poi ci sono dei soldati!»

Lei s’imbronciò e fissò male gli uomini dell’esercito, colpevoli di non permetterle di farla giocare con Stiles.

Stiles, da parte sua, sembrava perso nelle proprie riflessioni e ignaro della presenza di altre persone.

Adesso aveva quattordici anni e indossava sempre un mantello rosso che gli aveva cucito Morrell. Deaton gli prestava spesso dei libri sulle creature magiche, forse per attirare la sua attenzione e tenerlo occupato – così non si sarebbe cacciato in altri guai – ma stava ottenendo l’effetto contrario, considerando come la curiosità di Stiles verso la Brughiera stava aumentando giorno dopo giorno.

Stiles, negli ultimi mesi, seduto ai piedi di un albero e con un grande libro in grembo, aveva intrapreso più volte con Malia delle lunghe discussioni a senso unico su quante creature strane ci dovessero essere oltre la muraglia di rovi, e su quanto sarebbe stato bello vederle.

Derek sospirò rassegnato: a quanto sembrava, Stiles aveva del tutto l’intenzione di fare qualcosa di spericolato per attraversare o scavalcare quel muro.

Subito dopo, sentì i soldati sghignazzare piano in direzione del ragazzino – che non li aveva visti – perché stavano pensando di divertirsi un po’ a prendere in giro quello che loro consideravano un contadinello che aveva smarrito la via – Stiles.

Derek sospirò rassegnato, di nuovo. Schioccò le dita e fece cadere Stiles in un sonno improvviso e profondo, facendo fluttuare il suo corpo a mezz’aria in posizione orizzontale, e poi uscì allo scoperto andando verso i soldati.

Gli uomini, quando lo videro, intuirono subito chi fosse.

«È lui, il Lupo Stregone della Brughiera!» e incoccarono subito ai loro archi delle frecce che puzzavano di strozzalupo.

Derek, annoiato e infastidito, schioccò le dita e trasformò Malia in un coyote grande tre volte più del normale e con un insolito aspetto feroce e malvagio. Lei attaccò i soldati con un ringhio compiaciuto e selvaggio – i dardi avvelenati non poterono nulla contro di lei che in realtà era un semplice animale – e Derek con la magia mandò a sbattere contro degli alberi quei pochi uomini che riuscirono a evitare le zampate o le zanne di Malia; quando tutti gli uomini persero conoscenza, Derek lasciò riprendere a Malia il suo usuale aspetto da coyote e si avvicinò a Stiles, che dormiva ancora ignaro: l’osservò in silenzio riflettendo sul da farsi.

Stiles era un tipetto caparbio, non si sarebbe arreso facilmente, avrebbe fatto di tutto per trovare un modo per superare la muraglia di rovi, e non sempre Derek o Malia sarebbero stati lì sul posto a difenderlo dalle aggressioni dei soldati di Kate che campeggiano lì tutti i giorni. D’altra parte, c’era da dire che Derek era curioso di vedere Stiles alle prese con le creature della Brughiera, ma l’ultima volta che aveva fatto entrare un umano nel suo territorio le cose erano finite in modo orribile…

Inspirò a fondo e con un cenno delle mani fece allentare e scostare un paio di rovi intrecciati della muraglia: varcò la breccia temporanea creata, con alle calcagna Malia e Stiles, quest’ultimo ancora addormentato e sospeso a mezz’aria – in questo modo non avrebbe potuto memorizzare la strada, al contrario di quello che aveva potuto fare Kate all’epoca.

Al suo fianco, Malia uggiolò contenta con la lingua a penzoloni, lui si limitò a sbuffare e a non lasciarsi andare all’idea di far sbattere apposta Stiles contro dei rami – ma tanto quel ragazzino aveva già di suo parecchi lividi dovuti a inciampamenti vari, al risveglio non se ne sarebbe neanche accorto di averne un paio in più.

Giunti quasi vicino alla radura, si fermò sulla riva del ruscello: andò a nascondersi con Malia dietro dei cespugli alti, fece atterrare piano Stiles sull’erba e poi lo svegliò.

Il ragazzino si stropicciò gli occhi e si guardò intorno impacciato – il mantello rosso era un po’ grande per lui – ma non sembrava spaventato di trovarsi in un posto diverso da quello in cui si era addormentato, anzi, lanciava occhiate incuriosite attorno a sé e irradiava esaltazione. Però, prima ancora che potesse iniziare come sua abitudine a blaterale a tutto e niente, qualcuno si avvicinò a lui, intrigato ed eccitato almeno la metà di lui: Scott, piccolo folletto alato dei papaveri, volò all’altezza del viso di Stiles reggendo con le manine la corolla di uno dei fiori rossi che proteggeva, fissando il ragazzino sorridendo timido ma speranzoso; alle sue spalle, l’amichetto Liam l’aiutava reggendo in volo il gambo e guardando Stiles con aria sia sospettosa sia vagamente arrogante.

Stiles fissò il papavero boccheggiando sorpreso, e indicò più volte prima il fiore e poi se stesso. «Per me?»

Scott annuì sorridendo ebete – Derek lo diceva sempre che quel folletto avrebbe dovuto smetterla di annusare così tanto i papaveri. Stiles sorrise mordicchiandosi un labbro e accettò l’offerta, ma prima che lui o Scott o Liam potessero dire qualcosa, un piccolo turbinio di ali brillanti, luce rosa e polverina del medesimo colore spazzò via i due folletti dei papaveri, per poi tornare indietro.

Derek si portò una mano sulla fronte quando vide che si trattava di Erica.

Erica – folletto lucciola rosa – volando picchiettò più volte i piedini sul dorso della mano di Stiles, fino a quando il ragazzino non capì di dover rivolgere il palmo verso l’alto per farla atterrare lì sopra. Non appena sistemata in piedi sulla mano di Stiles, Erica gli mostrò un largo sorriso malizioso, mettendo di proposito in mostra anche la propria scollatura agitando le spalle: Stiles la fissò basito per qualche secondo, fino a quando non sentì qualcosa martellargli sulla testa.

Isaac, folletto lucciola giallo, volava caricando dall’alto verso il capo di Stiles, picchiandogli addosso come se i suoi piedi fossero la punta di un chiodo, ripetendo l’operazione più volte con espressione concentrata. Perché Isaac era un tipo dispettoso e non si stava facendo scappare l’occasione di far passare le pene dell’inferno al loro ospite. Per fortuna, subito dopo venne Boyd – folletto lucciola blu – a recuperare Isaac, anche se come risultato Stiles si ritrovò in mezzo a un piccolo vortice di luci e polverine rosa, gialle e blu che battibeccavano e si spintonavano.

Quando Stiles si schiarì la voce e provò a chiedere loro come si chiamavano, la piccola zuffa venne interrotta da una pioggia di petali di giglio e rosa che cadde di colpo sui tre: Derek sorrise bonario, intuendo dai fiori utilizzati che si trattava di altri due folletti dei fiori, Kira e Lydia, e infatti poco dopo le vide svolazzare intorno alla testa di Stiles, disperdendo nell’aria del profumo di giglio e rosa con le loro gonnelline fatte con i petali dei fiori che proteggevano – e facendo starnutire più volte Stiles.

Lydia fissò Stiles con espressione critica, assottigliando gli occhi e le labbra, mentre Kira girellava intorno alla testa di Stiles tenendosi le manine sul viso, esclamando eccitata e un filo spaventata «Sei un umano! E hai gli occhi grandi! E le orecchie grandi? Mi vuoi mangiare? Io non sono buona da mangiare! Posso toccarti i capelli? E la punta del naso?»

Da parte sua, Stiles guardò Lydia incantato. «Sei bellissima» le mormorò. Lei in risposta si sciolse un po’, sorrise compiaciuta e si avvicinò di più a lui per dargli con la manina una piccola pacca sul viso.

Nel frattempo, Scott – ancora mezzo coperto dalla polvere rosa di Erica – si avvicinò di nuovo a Stiles, sorridendogli beota e salutandolo agitando una mano con impaccio, mentre Liam si affacciava da dietro di lui artigliandogli le spalle e fissando Stiles con immutato sospetto.

Derek, rassegnato e un po’ divertito, sospirò più forte, e ciò attirò l’attenzione dei folletti, che avvertendo la sua presenza si allontanarono subito dal ragazzino, andando a nascondersi chi fra i propri fiori, chi nella chioma di uno degli alberi lì intorno.

Stiles si alzò in piedi e, scrollandosi di dosso con delle manate la polvere colorata e la terra del prato, cercò con lo sguardo fra la vegetazione circostante la fonte della fuga delle creaturine. Aggrottò la fronte e sporse un po’ il broncio. «Mostrati» esortò chiunque lo stesse osservando, cioè Derek – che sorrise appena.

«Non ho paura di te» affermò Stiles, serio e deciso.

Derek per tutta risposta, aspettò che lo sguardo del ragazzino fosse rivolto in sua direzione e poi illuminò gli occhi di rosso nel buio, facendolo sussultare. Sorrise compiaciuto di essere riuscito a spaventare un bambino.

Stiles fece un passetto indietro e si schiarì la voce. «Ok, forse un po’ ce l’ho» si corresse. «Però» aggiunse, più deciso e sorridendo stranamente contento e soddisfatto, «lo so chi sei!»

Derek non si mostrò, né gli rispose, rimase in silenzio aggrottando la fronte, perplesso.

«Tu… tu…» provò ad articolare Stiles, «tu mi osservi fin da quando ero più piccolo e sono arrivato nella foresta, come un’ombra! Tu sei… sei… sei il mio guardiano, il mio spirito animale guida, vero? Dico bene?» concluse, gongolando con un largo sorriso sul volto.

Derek continuò a non uscire allo scoperto, e si passò una mano sulla fronte sospirando incredulo e rassegnato.

«Su, mostrati» incalzò Stiles. «O hai paura di me?» aggiunse, perplesso.

Derek sbuffò scuotendo la testa. «Forse dovresti essere tu ad avere paura di me, o almeno ad averne più di quanta ne ammetti» e avanzò piano verso il ragazzino.

Stiles lo guardò boccheggiando come aveva fatto con Lydia, ciondolando le mani lungo i fianchi e sgranando gli occhi grandi-grandi. «Sei bello» esalò, scuotendo poi la testa, come pentendosi di quello che aveva appena detto.

Derek sorrise abbassando lo sguardo, incredulo quanto imbarazzato. «Ti piace qui?»

Stiles s’illuminò, entusiasta. «Siamo dentro la Brughiera, vero? Ho sempre sognato di venire qui a vedere le creature che la popolano! È molto meglio di quanto avessi mai immaginato! È fantastico

Malia uggiolò incerta facendo capolino da dietro il mantello nero di Derek, fissando in ansia Stiles. Derek sorrise abbassandosi a darle dei grattini incoraggianti dietro le orecchie, e ciò attirò l’attenzione del ragazzino, che fissò il coyote indicandola con un sorriso trionfante.

«Lo sapevo che eri speciale!» e si rivolse a Derek. «È con te? È della Brughiera? È magica?»

«Il suo nome è Malia» gli rispose, accarezzando il manto di lei, «vive con me, ma non è della Brughiera. Non è neanche magica, ma posso darle anche questo aspetto» schioccò le dita e Malia prese la sua forma umana. Lei dimostrava un’età umana vicina a quella di Derek, e stava trasudando insicurezza, impaccio e ancora un po’ di paura nello stare di fronte a Stiles, che a confronto a lei era piccoletto e poteva ancora accusarla di essere un mostro, dopo che per anni avevano giocato insieme.

Non appena però Stiles le rivolse un gran sorriso accompagnato da uno strano versetto sorpreso ma felice, lei sorrise altrettanto e andò da lui a stringergli le mani fra le sue.

«Ciao, Spuntino!» lo salutò, mostrandogli per errore più denti del dovuto.

Stiles la fissò inarcando un sopracciglio. «Spuntino

«È il soprannome che ti ha dato» gli spiegò Derek.

«Ah» esalò Stiles. «Ciao, Malia» la salutò con più convinzione.

Lei sorrise timida e lo trascinò piano a fare un girotondo impacciato con lei, e poi si allontanò, tirata per una manica da Kira e Lydia che ridacchiavano furbe e maliziose; tutte e tre fecero a Stiles un ultimo cenno di saluto con la mano e infine svanirono fra la vegetazione folta della Brughiera.

Stiles inspirò a fondo e abbassò lo sguardo, giocherellando col bordo del mantello rosso. «Quindi… quindi tu sei il mio spirito animale guida? Come quelli di cui parlano i libri di zio Deaton?»

«Chiamami Derek» gli rispose semplicemente.

«Ma mi proteggi?» insisté Stiles, marcando bene la parola. «Tipo come un cavaliere… o una sorta di versione maschile della Fata Madrina, o una…»

Derek prese fiato e parlò per interromperlo, prima che potesse dire qualcos’altro di imbarazzante. «Ho la magia e vivo da queste parti, quindi non è raro per me incontrare chi abita nella foresta e aiutarlo, se voglio».

«Se vuoi» sottolineò Stiles, «e non ti sei mai fatto vedere dagli zii. Mai-mai-mai» cantilenò. «Quindi…» indicò timidamente lo spazio fra loro due, «questo è un segreto?» chiese eccitato e con fare cospiratorio. «Posso venire di nuovo qui, se non lo dico a nessuno?»

«Io…» esitò Derek, sentendosi il respiro mozzato in gola dalla paura di fidarsi di nuovo di qualcuno.

«Ti prego» lo supplicò Stiles, avvicinandosi a lui e pizzicandolo per le maniche per strattonarlo un po’. «Ti prometto che non lo dirò a nessuno!»

Derek si perse in quegli occhioni pieni di curiosità che lo fissavano supplicanti, e si ritrovò a non sapergli dire di no. «Va bene» annuì a testa china.

Stiles emise un altro strano versetto sorpreso e felice, sorridendo e stringendogli una mano.

«Adesso, però, è meglio che tu torni a casa» gli disse Derek, fermo, «si è fatto tardi. Ti accompagno».

«Sì, però domani torno!» insisté Stiles raggiante.

Derek trattenne un sorriso. «Seguimi» l’avvertì, prima di trasformarsi in lupo.

Il ragazzino lo guardò a bocca aperta. «Sei il Lupo Nero!» gridò. «Quello del fungo! Quello che cerco da anni! Lo sapevo che eri magico!» esclamò trionfante.

Derek lo afferrò per una manica con i denti per spronarlo a camminare, ma lui si buttò di colpo a terra stringendogli le braccia intorno alla testa e tuffando la faccia contro il suo pelo folto. «Sei morbido come ricordavo» mormorò contento.

Dopo qualche attimo di esitazione, Derek non si trattenne e uggiolò piano strofinando appena il muso sotto il mento di Stiles; il ragazzino emise un mormorio indistinto ma felice, e poi si alzò per farsi guidare a casa.

Derek lo accompagnò a passi sicuri lungo la foresta, tirandolo con i denti ogni volta che per poco non cadde, o spintonandolo con la testa per fargli evitare le radici sporgenti su cui di certo avrebbe inciampato. A qualche metro dalla casetta, il lupo si fermò e si nascose dietro un cespuglio.

Stiles si accovacciò davanti a lui. «Stanotte mi manderai di nuovo Malia?» gli domandò sussurrando. «Il falco è lei, vero?»

Derek assentì muovendo il capo, e lui sorrise di nuovo accarezzandogli il muso. «Ci vediamo domani, allora, verrò di nuovo a cercarti». Derek uggiolò piano dandogli una leccata alle mani e al viso, strappandogli una risata. «Ciao!» Stiles si alzò e corse verso la porta di casa, lasciandolo lì a cercare ancora di capire com’è che quel ragazzino l’avesse convinto a mostrarsi.

Il giorno dopo, Derek sentì da lontano Stiles correre felice verso la muraglia, e così, prima che potesse imbattersi di nuovo nei soldati, Derek si trasformò in lupo e lo raggirò sorprendendolo da dietro.

«Derek!» esclamò Stiles contento, inginocchiandosi a terra a strizzarlo in un abbraccio, fino a quando Derek non lo convinse a lasciarlo andare leccandogli la faccia.

Stavolta Derek lo mantenne sveglio, lo aiutò ad attraversare i rovi neri con la magia e lo guidò fino al cuore della Brughiera, portandolo a una delle pozze d’acqua.

Lì Malia, da umana, seduta sulla riva stava tenendo i piedi a mollo chiacchierando e ridacchiando con Paige, la ninfetta dell’acqua viola.

«Ciao, Spuntino!» lo salutò Malia, sorridendo e agitando una mano.

«Ciao e… wow» le replicò, correndo a inginocchiarsi di fronte a Paige, che volava a pelo d’acqua, «e tu chi sei? Cosa sei?»

Paige s’imbronciò e incrociò le braccia sul petto. «Io sono Paige e sono una ninfa dell’acqua, e tu sei un umano e sei uno zoticone» ribatté seccata, colpendo la superficie dell’acqua con la coda per schizzarlo, ma questo servì solo a far ridere Stiles divertito.

Scott sbucò fuori da un cespuglio vicino, sorridendo ebete come il giorno prima. «Ciao! Io sono Scott» s’indicò, portandosi una mano sul petto, «e lui è Liam!» aggiunse, e senza guardare indietro o in basso infilò sicuro una mano fra i rami e ne trasse fuori l’altro folletto, imbronciato, tirandolo su per un braccio. «Possiamo essere tuoi amici?»

«Ma certo!» gli rispose Stiles, entusiasta, ma prima che potesse avvicinarsi a Scott, venne investito da una piccola furia rosa che gli abbracciò la testa cospargendogli i capelli di polverina colorata.

«Lui è mio!» protestò Erica. «L’ho visto prima io!» Poi si voltò a guardare Stiles, sorridendogli con fin troppa dolcezza. «Ciao, io sono Erica, e quello lassù che sta provando di nuovo a darti colpi in testa è Isaac. Quello laggiù che sta venendo a fermarlo è Boyd. Da oggi sei nostro amico».

Stiles la fissò accigliandosi perplesso. «Oh. Va bene».

Derek sospirò scuotendo la testa e si rassegnò a vederli giocare tutti insieme.

Dopo una seconda presentazione, Paige decise di mostrare a Stiles come lei e le sue amiche coloravano l’acqua con la loro scia quando nuotavano veloci, e il ragazzino le guardò entusiasta e a bocca aperta. Poi i folletti cominciarono una battaglia a suon di frutti di bosco lanciati, e le ninfette replicarono schizzando l’acqua e nel giro di qualche minuto Stiles si ritrovò sporco, bagnato e sorridente in mezzo a una zuffa fra piccole creaturine magiche.

Derek l’osservò con una malinconia struggente nel cuore.

Quando la rissa scherzosa si placò, Kira e Lydia finalmente si unirono a loro presentandosi a Stiles portandogli un dono: volando, gli posarono sul capo una coroncina di fiori fatta da loro.

«È carina» le ringraziò il ragazzino, sorridendo impacciato e portandosi una mano sui capelli, «anche se io non sono così carino… Peccato che presto appassirà».

«A questo» sospirò Derek, «possiamo porvi rimedio» schioccò le dita e trasformò la corolla in oro.

Dal coro meravigliato dei folletti, Stiles intuì ci fosse stato un cambiamento: si portò le mani sulla testa e, quando tastando scoprì che i fiori si erano induriti, prese la coroncina per guardarla.

«Oh» si sorprese, «così durerà per sempre!»

Kira batté le mani, contenta. «Adesso è come una vera corona!»

Lydia annuì soddisfatta. «Come quella dei principi. Sei un principe, ora. E ti ho incoronato io, quindi lo sei di certo». Non che qualcuno osasse contraddirla.

Stiles arrossì a chiazze e abbassò lo sguardo rigirandosi la corona fra le mani. «Ma non sono bello come un principe, e non sono neanche particolarmente virtuoso: sono sgraziato e non so neanche tenere una spada in mano, e non sono per niente coraggioso. Sono solo curioso» concluse, scrollando le spalle come a scusarsi.

«No» disse Lydia, secca. «Ti ho incoronato, quindi sei un principe, adesso». Malia le diede man forte annuendo convinta e solenne.

Scott assentì gongolando. «Sì, sei il nostro principe!»

Le altre creaturine intorno a loro cominciarono a mormorare e parlottare soddisfatte in direzione di Stiles, e Derek non se la sentiva di dare loro torto: erano anni che non succedeva nulla di nuovo o buono nella Brughiera, anni che tutto sembrava grigio e spento e che nell’aria non risuonava nessuna risata d’allegria; Stiles, seppur umano, aveva portato una brezza fresca per la Brughiera, con la sua curiosità e vivacità, tutti volevano fare la sua conoscenza e parlare con lui, tutti erano affascinati da lui.

Era stato Derek a portarlo da loro, alla Brughiera, e sempre Derek un giorno l’avrebbe portato via da loro con il maleficio. Questo era come una pugnalata dritta al cuore.

Stiles cercò incerto e titubante lo sguardo di Derek con il proprio. «Sono il principe?» gli chiese flebile.

Derek sorrise malinconico e fece volare la corona dalle mani al capo di Stiles. «Sì, lo sei».

I folletti e le ninfette gridarono felici, e Stiles sorrise imbarazzato ma contento.

A Derek si strinse il cuore e basta.



Una volta arrivati al tramonto, come il giorno prima Derek si trasformò in lupo e accompagnò Stiles a casa. Rimase a osservarlo attraverso la finestra di camera sua aperta, restando seduto nascosto fra la chioma di un albero, fino a quando non scese la notte.

Con l’aiuto dell’oscurità, non appena delle nuvole coprirono la luna, entrò in silenzio e con discrezione nella stanza di Stiles; lo fissò per qualche secondo dormire e poi abbassò lo sguardo sulle proprie mani: le stese ai piedi del letto e, serrando la mascella, con espressione decisa si concentrò formulando un incantesimo.

«Annullo il maleficio» ripeté più volte, sempre con più rabbia e frustrazione, ma anche se tutta la stanza si riempì della luce colorata della sua magia, non successe nulla. Quasi a farsi beffe di lui, sentì nella propria mente l’eco di ciò che anni prima aveva detto: "Nessun potere terreno riuscirà a toglierlo".

Amareggiato, abbattuto e arreso, rimboccò le coperte a Stiles e uscì dalla sua finestra tornando nella Brughiera.

Malia, da coyote, lo trovò seduto sul ceppo del Nemeton; Derek la mutò in umana e lei si sedette a terra di fronte a lui, posando le mani sulle sue braccia – Derek si stava fissando le mani con sguardo vuoto.

«Che cosa ho fatto?» mormorò atono.

«Derek…»

«Tutti quelli che mi circondano muoiono. Per colpa mia. Ho portato la mia famiglia e la mia specie alla morte, e ora per vendicarli ho condannato la persona che sta di nuovo portando vita nella Brughiera».

«Non è colpa tua, gli stregoni hanno riflesso il maleficio» precisò Malia.

Lui scosse la testa. «Avrei dovuto stare più attento, avrei…» Trasse un respiro tremante. «Stiles è innocente: fossi stato meno accecato dall’odio, dalla rabbia e dalla voglia di vendetta, avrei fatto in modo che nessuno come lui ne pagasse le conseguenze. La colpa è mia».

Malia lo guardò speranzosa. «Non riesci proprio ad annullare il maleficio?»

Derek sorrise sarcastico scuotendo la testa. «Nessun potere terreno riuscirà a toglierlo. Mi dispiace così tanto… è stato perché… perché non ho pensato, ero furioso. Mi dispiace così tanto essere me».

«Cercheremo un modo per risolvere questa situazione» lo spronò lei, «non dicevi che il maleficio può essere spezzato dal bacio del Vero Amore?»

Derek rise più amaro e isterico di prima scuotendo la testa. «Ho messo questa clausola perché il Vero Amore non esiste! Kate mi ha regalato un bacio dicendo che era quello del Vero Amore, ma era una bugia: ho voluto punirla. E invece sono stato punito io».

«Mancano ancora due anni» insisté Malia, stringendogli le mani, «troveremo un modo».

Lui scosse la testa sconsolato. «Ho condannato un innocente».

«Troveremo un modo» ripeté lei, risoluta. «È del nostro piccolo Spuntino che stiamo parlando» sorrise malinconica, «il nostro piccolo principe».

Derek sospirò e si sforzò di ricambiare il suo sorriso; assentì. «Troveremo un modo, e nel frattempo proteggerò Stiles. Lo proteggerò da ogni cosa».

Si chiese anche se avrebbe potuto proteggerlo anche dalla verità, ma per quella aveva ancora due anni di tempo.



Non passava giorno che Stiles non venisse nella Brughiera, a giocare con le creature che la popolavano e a incontrarne di nuove. Più un essere aveva un aspetto che di solito gli umani trovavano repellente o spaventoso, più Stiles ne era incuriosito e lo fissava ammirato.

I giganteschi uomini albero dalla pelle di muschio e corteccia, ogni volta che vedevano Stiles si chinavano per parlare con lui, che poneva loro mille domande, anche imbarazzanti – "E le termiti?! Come fate con le termiti? Sono vostre acerrime nemiche?"

I draghi dall’aspetto simile ai serpenti che vivevano vicino alla palude della Brughiera, volavano sempre intorno a Stiles festosi, ogni volta che lui passava da lì e sorridendo eccitato alzava le mani verso il cielo per poterli accarezzare.

Erano anni che nessuno si interessava davvero alla Brughiera, anni che quelle creature non ricevevano delle attenzioni, e Stiles portava loro sorrisi, gioia e nuova luce – e finalmente aveva dei compagni di giochi che non scappavano.

Spesso Stiles giocava ad acchiapparello con Malia e gli altri folletti, correndo a perdifiato fra gli alberi, e tirandosi su il mantello per non inciamparci. Altre volte, invece, stava seduto a gambe incrociate ai piedi di un albero, leggendo ad alta voce uno dei libri che gli prestava zio Deaton, e tutti i folletti e le ninfette lo ascoltavano con faccette curiose; se si alzava del vento o la temperatura si abbassava, Malia e Derek prendevano l’aspetto di coyote e lupo e si acciambellavano attorno a lui per tenerlo al caldo.

Mentre Erica, Isaac e Boyd s’intrufolavano sempre nel cappuccio del mantello rosso di Stiles, imponendo la loro presenza e facendosi trasportare ovunque da lui con presunzione tirandolo per il colletto, Scott, Liam e Kira solevano posarsi o sedersi sulle sue spalle – Scott e Kira a parlargli senza sosta di quello che facevano, Liam a porgli domande con aria timida. E a volte, quando Stiles sapeva che per cena alla casetta non ci sarebbe stato qualcosa di buono da mangiare, Malia cacciava delle lepri e Derek le cucinava preparando un fuoco, e campeggiavano e mangiavano insieme fino a quando Stiles si appisolava stringendo Malia – da coyote – come se fosse un grosso pupazzo di pezza. Derek sorrideva intenerito, lo faceva levitare in aria con lui fino alla casetta e solo una volta giunti lì lo svegliava.

Stiles irradiava sempre affetto e contentezza quando era nella Brughiera, e Derek lo seguiva con la stessa malinconia struggente con cui un tempo seguiva le luci di casa per arrivare al Nemeton. E faceva male, perché sapeva che un giorno lui stesse avrebbe spento per sempre la luce di Stiles, proprio come aveva spento per sempre le luci di casa.

Un giorno, successivo ai mesi in cui ormai avevano costruito delle abitudini, Stiles venne nella Brughiera con un cesto sottobraccio e con lo sguardo pieno di anticipazione.

«Qui nella Brughiera avete delle mele strabuone?» chiese Stiles, senza troppi preamboli; Derek inarcò un sopracciglio, scettico. «Ho detto a zia Braeden che voglio una torta con della frutta, e lei mi ha risposto che allora dovevo essere io a procurarle gli ingredienti nella foresta, e io voglio un dolce alle mele! Quindi… avete delle mele?» concluse con voce flebile e speranzosa.

Derek sbuffò un mezzo sorriso e gli indicò una direzione: Stiles emise un gridolino di gioia e, senza aspettare che lui aggiungesse qualcos’altro, corse verso il punto indicato alla ricerca del melo, e un’orda di folletti allegri e dispettosi fu subito alle sue calcagna. Derek sospirò rassegnato e s’incamminò con tutta calma.

Quando li raggiunse, vide Stiles stare in piedi sotto l’albero, con le braccia alzate verso i rami e le mani a coppa, mentre Lydia gli svolazzava intorno impartendo ordini a Scott, Liam, Isaac e Boyd: lei controllava quali fossero secondo la sua opinione i frutti migliori e indicava agli altri di reciderli – a gruppi di due si avvicinavano alle mele e tagliavano i piccioli – e quando cadevano dal ramo, Stiles li prendeva al volo. Nel frattempo, Erica e Kira si affaccendavano a mordicchiare e mangiare alla meglio parte dei frutti già raccolti, nonostante fossero grandi il doppio di loro: Derek rivolse loro un’occhiataccia, ma Erica si limitò a fissarlo seccata, mentre Kira sorrise imbarazzata e colta sul fatto.

Scott e Liam prestavano attenzione quando tagliavano i frutti, ma quando si trattava di Boyd e Isaac, quest’ultimo faceva di tutto per far cadere la mela sulla testa di Stiles.

«Ahia!» si lamentò Stiles, corrucciato, dopo che Isaac fece centro per la quarta volta. «Guarda che la mia testa non è un cesto!»

Isaac tirò sul col naso e gli rispose atono. «Non ci avevo fatto caso».

Stiles gli ribatté inespressivo. «Sei sempre così utile».

Derek sospirò stanco, allungò un braccio oltre la testa di Stiles e raccolse una mela. «Ecco» la porse al ragazzino, «con questa penso che potrebbero bastare, no?» con il capo accennò al cesto, ormai quasi pieno.

Stiles accettò l’offerta abbassando lo sguardo e stringendo il frutto con entrambe le mani; arrossì a chiazze. «Sì, sono per una torta, quindi… penso di sì».

Derek si ritrovò ad accennare un sorriso e a dargli una carezza sulla testa.

«Ehi!» protestò Stiles, imbronciato e schiaffeggiandogli la mano. «Non darmi pacche sulla testa: non sono così piccoletto, sai?»

Derek, invece di rispondergli, sbuffò esasperato e voltò le spalle, incamminandosi di nuovo verso la radura.

Stiles lo seguì, col cesto in mano e mostrandosi ancora offeso. «Fra un paio di mesi compirò quindici anni! Sono quasi a un passo dal potermi arruolare nella guardia reale, come mio padre!»

Derek si fermò di colpo e si girò, lo fissò inarcando un sopracciglio. «Ti vuoi arruolare?»

Il ragazzino, sorpreso, gli finì addosso, ma si riprese subito. «Non lo so, ma tanto ho ancora più di un anno di tempo e non so ancora quando rivedrò mio padre… anche se comunque quando un giorno potrò tornare a casa dovrò pure cercarmi un lavoro». Sorrise, contento e allo stesso tempo nostalgico. «Non vedo l’ora di vedere di nuovo mio padre…»

«Ma ti arruoleresti?» insisté Derek.

Lui scrollò le spalle. «Da bambino, quando vivevo ancora con i miei genitori, mi piaceva molto l’idea di seguire le orme di mio padre, ma ora… non so» sospirò pensoso. «Ammetto che prima, vedendo i soldati accampati sempre alle mura di rovi, mi allettava di più l’idea di entrare nell’esercito: pensavo che così avrei avuto più possibilità di vedere un giorno la Brughiera, però ora…» accennò un sorriso timido, «sono qui» indicò impacciato l’ambiente circostante, «l’ho vista e mi piace, non avrei più motivo di arruolarmi, se non per percorrere la stessa strada fatta da mio padre, però… non so. Preferisco pensarci meglio quando tornerò a casa» concluse sospirando.

Derek deglutì a fatica e tornò a camminare – Stiles fu subito al suo fianco. «Ti piacciono molto le creature e gli animali, potresti piuttosto dedicarti a loro» suggerì, guardando soltanto dritto davanti a sé.

Stiles inspirò a fondo emettendo un borbottio indistinto, pensoso. «Potrei» ponderò. «Ma tu…» ed esitò, fissando il proprio cesto. «Io ti parlo sempre di mio padre e della mia vecchia casa, ma tu non mi parli mai della tua famiglia, e non sembri avere una vera casa da queste parti… e nella Brughiera non ho mai visto nessuno come te. Cioè» si corresse, «non ho mai visto nessun altro qui trasformarsi in lupo come fai tu».

Derek trattenne in maniera inconscia il respiro a lungo, prima di rispondergli, evitando il suo sguardo. «Sono l’ultimo rimasto della mia specie» gli disse coinciso e sperando che questo riassumesse abbastanza il punto e rispondesse a tutte le sue domande.

Stiles però, si fermò dal camminare e lo guardò boccheggiando, confuso e triste. «Come… cosa… Com’è possibile una cosa del genere? Da qualcuno sei pure nato, no? Non ce l’hai una famiglia?»

Lui inspirò a fondo dal naso, stringendo i denti. «Ce l’avevo» esalò monocorde. Quando vide che ciò non aveva fatto cambiare l’espressione di Stiles, gli indicò una direzione con un cenno del capo. «Seguimi» l’invitò.

Stiles, per fortuna, sembrava troppo stordito dalle sue risposte per porgli altre domande, e proseguirono il cammino verso la grande rupe della Brughiera in un silenzio denso d’ansia.

Giunti davanti al gigantesco ceppo del Nemeton, Stiles aggrottò la fronte, quasi corrucciato; posò il cesto sull’erba e andò alle radici dell’albero tagliato, toccandole con riverenza. «Doveva essere millenario» osservò perplesso e mesto, «e finora non ho mai visto un solo albero abbattuto in tutta la Brughiera, e la sola idea che qualcuno qui possa fare una cosa simile suona orribile: com’è successo?»

Derek si sedette sul ceppo, lasciando Stiles in piedi davanti a lui a guardarlo. «Quest’albero, il Nemeton, era il più antico di tutta la Brughiera, e forse anche di tutta la terra conosciuta» gli spiegò. «Sopra i suoi rami c’era la casa in cui il mio branco, la mia famiglia, viveva da generazioni: un giorno degli umani sono arrivati qui, hanno abbattuto e bruciato l’albero e ucciso tutta la mia famiglia e tutta la mia specie».

Non c’era molto altro da aggiungere, e non gli andava di raccontare a Stiles di Kate e degli orrori che lui aveva commesso fidandosi ingenuamente di lei: gli sembrava che così facendo avrebbe macchiato quel delicato momento di verità e intimità che stavano condividendo – dopotutto, Stiles era la prima persona umana che portava lì, e dopo Malia il secondo a cui raccontava a voce cos’era successo – e che di conseguenza avrebbe macchiato un po’ anche Stiles. Proteggere Stiles era anche prevenire che si sporcasse con dell’oscurità, o che venisse a contatto con essa.

Dopo qualche lungo attimo di silenzio in cui Stiles fissò attonito, sorpreso e triste il ceppo – vagando con lo sguardo in lungo e in largo, quasi a calcolare mentalmente quanta vita quello spazio avesse ospitato con l’accumulare di cerchi concentrici legnosi negli anni – finalmente il ragazzino parlò. «E perché mai l’hanno fatto?»

«Volevano infliggere una ferita alla Brughiera, per appropriarsi dei suoi tesori» gli rispose con voce roca.

«Come la pozza delle gemme? Quella dove Paige mi porta sempre…»

«Anche» esalò stanco.

«Ed è per questo che poi sono sorte le mura di rovi? Le hai fatte tu?»

«Sì» assentì.

Stiles però ancora non lo guardava, fissava il Nemeton con sguardo sia assente che triste. «Perché, però, fare una cosa simile…»

La cosa più brutta a cui Stiles in vita sua aveva assistito era stata la morte della mamma, poi era stato portato nella foresta e non aveva mai conosciuto né la guerra, né l’efferatezza e la crudeltà degli uomini, né quanto poteva essere sconvolgente una strage: era la prima volta che s’imbatteva in un’oscurità simile, la prima volta che la sua innocenza veniva turbata, e Derek fino a un momento prima aveva provato con tutto se stesso a non farlo sporcare, però come al solito probabilmente aveva fallito fin dall’inizio. Non avrebbe neanche dovuto portarlo lì.

Tuttavia, però, dove non poteva del tutto arrivare la sua protezione, potevano arrivare i suoi avvertimenti.

«Stiles» lo chiamò, riscuotendolo; il ragazzino alzò lo sguardo verso di lui, un po’ sperduto. «Quelli che hanno fatto tutto questo, sono delle bestie: non hanno né un cervello né un cuore per comprendere le conseguenze delle loro azioni, seguono solo i loro istinti, in una maniera che non è propria neanche degli animali. Sono il male del mondo» gli spiegò. «Tu hai un cervello e un cuore, sai riconoscere ciò che non è giusto e quindi saprai sempre come stare lontano da esso, fidati. Non ti toccherà mai».

«Ma ha toccato te».

«Non toccherà te» insisté fermo. «Non glielo permetterò».

Stiles, seppur restando a sguardo basso, gli posò le mani sulle braccia. «Ma tu sei solo… e io… e allora io» gli strinse fra le dita la stoffa delle maniche, nervoso, «io sarò quello che non permetterà al male del mondo di toccare te» disse tutto di un fiato, risoluto. «Cioè, di farlo di nuovo» si corresse tirando su col naso.

Derek sbuffò un sorriso. «Va bene» mormorò.

Quello che non si aspettava era che Stiles dopo l’avrebbe abbracciato di slancio.

Non era raro che il ragazzino l’abbracciasse quando era un lupo, mugugnando contento contro il suo pelo folto, ma non l’aveva mai fatto quando Derek era umano, il che era paradossale visto che da animale aveva di certo un aspetto più minaccioso, ma dopotutto era di Stiles che si trattava: più una cosa era spaventosa, più Stiles si avvicinava a essa.

O forse, più che altro, quando Derek era umano – e quindi una versione più comprensibile per Stiles – Stiles percepiva meglio quanto lui fosse restio al contatto fisico o a lasciare avvicinare di nuovo qualcuno a lui. Stiles notava sempre le piccole cose che celavano grandi significati.

Dopo un attimo di sorpresa, Derek si lasciò andare e ricambiò l’abbraccio, premendo il viso contro il collo di Stiles e respirando a fondo il suo odore, affondando in un’abitudine che tutto il suo branco aveva avuto e che gli mancava da morire: erano anni che non annusava qualcuno durante un abbraccio, traendo conforto e rassicurazione dal suo odore familiare, e il senso di nostalgia, ma anche una strana e soffocante sensazione di appagamento inaspettato, gli mozzarono il fiato in gola e gli resero gli occhi lucidi.

Stiles profumava di Malia, dei folletti dei fiori, dei folletti lucciola e delle ninfette, di mela, erba, terra bagnata e Brughiera. Profumava anche di Derek stesso, ed era una cosa così bella da fare male.

Soprattutto, però, profumava di casa. Per la prima volta dopo tanto tempo, Derek sentiva profumo di casa in un posto desolato in cui la casa l’aveva persa, ed era doloroso e bellissimo.

Stiles si separò dal suo abbraccio emettendo un mormorio scontento; lo guardò perplesso. «Stai bene?»

Derek, invece di sospirare e scompigliargli i capelli con una carezza affettuosa – come faceva di solito – accennò un sorriso e gli posò le mani sul volto – sentì la pelle riscaldarsi appena sotto i suoi palmi, e fu dolce, dolce, dolcissimo.

«Sì» esalò con forza, anche se, guardando i suoi occhi che lo fissavano con così tanta adorazione non meritata, tutto quello che in realtà pensò fu una cosa sola.

"Posso addormentarmi anch’io con te in eterno?"



Qualche mese dopo, Stiles corse verso il centro della radura con un gran sorriso steso sul volto. «Ho compiuto quindici anni!» annunciò ai folletti, che gli volarono intorno lanciandogli addosso petali e polverina colorata – e nel caso di Isaac anche qualche piccola ghianda per procurargli un bernoccolo.

«Lo so» disse Derek con un sorriso malinconico – mancava un anno all’attuazione del maleficio – accarezzando il dorso di un bel cavallo dal manto bruno che aveva appena sellato. «Auguri».

Stiles guardò il cavallo, sorpreso e pieno di aspettativa e speranza. «È il mio regalo?»

Il cavallo sbuffò agitando la testa, Derek fissò Stiles inarcando un sopracciglio. «È Malia» l’informò.

«Oh, scusa!» mormorò il ragazzino, dandole subito delle pacche affettuose sul muso.

«Comunque» sospirò Derek, «diciamo che in parte hai indovinato: non dicevi di voler diventare più virtuoso e più simile a un principe o a un cavaliere? Ti insegnerò a cavalcare». C’erano altri cavalli nella Brughiera, che di certo avrebbero assecondato Derek in quella piccola impresa, ma senza dubbio Malia sarebbe stata molto più paziente di tutti loro a subire calci inaspettati e goffaggine varia da parte del ragazzino.

«Davvero?!» si meravigliò Stiles.

Derek assentì. «Questo è il mio regalo per te». Per quanto gli zii gli stessero dando una buona istruzione facendolo leggere e scrivere molto, impartendogli anche qualche piccola lezione di intaglio del legno, di cucito e cucina – con risultati più o meno disastrosi, ma per fortuna la casetta era ancora in piedi – Derek dubitava che avrebbero messo alla prova l’unico vecchio cavallo che possedevano per insegnare a Stiles a cavalcare.

Stiles strinse le briglie di Malia e guardò sia lei che Derek con un sorriso accecante, era entusiasta. «Grazie! Quando iniziamo? Ora? Come salgo? Come faccio a capire se sto salendo bene? Non è che adesso faccio una brutta figura e mi accorgo di essere salito con la testa rivolta verso la coda solo all’ultimo?»

Derek sospirò roteando gli occhi. «Piano, Stiles».

«Adesso salgo» gli ribatté, smettendo di prestargli attenzione e mordendosi il labbro in un’espressione concentrata; fece leva e si slanciò.

«Stiles…» provò a fermarlo Derek, ma fu inutile: prima che potesse fermarlo, Stiles saltò su caricando troppo e nel modo sbagliato e finì dal lato opposto del cavallo pendendo a testa in giù e con un piede impigliato nella staffa.

«Non una parola» minacciò Stiles, atono e secco, provando subito a rialzarsi da solo. «Il primo che ride, lo uccido. Isaac, ti sto sentendo».

Derek sospirò passandosi una mano sulla fronte: sì, sarebbe stata davvero un’impresa.



Stando a quello che riferiva Malia, Kate stava accumulando ricchezze su ricchezze, mandando le sue truppe in spedizioni costose in cerca di tesori pregiati e aumentando le tasse per erigere ulteriori fortificazioni intorno al castello. Sapeva che Derek per i sedici anni di Stiles avrebbe fatto qualche mossa, e l’attesa la stava rendendo sempre più paranoica e crudele con i suoi sottoposti; il popolo era stanco, povero e misero.

Derek, da parte sua, non sapeva davvero cosa avrebbe fatto per il sedicesimo compleanno di Stiles.

Stiles, dal canto suo, invece, stava crescendo bene: il suo corpo stava diventando più proporzionato con i suoi arti – era alto quasi quanto Derek, ormai – e i suoi lineamenti si stavano affilando. La sua mente era brillante e curiosa come quando era un bambino, ma adesso, di tanto in tanto, nel suo sguardo e nelle sue affermazioni più serie e riflessive si poteva notare un velo oscuro di malinconia portato dall’essere costretto a restare confinato nella foresta e lontano da casa.

Stiles era diventato bellissimo e guardarlo faceva male al cuore.

Derek, col suo aspetto da lupo, trottò nella radura, di ritorno da una corsa lungo il confine della Brughiera; trovò Malia seduta sulla riva di una pozza, stava chiacchierando con Paige, come al solito.

«Dov’è Stiles?» chiese loro.

«Spuntino è con i folletti» rispose Malia. «Lydia aveva voglia di fare la principessa».

Derek inarcò entrambe le sopracciglia: nonostante spesso Stiles dicesse di essere troppo cresciuto per poter giocare ancora, se i folletti lo pregavano di inscenare qualcosa – tipo la principessa da salvare da un mostro cattivo – lui li accontentava sempre, specie se era Lydia a chiederglielo. A Lydia piaceva sempre essere al centro delle attenzioni.

Derek sospirò e s’incamminò in direzione dello schiamazzo – col suo udito da lupo non era difficile localizzarli.

«Aspetta» lo chiamò Malia, congedandosi da Paige e alzandosi; si mise al passo con lui. «Dobbiamo parlare».

«Di cosa?» le replicò, nascondendo male dell’irritazione: aveva la netta sensazione di sapere di cosa lei volesse discutere.

«Lo sai di cosa: mancano pochi mesi, ormai, hai in mente qualche piano? Pensi di dirglielo

Derek si fermò e la guardò esasperato, frustrato e un po’ arrabbiato. «Devo informarlo che per colpa mia presto si addormenterà per sempre? O che lo sto tenendo qui in attesa che si compia il maleficio che io stesso ho scagliato?»

«Non dirmi che hai intenzione di tacere fino alla fine! Cosa vuoi fare, aspettare che venga il giorno prestabilito, guardarlo in silenzio addormentarsi e poi vegliare su di lui per l’eternità? Derek, questo non è per nulla sano, né ragionevole!»

«Non voglio fare questo, ma non so nemmeno cos’altro fare!» sbottò snervato e irritato. «Tu per caso hai delle idee migliori?»

«Sì» annuì seria. «Il bacio del Vero Amore».

Derek scrollò la testa sorridendo amaro e sarcastico, e riprese a camminare. «Il Vero Amore non esiste, ricordi?»

Malia incrociò le braccia al petto e si strinse nelle spalle. «Quindi dobbiamo fare finta che Spuntino non ti guardi mai in maniera diversa rispetto agli altri e che non irradi mai quello che sente per te?»

Lui si fermò di nuovo, ma le rispose senza guardarla. «Malia… sei un coyote, per gli umani non funziona così: per loro non è solo questione di istinti o di sentire che emozione un corpo emana… e Stiles è molto giovane».

«Ti adora da quando ti ha conosciuto!» gli ribatté seccata. «E non provare a dirmi che per te non è la stessa cosa: Spuntino mi ha insegnato a pensare come lui, a cogliere i dettagli e a risolvere gli intrighi!» si vantò, seppur arrabbiata. «So pensare come lui!»

Derek si accigliò. «Come un ragazzino che non sa mai smettere di muoversi?»

«No, come uno che sa risolvere i misteri, ti dico!» insisté. «Lo so quanto lui per te sia importante! Da quando l’hai conosciuto è come se tu fossi tornato a vivere!»

L’espressione di Derek diventò malinconica; trasse un respiro profondo. «Stiles è giovane» ripeté, «è logico che si senta influenzato dalla mia presenza: oltre a me non conosce nessun altro estraneo che sia almeno parzialmente umano. È in un punto della vita in cui si sperimentano le prime attrazioni – e credimi, per sfortuna ne so qualcosa – quindi non mi sorprende quello che prova, ma non credo nemmeno che sia qualcosa del tutto…» Non trovò le parole adatte per esprimere quello che pensava. «Non credo che basti a spezzare il maleficio» concluse asciutto.

«Quindi vuoi aspettare che Spuntino nei prossimi mesi conosca qualcuno di nuovo, così, all’improvviso?» gli replicò, scettica.

Derek scrollò le spalle. «Tutto può succedere. E poi ho la magia: potrei forzare un paio di incontri fortuiti».

Malia alzò gli occhi al cielo scrollando la testa e le braccia. «Incredibile!» e andò via marciando furiosa. Stava decisamente passando troppo tempo da umana: si atteggiava sempre più come una vera giovane donna. Ma non che ciò fosse davvero un male.

Derek arrivò presso gli alberi accanto a cui Stiles e i folletti stavano inscenando il salvataggio. Lydia se ne stava seduta su un ramo basso con espressione – fintamente – incurante e annoiata; Kira fungeva da voce narrante all’ombra di un cespuglio, e Liam, seduto al suo fianco, la guardava perplesso; Scott era aggrappato stretto alla spalla di Stiles, e gridava incitazioni e suggerimenti al ragazzo che si fingeva cavaliere con una spada di legno in mano; Erica, Isaac e Boyd si fingevano una sorta di drago cattivo in maniera buffa e complessa: Isaac e Boyd reggevano in aria un rametto spoglio, sottile e appuntito – per ribattere alla spada di Stiles – ed Erica sopra di loro agitava delle foglie d’albero che aveva in mano, come se fossero le ali del mostro.

C’era da dire che Isaac sembrava più che altro convinto di voler cavare gli occhi di Stiles.

Derek, scettico quanto divertito, si appoggiò di lato al tronco di un albero, incrociò le braccia al petto e con un sorrisetto furbo sulle labbra assisté per un po’ alla scena, in silenzio.

«Ahia, Isaac!» si lamentò Stiles, portandosi una mano all’occhio. «Vacci piano, mi hai quasi bucato un sopracciglio!»

«Ah, era il sopracciglio?» gli ribatté il folletto, inespressivo. «Pensavo fosse l’occhio».

Lydia, seduta e ferma sul ramo, roteò gli occhi assottigliando le labbra.

«… e la principessa era sempre più annoiata» narrò Kira, teatrale.

«Carica, Stiles!» incitò Scott, col braccio steso verso i folletti lucciola.

«Drago malefico» recitò Stiles, solenne, «riuscirò a superarti e a raggiungere la principessa!» Si guardò intorno aggrottando la fronte. «No, anzi, adesso sai che faccio? Mi arrampico sull’albero» e si avviò.

Scott storse la bocca. «Stiles, non credo sia una buona idea».

«Certo che è una buona idea! E poi sono sempre io quello che ha i piani, no?» gli ribatté, rimboccandosi le maniche e preparandosi all’arrampicata; Scott, reclutante e per niente convinto, volò via dalla sua spalla per farlo muovere con più libertà. «Principessa Lydia, aspettatemi! Sto arrivando!» recitò con fare oltremodo pomposo.

Lydia annuì arricciando il naso.

Onestamente, era più che prevedibile che Stiles sarebbe caduto dall’albero, per questo Derek avanzò sicuro per provare a evitargli la rottura di qualche osso, ma Stiles volò giù nella maniera più scoordinata possibile: Derek non fece in tempo a fare alcuna magia e finì steso al suolo, schiacciato da Stiles.

Derek fissò il cielo, traendo un respiro profondo per infondersi pazienza, e serrò le labbra; Stiles aveva la faccia premuta contro la spalla di Derek: si schiarì la voce e si sollevò facendo leva sui gomiti; aveva il viso arrossato a chiazze.

«Ciao… Derek».

Derek inarcò un sopracciglio.

Stiles si schiarì di nuovo la voce. «Non sapevo fossi qui nei dintorni».

«Ero in attesa che tu cadessi da un albero».

Stiles, perplesso, aggrottò la fronte. «Davvero?»

«No. Spostati. Fammi alzare».

Stiles, con impaccio, si scostò e si mise a sedere sul prato, iniziando a giocherellare con la spada di legno in maniera distratta; i folletti presenti volarono via ridacchiando – ormai lo facevano sempre più spesso, li lasciavano da soli di proposito.

Derek si tirò anche lui a sedere e si passò una mano sulla fronte. «Non dicevi di essere ormai troppo cresciuto per giocare ancora?»

Stiles fece una smorfia. «Non si dice di no a Lydia».

Lui sospirò. «Anche questo è vero» gli diede atto. Fece un cenno con la testa verso la spada finta. «Pensi ancora di voler diventare un cavaliere?»

«Beh» sorrise abbassando lo sguardo, «non è che io possa stare qua pretendendo di non proteggerti, se ne capiterà l’occasione: devo pure ricambiarti in qualche modo, no?»

Derek avrebbe voluto dirgli che non ce n’era bisogno, e che al massimo Stiles doveva proteggersi da Derek stesso, ma non disse nulla di tutto questo; strinse le labbra in un accenno di sorriso e trasformò la spada finta in una vera, dalla lama leggera e l’impugnatura semplice: ogni tanto non gli dispiaceva dare a Stiles delle lezioni basilari di difesa, giusto per aiutarlo a proteggersi dai soldati di Kate, nel malaugurato caso li incontrasse alla muraglia di rovi e loro volessero infastidirlo in modo pesante.

Evocò una spada per sé. «Pensi di stare migliorando?» gli chiese spiccio, invitandolo con un cenno a mettersi in piedi davanti a lui.

Stiles si alzò e sorrise, eccitato all’idea di un duello. «Ho fatto dei grandi passi avanti!»

Derek col suo udito da lupo sentì come il suo cuore tradì la bugia detta, ma non glielo fece notare: scrollò la testa con espressione ironica e si mise in posa d’attacco.

Come previsto, Stiles fin dalle prime mosse si rivelò essere ancora una schiappa, ma Derek l’assecondò andandoci piano, o meglio limitandosi a non fargli male di proposito, seppur duellando con la solita aggressività.

«Domani ci sarà la luna piena» disse Stiles, parando male un suo affondo, e respirando a fatica. «Non ho mai visto in maniera diretta che effetto ha sulla Brughiera».

Stiles, quando si erano conosciuti, non aveva perso tempo a fargli un mucchio di domande su come la luna influenzasse il suo essere un lupo; era stato soprattutto molto curioso di sapere come passava la luna piena, e lui gli aveva risposto che in genere per quella sera preferiva mantenere il suo aspetto animale, perché i suoi sensi erano più forti del normale: si sentiva più ricettivo all’ambiente esterno e di conseguenza su quattro zampe si sentiva più libero.

«La Brughiera non è poi così diversa dalle altre sere» gli rispose Derek, scrollando le spalle e respingendo con forza un suo attacco goffo.

«Ma tutte le sue creature sono affette dalla luna piena! Non ci credo che sia tutto normale!» protestò.

«Diciamo che… c’è un’aria più solenne» concesse Derek.

«Magica» lo corresse Stiles, entusiasta. «È uno spettacolo che vorrei poter vedere almeno una volta! Posso venire domani notte?»

Derek inarcò entrambe le sopracciglia. «Che cosa?! Sei impazzito?» l’attaccò di proposito con più violenza, spingendolo a indietreggiare.

«Potrei fingermi a letto mettendo un cumulo di vestiti sotto le coperte, e sgattaiolare dalla finestra con l’aiuto tuo e di Malia» suggerì speranzoso.

«Quale parte di questo piano ti sembra sana

«Andiamo, Derek!» protestò lamentoso. «Voglio vederla! Almeno una sola volta nella vita!» Sotto l’attacco di Derek, indietreggiò ancora fino a finire di spalle contro il tronco di un albero; Derek gli puntò la lama alla gola e lui si arrese facendo cadere piano la propria spada a terra; erano così vicini da sentire il respiro dell’uno contro il viso dell’altro.

Gli occhi di Stiles erano spalancati e pieni di una tenera adorazione, e dalle labbra socchiuse gli usciva il respiro affannato e caldo. E Derek non riusciva a fare meno di pensare che era bello e che avrebbero potuto appartenersi a vicenda, ma lui l’aveva maledetto e ora gli stava nascondendo la verità. E che probabilmente Stiles avrebbe avuto sul serio un’unica occasione nella vita per poter vedere la Brughiera durante una notte di luna piena.

«E va bene» esalò, allontanandogli la spada dal collo e sistemandogli in maniera secca i lacci del petto della casacca, che si erano allentati durante il duello.

Stiles sorrise soddisfatto e a propria volta gli strattonò i lacci del gilet nero. «E allora domani notte faremo un po’ di baldoria!»

«Stiles» provò a riprenderlo, ma lui scappò via.

«Vado a dirlo a Malia!»

Derek lo guardò allontanarsi chiedendosi se forse la maledizione di Stiles non fosse invece la sua e basta; forse era questo quello che gli spettava e quello a cui era condannato per aver portato alla morte la sua famiglia e tutta la sua specie: vedere come quella luce calda e vibrante che si era insinuata con forza nella sua vita – facendolo tornare a vivere e ricordandogli in mille modi diversi la sensazione dell’avere un branco – s’incamminasse inconsciamente sempre più verso la propria estinzione. Senza che Derek potesse farci nulla.



La luna piena spinse Derek a essere ancora più prono all’idea di avere Stiles accanto a sé quella notte, come se fosse contro natura anche solo perfino immaginare di trascorrere quelle ore lontano da quella parte essenziale del suo branco.

Malia e Derek andarono in veste di coyote e lupo alla casetta, e quando tutte le luci furono spente e sentirono i tre stregoni addormentarsi, uscirono allo scoperto andando sotto la finestra di Stiles; lui li stava aspettando guardando oltre l’oblò di vetro dell’anta di legno, e quando li vide irradiò contentezza e aspettativa e con attenzione aprì il chiavistello. Come previsto, Stiles non fu capace di non fare rumore, e i cardini della finestra lo tradirono stridendo, ma per fortuna i suoi zii non si svegliarono.

Derek, con la magia, evocò una forte e robusta corda con cui Stiles potesse scendere giù dalla finestra, anche se il ragazzino, a meno di un metro da terra, cadde con un grosso tonfo; Derek e Malia furono subito su di lui, annusandolo in cerca di ferite, ma lui ridacchiò grattandoli dietro le orecchie – e loro scodinzolarono.

Stiles aveva con sé il suo mantello rosso più pesante, e il suo respiro caldo nel freddo della notte si condensava diventando fumo, ma non sembrava preoccuparsene, entusiasta com’era. Si allontanarono a passi lenti dalla casetta, e poi Stiles iniziò a correre in maniera dispettosa, precedendo Derek e Malia.

Stiles non sembrava preoccuparsi nemmeno del fatto che la sua fuga avrebbe potuto innescare i loro istinti di caccia più animaleschi – solleticati dalla luna piena – e quella fiducia e gioia che irradiava era inebriante e a tratti perfino intossicante. Alla luce lunare, correva fra gli alberi della foresta, sorridendo e voltandosi ogni tanto a guardare il lupo e il coyote che lo seguivano ringhiando di tanto in tanto.

Giunti alla muraglia, Stiles – affannato – vi posò entrambe le mani, e i rovi neri risposero al suo tocco districandosi apposta per lui, per farlo passare – era un ritocco magico che Derek tempo addietro aveva fatto apposta per Stiles, per farlo entrare nella Brughiera a piacimento.

Non appena varcata la soglia, Stiles si guardò intorno meravigliato. La Brughiera era avvolta dalle morbide sfumature blu e argentee che le dava la luna piena, con in più una miriade di puntini fluorescenti sparsi a manciate qua e là: alcune specie di fiori notturni durante il plenilunio emanavano un bagliore particolare che aveva un effetto calmante sui folletti e risvegliava parecchi insetti alati di solito diurni, come le farfalle. Il fiume che attraversa il territorio era pieno della placida attività delle ninfette – eccezionalmente sveglie – che ne coloravano l’acqua con lentezza ed eleganza mormorando delle dolci nenie.

Tutto intorno regnava un’atmosfera fatata e la magia era perfino respirabile, anche se non soffocante.

Stiles boccheggiava e sembrava, forse per la prima volta in vita sua, senza parole e indeciso su dove posare prima lo sguardo; Derek lo afferrò per una manica con i denti, per fargli cenno di seguirlo in una direzione.

S’incamminarono fra la vegetazione della Brughiera e, al loro passaggio, le creature che la popolavano si affacciarono dai cespugli e dalle chiome degli alberi, rivolgendo loro delle espressioni pigre ma appagate, cullate dal ronzio persistente ma non fastidioso degli insetti risvegliati dai fiori notturni e dal dolce canto delle ninfette.

Mentre Derek camminava in testa guidando Stiles, Malia chiudeva la fila. I folletti loro amici li raggiunsero, sistemandosi su di loro alla meglio: Scott si posizionò in maniera scomposta sulla testa di Malia, sbadigliando e strusciando la faccia contro una delle sue orecchie; Kira, Lydia e Liam invece scelsero di sedersi sul dorso di lei, affondando sonnacchiosi nel suo pelo; Erica volò sbadigliando verso Stiles, tirando Boyd con sé per una mano, per costringerlo ad annidarsi insieme a lei dentro al cappuccio del mantello di Stiles, al caldo; Isaac provò a sedersi sul dorso di Derek, ma quando lui si voltò a ringhiargli minaccioso cambiò idea, e scontento andò a sedersi sulla spalla di Stiles, accantucciandosi contro il suo collo prima di cedere al sonno.

La lunga e silenziosa passeggiata, li condusse a un pianoro privo di alberi che Derek sapeva ricco di fiori notturni; Stiles, vedendo lo spettacolo che si stese davanti ai suoi occhi, trattenne rumorosamente il respiro.

I petali dei fiori avevano delle sfumature calde blu e viola, emettevano un dolce bagliore giallastro e riempivano l’aria con il loro profumo lievemente speziato; le corolle si muovevano appena mosse dal venticello frizzante, e intorno a loro danzavano gruppi di lucciole, attratte dalla luce che emanavano.

Stiles avanzò verso il prato sorridendo; i folletti si risvegliarono, ed Erica trascinò via Isaac e Boyd, mentre Malia trottò via portando con sé gli altri.

Derek osservò Stiles mordicchiarsi un labbro e per poi correre fra l’erba alta e i fiori; infine, il ragazzo si buttò a terra, rotolandosi ridendo: la sua risata risuonò per il pianoro, alta e cristallina, mentre dei piccoli vortici di lucciole si sollevarono dai fiori, infastidite dall’interruzione. Stiles, steso sull’erba, le guardò volare sopra di lui e disperdersi, con gli occhi pieni di meraviglia e un pizzico di malinconia.

Derek uggiolò e andò a stendersi al suo fianco, a stretto contatto con lui; Stiles infilò le dita fra il suo pelo e si perse a guardare la luna e la distesa di stelle sopra di loro. Furono avvolti dal silenzio dolce, magico e solenne della Brughiera, fino a quando Stiles non decise di parlare, mormorando.

«Sai, le stelle, viste dal basso e da una lunga distesa isolata, accentuano di più quanto io sia piccolo rispetto a ciò che mi circonda, e anche se ciò è raddoppiato dal fatto che mi trovo nella Brughiera – dove tutto sa di millenario e in parte lo è davvero – non mi sento solo» concluse con un sussurro, e voltandosi a fissare Derek negli occhi; lui gli rispose con un uggiolio, Stiles abbozzò un sorriso, lo accarezzò e tornò a parlare.

«Hai idea di quanto io mi sentissi solo, prima che tu mi facessi entrare nella Brughiera? Voglio bene agli zii, e sono certo che loro ne vogliano me e che nei loro limiti stiano provando a non farmi mancare niente, ma senza te io non avrei avuto nessun altro con cui parlare, e forse» Derek sentì il cuore di Stiles stringersi appena per il dolore, e lo vide deglutire a stento, «forse mi sarei lasciato perseguitare da tutte le cose che mi mancano, come mio padre e la mia casa… ma tu mi hai dato una seconda casa» gli disse, con un sorriso velato di malinconia, accarezzandogli il collo e poggiando la fronte contro la sua testa.

«Qui non c’è niente che mi somigli o che sia della mia specie» continuò a parlare mormorando, «ma è anche vero che qui mi sono sempre sentito accettato e capito, incondizionatamente, e questo, nonostante i mille perché e i misteri che mi circondano e mi hanno portato via da mio padre, mi ha aiutato a non impazzire, a non sentirmi mai solo». Stiles tirò sul naso e sbuffò un sorriso commosso e un po’ impacciato. «Mi fido di te, Derek» sussurrò, «sei la mia casa».

Derek uggiolò di nuovo, e poi lasciò pure che la sua magia aiutasse pure i suoi istinti a uscire fuori in maniera immediata, lasciandogli prendere l’aspetto umano in modo veloce e sotto le mani di Stiles: premette la testa contro il collo di Stiles, respirando a fondo il suo odore – e con fatica, perché quell’attimo per certi versi era soffocante – e Stiles in risposta l’abbracciò forte artigliandogli con le mani i vestiti.

Uno di loro tirò su col naso, ma Derek non seppe dire chi, perché entrambi quel momento sapevano un po’ di lacrime. Forse lo fecero tutti e due.

Infine, Derek si ritrasse, anche se i suoi occhi restarono incatenati a quelli di Stiles. «Forse è meglio che riprenda il mio aspetto da lupo» mormorò, deglutendo a fatica, «mi sento più a mio agio quando… quando…»

Stiles annuì. «Va bene».

Derek ringraziò il fatto che Stiles non sapesse capire quando lui mentiva, perché voleva tornare lupo solo per evitare di fare qualcosa di molto stupido. Come qualche confessione. O baciare Stiles.

Si trasformò e si accoccolò al fianco di Stiles, posando la testa sul suo petto, e il ragazzo tornò a guardare le stelle accarezzando il suo pelo.

Derek non aveva mai immaginato che una benedizione potesse essere anche una crudele punizione.
   
 
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