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Autore: fireslight    07/11/2014    2 recensioni
Parigi.
Città dell’amore, del romanticismo, della Rivoluzione Francese finita male.
Ma anche dei croissant al cioccolato, e della Tour Effeil dalla quale tirare frecce senza apparente motivo sulle teste di ignoti passanti e turisti vari, giusto a trecento metri d’altezza dal suolo.
Clint pensava che niente, niente avrebbe potuto rovinare il suo poco amorevole, romantico e rivoluzionario congedo di cinque giorni dalle missioni sul campo.
[..]
«Barton.»
Si era voltato, un sorriso insolente sul volto. «Romanoff. Cos’è, Fury si sta coalizzando contro di noi?»
«Come, prego?»
«Nah, niente. Dicevi?»

{Clint/Natasha♥}
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Cause airports are
always carriers of good luck.
Or maybe not?
 
 
Parigi.
Città dell’amore, del romanticismo, della Rivoluzione Francese finita male.
Ma anche dei croissant al cioccolato, e della Tour Effeil dalla quale tirare frecce senza apparente motivo sulle teste di ignoti passanti e turisti vari, giusto a trecento metri d’altezza dal suolo.
Clint pensava che niente, niente avrebbe potuto rovinare il suo poco amorevole, romantico e rivoluzionario congedo di cinque giorni dalle missioni sul campo, causa l’ennesimo rapporto scarno, sbrigativo − come il direttore Fury non aveva mancato di definire − e assolutamente privo di dettagli significativi.
Che poi, Fury aveva una definizione tutta sua, del significativo da inserire in un esaustivo rapporto di ben tre pagine.
Era sempre stato negato per le materie letterarie, non che avesse poi fatto chissà quale sforzo titanico per cercare, − quantomeno la buona volontà c’era stata − di capirci qualcosa. Ragion per cui, come aveva cercato di spiegare diverse volte a Coulson, era naturale, scientificamente provato che i suoi resoconti non dovessero per forza essere così dettagliati.
 
Parigi, decisamente una meta che non aveva scelto.
Anche perché, stando alle alternative offertegli con cotanta gentilezza prima da Coulson, poi da un’infuriata Maria Hill ed infine, da un non poco indifferente Fury, avrebbe potuto scegliere tra: Francia, Olanda ed Africa.
Ora, non perché il caldo africano gli mancasse tanto, o perché qualche mese prima, a San Pietroburgo, Natasha gli avesse distrattamente detto che l’arte olandese − o fiamminga, o come altro l’avesse al momento definita − non era così tanto interessante, ma ad ogni modo, si era sentito di escludere le ultime due alternative, il che significava che si, Clint Francis Barton sarebbe stato bloccato per qualcosa come cinque interminabili giorni in Francia, che gioia.
 
Al momento si trovava all’aeroporto Charles De Gaulle, intento a ritirare la sacca da viaggio al suo terminal, quando una voce lontana, lo aveva distratto.
«Barton.»
Che diavolo ci faceva li?
Si era voltato, un sorriso insolente sul volto. «Romanoff. Cos’è, Fury si sta coalizzando contro di noi?»
«Come, prego?»
«Nah, niente. Dicevi?»
Lei lo aveva fissato come se stesse diventando pazzo, accennando un sorriso.
«Che ci fai qui, non eri in Thailandia?»
«Fino a due giorni fa.. si.»
«E adesso?»
«Fury mi ha congedato.»
Probabilmente il fatto d’essere fermi nel traffico dell’aeroporto, non sembrava disturbarli poi tanto.
Niente avrebbe potuto distrarli da quella conversazione, o da una qualsiasi missione da affrontare insieme, senza squadre di supporto o di recupero, in cui di solito erano sempre loro due, soli e sperduti senza contatti con il mondo esterno che non fossero l’uno con l’altra.
«Congedato, perché?»
«Si lamenta della mia scarsa capacità di stilare un rapporto non più lungo di cinque, sette pagine. E dire che il mio massimo erano già state cinque pagine, dopo San Pietroburgo.»
Lei si era avvicinata, facendo cenno di seguirla.
«Non direi, Barton. Attento a te.»
«Ci eravamo divisi il lavoro, se ben ricordo.»
C’era una punta di concentrazione nel suo sguardo, nel ricordare l’esperienza di Washington, loro due chiusi in una stanza d’albergo, un portatile come unico compagno per superare − e cercar di passare − la notte senza addormentarsi prima del previsto, e con la fortuna avuta, una tazza di caffè rivelatasi superflua.
«Quello si. Ma, se ben ricordo, avevi cominciato le tue scarse quattro pagine che poi, insieme alle mie, ho dovuto correggere.»
Clint aveva riso, circondandole le spalle con un braccio e stringendola contro di sé, allontanando ogni possibilità che avesse potuto rifiutare quel contatto.
«Piccola impertinente.» le aveva sussurrato all’orecchio, in un tono che Natasha, conoscendolo da così tanto tempo, non aveva potuto fraintendere.
 
 
«Barton, che ore sono?»
«Hai l’orologio impostato nel Pc, e mi chiedi che ore sono? Le 12.47.»
Clint si era fatto una doccia veloce, preparandosi psicologicamente a dover ricontrollare parola per parola quel noioso rapporto per Fury. La donna, dal canto suo, finiva di stilare la sua parte di rapporto, dal momento che avevano democraticamente stabilito di doversi dividere il lavoro.
Alcuni minuti dopo, Natasha si era alzata dalla scrivania della stanza, passandogli davanti come se nulla fosse e cominciando a spogliarsi della camicia nera.
«Tu non sai cosa sia il pudore, eh?»
Il suo tono era insolente, vagamente derisorio, ma lei avrebbe saputo scorgervi anche − e soprattutto perché lo conosceva bene, anche troppo − una lieve punta di gelosia, se non un pizzico di giocosa possessività.
«Mh, temo di no. Non hai problemi a che mi spogli davanti a te, Barton.»
Natasha sorrideva, come divertendosi a prenderlo in giro, e presa momentaneamente alla sprovvista, si era sentita alzare rapidamente da terra, fra le braccia di quell’arciere dispettoso e all’occorrenza sarcastico.
«Lasciami, Barton. Adesso.»
«Prova a liberarti.»
Ma in quelle rare volte in cui, irrimediabilmente, poteva concedersi di essere sé stessa, − perché lui, con lei, sapeva essere sé stesso − Natasha non si negava il piacere di ridere con quell’innocenza perduta da tempo, con lo spettro sempre presente di quell’infanzia mai assaporata del tutto.
La presa di Clint era forte, distruttiva, ma incapace di farle del male.
Erano finiti sul letto a due piazze, un groviglio impossibile da districare di gambe, vestiti e di mani che si cercavano, mentre Clint le sfiorava i capelli lunghi e selvaggi come l’inverno, rossi come fuoco.
 
 
«A che ora parte?»
«Il suo volo partirà con esattezza alle 10.45 di questa mattina. Buona giornata.»
Clint si era allontanato appena dalla signorina del check-in, blaterando qualcosa che da quella distanza, Natasha avrebbe potuto comprendere analizzandone il labiale.
«Buona giornata un cazz−»
«Qualcosa non va?»
Oh, Clint amava e odiava il fatto che potesse dimostrarsi al contempo così maledettamente innocente e consapevole di qualcosa.
«No, il volo parte tra un quarto d’ora.»
Si erano seduti nella hall del secondo terminal dell’aeroporto, osservando il via vai di gente in una tiepida mattina di primavera.
La sera prima, l’avevano trascorsa in giro per Parigi.
Prima sulla Tour Effeil, − dalla quale si era risparmiato d’esercitarsi al tiro al bersaglio − al Louvre, dove Clint aveva ardentemente sperato che Natasha non si incantasse davanti l’ennesimo quadro − speranze miseramente fallite − ed infine, a cena in un ristorantino sulla Senna.
Tutto molto romantico, come l’avrebbe definito Coulson.
«Che mi dici, Fury ti riaccoglierà come figliol prodigo?»
«Non ho chiesto io di essere congedato, Nat.»
«Ho parlato con Coulson, un paio di sere fa. Mi ha detto come stavano le cose.»
Lui aveva roteato gli occhi, guardandola come se stesse scherzando. Possibile che avessero tutti qualcosa contro le sue capacità di sintesi? Eppure, da che se ne ricordava, non se ne erano mai lamentati.
Piccoli schizzinosi, ecco cos’erano.
«E di grazia, com’è che stanno le cose?»
Natasha lo aveva guardato per un lungo momento, in procinto di rispondergli.
«Il volo 394-NC è in partenza dal Terminal 2. Si prega ai passeggeri di prepararsi all’imbarco.»
«Dicevo..» Natasha si era alzata, sorridendogli come fosse a conoscenza di qualcosa che lui stesso ignorava. «Fury non aveva nulla da ridire sui tuoi rapporti, era solo una scusa.»
«Scusa per cosa?»
«Niente, solo.. Coulson pensava che dopo San Pietroburgo avessimo bisogno di staccare per qualche giorno dalle missioni sul campo, tutto qui. Se è per questo, anch’io sono stata congedata.»
Adesso sorrideva, comprendendo finalmente la riservatezza di Fury nel comunicargli i veri motivi per il quale staccare qualche giorno dalle missioni, ed era solo per riposo. Avrebbero dovuto progettare quel genere si escamotage più spesso, se solo fosse servito.
«Capisco. Tutto qui?»
«I passeggeri del volo Parigi-New York sono pregati di dirigersi al Terminal 2, in attesa di imbarco.»
Natasha aveva sorriso, facendogli un cenno verso il cartello indicante il Terminal in questione.
«Tutto qui. Meglio che vai, o perderai l’aereo.»
«Sai che disgrazia.» Evidentemente, l’altoparlante non aveva intenzione di smettere di blaterare a proposito di altri volti, il che era parecchio seccante.
«Quando torni?» Ad una domanda come quella, lei avrebbe potuto rispondere o meno. L’arciere era uno dei pochi con il quale poter parlare in perfetta libertà, senza doversi compromettere.
«A giorni, suppongo. Stammi bene.»
Clint non se lo aspettava, ma improvvisamente, si era ritrovato quello scricciolo di donna contro il petto, i suoi capelli rossi sulle spalle. L’aveva circondata con le braccia, baciandole il capo come avrebbe fatto come una bambina − una bambina assolutamente letale, e da non provocare senza conseguenze −.
Riflettendoci, a mente serena, aveva pensato al fatto che Natasha non aveva mai, proprio mai simili sbalzi di umore, o improvvisi momenti di affetto che non fossero per i gatti randagi vicino al suo appartamento a Brooklyn.
«Nat?»
«Si?»
Già fisicamente distanti, eppure, come a lui piaceva pensare, vicini.
«Tornerai, vero?»
 
 
«Captain America sa cavarsela da sola, Direttore. Non sono la balia di nessuno.»
«Certo che no, Romanoff. Ti sto chiedendo di affiancarlo nelle sue missioni, di tenerlo d’occhio affinchè riprenda coscienza di ciò che lo SHIELD è adesso, e perché si integri in un mondo che non riconosce come proprio.»
Il tono del colonnello non ammetteva repliche, dopotutto.
«Bene. I miei dossier?»
«Come prego?»
«Se sospettiamo del Soldato d’Inverno, dovrò avere più informazioni.»
«Troverà i suoi dossier sul suo server, come al solito.»
«Perfetto.»
«Romanoff?»
Natasha si era voltata, quasi prevedendo ciò che il Direttore avrebbe dovuto dirle.
«Non una parola con Barton.»
«È il mio partner, Direttore. Devo parlarne con lui, ma ciò non significa che debba chiedergli il permesso.»
«Non una parola, sono informazioni riservate.»
«Io e l’agente Barton siamo dello stesso livello, non−»
«Romanoff. Non una parola, intesi? È un ordine.»
Il suo sguardo si era affilato come le lame di un rasoio, o un coltello particolarmente letale e Fury, per un momento, aveva rivisto la ribellione dell’arma vivente del KGB fare capolino in quegli occhi verdi, per essere anestetizzata in fretta da qualcosa che, sul momento, aveva preferito non analizzare.
«Ricevuto.»
 
«Ma certo.» Natasha sapeva sorridere a convenienza talmente bene, da provar difficoltà nel farlo sinceramente, quando maschere e bugie sarebbero state decisamente superflue.
«Sarà a Washington tra un paio di giorni, richiameranno anche me.»
«Goditi il Louvre in santa pace.»
Clint l’aveva osservata sorridere, ancora una volta, prima che una fiumana di gente pronta all’imbarco potesse separarli.
«Con te è praticamente impossibile girare un intero museo.»
Ultime parole famose.
 
 
«Coulson, l’agente Romanoff?»
«In missione.»
«Fury non ci aveva assegnato alcuna missione.»
Riusciva quasi a intravedere il dispiacere dell’agente sempre-e-comunque sorridente impresso sul volto, come sinceramente desolato nel dargli quella notizia.
Coulson non aveva risposto, porgendogli un fascicolo con decisamente troppi fogli e fogliettini in procinto di essere spazzati via dal minimo colpo d’aria.
«Non dovrei darti queste informazioni, Barton. Né tu avresti dovuto in alcun modo venirne a conoscenza.»
Il fascicolo in questione sembrava essere stato ripescato da un qualche archivio talmente antico e polveroso che Clint non avrebbe voluto sapere a quando, effettivamente, risalissero quei documenti.
«Dipartimento X, Mosca 1945.. Dovrebbe significare qualcos−»
Alcune parole avevano attirato la sua attenzione: progetto Soldato d’Inverno.
Proprio un buon modo di iniziare la giornata.
«Ecco la tua risposta. Evidentemente, per Fury significa più di qualcosa.»
«Cazzo, non può averla spedita a cercarlo, Coulson, è una follia.»
«Non sarà da sola.»
«Natasha non è programmata per il lavoro di squadra.»
L’agente a lui di fronte aveva sorriso in maniera equivocabile, come a lasciare intendere che di quel problema, se ne era trovata soluzione diversi anni prima.
Sin da quando Clint aveva deciso di risparmiarla, piuttosto che ucciderla, avevano sempre compiuto missioni insieme, o da soli.
«D’accordo, c’è sempre l’eccezione alla regola.»
 
 
Clint Francis Barton non aveva mai avuto un rapporto idilliaco con gli aeroporti, e non riusciva a spiegarsi perché la gente a volte piangesse proprio lì.
Che disdetta, se ogni cosa era cominciata proprio da uno di quelli.
Charles De Gaulle, il JFK.. Non capiva davvero come la gente potesse emozionarsi a tal punto da mettere su scenate alquanto epiche, alle volte.
 
E dire che prima di partire per quella fantomatica ricerca insieme a Capitan Ghiacciolo, si era pure alzato presto nella speranza di andarla a salutare, all’aeroporto.
Peccato che, come aveva più tardi scoperto, Natasha sarebbe praticamente rimasta negli States, mentre Fury − quell’adorabile genio incompreso di Fury − aveva giusto deciso di spedirlo in Olanda.
 
Olanda, arte fiamminga, tulipani e quant’altro.
Decisamente, lassù, qualcosa o qualcuno aveva voglia di prendersi gioco di lui.
 
 
 
 
 






Note dell'autrice.
Ritorno dopo un po' di tempo in questo fandom che letteralmente amo, aw.
Avete sentito del film annunciati dalla Marvel fino al 2O19? Svengo, aw.
Comunque, parlando di queste belle cinque paginette, qualcuno avrà notato che si, possiamo consiederle una sottospecie di seguito - per i riferimenti alla missione di San Pietroburgo, ad una mia precedente shot, ma non è necessaio leggere prima quella, e se aveste la curiosità, è 'Winter's Tale', da trovare facilmente tre le altre follie da me partorite.

Niente, parlando di questa, piccola follia, mi sono divertita ad immaginare un Clint spaesato nell'immensità di un aereoporto, e Natasha come sempre, al suo fianco - per me gli aeroporti sono robe troppo belle, ew -.
Spero possa esservi piaciuta, e ringrazio che è arrivato fin qui, vi voglio tanto bene, aw.
Lasciatemi qualche recensioncina (?) ed in cambio avrete tutte quelle sottospecie di dolci che i dentisti amano tanto, sisi.
Alla prossima,
fireslight.
 
  
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