Serie TV > Supernatural
Ricorda la storia  |      
Autore: Alley    04/11/2014    4 recensioni
"Devi lasciarmelo fare."
(...)
"Non sarà più lo stesso."
"Non è più lo stesso nemmeno adesso."
Il silenzio di Sam è il più doloroso degli assensi.

Dean non è più un demone, ma gli effetti del marchio continuano a farsi sentire e bisogna intervenire prima che la situazione precipiti nuovamente. Castiel convincerà Sam a provare quella che sembra essere l'ultima soluzione rimasta, una soluzione avente un prezzo molto, molto alto.
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“Sei sicuro che funzionerà?”
 
Sam ha gli occhi bordati di viola e le guance incavate. È sul punto di crollare, o forse l’ha già fatto ma si obbliga ad andare avanti comunque. Se c’è una cosa che Castiel ha imparato è che gli essere umani, a dispetto della fragilità dei loro involucri, sanno essere sorprendentemente forti.
 
“Insomma, chi ci dice che cancellerà gli effetti del marchio?”
 
“Non è detto che accada, ma non abbiamo alternative.”
 
Il minore dei Winchester serra la mascella e distoglie lo sguardo, combatte contro una scelta che non hai il coraggio di fare ma che sa essere inevitabile.
 
“Sam.”
 
Castiel pronuncia il suo nome come fosse una preghiera, ignorando la stretta che gli avviluppa il petto – deve rimanere lucido, almeno lui, deve indicare a Sam la strada giusta da seguire. È questo quello che fanno gli angeli.
 
“Devi lasciarmelo fare.”
 
Sam sospira e Castiel vede la rassegnazione farsi strada nel suo sguardo.
 
“Non sarà più lui.”
 
“Non è più lui nemmeno adesso.”
 
Il silenzio che ottiene in risposta è il più doloroso degli assensi.
 
*
 
Tre anni prima.

Quando Castiel si materializza nella camera del motel trova Dean seduto sul bordo del letto, intento a contemplare un piccolo rettangolo di carta. Essendo apparso alle sue spalle, riesce a vedere cosa raffigura: Lisa e Ben.

Malgrado gli sia celata, Castiel è sicuro di conoscere l’espressione con cui Dean li sta osservando; la scorge nella sua postura, nel modo in cui le sue spalle sono curve, come fossero oppresse da un peso invisibile. In qualche modo, la sente.
 
Riesce sempre a sentire tutto, quando si tratta di Dean.
 
“Per quanto ancora te ne starai lì a fissarmi?”
 
E lui fa altrettanto.
 
“Che succede?”
 
Dean si volta, la fotografia ancora stretta tra le dita, e quando incrocia il suo sguardo Castiel sente formarglisi in gola un groppo che impiega qualche istante a identificare: senso di colpa.
 
Vorrebbe chiedergli scusa – per avergli portato via la cosa più simile ad una famiglia che fosse mai riuscito a costruirsi (e non importa che sia stato Dean a chiederglielo, è comunque stato lui), per averlo ingannato, per tutto -, ma sa che non è quello che Dean vorrebbe sentirsi dire.
 
“Lassù hanno sbarrato le porte per non farti entrare?”
 
Non c’è traccia di biasimo nella sua voce - no, non l’ha perdonato, Castiel sa che non lo farà mai, non fino in fondo almeno, ma ha rimesso assieme i cocci in modo tale che le crepe siano a malapena distinguibili. Non gliene sarà mai grato abbastanza.
 
“Ti mancano?”
 
Dean storce la bocca in una smorfia mentre i suoi occhi si abbassano nuovamente sulla fotografia. Vi sostano per un lungo istante, come a voler ricercare la risposta tra i colori sbiaditi e le spiegazzature – deve averla stretta spesso, probabilmente la tiene in tasca tra le tessere e i documenti falsi -, poi si sollevano e Castiel sente il rimorso mordergli le viscere davanti al velo di tristezza che li offusca.
 
“Ho sempre saputo che prima o poi avrei dovuto lasciarli, ma…avrei voluto che succedesse in un altro modo” conclude, scrollando le spalle “È dura essere dimenticati dalle persone che si amano.”
 
*
 
“Ti ha chiamato Sam, vero?”
 
Castiel non risponde e Dean non si volta; continua ad ammucchiare abiti e oggetti nel borsone, li affastella in modo frettoloso e confusionario.

Deve sbrigarsi, deve andarsene, deve allontanarsi da loro – per non fargli del male, per impedirgli di vedere quello che sta diventando.
 
Quello che sei diventato.
 
Scuote il capo, come se il gesto bastasse a scacciare quel pensiero.
 
“Gliel’ho già detto, posso gestirlo” dice – ringhia – e sa che non è vero, sa che Castiel non gli crederà mai. Non gli importa.
 
Chiude lo zaino e se lo sistema in spalla, si gira e trova Castiel ad un soffio da lui. Quello che vede nei suoi occhi gli fa paura, anche se non riesce a capire di cosa si tratti. È qualcosa di diverso dalla solita solennità, qualcosa che li rende più scuri e, in qualche modo, più minacciosi. 
 
Dean abbassa lo sguardo ad incontrare le sue labbra e per un momento, per un solo momento, si domanda come sarebbe poggiarci sopra le proprie. Attribuisce il pensiero al marchio, perché non ha il tempo né la forza per affrontare quello che realmente nasconde - non vuole affrontarlo, vuole solo scappare il più lontano possibile, scappare dalla voce che continua a ripetergli che non si può scappare da se stessi, scappare da Sam che si ostina a cercare una soluzione che non esiste e dagli occhi di Castiel che sono così blu e così bui e così—
 
“Mi dispiace, Dean.”
 
Castiel gli sfiora la fronte con le dita e il mondo si spegne.
 
*
 
Sam dice che le cose vanno bene. I loro incontri sono frequenti e fatti di poche, essenziali parole. Lui dice che Dean sta bene e Castiel annuisce e non pone domande. Sam non aggiunge altro, nessuna informazione su quello che Dean stia facendo, su come procedano le loro vite adesso che demoni e mostri sono solo un ricordo – per Sam. Per Dean sono un buco nero, lo stesso in cui è stipato anche lui.
 
Le cose vanno avanti in questo modo per sei mesi, sei mesi durante i quali Castiel sa solo che Dean sta bene e che la sua memoria è una tabula rasa.
 
Sono passati sei mesi quando Castiel decide di vedere Dean. Si dice che è per verificare che tutto stia davvero funzionando, per appurare personalmente che gli effetti del marchio siano svaniti.
 
Ha imparato a mentire agli altri, ma non a se stesso.
 
*
 
“Ehi?”
 
Una mano si poggia sulla sua spalla e il suo cuore sprofonda con un unico, rumoroso tonfo.
 
L’impulso di volatilizzarsi è così forte che quasi cede alla tentazione di assecondarlo, ma non può farlo. Si volta, lento e insicuro, e incontrare quegli occhi gli infonde un misto di dolore e sollievo che lo colpisce con la forza di un pugno. 
 
“Posso fare qualcosa per lei?” chiede, ed è estremamente confortante il fatto che sia in grado di tirar fuori la voce.
 
“Dirmi perché mi pedini da una settimana, per esempio.”
 
Non è arrabbiato, non davvero, ed è un modo di comportarsi così da Dean che, per un istante, Castiel si illude che non sia cambiato nulla.
 
“La cosa comincia a diventare parecchio inquietante. Non offenderti, amico, ma assomigli terribilmente a uno stalker.”
 
Ma è solo un istante, poi la realtà gli piomba addosso con tutto il suo peso e Castiel non è sicuro di poterlo reggere.
 
“Mi dispiace, io....credevo che ci conoscessimo.”
 
Dean inarca un sopracciglio, ed è un gesto così dolorosamente familiare che Castiel smette di respirare per un momento. “In effetti la tua faccia non mi è nuova. Sei del posto?”
 
“No” risponde, e in quel ‘no’ ci sono molte più cose di quante Dean ne possa immaginare. Non appartiene più alla Terra, non le è mai appartenuto. L’unica cosa a cui sentiva di appartenere non ricorda nemmeno che lui esista. “Sono solo di passaggio.”
 
L’espressione di Dean cambia, diviene improvvisamente accigliata, e un attimo dopo lui fa qualcosa che fa perdere un battito al cuore di Castiel: si sfiora la spalla, strofina la stoffa nel punto esatto in cui c’è la sua impronta, come se…sentisse qualcosa.
 
Castiel darebbe qualsiasi cosa per poterla toccare.
 
“Ti va di…prendere una birra?” gli chiede Dean e c’è ancora qualcosa di torvo, nel suo sguardo, l’ombra di un interrogativo a cui sembra voler trovare risposta sul suo viso.
 
Castiel sa che non ha senso accettare, che renderà soltanto tutto più difficile.  
 
“Volentieri.”
 
*
 
“Di dove sei?” Castiel si ridesta quando la cameriera poggia i due boccali sul tavolo. Si aspetta di vedere Dean ammiccare nella sua direzione, ma non succede. “Hai detto che sei solo di passaggio.”
 
“Io…sì, è così.” Castiel afferra la propria birra per temporeggiare, l'avvicina trascinandola sulla superficie di legno. “Vengo…dal Nord.”

“Sei qui per affari?”
 
Castiel annuisce, ingollando il primo sorso. “Mi sposto molto per lavoro.”
 
“Cosa fai? Hai l’aria di un esattore delle tasse.”
 
La mano di Castiel si serra attorno al vetro, così forte che per attimo teme di vederlo frantumarsi tra le proprie dita. Davanti ai suoi occhi appaiono immagini vecchie di anni, immagini risalenti ad un’epoca così remota che è difficile credere d’averla vissuta veramente.

E quello sarebbe il tuo vero aspetto, quello di un esattore delle tasse?

Le manda via prima che gli blocchino le parole in gola. 

“Il rappresentante. Per un’azienda.”
 
“Un’azienda di…?”
 
Castiel lo guarda, e la risposta gli affiora spontaneamente alle labbra. "Automobili.”
 
“Allora abbiamo qualcosa in comune: io le auto le riparo. Ho un’officina.”
 
“Davvero?” domanda Castiel stupito, ricordando la sera infinitamente lontana in cui un Dean ben poco sobrio gli aveva raccontato che, se avesse vissuto una vita normale, avrebbe fatto il meccanico. È strano pensarci adesso, quasi surreale. È felice per lui o, almeno, crede di esserlo. Nessuno gli aveva mai detto che la felicità può fare tanto male.
 
Le emozioni sono così…difficili. Difficili da vivere, difficili da catalogare. Sono qualcosa a cui Castiel non riuscirà mai ad abituarsi.
 
“Sono sempre stato portato per i lavori manuali. L’intellettuale di famiglia è mio fratello. Si è riscritto all’università da qualche mese. Aveva mollato molti anni fa, ma visto che stare sui libri è l’unica cosa che sappia fare è tornato a fare il topo di biblioteca.”
 
Accompagna la frase con un sorriso bonario, Dean, gli occhi pieni di quell’affetto per cui Castiel l’ha visto lottare tanto a lungo – nel nome del quale l’ha visto morire.
 
Sam e Dean sono una di quelle cose che nessuna amnesia e nessun incantesimo potrebbero cambiare.
 
Segue un silenzio lungo, così simile a quelli che erano soliti condividere che Castiel deve forzarsi per non alzarsi e andare via.
 
Dean prende un’altra birra – beve ancora molto, aggrotta la fronte allo stesso modo, sembra più felice di quanto non sia mai stato da quando l’ha conosciuto –, gli chiede se anche ne voglia ancora e Castiel declina.
 
Sam aveva ragione: Dean sta bene. Sta bene senza di lui. È una consapevolezza che gli scava una voragine nel petto, e a nulla serve ricordare a se stesso che Dean non l’ha dimenticato per scelta.
 
“Come ti chiami? Non te l’ho ancora chiesto.”
 
Castiel tiene gli occhi fissi sul fondo del bicchiere, apre la bocca e poi la richiude. Esita ancora, poi risponde. “Jimmy.”
 
Dean gli porge la mano e Castiel la osserva titubante prima di stringerla.
 
“Dean.”
 
“Piacere di conoscerti, Dean.”
 
“Per quanto ti fermerai?”
 
La risposta fuoriesce senza attendere il suo permesso. “Una settimana.”
 
*
 
Il giorno dopo si vedono allo stesso bar. Non l’hanno concordato, non esplicitamente almeno, ma quando Castiel vi fa ritorno e vede Dean seduto allo stesso tavolo lo raggiunge come se si fossero dati appuntamento. Come se dovesse essere così e basta.
 
Questa volta, insieme alla birra, Dean ordina anche una fetta di torta. Castiel starebbe a guardarlo mangiare in eterno perché, in quel momento, è semplicemente Dean, così uguale a quello che lo pregava ogni volta che aveva bisogno d’aiuto e che s’illuminava nel vederlo comparire, e non conta cos’abbia o non abbia più nella testa.
 
“Mi stai fissando” dice Dean all’improvviso, affondando la forchetto nel dolce “Mi fissi in continuazione.”  
 
Non ci sono sottintesi né insinuazioni nel suo tono; è una constatazione, secca e neutrale, ma Castiel non può comunque fare a meno di distogliere lo sguardo.
 
“Quando non viaggi per lavoro dove sei?” La domanda di Dean spezza il silenzio venutosi a creare.
 
“A casa.”
 
Castiel ha sempre creduto che il Paradiso fosse la sua casa. Poi ha cominciato ad attribuire al termine un valore diverso, smettendo di concepirlo semplicemente come il luogo in cui si dimora, e ha capito di non averne mai avuta una prima di incontrare Dean. Ora che l’ha perso, casa corrisponde a uno spazio vuoto.
 
“Da solo?”
 
Castiel nota il modo in cui Dean pone la domanda, simile a quello che utilizzava quando interrogava le vittime e cercava di far passare per casuali interrogativi di vitale importanza.
 
“Da solo” conferma “Non ho una famiglia.”
 
“Nemmeno io” si affretta ad aggiungere Dean, probabilmente per non dargli il tempo di riflettere sulle implicazioni che il quesito nascondeva “A parte Sam. Lui è l’unica famiglia che abbia mai avuto.”
 
Un’altra immagine, questa volta più vicina, un volto insanguinato che fa breccia nella nebbia di una mente distorta, avvelenata da manipolazioni e ordini sbagliati. 
 
Siamo una famiglia. Abbiamo bisogno di te. Io ho bisogno di te.
 
Questa volta, Castiel accetta la seconda birra.
 
*
 
“I miei sono morti quando ero piccolo.”
 
Stesso bar, stesso tavolo, stessa routine. Castiel arriva e si siede, Dean ordina due birre e comincia a parlare. Non è una cosa da Dean, aprirsi in quel modo con uno sconosciuto - ma lui non è uno sconosciuto, è quello che per Dean ha sacrificato tutto e, se necessario, sarebbe pronto a farlo altre mille volte.
 
Castiel finge di non ricordare che Dean non ha più memoria di quel passato e si dice che non c'è nulla di anomalo, in quella situazione, che è giusto così.
 
“Hanno avuto un incidente. È strano, sai. Io…io ricordo molto più nitidamente il volto di mio padre che quello di mia madre. Non so perché, ma è così. A volte ho la sensazione di averlo conosciuto, mio padre. Mi ricordo tante cose di lui.”
 
Castiel beve, mandando giù assieme alla birra tutte le parole che non può pronunciare.
 
“Tuo padre, invece?”
 
“Se l’è data a gambe.” Improvvisamente, il sapore che gli invade la bocca sembra farsi più amaro. “Nessuno sa che fine abbia fatto.”
 
“Che figlio di puttana.”
 
“Già.”
  
*
 
“Quindi non hai una ragazza.”
 
Castiel stacca gli occhi dal boccale e li pianta in quelli di Dean. “Cosa te lo fa pensare?”
 
“Nessuna telefonata e nessun messaggio in quattro giorni. Considerando che passiamo insieme tutto il pomeriggio, penso di poter dire con relativa certezza che non c’è nessuna. O se c’è non è particolarmente interessata.”
 
“Non c’è. E tu, hai una ragazza?” chiede Castiel di rimando.
 
In risposta, Dean sbuffa una risata. “Non sono tagliato per certe cose.”
 
“Che vuoi dire?”
 
“Non riesco a…legarmi. Non sono quel tipo di persona, capisci? Preferisco divertirmi e basta.” Quella bugia è lo specchio più fedele del Dean Winchester che ha conosciuto e Castiel la incassa senza smentirla. “Dovresti farlo anche tu. Sembri uno che non si diverte abbastanza” riprende, e Castiel vede disegnarsi sul suo volto un ghigno che, lo sa bene, è foriero di pessime idee e altrettanto pessime proposte “Conosco il posto che fa al caso tuo. Devo portartici.”
 
“Non funzionerebbe, credimi.”
 
“Giochi per l’altra squadra?”
 
“Non si tratta di questo. Non sono…situazioni adatte a me.”
 
“Come fai a dirlo? Hai mai provato?”
 
Le ho solo detto che non era colpa sua se suo padre è andato via di casa. L’ha fatto perché odiava il suo lavoro all’ufficio postale.
Oh dai! Questa industria funziona sui padri che se ne vanno e sul senso di colpa!
 
Castiel si porta il boccale alle labbra per celare il sorriso che il ricordo gli strappa.
 
*
 
“Credo di aver fatto qualcosa di molto brutto. Di…sbagliato.
 
Dean finisce la birra e poggia il boccale sul tavolo. Castiel non sa precisamente quanti altri ne abbia svuotati prima, ma sa che ha bevuto molto di più dei giorni precedenti. Forse è questo il motivo per cui gli sta facendo quella confessione o, forse, ha bevuto di più proprio perché voleva fargliela.
 
“Che cosa?”
 
“Non lo so. L’ho chiesto a Sam ma ha evitato l’argomento, il che conferma che ho fatto qualcosa di molto brutto.” Dean richiama l’attenzione della cameriera con un cenno “Mi sento costantemente in colpa. Vorrei rimediare e non so come.”
 
“Anch’io ho fatto qualcosa di brutto.”
 
Castiel si pente immediatamente d’averlo detto, perché adesso Dean gli domanderà che cosa e lui non sa se sarà capace d’inventarsi una storia convincente.
 
“Allora andremo entrambi all’Inferno” commenta Dean, con una leggerezza decisamente forzata, e Castiel risponde con quello che somiglia più a una smorfia che a un sorriso.
 
“Altre due birre, per favore.”
 
*
 
“C’è qualcosa di cui hai paura?”
 
Dean pone domande, lui risponde. Non è così strano, in fondo. Ha sempre assecondato Dean, ha sempre fatto quello che lui gli chiedeva. Adesso è questo quello che Dean gli chiede: parole. Castiel non vede perché dovrebbe negargliele.
 
(Vede mille motivi per cui dovrebbe farlo, ma preferisce ignorarli.)
 
“Io ho paura di volare.”
 
“Non si può aver paura di volare” replica Castiel, e una fitta di nostalgia gli squarcia il petto al pensiero delle sue ali, del vuoto immenso che lo circondava quando solcava i cieli.
 
“Prova a salire con me su un aereo e vedremo se sarai ancora dello stesso avviso. Sam ha avuto bisogno di un mese di terapia dopo la prima volta.”
 
“Non hai paura di volare, hai paura di cadere. È diverso.”
 
Castiel ricorda i suoi fratelli che precipitavano, sfere di fuoco e luce che tracciavano scie dorate nella notte.
 
“Non mi hai ancora risposto.”
 
“Anch’io ho paura di cadere. Ne avevo, almeno.”
 
*
 
Dean fissa con insistenza il bicchiere ma, in realtà, sta guardando qualcosa che soltanto lui può vedere. Castiel lo capisce dal modo in cui è assorto, da quello in cui i suoi occhi sono assenti. Sa che sta per dire qualcosa ancor prima che apra bocca.
 
“C’è una cosa che ricordo di mia madre. Quello che mi diceva ogni sera, prima di darmi la buonanotte. ‘Gli angeli vegliano su di te’.”
 
Castiel alza la testa di scatto e trattiene il fiato. Dean non gliel’aveva mai detto e lui non riesce a fare a meno di pensare – di sperare, di illudersi - che c’è un motivo se lo sta facendo adesso.
 
“Non che creda a stronzate come Dio, gli angeli e cose del genere.”
 
Castiel sente qualcosa rompersi dentro di lui, avverte distintamente la spaccatura creata da quelle parole; per un momento, pensa che lo spezzerà in due.
 
“Stai bene?” domanda Dean, preoccupato, e Castiel deve fare appello a tutte le sue forze per riuscire ad annuire.
 
È dura essere dimenticati dalle persone che si amano.
 
“Ti ho…offeso? Sei credente?”
 
“No” risponde prontamente e immette, aria, tanta aria, perché all’improvviso è come se l’avessero prosciugata tutta “Lo ero, poi ho capito che mi sbagliavo.”
 
*
 
Escono dal locale e, come ogni giorno, si salutano e si dirigono in direzioni opposte. Castiel ha compiuto solo una manciata di passi quando avverte uno scalpiccio risuonare alle sue spalle.
 
“Aspetta.”
 
Un mano si stringe attorno al suo polso e il suo cuore accelera, si dimena nel petto come un uccello in gabbia.
 
“C’è una cosa che voglio fare" Dean lo fa voltare e Castiel lo vede deglutire nervosamente "Dalla prima volta che ti ho visto" la presa attorno al polso si allenta, le dita di Dean risalgono lungo l'impermeabile "Io-- credo di stare impazzendo, non lo so. Non ne ho idea. Tutto quello che ti ho raccontato. Io non--”
 
“Dean--”
 
Dean inspira forte, come se stesse per buttarsi in acqua, poi l’afferra per il bavero del trench per attirarlo a sè e lo bacia.

È completamente diverso da tutto quello che Castiel abbia mai provato ed è meglio, infinitamente meglio, è qualcosa che lo riempie e lo svuota a un tempo.
 
Solo in quel momento realizza d’averlo desiderato per tutti quegli anni.
 
*
 
“La settimana è scaduta.”
 
No, vorrebbe dirgli, resto, resto per sempre, baciami un’altra volta, ma sarebbe sbagliato in così tanti modi e per così tanti motivi che Castiel non saprebbe elencarli tutti.
 
“Perdonami.”
 
“Per non poter rimanere?”
 
Per non averti permesso di scegliere.
Per non essere riuscito a trovare un altro modo.
Per aver tradito la tua fiducia.

 
“Per tutto.”
 
È una risposta priva di senso e di logica ma Castiel sa che ha capito, in qualche modo, perché Dean non ha mai avuto bisogno di spiegazioni e certe cose restano nonostante tutto, certe cose vanno oltre la memoria.
 
“Sei un tipo strambo, sai?” dice ed è strano, è come se avesse voluto dire altro o se stesse effettivamente dicendo altro. Nemmeno Castiel ha mai avuto bisogno di spiegazioni; forse, è per questo che riesce a capirlo.
 
“Addio, Dean.”
 
“Ehi, perché addio? Il mondo è piccolo. Magari un giorno ci rincontreremo, chi può dirlo?”
 
Dean gli sorride, e a Castiel ricorda il modo in cui la sua anima riluceva la tra le fiamme dell’Inferno. Sorprendentemente, riesce a sollevare gli angoli della bocca a sua volta. “Già, chi può dirlo?”
 
 
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: Alley