Con le ali
d’acciaio
Neve in piena estate
Che giornata incredibilmente
tersa che era, il cielo azzurro scuro era interrotto
dal verde degli alberi all’orizzonte, in questo sfondo due signore parlavano
dei fatti loro e T.K. le ignorava, pensando ai fatti suoi, preoccupato per lo
più
dell’esame che lo attendeva oltre il muro cui era appoggiato, dopo quasi un
anno era stato ammesso e ora nulla avrebbe più potuto farlo ritardare, non era molto
decoroso essere uno dei pochi agenti speciali a cui avevano tolto la
certificato di pilotaggio, doveva sempre chiedere un passaggio a qualche
collega molto meno testa calda, e così si doveva innervosire ogni volta che
non poteva andare oltre i limiti di velocità, se non in caso di emergenza, ma per
lui era sempre emergenza, non riusciva a capacitarsi che un agente alle volte
doveva andare tranquillo, ma lui era sempre pronto, l’inazione lo innervosiva,
anche quell’attesa lo rendeva irritato, ci era nato.
Sembrava il momento, entrò dentro la sala d’esame passando per
una scala poco illuminata, benché fuori ci fosse parecchia luce, dovendo togliere
così gli occhiali
da sole, che gli oscuravano la vista.
Oltre a lui c’erano molte altre
persone, che, come lui erano venute a conseguire il certificato, troppe, e
troppo nervose, quasi tutte si mangiavano le unghie, mordevano le biro o
sbadigliavano. All’arrivo dell’esaminatore ci fu un silenzio estremo, e tutti
si erano resi immobili.
« Salve
a tutti – iniziò – come
già
sapete la prova avrà
luogo in quest’aula, e sarà della durata di cinquanta minuti, non è
permesso usare dispositivi di ricezione e o trasmissione, non è
permesso usare penne all’infuori di quella blu o nera…»
Quante volte l’avrà già
sentita quel discorso, e quante volte gli avevano ritirato il brevetto?
All’ultima domanda T.K. non sapeva rispondere, in effetti
la sua guida non era delle migliori.
« Dato che
il numero dei partecipanti a questa sessione è
abbastanza alto vi abbiano diviso in due turni, prego tutti coloro che
sentiranno chiamare il proprio nome di entrare in sala e di presentare un
documento di identità, grazie.»
Questa non ci voleva, se non
fosse stato preso subito avrebbe impiegato un’ora in più del
previsto, i nomi scorrevano, lettera A, lettera B,
lettera C e così via,
lui, T.K. Melf, era giusto a metà
dell’alfabeto, e con la sua solita fortuna aspettò la fine dell’appello. Dopo il nome di
un certo Lemm l’esaminatore disse:
« Bene,
questo era l’ultimo, a tutti coloro che sono nel
secondo turno chiedo di tornare più tardi per essere presenti all’esame, tra circa
cinquanta minuti, grazie. »
La tensione degli ultimi rimasti
sembrò
diminuire, meglio così, avrebbe avuto più tempo
per ripassare, e con gli altri ritornò di sotto, all’aperto.
C’era chi andava al bar a
prendersi una birra fredda, chi si fermava sotto una pianta a chiacchierare e a
prepararsi meglio, mentre T.K. ritornò ad appoggiarsi sul muretto di prima,
almeno lì c’era
un po’ di corrente. Si fermò a fissare il pavimento, ripassando mentalmente il
programma.
Il filo dei suoi pensieri venne interrotto quando alzò la testa, un dettaglio che era appena
apparso nell’aria gli aveva attirato l’attenzione, della strano lanugine aveva
chiazzato leggermente il cielo, sembrava neve, leggera, volteggiava nel vento,
trasportata dalle correnti, era quasi poetica. C’era solo un dettaglio che
appariva alquanto strano, era estate, cosa ci faceva nell’aria quella specie di
neve? Con la mano inguantata, i guanti facevano parte della divisa, anche se
erano superflui, prese un fiocco, e lo osservò. Era leggero, impalpabile, da vicino
assomigliava proprio ad un batuffolo di cotone, ma era comunque
strano, non esisteva nessun tipo di pianta sul pianeta che potesse
produrre tale cosa, ed anche le
industrie hanno impianti di smaltimento che non consentono la produzione di
quella roba.
All’improvviso un grido lo scosse, una della due donne che stavano parlando
vicino a lui si piega stringendo forte il braccio, dolorante, T.K. gli si
avvicina velocemente.
« Si
calmi, cos’ha, mi dica cosa c’è. »
« Ah, il
braccio – lo
diceva in modo strozzato, in preda al dolore ed al panico – ho…ho
toccato uno dei fiocchi di neve. »
« Presto,
un medico, qualcuno chiami l’ospedale. »
L’agente
prese il braccio della donna, lo guardo bene, cercò il
punto dove era partito il dolore. Lo trovò, era una specie di bruciatura, molto
profonda, da cui fuoriusciva del sangue, gli venne un dubbio, anzi, no, n’era
sicuro, quella neve n’era la responsabile, ma, peggio, cominciava a cadere in
gran quantità e
allora una forte paura gli venne a stringergli il petto. Lì
c’erano centinaia di persone.
Si alzò e
grido a pieni polmoni:
« Presto,
scappate, mettetevi al riparo, non toccate la neve. »
Aveva
impiegato troppo a capirlo, già altre due persone stavano
urlando di dolore. Prese in spalla la signora che era stata colpita al braccio,
coprendola con la sua giacca, anch’essa parte della divisa, e la portò al coperto.
Ritornò
all’aperto e prese un bambino che si copriva alla bella e meglio con un
giacchettino, fortunatamente le persone avevano tentato di trovare riparo e si
erano aiutate l’un l’altre, cosicché a
T.K. non restò che
fare solo un paio di altri salvataggi e aspettare che arrivassero i soccorsi e
che la neve calasse e sparisse del tutto, il tutto rigorosamente al coperto,
negli edifici dell’avioscuola.