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Autore: Macaron    04/11/2014    2 recensioni
"John guarda le due statuine che minacciose (per quanto possano essere minacciose due cosette in pseudo bronzo di 20 cm) li fissano e si prepara a quello che li attende. Se questa dev’essere la sua fine è quasi contento che avvenga in questo modo: sul campo di battaglia con la mano di Sherlock Holmes stretta alla sua."
Di statue di bronzo che si animano, storie dell'orrore e mani intrecciate strette.
Genere: Comico, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Lo so che ormai più che ad Halloween siamo a Natale ma mi spiaceva lasciare nel cassetto questa storia quindi facciamo finta di niente. Essenzialmente coccolosità, scemenze e busti raffiguranti Sherlock e John (presente quelli che davano nel costosissimo box limited edition e chi più ne ha più ne metta della BBC? Sto pensando esattamente a quelli.)

A Monica perché dove la trovi una persona con cui pianificare assassini di infanti (non in questa storia, giuro) e insultare contemporaneamente i concorrenti di Bake Off?

 


 

 

Da bambino gli piaceva Halloween. Prima delle ragazze, prima del divorzio dei suoi genitori, prima delle serate ad aspettare il rientro a casa di Harry sempre più ubriaca, prima dell’università, prima dell’esercito. Prima. Prima gli piaceva Halloween. Gli piacevano i costumi perché non aveva una madre di quelle che rimangono sveglie fino alle due di notte a cucire il vestito (ma esistevano davvero, poi? Le sentiva parlare di questo, la mattina quando accompagnavano a scuola i figli, ma era convinto che se si fosse infiltrato nelle loro case alle due di notte le avrebbe trovate beatamente a dormire. Non l’aveva mai fatto ma n’era convinto. Se da bambino fosse stato amico di Sherlock l’avrebbe fatto sicuramente) ma sua madre gli concedeva sempre di scegliere quello che preferivano dal negozio e dopo i primi anni era anche scesa a compromessi con l’idea che lui e Harry non avrebbero mai avuto un costume in coordinato visto che non erano nemmeno in grado di rimanere nella stessa stanza senza cercare di uccidersi. Gli piacevano le caramelle, i dolcetti che si ricevevano quando si suonava alla porta al grido (era proprio un grido, non è una battuta, le voci di un gruppo di bambini esaltati non sono sempre piacevoli e musicali) di “Dolcetto o scherzetto” anche se alla fine della serata si trovava sempre con troppi Kit Kat e troppe poche Atomic Balls1. Gli piaceva intagliare la zucca con suo padre, infilare la sua piccola mano all’interno e poi rincorrere Harry per la casa con quella massa filamentosa che la terrorizzava tanto. Gli piacevano le decorazioni, i colori, i film dell’orrore (almeno quelli concessi ai bambini, che erano sempre un po’ troppo poco spaventosi ma almeno poteva guardare senza tapparsi gli occhi e sentendosi molto coraggioso. Un uomo fatto e finito), gli scherzi stupidi da farsi con i compagni di classe. Ma soprattutto gli piacevano le storie dell’orrore raccontate davanti alla luce della zucca illuminata quando tornavano a casa, “Non più tardi delle 22, bambini! Ricordatelo alla mamma che ci accompagna!” e i loro genitori li aspettavano per sapere cos’avevano raccolto e quale dei loro vicini era stato così sciocco da sfidarli a fare uno scherzetto. Gli piaceva che l’unica cosa a illuminarli fosse la luce della candela, gli piaceva la voce di sua madre che cercava di spaventarli, gli piaceva anche farsi spaventare perché in qualsiasi momento sapeva che si sarebbe potuto girare verso la sua famiglia e sentirli dire di non preoccuparsi, che nessun mostro sarebbe mai andato a prenderlo, che era protetto, che era al sicuro.

Gli piaceva Halloween. Poi era cresciuto. Le caramelle gli erano sembrate meno appetibili, i vestiti delle sue compagne di classe avevano iniziato a puntare meno all’attinenza storica con i personaggi che dovevano rappresentare e più a cercare di renderli femminili (non tutte, non che gli dispiacesse in ogni caso. Era in quell’età in cui sia ragazze che ragazzi sono disposti ad accettare di prendersi qualche licenza se poi permette d’attaccare bottone e di finire a ballare insieme a una festa. O pomiciare in camera del padrone di casa), i film di paura più scontati e prevedibili. I suoi genitori c’erano ancora ad aspettarli, suo padre almeno, quando tornavano a casa la notte dei morti viventi ma di solito perché infrangevano il coprifuoco e non per chiacchierare. Le decorazioni sulla zucca si erano fatte più ripetitive, anche se non mancavano mai perché la tradizione era la tradizione, e le storie dell’orrore non c’era più nessuno a raccontarle. E nessuno che avesse voglia di ascoltarle.

Gli piaceva Halloween. Poi era cresciuto ancora e aveva imparato che i fantasmi non li puoi addormentare il primo novembre e svegliarli un anno dopo ma che sono sempre con te, e che quando ti svegli di notte urlando per la paura non sempre c’è qualcuno a dirti che è tutto un sogno, che nessuno ti potrà fare del male, che non c’è motivo di avere paura. Aveva scoperto che la paura è molto meno divertente di quanto pensi da bambino, e molto meno controllabile. Aveva scoperto che forse non era così coraggioso come credeva di essere, anche se non era ancora pronto ad ammetterlo.

Gli piaceva ancora Halloween. Solo in modo diverso, più disincantato. Da adulti (che brutta parola, che brutta parola quando è alla paura, all’incapacità di perdersi dentro le cose). Era cresciuto. E poi era cresciuto ancora. E aveva incontrato Sherlock Holmes e aveva imparato che forse non puoi mettere a tacere la paura, che forse non tutte le storie dell’orrore sono solo storie da raccontarti davanti alla luce di una zucca intagliata (e che la realtà molte volte è ancora più spaventosa). Ma che puoi anche svegliarti nel cuore della notte scosso dai brividi e con la fronte madida di sudore dopo che hai combattuto per l’ennesima volta contro tutti i tuoi demoni, contro tutti i tuoi fantasmi e sentire la musica di un violino che proviene dal piano di sotto del tuo appartamento. E che forse questa è la versione adulta di tua madre che ti sorride e ti dice che non devi avere paura di niente, che sei a casa. Forse non puoi smettere di aver paura ma puoi avere qualcuno vicino a te pronto ad aiutarti a farci i conti.

Da bambino gli piaceva Halloween. E in maniera diversa gli piaceva ancora adesso.

 

 


Non hanno una zucca vera e propria. Ci ha provato durante il suo primo anno di permanenza a Baker Street a intagliarla con risultati quantomeno fallimentari. L’ha svuotata il 30 ottobre, come faceva sempre suo padre, poi è andato a un appuntamento con una collega conosciuta a una conferenza e quando il giorno dopo è andato ad intagliarla ha trovato all’interno della sua bellissima zucca una coltura di muffe e un coinquilino che davanti alle sue rimostranze ha saputo solo obiettare “Non è colpa mia se sei uscito con Sandy (che è quella precedente, non c’è verso che Sherlock impari un nome. Questa si chiama Grace. O Greta. Maledizione!) invece di occuparti di procurarmi un terreno più adatto, cosa dovevo fare metterle nel mio violino? O aspettarti quando non sapevo nemmeno se saresti tornato entro la fine della settimana?” (era stato via un week end da quando erano andati a vivere insieme a quell’Halloween e dai discorsi di Sherlock sembrava che si presentasse in casa una volta al mese giusto per mangiare i biscotti al burro di Mrs. Hudson e distruggere i suoi esperimenti. Cosa che comunque sarebbe stata nei suoi diritti, almeno la prima parte. Manco fossero fidanzati.)

Dopo di quella prima fallimentare esperienza ha comprato una zucca in ceramica in un pound shop e la tira prontamente fuori la settimana prima di Halloween ricordandosi di minacciare Sherlock d’invitare Mycroft per un caffè per proteggere la sua incolumità (della zucca. Non di Sherlock). Se hanno un caso si limita a comprare al Tesco un pacco gigante di caramelle e lasciarle in giro per il 221B ed aspettare che un certo consulente investigativo le mangi (a volte è come vivere con un animaletto selvatico che non vuole mangiare quello che allunghi ma poi in attacchi di fame ti mangia le scarpe) come se fosse la loro versione casalinga di “Dolcetto o Scherzetto”. Se, come quest’anno, invece non hanno nulla in programma può permettersi di tirar fuori qualche decorazione e pensare a che dvd horror o splatter affittare stando sicuro che a meno che non si tratti di una storia vera (quindi in qualche modo utile per la sua professione) Sherlock non l’avrà visto.

 


“John se vedo ancora un minuto di un film in bianco e nero in cui degli uccelli sentono la necessità di attaccare gli esseri umani senza alcun motivo e dopo diverse giornate in cui nessuno ha fatto niente, nessuno! Mi sono girato a guardarlo per almeno dieci secondi e lo so, decidono di lasciar andar via gli abitanti senza attaccarli (quando prima pasteggiavano con infanti e cuccioli)2 giuro che mi sentirò autorizzato a compiere il prossimo esperimento sull’efficacia degli acidi utilizzando i tuoi maglioni come superficie.”

Tre giorni senza casi, Sherlock è di evidente ottimo umore ma John ama Halloween e non ha la minima intenzione di farsi guastare la giornata. Se conoscesse una canzoncina la canticchierebbe apposta per irritarlo, come fa sempre il suo coinquilino quando dopo che è uscito con una ragazza (John, non Sherlock. Le ragazze non sono proprio l’area di Sherlock. Non che a John interessi ovviamente) ed è tornato a casa leggermente ubriaco decide di suonare (anzi di torturare) il violino in piena notte.

Lo ignora e concentra la sua attenzione su una serie di pacchetti sopra il tavolo della cucina.

“Cosa sono questi?”

“Pacchetti, John. Sapevo che non eri molto acuto ma pensavo che riuscissi almeno a distinguere gli oggetti. Ti ho lasciato una relazione sul peggioramento della tua vista sul comodino, non l’hai letta?”.

“Ovvio che non l’ho letta, ci vedo benissimo e mi rifiuto di prendere anche solo in esame una scemenza del genere.”

“Sei sicuro di non averla magari non vista, John?”

“Sherlock! Ho capito che sono dei pacchetti, che pacchetti sono?”.

“Dei nostri fans. Degli stupidi lettori del tuo blog. A quanto pare hanno preso questa bizzarra abitudine di mandarci delle lettere e dei regali da quando sono tornato per, e cito tale Leni Novantaequalcosa, celebrare il nostro ricongiungimento” Dice ricongiungimento allontanando la parola come se lo infastidisse. Per un attimo rimangono in silenzio e l’idea che ci sia qualcosa da festeggiare nel loro ricongiungimento, nella loro unione, nel loro essere di nuovo entrambi al 221B aleggia su di loro. Non sanno ancora cosa farci con questa sensazione, con questo calore che sentono nello stomaco (lo sentono entrambi, anche quando finta di niente) quando pensano che dopo i pugni, che dopo le urla, che dopo le cose non dette (quante ce ne sono state, quante ce ne sono ancora) sono ancora lì. Il 221B è di nuovo casa e non più una casa. Forse sarebbe davvero da festeggiare, forse un giorno sapranno cosa farci con quel sentimento. Forse adesso non è semplicemente il momento e non importa. Hanno ancora tempo, hanno ancora tutto il tempo del mondo. Hanno di nuovo tutto il tempo del mondo.

John scuote qualche pacchetto. Dal primo scivola fuori una lettera con degli adesivi colorati (ma perché?) e il disegno di loro due insieme vestiti come Batman e Robin che gli strappa un sorriso. Nella seconda ci sono dei dolci. La terza è talmente così lunga, quante pagine saranno? Cinque? Sei? E scritte fitte, che non è sicuro di voler sapere cosa ci sia scritto.

Il quarto pacchetto è più voluminoso. Pesante. John lo sventola davanti a Sherlock e quando non vede alcun cenno d’interesse lo apre e quello che vede è quasi peggio di un film dell’orrore.

Due busti. Non più grandi della sua mano. In un qualche metallo, probabilmente bronzo o simil bronzo. Raffiguranti lui e Sherlock. Due busti di lui e Sherlock in simil bronzo grandi quanto la sua mano. Non è che siano nemmeno brutti, se dev’essere onesto, sono sicuramente realizzati con cura, certi dettagli ricordano proprio il consulente investigativo ma sono due busti. Due busti di lui e Sherlock. John ha quasi paura di dirlo ad alta voce, come se evitarlo possa non renderli reali.

Sono terribili. Spaventosi. Non riesce a fare a meno di guardarli.

“Ci hanno spedito due busti. Di noi stessi. Qualcuno ha speso del tempo e dei soldi a realizzare queste…queste cose e ha pensato che fossero così belle che valesse la pena di mandarcele. Che potessero farci piacere. Io non riesco a concepirlo, davvero. Come siamo finiti dentro a questa cosa, come Sherlock?”.

“Cosa dicevi anni fa sul tenere un basso profilo?”

E John ride perché non ne può fare a meno. Perché loro fanno così. Alzano gli occhi al cielo, non si sopportano e poi finiscono a ridere insieme quasi senza motivo. E allora basta questo. Per ogni cosa. Una battuta che capiscono solo loro, un ricordo che hanno vissuto solo loro.

 

 

 


Un rumore. Un tonfo sordo. John si sveglia di soprassalto. Un attimo per guardarsi intorno e capire che è ancora a casa, che nella notte non si è trasportato sul campo di battaglia e poi-

“Sherlock!” La prima parola che dici quando ti svegli ed hai paura dovrebbe voler dire qualcosa? La prima persona che cerchi al buio? La prima persona per cui ti preoccupi. Una parola. Un nome. Un nome che non dovrebbe voler dire nulla perché non è quello che ci contraddistingue, perché non è quello che ci rende noi ma che è anche quello che chiamiamo la notte quando siamo al buio spaventati. Il suo primo nome, la sua prima parola.

“Sherlock!” In un attimo è sulle scale e poi nel soggiorno. Non accende nemmeno la luce, non vuole perdere tempo. Ogni tanto il militare ha la meglio sul medico.

Sherlock esce dalla sua stanza sbadigliando (allora dormi ogni tanto! Non è vero che non ne hai bisogno) e se John non fosse tra il sollevato e il preoccupato penserebbe che sia bellissimo, penserebbe a quanto vorrebbe infilare la mano tra quei riccioli ingarbugliati per vedere se con l’avanzare degli anni hanno perso morbidezza, per sentire i suoni che escono dalla gola del suo coinquilino quando lo accarezzi. Ma non è questo il momento per perdersi in fantasie scomode.

“Non hai sentito quel rumore.”

“Non ho sentito nulla.”

Perfetto. La persona con maggior spirito d’osservazione che conosce gli sta velatamente dando del mitomane.

Un tonfo. Seguito da dei rumori sordi ma meno forti. Provenienti senza ombra di dubbio dalla cucina.

“Quel rumore?”

“Quel rumore.”

Si avvicinano alla cucina, sempre al buio. John prende in mano il teschio, la prima cosa che gli è capitata a tiro.

“Davvero, John? Anni nell’esercito e hai intenzione di uccidere un criminale con un teschio? Lo stai facendo solo perché è Halloween o sei serio?”.

“Non dire una parola o lo uso contro di te.”

“Perché? Hai intenzione di farmi morire di noia recitando l’Amleto?”.

Stanno bisticciando come una vecchia coppia sposata. John è già stato sposato ma non è mai diventato vecchio insieme a qualcuno, è solo diventato arrabbiato e stanco, e ogni tanto gli sembra che l’unica persona con cui riesca a immaginarsi nascere e crescere e invecchiare sia Sherlock. Stanno bisticciando e si sono quasi dimenticati il motivo per cui hanno iniziato quando la cucina reclama la loro attenzione. Furtivamente, per quanto possa essere possibile perché John solo pochi minuti fa stava urlando sulle scale quindi l’effetto sorpresa potrebbe essere rovinato, sbirciano all’interno della cucina e quello che vedono… quello che vedono riesce a lasciare senza parole anche Sherlock Holmes.

I due busti. Quelli che in una classifica per bruttezza si posizionerebbero senza dubbio nella zona medaglia, quei due busti. Quei due busti che prima erano in una scatola di cartone, John non se l’è sentita di buttarli essendo un regalo ma l’idea di averceli davanti agli occhi non lo convinceva più di tanto, adesso ne sono usciti e in maniera traballante (e spaventosa) si stanno muovendo. Muovendo. John è tentato di ripeterlo ad alta voce e non solo nella sua testa giusto per vedere se è diventato pazzo ma no si stanno proprio muovendo e il colorito di Sherlock (che ha raggiunto nuove sfumature di bianco, John ha sempre pensato che gli sarebbe piaciuto essere in grado di scrivere delle sciocche poesie sulla pelle di Sherlock ma non gli è mai passato per la mente di poter puntare direttamente a Cinquanta Sfumature di bianco) è la prova che non sta sognando.

“Li vedi anche tu?” Fa domande ovvie, un po’ perché anche se non vorrebbe avverte la paura e un po’ per offrire a Sherlock la possibilità di essere sarcastico e supponente, di rimetterlo al suo posto. Pensa che, se quello che stanno vedendo è davvero reale, Sherlock abbia bisogno di qualcosa che lo faccia sentire lui stesso.

Sherlock non gli risponde ma si mette a studiare il mobilio, ad ascoltare i rumori, quasi come se stesse cercando di sentire delle vibrazioni.

“Sherlock?”

“Non ci sono delle vibrazioni. Ho pensato subito a delle piccole scosse di terremoto che potessimo non aver colto. L’orecchio dell’uomo non se ne accorge sempre, se avessimo un animale magari. Gli animali sentono sempre i terremoti, vero? Ma non abbiamo un animale, tu non lo vorresti perché ci farei sopra gli esperimenti perché io sono così o almeno tu pensi che io sia così che faccia gli esperimenti su tutto anche quello a cui tengo e che non provi nulla per nessuno. Ma non ci sono vibrazioni, potevo non essermene accorto prima e tu potresti non averci fatto caso perché non fai caso a niente ma ho controllato. Non ci sono. Non sono quelle che stanno muovendo le statue. L’appartamento è perfettamente normale e gli esperimenti che facevo oggi non -”

Sherlock parla a macchinetta e nella sua voce c’è una sfumatura di fragilità, che sarebbe impercettibile a chiunque non possa tenere un corso di laurea su Sherlock Holmes (e John Watson è quella persona, non si accorgerà dei micro terremoti ma sicuramente se c’è una vibrazione diversa nella voce di Sherlock lui è il primo a notarla. Anche prima dello stesso Sherlock), una sfumatura che John si ricorda di aver già sentito quella notte a Dartmor quando si era trovato davanti alla paura, al dubbio, al non riuscire a fidarsi di se stesso. Quella volta John si era arrabbiato, non era riuscito a farci i conti con quella fragilità mascherata dalle frecciate e dai proclami di non amicizia (non lo ammetterebbe mai ma c’è una parte di lui che non crede che Sherlock possa sbagliare, allo stesso modo in cui non crede che possa ammalarsi, che possa morire perché è invincibile e potrà mettere in discussione tutto nella sua vita ma non questo), adesso invece vorrebbe solo abbracciarlo. Non lo fa. Non è convinto che sarebbe la scelta giusta, non è nemmeno convinto che pensare a questo invece che ai due busti sia la scelta giusta. Gli prende la mano invece. Non teneramente, non come due fidanzatini al cinema o mentre camminano sulle strade. La stringe forte. Sono qui. Sono qui anche io. Possiamo non capirci nulla insieme.

Sherlock la stringe a sua volta.

“Hai visto dei meccanismi al loro interno? Non so una carica, qualcosa di simile?”

“No semplice metallo, c’eri anche tu Sherlock erano dei normalissimi busti.”

“Nulla di strano, John? Nulla? Sei sicuro? Un congegno?”

“Nulla di nulla. Metallo. Due orrendi busti di noi due. Una letterina di una fan, non messaggi criptici che fanno riferimento al fatto che questi cosi possano animarsi e, non so, cercare di ucciderci.”

“Non dire quella parola. Non possono animarsi, non hanno un’anima.”

Anche tu, secondo molte persone, non ce l’hai. Questo pensa John. Eppure sei il più umano degli umani, eppure sei qui vicino a me e ogni volta che mi parli, anche quando vorrei sgozzarti con le mie mani (cosa che succede fin troppo spesso) io vedo ogni cosa.

I busti nel frattempo hanno continuato a muoversi. Improvvisamente gli sembrano anche minacciosi. Gli sembrano venire verso di loro.

Non vorrebbe dirlo ma lo dice.

“Non potrebbe dipendere da Halloween?”

“Vedo che muovi la bocca ma non sento nulla uscire dalle tue labbra, puoi ritentare John se preferisci. Magari dicendo qualcosa di sensato.”

“Ok, genio, ok. Invece di capire perché succede, che sono sicuro sia interessantissimo, cosa facciamo? Vado a prendere la pistola?”

“Per sparare contro del metallo e poi beccarti un proiettile di rimbalzo? Sei sicuro di aver fatto una carriera militare?” Sherlock sbuffa e alza gli occhi al cielo e John ne è quasi felice.

“Hai idee migliori?”

“Aspettiamo. Vediamo cosa succede.”

“E se ci attaccano? Lo so che saranno tipo venti centimetri di busti ma magari hanno qualche potere.”

“Non ti sto ascoltando.”

“Maledizione!” Ha alzato troppo la voce, non possono farsi scoprire “Maledizione, Sherlock. Due versioni di noi in metallo si stanno muovendo arbitrariamente e davvero hai intenzione di alzare gli occhi al cielo e accusarmi di stupidità per pensare a un qualche potere magico?”

“Naturalmente.”

Perfetto.

Alla fine aspettano. I minuti passano. Le statuine non sono molto veloci e John a tratti pensa di essersi addormentato, pensa che tutto questo sia un sogno per quanto è irreale. Poi sente la mano di Sherlock nella sua e tutto è di nuovo vero.

I due busti si sono raggiunti alla fine. Adesso sono fuori dalla scatola, sul tavolino della cucina e sembrano guardare verso di loro. John è quasi pentito di non essersi portato dietro la pistola.

Ci sono momenti nella tua vita che significano qualcosa. Che sono così densi di significato anche già mentre ti appresti a viverli lo sai che cambieranno tutto, che nulla sarà più uguale a prima. Che da quel momento ci sarà sempre un prima e un dopo. John guarda le due statuine che minacciose (per quanto possano essere minacciose due cosette in pseudo bronzo di 20 cm) li fissano e si prepara a quello che li attende. Se questa dev’essere la sua fine è quasi contento che avvenga in questo modo: sul campo di battaglia con la mano di Sherlock Holmes stretta alla sua.

E poi le due statuine si girano dandogli quasi le spalle e-

“Sherlock secondo te si stanno baciando?”

“Mi pareva che fossi tu quello esperto d’incontri amorosi, cosa ne posso sapere io?”

“Io non sono un esperto d’incontri amorosi tra statue di bronzo!” silenzio “E comunque sono mesi che non ho un incontro galante.”

“Lo so.”

“Ovvio, considerando che passi più tempo a controllare il mio cellulare che il tuo.” Si scambiano un sorriso. È la cosa più vicina a flirtare che abbiano mai fatto.

“Secondo me si stanno proprio baciando. Cioè senza lingua e tutto il resto…”

“Perché non hanno una lingua e tutto il resto, già John non serve essere medico per saperlo. Secondo te il John in bronzo sta cercando di spingere lo Sherlock di bronzo contro la scatola?”

“Mmmmh sembra di sì.” Si sporge leggermente da dove sono nascosti quando è chiaro che quelle due statuine animate-nondireanimateJohn  non sono interessate a loro.

“Perché? Perché dovrebbe farlo? Hanno fatto tutto quel trambusto per uscire dalla scatola…”

“Perché quella statuina mi assomiglia molto di più di quanto dovrebbe, cazzo se è stata brava quella ragazzina a crearle.” Borbotta a mezza voce.

“Cosa?”

“Niente, niente. Non stavo parlando, proprio come prima.” Leggero colpo di tosse. “Cosa facciamo adesso, Sherlock?”

“Potremmo prendere un sacco e ficcarceli dentro. Sigillarli. Non sembrano pericolosi ma qualche ora chiusi potrebbe aiutare. Domani potrei esaminarli, e prima che inizi a dire qualcosa in questo caso è un mio diritto non sto facendo degli esperimenti su te ma sulla tua miniatura.”

John vorrebbe dire “Ma sembra che si stiano divertendo!” ma teme che Sherlock possa non cogliere l’importanza di quel tipo di divertimento.

“Non so, potremmo anche andare a dormire. Aspettare che passi Halloween. E domani potrai fare tutti gli esperimenti che vuoi, non ho tanta voglia di tentare un agguato in questo momento. Sembrano darci dentro, non penso siano interessati a noi.”

“Darci dentro?”

Gli fa quasi tenerezza come Sherlock colga sempre tutto e poi sia così ragazzino su certi argomenti.

“Mh. Che dici? Andiamo a dormire e ne riparliamo domani mattina.”

Sherlock annuisce ma poi sembra ripensarci. “Non riuscirai a dormire. Dormi tranquillamente durante un caso perché sei così stanco che il massimo che la tua mente produce è un sonno senza sogni, dormi bene e senza incubi dopo i casi risolti ma in quest’occasione l’adrenalina data dalle statue è già scemata e anche se non ti sembra, anche se ti senti rilassato, quello che si porta dietro la tua mente è solo la tensione che hai provato nell’ultima ora.”

“Ma io ho sonno! Mi sento tranquillissimo.”

“Vuoi davvero dirmi che conosci la tua mente e il tuo corpo meglio di me?” Sbuffo “ Potrei suonare il violino per farti addormentare ma temo che attirerebbe l’attenzione anche di chi vogliamo che non ci noti. E ormai la tua vista non funziona a dovere per leggere di notte quando sei stanco. Non vedo soluzioni, dovrai rimanere sveglio o arrenderti agli incubi.”

John Watson è tante cose ma non è sicuramente uno che si arrende. Si alza e, sempre tenendo Sherlock per mano, si avvia verso le scale della sua camera. Sherlock fa resistenza all’inizio ma poi lo segue praticamente in silenzio.

“Da bambino mi piaceva Halloween, me ne piacevano i colori, mi piaceva la zucca, mi piaceva l’atmosfera” la voce di John è bassa mentre iniziano a salire i gradini “Mi piaceva anche la paura perché era limitata, perché sapevo sempre come sconfiggerla.” Sherlock non dice niente e John continua “Non ho mai pensato a me stesso come a un fifone, non quando ero bambino e mi sentivo il più coraggioso del mondo e nemmeno crescendo. Non mi faccio certo scoraggiare dalla paura di qualche incubo, non mi sono fatto scoraggiare dalla paura che ci facessi saltare casa la prima notte insieme quindi cosa può spaventarmi adesso?” A parte perdere te, ma questo non lo dice. Non c’è bisogno. Non è contemplato.

Si sorridono. Si siedono sul letto.

“Cos’hai in mente, allora?”

“Raccontami una storia, Sherlock. Raccontami dei serial killer, raccontami di un caso in cui pensavi che fosse il diavolo a essere l’assassino e non il maggiordomo. Raccontami una storia di Halloween.”

“Una storia di Halloween, John? Davvero?”

“Solo per questa volta, solo per farmi addormentare. Considerala un’alternativa al tuo violino. Poi si sa che il calore umano aiuta contro gli incubi.”

“Non ho mai letto nulla a riguardo, John e ho al piano di sotto una collezione di articoli-“

“Sh. Sono io il medico, non servono articoli. Lo so.” Gli sorride “Sdraiati qui con me, Sherlock e raccontami una storia dell’orrore. Io al risveglio ti racconterò cosa vuol dire darsi da fare e perché il John versione statua stava spingendo contro la scatola lo Sherlock versione statua. O magari è meglio cominciare da come nascono i bambini.” Ride. Non gli succede spesso di essere quello che ne sa di più di qualcosa.

“John! Non sono un bambino!”

“O magari potrei fartelo vedere.” Dice e spera che il suo rossore sia nascosto dalla penombra della camera. John Watson è coraggioso, non si fa fermare dalla paura. Neanche quando deve provare a flirtare con Sherlock Holmes. “Sdraiati con me, Sherlock. Prometto che non sarà troppo spaventoso.”

Sherlock si sdraia, sembra aver paura di rompersi mentre si muove sul letto, e la sua gamba entra in contatto con quella di John. “Nulla potrebbe essere spaventoso con te” gli sembra di udire. Gli sembra che in un sussurro sia questo che Sherlock gli abbia appena detto. Ma forse non è mai successo, forse sono frasi che sente solo nella sua testa perché nella realtà non c’è davvero bisogno di dire niente.

Non c’è mai stato bisogno di dire niente. Ed è sempre andato tutto bene così.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note: 

1 Non ho esattamente capito cosa siano le Atomic Balls ma sono delle caramelle che nei cestini dei bambini ad Halloween si vedono sempre stando a internet. La foto della confezione con la palla che esplode mi ha invogliata,  sembrano la versione molto potenziata dei Frizzi Pazzi che da bambina mangiavo in quantità.

2 Uccelli del buon Alfred.

  
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