Serie TV > Glee
Segui la storia  |       
Autore: Kiki87    07/11/2014    5 recensioni
Sebastian e Kurt sono coinquilini da quasi un anno e la loro quotidianità è una piacevole routine a cui il primo non è tanto disposto a rinunciare. Soprattutto quando Kurt annuncia il suo inaspettato fidanzamento con Blaine.
Tra machiavellici tentativi di sabotaggio e sporadiche sbronze al solito pub, Sebastian si lascia andare ai ricordi della loro convivenza. Ma sarà disposto ad ammettere che i sentimenti di Kurt non siano i soli in gioco, prima che sia troppo tardi?
“Kurt si sposa”, si sentì dire, dopo aver rilasciato il respiro.
Non era stato volontario, ma bastò pronunciare quelle parole perché fluttuassero tra loro così perentorie. Dannatamente reali. E definitive.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
10
Vivi in un posto che ti sei lasciato alle spalle.
Cammini in cerchi per tutto il tempo.
Non riesci a vedere il sentiero che hai di fronte,
è come se fossi cieco.
Allora apri gli occhi in tempo.

Il tempo, ti fa realizzare cosa hai avuto,
cosa hai quasi avuto e cosa vuoi.
Ti sei intorpidito e il momento è passato.
Allora apri gli occhi in tempo.

Non sprecare tempo.
Non sprecare tempo, guardandoti indietro.
Sembri sempre guardare indietro.
E' come se la tua mente fosse sempre altrove.
Guardi sempre dietro le tue spalle.
Allora apri gli occhi in tempo.
(Looking Back – Keane1).

Febbraio
(meno un mese al matrimonio)

Capitolo 10


Sebastian si rimirò allo specchio con aria piuttosto soddisfatta: non che fosse qualcosa di nuovo gradire il proprio riflesso, ma cominciava quasi a capire certe manie per i dettagli, da parte di Kurt. Per la prima volta (da che aveva sempre ritenuto, non a torto, che il fascino gli fosse cosa perfettamente naturale) apprezzava che fosse la combinazione di diversi elementi a risaltare l'effetto complessivo.
Sorrise tra sé, al pensiero di poter sorprendere il coinquilino in quelle vesti, ma tutto a suo tempo, come sempre.
"Molto bene", commentò il sarto tra sé, appuntando qualche nuovo spillo e rimirandolo con espressione gratificata, passando in rassegna la sua figura. Gli sorrise: "Sembra fatto a pennello per lei".
Sebastian si domandò distrattamente se il complimento fosse per lui o per l'outfit di sua creazione, ma non era un dettaglio che lo interessava davvero dopotutto.
"Abbiamo finito per oggi", lo ringraziò e gli fece cenno al camerino, prima di volgersi al fotografo per osservare l'anteprima degli scatti nei quali era stato immortalato.
Sebastian stava indossando la maglietta, quando sentì l'arrivo di una delle commesse che con voce concitata, ma dal tono inequivocabilmente preoccupato, si rivolgeva al suo superiore. Si mise immediatamente all'ascolto e si aprì un piccolo varco nella tendina per osservare i due interlocutori.
"Si tratta dello sposo”, pigolò la giovane, con aria evidentemente mortificata. “Di nuovo", sottolineò con una nota di esasperazione.
Il proprietario sospirò, togliendosi gli occhiali per pulirne le lenti con un fazzoletto: esibiva un'aria d’evidente disapprovazione, seppur raramente il suo volto si scomponesse. Scosse il capo: "Certe persone non hanno il minimo controllo di sé", parve riflettere a voce alta.
Sebastian ghignò.
"Non si tratta soltanto del peso". La commessa sembrava letteralmente sgomenta, ma si fece coraggio per spiegarsi meglio, avvicinandosi e parlando con la stessa aria cospiratoria. "I pantaloni si sono lacerati sul didietro, mentre cercava di abbottonarli", aggiunse e, per la prima volta, il proprietario schiuse le labbra per lo shock, mentre il fazzoletto cadeva a terra.
Sebastian si morse le nocche per non ridere, ma lo sguardo verde sembrò letteralmente sfolgorare: il suo piano stava riuscendo alla perfezione. In più, la vicinanza e la simpatia che si era conquistato, lo avevano facilitato in qualche piccolo ritocco poco professionale allo smoking. Doveva avere qualche talento innato nell'individuare le cuciture principali ed indebolirle.
"Me ne occupo io”, commentò l'uomo, appoggiando la mano sulla spalla della sua dipendente, quasi ne comprendesse l'esasperazione. “Congeda tu il signor Smythe, per favore".
Si prese qualche altro istante, premunendosi di far sentire il suono della zip dei pantaloni che veniva sollevata. Uscì e non mancò di sorridere all'evidente occhiata di approvazione della giovane che lo aiutò ad indossare nuovamente la sua giacca.
"Non ha mai pensato di farlo per professione?”, gli chiese con le guance infiammate, quasi si fosse trovata di fronte un divo dello spettacolo. “Sembra nato per le passerelle", lo lodò con voce trasognata.
"Mhm", finse di rifletterci. "Forse. Molto meglio di essere un barista con clienti narcisisti che non pagano e vogliono persino raccontarmi delle loro vite, come se avessi conseguito un dottorato in psicologia", sospirò con aria teatralmente sofferta. Cercò di imitare l'espressione frustrata di Clarington. Seppur fosse cosa assai difficile senza un paio di occhiali da nerd e quella sua naturale espressione da babbeo con istinti suicidi.
La giovane rise della battuta, sembrò in procinto di voler aggiungere qualcosa, almeno fino a quando non fu richiamata dal suo superiore, con tono imperativo. Si morsicò il labbro e osservò Sebastian con aria rammaricata: "Mi perdoni, uno dei nostri sposi ha di nuovo un problema con il suo smoking", il tono ne tradì i sentimenti poco concilianti.
"Non solo quello", le rispose il ragazzo con tono consapevole, sistemandosi il bavero della giacca, senza più degnarla di uno sguardo.
"Prego?".
"Arrivederci", la superò rapidamente e si affrettò ad uscire, insinuando una sigaretta tra le labbra.


"Che cosa hai fatto?", lo accolse Hunter Clarington appena prese posto, mentre agitava uno shacker con aria quasi clinica. Immaginò che ci volesse una certa fermezza per poter impugnare un bisturi e fare incisioni, esplorazioni interne, cuciture e altre “cose” al cui solo pensiero sentiva un conato di vomito.
"Buon pomeriggio a te", salutò con aria serafica.
"Sei in anticipo e sorridi”, ribatté il barista con le sopracciglia ancora più inarcate, il viso sospettoso. “Che cosa hai fatto?", ripeté, quasi ciò fosse sufficiente a strappargli una risposta sincera. Si guardò attorno come se si aspettasse l'irruzione della polizia o il crollo dell'edificio sopra di loro.
Sebastian continuò a sorridere, ma si strinse nelle spalle: "Sono diventato un modello", lo informò, senza neppure cercare di nascondere il proprio orgoglio al riguardo.
Hunter emise uno sbuffo ironico. "D'intimo?", domandò come se fosse l'unica deduzione logica.
Sebastian ne imitò l'espressione perplessa: "Ora cominci ad inquietarmi".
"Mai quanto il tuo sorriso inquieta me", rispose di riflesso, porgendo la bevanda al cliente e tornando ad osservarlo con le braccia incrociate al petto.
"Come sei romantico, potrei arrossire", lo canzonò Sebastian che seguì con lo sguardo il proprietario del locale e alcuni inservienti che stavano appendendo stucchevoli decorazioni in tinta rosa shoking. La visione gli procurò una smorfia schifata: "E' la serata a tema Hello Kitty?”.
"Domani sarà San Valentino", gli ricordò il barista in tono distratto.
Sebastian sollevò gli occhi al cielo, prima di ghignare: "Indosserai una canottiera rosa con gli strass e un boa coordinato?", la sola idea parve stemperare la tipica insofferenza nei riguardi dei sentimentalismi gratuiti.
"No", replicò l'altro in tono secco, quasi la sola domanda lo indisponesse. Almeno fino a quando la ballerina bionda, le braccia piene di decorazioni e il viso punteggiato dai glitter che si era applicata, come se fossero stati cosmetici, non gli rivolse un sorriso che parve scioglierne il cipiglio cupo.
Santana Lopez sembrava persino più gongolante di lui, a giudicare dallo sguardo vittorioso che rivolse a Sebastian.
Quest'ultimo fissò il ragazzo di fronte con aria disgustata: "Dimmi che non stai per farlo”. Non sembrò necessario che completasse la frase, supplicandolo di non utilizzare la scusa tanto banale e stucchevole della festività per tentare un qualsivoglia approccio che potesse farlo uscire dalla friendzone.
"D'accordo", sospirò Hunter con aria rassegnata. "Pensavo alle rose rosse, ma considerando quanto ama il rosa...".
Una smorfia schifata, per risposta, quasi sofferente: "Ho bisogno di bere, sono troppo sobrio per ascoltarti". Allungò il braccio a prendere una bottiglia di birra che si portò alle labbra con un gesto fluido.
Il barista scosse il capo, ma un sorriso impertinente ne curvò le labbra carnose: "Disse l'ammiratore segreto", carezzò volutamente quelle parole.
"Mi stai davvero sfottendo?”, ridacchiò Sebastian. “Tu? Ti ricordo che quella notte ho ottenuto più di quanto tu riceverei in dieci anni con quella", alluse alla ragazza con un cenno del capo.
Brittany, nella fattispecie, stava mostrandosi più un impiccio che un reale aiuto nella decorazione del locale, soprattutto constatando il numero di tonfi, gemiti dei malcapitati sulla sua traiettoria e dei suoi pigolati: “Scusa!”.
"Come direbbe Sam Evans”, recitò Hunter con il viso inclinato di un lato, un sorrisetto trionfante. “Se non fai touchdown, l'azione è stata inutile".
"E come ti direbbe chiunque abbia a cuore l'orgoglio maschile: se neppure Tontittany ti si concede, puoi dichiararti gay senza sentirti in colpa", rispose in tono serafico, concedendogli un sorriso adorabile che stonava perfettamente con l'odiosa provocazione.
La mascella del barista si contrasse, parve in procinto di replicare, ma Sebastian lo zittì con un cenno della mano, quando il telefono squillò.
Sospirò nell'osservare il mittente, ma fu lesto a rispondere: "Che cosa c'è?”, abbaiò al suo interlocutore. “Non mi interessa se li rifiuta, gli dica che ho minacciato di rubargli il gel e non presentarmi all'altare, se non accetta il mio cadeau”, cercò di imitare il tono stridulo di Kurt.
“Bene, mi richiami per confermarmi che li ha mangiati tutti".
Se il barista era parso perplesso all'inizio, sembrò ben presto collegare gli indizi e un fremito nelle labbra sembrò annunciare un sorriso che cercò di nascondere. Si schiarì la gola, ma scosse il capo, come ad imporsi di mantenere un certo contegno. E dimostrarsi contrario a qualsiasi altro sciocco espediente Sebastian avesse utilizzato. "Non può essere".
"Non so di cosa tu stia farfugliando”, rispose Sebastian, appoggiando distrattamente il telefono sul bancone e tornando a bere un sorso di birra.
"Fare il modello significa cambiarsi d'abito, che solitamente avviene in un negozio... che vende anche vestiti da sposo. Abbiamo uno sposo e cibi misteriosi che devono essere consegnati e consumati obbligatoriamente”, sembrò parlottare tra sé, collegando i vari indizi, prima di tornare a guardarlo, il viso inclinato di un lato. “Lo stai... mettendo all'ingrosso”, commentò in tono incredulo.
Gli concesse uno sguardo di sorpresa ammirazione per quella brillante riesamina, prima che un ghigno gli increspasse le labbra, sporgendosi in sua direzione, con aria complice. "Gli si sono lacerati i pantaloni, proprio sul culo".
Suo malgrado, Hunter Clarington si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito, ma cercò di recuperare rapidamente la sua serietà e scosse il capo. Era evidentemente necessario che almeno uno dei due si mantenesse il più possibile razionale, soprattutto in vista di un matrimonio alle porte e di sentimenti che Sebastian s’intestardiva a non esprimere. "Che programmi hai per questo San Valentino, piuttosto?”, domandò con aria guardinga.
Sebastian abbassò la bottiglia e gli rivolse un'occhiata risentita: "Non continuare la frase o dovrò cambiare pub".
Il barista sollevò gli occhi al cielo: "Sai cosa intendo, il tempo stringe!”, gli ricordò con aria ansiosa.
L'altro scrollò le spalle, a mo' di sfida, simulando perfetta indifferenza. "Niente".
Hunter sgranò gli occhi: "Ma mancano tre settimane!", gli ricordò con tono concitato.
"Lo so", gli rispose, senza neppure guardarlo, ma fissando il display, evidentemente aspettando l'ennesima telefonata.
"Sebastian, il tempo dei trucchi sta finendo”, si era sporto in sua direzione. “Non puoi rimandare e questa potrebbe essere un'ottima occasione. Lo sai benissimo che Kurt è un romantico e considerando che già l'anno scorso, tu-".
Sebastian si alzò, quasi non fosse più in grado di ascoltarne l'ennesima predica. "Ti saluto, Clarington”, non lo guardò neppure e si volse, dopo aver lasciato una banconota sul bancone.
“Cerca di non rovinare tutto", alluse alla biondina con un cenno del capo, ne ignorò i richiami e si diresse rapidamente verso l'uscita.
Ma nel farlo, si premunì di passare accanto a Santana Lopez, per dirle: "Non è ancora finita".
Parve non voler riferirsi soltanto al termine della loro scommessa.

~


"Odio San Valentino", pigolò Tiffany in tono sofferto, guardando quasi risentita le coppie presenti nel locale.
Kurt, l'aria altrettanto mesta, sospirò in risposta, ma lo sguardo azzurro parve scintillare, animato da un nuovo fervore. Ripose il block notes delle ordinazioni nel taschino della casacca. "Noi non ci faremo buttare giù, Tiffany: siamo single e in una grande città, usciamo e andiamo a ballare", le propose con una determinazione tale che parve persino stupire se stesso.
"Il mio bambino cresce", s’intromise Sebastian, con tono infervorato, portandosi una mano al petto. Era seduto al suo solito tavolo, quello che gli consentiva una buona partecipazione indiretta alle loro conversazioni.
Kurt trasalì e parve sbigottito: evidentemente neppure si era accorto della sua presenza. "Stai pensando di venire a vivere qui?", gli chiese con un filo d’ironia, cercando di nascondere l'imbarazzo all'idea che avesse assistito alla loro conversazione.
"Forse", Sebastian scrollò le spalle e sollevò il bicchiere con aria eloquente.
L'altro sospirò e vi verso del caffè appena preparato, prima di sedersi al tavolo con l'amica: “Allora?”, la incalzò, sperando evidentemente in una risposta positiva.
"Posso invitare anche delle amiche?", chiese Tiffany e Kurt dondolò le spalle e batté le mani.
"Sarà come un pigiama party liceale!", trillò con evidente entusiasmo.
Sebastian scosse il capo: non riusciva davvero a capire che cosa ci fosse di tanto allettante in una festività tanto banale e melensa.

Sollevò gli occhi al cielo, qualche ora dopo: avrebbe dovuto immaginarlo che la sicurezza ostentata da Kurt fosse soltanto un'apparenza. Persino da brillo, quando rientrò e lo vide addormentato sul divano, con un album sulle ginocchia, capì che cosa celasse in cuor suo. Scosse il capo e si avvicinò per prendere il libricino, premunendosi di chiuderlo con un gesto secco alla pagina delle fotografie che lo ritraevano con Blaine in uniforme scolastica.
Kurt sussultò e si svegliò di soprassalto.
Sebastian gli sorrise con aria serafica, conficcando le mani nelle tasche dei pantaloni: "E' stato un gesto carino aspettare che rientrassi", sussurrò.
Il suo coinquilino sbatté le palpebre, guardandosi confusamente attorno, prima di strofinandosi le palpebre. "Mi sono addormentato", commentò con voce impastata di sonno.
"Sulle foto del tuo ex", precisò Sebastian con le sopracciglia inarcate, indicando l'album con un cenno del mento.
Kurt arrossì, ma scosse il capo: "Sto bene”, borbottò.
"Certo", replicò Sebastian con aria ironica, ma lo spronò a sollevarsi e lo scortò verso la sua camera. "Si supponeva che fossi io quello che avrebbe avuto bisogno d’aiuto”, gli fece presente con aria quasi risentita per quello stato di evidente prostrazione che sembrava debilitarlo persino fisicamente.
"Si supponeva che tu non mi vedessi ridotto così”, fu la lamentosa risposta.
"Sei più prevedibile di quanto tu pensi".
"Tu no e non mi piace", ribatté Kurt in risposta, accettandone tuttavia l'aiuto e appoggiandosi a lui per camminare più stabilmente.
"Mhm, non provocarmi", gli sussurrò all'orecchio, osservandolo arrossire con un guizzo di soddisfazione a farne scintillare le iridi smeraldine.
Lo aiutò a stendersi e Kurt si rannicchiò in posizione fetale, abbracciando il cuscino e rilasciando un lungo sospiro. Fissò un punto indefinito nella parete di fronte, imbronciandosi e scuotendo il capo: "Sono patetico, lo so".
"Io bevo e tu hai la sbornia triste: se non è questa intimità", ironizzò Sebastian con aria serafica e un sorriso divertito. Tuttavia si sedette sul materasso e lo guardò con il volto inclinato di un lato. "E' solo una stupida festa commerciale", aggiunse, cercando di celare il proprio disprezzo perché quell'intonazione più dolce potesse compensare parole ciniche per chi sguazzava nei sentimentalismi.
"Che mi ricorda, anno dopo anno, quanto io sia stupidamente romantico”, borbottò Kurt con aria melodrammatica che gli era tanto naturale in quel tipo di giornate. “E' stato a San Valentino che si è dichiarato a Jeremiah", aggiunse con un mugugno sofferto, quasi ancora dovesse smaltire quella delusione, persino prima che gli facesse dono di un bel paio di corna.
"Oh, ti prego”, protestò Sebastian, sollevando gli occhi al cielo. “Non sono abbastanza sbronzo per le 50 sfumature di una Mezza Sega".
Il viso di di Kurt si contrasse, ma scosse il capo. "Buonanotte", lo congedò bruscamente e si accucciò sull'altro fianco, dandogli le spalle.
Sebastian sospirò, ma spense la luce. A quel punto sarebbe stato semplice compiere quei pochi passi che lo separavano dal soggiorno e lasciarlo cuocere nel suo brodo. Ma non avrebbe sopportato di sentirne i singhiozzi trattenuti a stento. Ne osservò la figura che appariva tanto esile, così racchiusa in se stessa. Si stese alle sue spalle e allungò le braccia per avvolgerlo contro il proprio petto.
Kurt parve trasalire, ma non si scostò, quando Sebastian lo attirò al proprio petto.
Sebastian sentì la sua mano appoggiarsi alla propria, laddove ne cingeva il ventre. Lo sentì rilassarsi.
"Grazie", sussurrò Kurt. Dopo pochi istanti, si volse per rannicchiarsi contro il suo petto, come aveva fatto la notte di Natale, aggrappandosi alla sua t-shirt, senza alcuna protesta per l'odore di sigaretta, mischiato a quello del profumo e del luppolo.
"Di cosa?”, gli domandò con un sorrisetto provocante. “Di ricordarti quanto io sia-".
"Di essere qui", fu il delicato sussurro.
Sebastian sentì il cuore fermarsi in petto. Si chinò e gli scostò il ciuffo di capelli dalla fronte. Indugiò nel suo sguardo di zaffiro, ricordando quanto, l'ultima volta che erano stati così vicini, avesse desiderato baciarlo. E quanto si fosse pentito di non averlo mai fatto.
"Cerca di dormire", sussurrò e si sorprese lui stesso di quel tono delicato che era sgorgato dalle sue labbra.
Non occorse molto perché scivolasse nel torpore con un sorriso sereno sulle labbra.

~


Inarcò le sopracciglia quando, al suo ritorno, si trovò di fronte un salotto in disordine. Pezzi di tela e bozze di disegni sparsi ovunque e un Kurt più emaciato che mai che si dimenava attorno ad un busto maschile, prendendo nota e tornando a misurare, trattenendo degli spilli tra le labbra. Il foulard al collo era quasi slacciato dalla foga e i capelli erano spettinati per la tensione o per i momenti di profondo stress nei quali v’immergeva le mani. Evidentemente ciò faceva parte del lungo e tortuoso “processo creativo”, ma dubitava che quella musica strumentale si stesse rivelando molto utile per il suo umore o per placarne la febbrile agitazione.
"Io non pulisco", asserì con le braccia incrociate al petto, guardandosi attorno con un sorriso divertito, prima di ammiccare in sua direzione.
Kurt si scostò gli spilli dalle labbra e lo guardò con aria risentita. Non l'aria di rimprovero di quando consumava tutta l'acqua calda sotto la doccia, o quella esasperata quando mancava di lavare i piatti o fare la spesa. Vi sembrò di cogliere un misto d’offesa e d’amarezza. "Ah, sei tornato", lo accolse, i pugni stretti lungo i fianchi e i suoi occhi azzurri parvero volerlo trafiggere, come la prima volta che gli aveva rivolto lo sguardo.
Non cercò neppure di nascondere la propria confusione, di fronte a quel trattamento, ma increspò le labbra nel suo sorriso più provocante, inclinando il viso di un lato. "Stiamo per fare del buon sesso riparatore, senza aver litigato?". gli chiese con evidente ironia, di fronte ad un gelido trattamento che non sapeva di essersi meritato.
"Quando avevi intenzione di dirmelo?!”, gli chiese Kurt in tono aspro, la voce che diveniva stridula al suo udito, le mani appoggiate sui fianchi con fare autoritario.“Ho dovuto scoprirlo nel peggiore dei modi!", aggiunse e le sue labbra tremarono per l'agitazione che lo animava, presumibilmente non soltanto causata dal proprio estro artistico.
Sebastian sentì il suo cuore fermarsi in petto, ma cercò di non tradire la propria sorpresa. Cercò rapidamente di fare mente locale ed analizzare tutte le possibili opzioni e i possibili colpevoli che potevano averlo smascherato volontariamente o meno. Continuò a sorridere, seppur i battiti del suo cuore sembrarono farsi più radi, ma avanzò in sua direzione, quasi istintivamente dovesse già premunirsi che Kurt non sarebbe sparito, non prima di averlo esortato ad ascoltarlo.
"Temo che dovrai essere più specifico: ad oggi ho compiuto molti crimini che ancora non conosci". Era ironico come, in un momento di simile tensione, potesse azzardarsi a pronunciare quella verità.
Un moto di stizza sul viso di Kurt, evidentemente poco propenso a quei giochi di parole. "Mi hai tradito!”, gli inveì contro, portandosi le mani al viso. “Io non posso crederci!".
Sebastian boccheggiò, ma fu lesto ad avvicinarsi, allungando le braccia, ma Kurt si scostò istintivamente e dovette cercare di celare lo scintillio improvviso nelle iridi smeraldine.
"Non posso crederci che tu mi abbia fatto questo".
"Kurt", riconobbe a malapena il gorgoglio della propria voce: qualcosa sembrò spezzarsi lentamente dentro di lui, dilaniandolo dall'interno e rendendogli quasi impossibile respirare. Ma non si curò del suo tentativo di sottrarsi, perché gli si parò di fronte, disposto persino a costringerlo a restare con la forza, perché potesse sapere tutto, prima di decidere di abbandonare per sempre la loro vita insieme.
"Come puoi sfilare per la concorrenza?", gli chiese con voce ancora più stridula.
Sebastian sbatté le palpebre a più riprese e sentì quel peso sul petto affievolirsi in un solo istante e tutta l'adrenalina disperdersi, come un palloncino sgonfiato.
Scosse il caso e lo guardò attentamente, con aria realmente sconcertata. "Cosa? La concorrenza?", ripeté, come se avesse avuto bisogno di una conferma.
"Credevi che non l'avrei scoperto?", Kurt accennò un sorriso quasi sferzante, mentre recuperava qualche foglio sul tavolo da caffè, porgendogli delle copie dei suoi scatti. Evidentemente l'anteprima di una locandina dedicata alla nuova collezione di abiti del prestigioso marchio.
Sebastian sospirò di sollievo, ma gli occorse qualche istante perché potesse recuperare un naturale respiro. Di fronte all'occhiata incredula dell'altro, si schiarì la gola ed assunse un'espressione di finto stupore, prima che un sorriso ironico gli increspasse le labbra. Soltanto una predilezione naturale per il melodramma, come quella di Kurt Hummel, avrebbe potuto giustificare quell'uso improprio della parola “tradimento”.
"Sono venuto bene, vero?", lo provocò e desiderò abbracciarlo soltanto per assicurarsi che non fosse ben altro il motivo di tanta rabbia.
Kurt scosse il capo e lo guardò scandalizzato. "Non è questo il punto!", ribatté con voce stridula, lasciando di nuovo cadere le fotografie sul pavimento, suscitando in Sebastian uno sguardo quasi offeso. "Anche se è stato piacevole vederti con uno smoking decente addosso”, precisò, sollevando le mani, prima di additarlo con aria ancora oltraggiata. “Tu lo sai quanto la moda sia importante per me!”, gemette. “E' stato come se tu non credessi in me”.
“Woah!”, esclamò Sebastian, con aria ironica. "Ho solo fatto qualche scatto per rimediare qualcosa, non ho firmato un contratto col sangue”, gli si avvicinò e gli concesse un sorriso più dolce. “Credo in te, credo che tutte quelle tue bizzarre e stravaganti creazioni siano uniche, proprio perché sono tue”, aggiunse con un buffetto sulla sua guancia, indugiando tuttavia con la mano contro la pelle vellutata dello zigomo.
Il gesto parve trasmettere a Kurt un'ondata di serenità. “Davvero?”, domandò in un bisbiglio e fu sorprendente come il suo umore sembrò repentinamente cambiare e non soltanto per uno sbilanciamento di estrogeni, a detta di Sebastian nei primi giorni della loro convivenza.
“Davvero”, ribatté Sebastian in tutta sincerità. Sorrise quando l'altro dondolò le spalle e seppe di essere stato perdonato.
Lo sguardo di Kurt, tuttavia, sembrò animarsi, mentre lo guardava con aria scalpitante. "Nessun contratto, hai detto?”, sembrò dover controllare il proprio respiro. “Erano soltanto degli scatti per questo servizio, giusto? Non sei una loro icona ufficiale”.
"Ti prego”, Sebastian scrollò le spalle con evidente indifferenza. “Non ho bisogno di riflettori per avere una conferma su quanto io sia fantastico", affermò in tutta sicurezza. Se soltanto avesse saputo quale fosse il reale motivo di quell'avventura nel mondo del fashion.
Lo sguardo azzurro guizzò, le mani protese, quasi in atto di preghiera. "Quindi, tecnicamente e legalmente parlando, sei libero?".
Sebastian inarcò le sopracciglia, cercando di comprendere che cosa stesse macchinando, ma un guizzo malizioso ne fece dardeggiare lo sguardo di smeraldo. "Hai paura che qualcun altro mi penetri con i suoi spilli?", carezzò volutamente quel verbo.
Kurt non parve neppure aver udito quella battuta squallida, ma gli si avvicinò e lo guardò con aria quasi supplichevole: "Sebastian Smythe, vuoi essere il modello della mia prima sfilata per Vogue.Com?", domandò in tono così ufficiale e accorto che rivelava quanto, nel contesto della moda, ciò fosse importante quanto una proposta di matrimonio.
Nonostante il suo proverbiale egocentrismo e la sua vanità, non poté non dimostrarsi sorpreso e spiazzato da una simile richiesta. Anzitutto per la rivelazione di una sfilata dedicata proprio al suo coinquilino. Certo, ricordava quanto fosse elettrizzato dall'occasione più unica che rara offertagli da Isabelle Wright e si era spesso stupito di come riuscisse ad occuparsi di così tante attività, oltre all'organizzazione del matrimonio. Ebbe la spiacevole sensazione di essersi perso troppe cose della loro vita quotidiana, guardando al passato e scongiurando il futuro.
"Lo so che queste cose non fanno per te”, continuò Kurt in tono febbrile, ma cercando di apparire convincente. “Il fatto è che mentre disegnavo ed immaginavo gli abiti, avevo bisogno di immaginare un viso, un'espressione, una camminata e un certo carisma che avrebbero risaltato gli outfit. Quasi fossero loro stessi a sprigionare charme e sicurezza”. Dallo sguardo velato s’intravedeva quanto spesso si fosse soffermato su simili fantasie e quanto avessero reso il processo creativo persino più emozionante. “Mi sono accorto che quella persona... eri tu, soltanto tu", ammise e la voce si fece più flebile, mentre le guance si coloravano.
Sebastian sorrise, cercando di celare quanto si sentisse scalpitante dalla prospettiva di esserne stato la fonte d’ispirazione, anche soltanto per essere un suo fantoccio a cui dare nuova vita. Emozionato all'idea di avere un ruolo di prima linea per un momento tanto importante che sarebbe potuto divenire soltanto l'ouverture della sua futura carriera. Si chinò al suo volto: "Lo voglio", disse con tono enfatico che fece arrossire ulteriormente l'altro, probabilmente notando soltanto in quel momento che la risposta era parsa ufficiale come quella che avrebbe dovuto pronunciare il giorno del suo matrimonio.
Superato l'imbarazzo, Kurt batté le mani con aria evidentemente entusiasta: “Grazie, grazie di cuore!”. Cercò di recuperare i suoi modi più pragmatici e si volse verso lo stender porta abiti. "Allora devi provare tutti questi vestiti", li indicò.
Sebastian si avvicinò alla rassegna d’outifit, le sopracciglia inarcate e una smorfia sospettosa:
"Spero che non ci sia nulla di troppo kurteggiante".
"E' una linea sportiva”, sospirò, Kurt come se ciò gli avesse tolto gran parte del gusto e del divertimento. “Ci sono soltanto un paio di smoking", ma dal sorriso si comprendeva quanto ne era fiero.
Fu forse ciò che insospettì Sebastian, mentre carezzava i tessuti con aria clinica. "Foulard compresi?", indagò con un'occhiata guardinga.
L'altro si dondolò nelle spalle, con aria accattivante: "Sono il mio marchio di fabbrica"
Sebastian sospirò con aria stoica: "Mi devi una cena”, lo informò e lasciò andare gli abiti, evidentemente soddisfatto di quella prima esamina. “Per quand'è?", domandò, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni.
"Il 14".
Suo malgrado, Sebastian sentì un guizzo all'altezza del petto: "San Valentino?", chiese con le sopracciglia inarcate.
Kurt distolse rapidamente lo sguardo, prendendo la sua agenda personale per scribacchiare qualcosa con il lapis, rispondendo soltanto distrattamente. "E' una festa commerciale, no?", ripeté esattamente le parole che gli erano state propinate l'anno precedente, seppur con intenti completamente diversi.
Sebastian non parve soddisfatto della risposta: seppur fosse il primo a denigrare simili smancerie, non occorreva un particolare acume per capire che si trattava una di quelle occasioni che potevano rendere Kurt tanto incline a sguazzare nel romanticismo. E che quella replica sferzante non era nelle sue corde. "Blaine è troppo superiore?", domandò con voce più fredda del suo naturale intento.
"Non ha un bel ricordo di quel giorno", ammise, Kurt, ma scrollò le spalle e sorrise, come a testimonianza che ciò non lo toccasse particolarmente.
"Ah, sì, il ragazzo del centro commerciale", commentò tra sé e sé e scosse il capo.
Dopotutto, ragionò tra sé, ciò avrebbe potuto costituire un dono del destino e la sua occasione: una giusta ricompensa dopo essersi sottoposto ad una tortura immane, indossando abiti scomodi.
Gli avvicinò, dopo aver preso dal carrello un primo completo. "Cominciamo? Adoro l'idea che tu mi vesta", sussurrò al suo orecchio con voce suadente, sorridendo per il rossore che ne colorò il volto.
“Non farò niente di simile”, commentò con aria di stoica rassegnazione per quelle provocazioni superflue, ma gli sorrise. "Vediamo la tua miglior espressione da modello".

~


"Non tenermi sulle spine!", Tiffany parlò con aria cospiratoria, facendogli cenno perché si accomodasse di fronte a lei, come in uno dei loro tête-à-tête, durante l'orario lavorativo di Kurt.
Evidentemente il giovane le aveva chiesto di raggiungerla per qualche succulenta novità, a pochi giorni dalla famigerata data di San Valentino.
"Mi ha scritto di nuovo!”, le disse Kurt in tono entusiasta, le guance arrossate e gli occhi scintillanti d'emozione. “E ha accluso un mazzo di nontiscordardimé!", rivelò, mostrando quello che si era messo all'occhiello della giacca.
Tiffany emise un verso di giubilo. "Ma sono i tuoi fiori preferiti!", squittì con aria incredula.
"Lo so!", ribadì Kurt con lo stesso entusiasmo, battendo le mani. “Credo che mi conosca, o ha corrotto qualcuno per avere tutte queste informazioni su di me!”, si guardò attorno, quasi si aspettasse che il giovane in questione fosse presente, proprio in quel momento.
"Nessuna firma, però”, replicò l'amica.
"No, ma mi ha invitato in un locale dell'Upper East Side”, annunciò e lo sguardo dardeggiò più che mai nel giungere alla parte più saliente della confidenza. “E' un posto assolutamente delizioso, non ci sono mai entrato, ma sembra molto rinomato da quello che ho letto su internet e dalle fotografie degli arredi”, lo sguardo assunse un'aria trasognata, quasi stesse per immergersi in un'atmosfera simile alle fiction in costume che tanto adorava. “Deve essere anche parecchio costoso", aggiunse e ciò rendeva l'identikit del misterioso ragazzo persino più colorato.
"E ci andrai?", chiese la ragazza in tono febbrile.
Soltanto allora il ragazzo parve rifletterci seriamente sopra e si passò una mano tra i capelli: "Non dovrei?", le chiese con aria quasi intimorita.
"Ma certo che devi!”, ribatté l'altra, quasi incredula per il dubbio che stava manifestando.
Kurt si agitò sulla sedia: "Insomma, i primi biglietti tipo: « ti sto guardando » o « bel foulard » sembravano un po' da stalker”. Ammise, come cercasse di fare una lista di pro e contro il più possibile oggettiva. “Ma è evidente che sia più romantico di quanto non voglia dare a vedere. Ma se fosse un serial killer?", domandò con aria più agitata.
Sebastian soffocò la risata nel suo caffè, pur continuando ad ostentare una studiata indifferenza, persino aprendo con aria svogliata il tomo di diritto penale, senza mai sollevare lo sguardo in loro direzione, per non tradire il fatto che stesse ascoltando tutto.
"E' un luogo pubblico”, ribatté Tiffany in tono convincente, stringendogli la mano. “Ma se non ti convince, puoi liquidarlo con una scusa e chiedere a Sebastian di venirti a prendere".
Kurt scosse il capo, mordendosi il labbro: "E' una follia".
"Una follia romantica”, ribatté la giovane, come se quel dettaglio fosse particolarmente importante per giungere alla decisione giusta. “Magari sarete come Tom Hanks e Meg Ryan in Insonnia d'Amore un solo sguardo e-”, si interruppe, scuotendo la testa. “Oppure ancora come loro due, ma in C'è posta per te, quando lui la corteggiava sotto false spoglie e-".
"Non dovrei farlo", commentò il ragazzo, scuotendo il capo, un guizzo nervoso delle labbra.
"Kurt, sei a NY da sei mesi”, ribatté la giovane in tono fermo, ma dolce. “Non si può sempre vivere sotto una campana di vetro, per una volta nella tua vita buttati e basta!”, gli consigliò con vigore.
Il ragazzo parve ritrovare il sorriso ed annuì, prima di portarsi le mani al viso, con aria sgomenta.
Cosa c'è?, gli chiese la ragazza preoccupata.
"Non so ancora cosa mettermi!", ammise con voce stridula.


Kurt si stava guardando attorno: l'aria trepidante ma timorosa, come se una parte di sé volesse imboccare l'uscita e allontanarsi, prima di realizzare quanto stesse sbagliando.
Arrivò alle sue spalle con un movimento fluido e sollevò la mano per porgergli un altro bouquet di nontiscordardimé.
Lo sentì trasalire, ma prese i fiori tra le dita e si voltò, probabilmente trattenendo il fiato.
Sebastian gli sorrise, osservandone gli occhi sgranati e le labbra schiuse nel fissarlo con aria sbigottita. "Ciao Kurt".
"Sebastian”, ne sussurrò il nome, con aria incredula. “S-Sei tu?".
Non rispose alla domanda esplicita: non sentiva il bisogno di confermare che proprio lui, così denigratore di occasioni e festività tanto frivole e smancerose, si fosse nascosto dietro misteriose sembianze, perché potesse vivere qualcosa di nuovo e di diverso dall'ordinaria routine. Perché si sentisse apprezzato, anche dopo aver detto addio a quello che riteneva l'amore della sua vita.
"Non dovrei sorprendermi che siano i tuoi preferiti”, alluse ai fiori e ricordò le parole della commessa del negozio, fin troppo desiderosa di condividere le sue perle di saggezza sul significato e l'origine delle piante, anche senza invito. “Fedeltà e amore eterno, non è ciò che desideri?”.
Kurt sembrò non ascoltarlo, lo stava contemplando come se soltanto in quel momento riuscisse davvero a cogliere qualcosa nel suo sguardo smeraldino. "Eri tu fin dall'inizio", non c'era più sorpresa nella sua voce, parve una logica deduzione che fece sorridere Sebastian.
Si strinse nelle spalle: "Non puoi continuare a sentirti solo o non credere di poter avere qualcuno accanto", commentò in risposta.
Un guizzo nello sguardo azzurro e seppe che si stava emozionando, ancora prima di sentirne la voce flebile. Quasi la rivelazione della sua identità fosse persino più suggestiva dell'idea di un sedicente ammiratore segreto che lo osservava, senza esser visto. "Nessuno ha mai fatto qualcosa di simile per me".
"Non avrai intenzione di commuoverti? Non ho ancora cominciato ad usare il mio charme”, commentò in tono gioviale, quasi volendo stemperare quell'improvvisa tensione, perché potessero semplicemente essere loro due, in un'occasione come un'altra, ma rendendola loro. “Ci vogliamo sedere?", gli indicò il tavolo che aveva prenotato, contraddistinto anch'esso da un fiore azzurro.
Kurt lo cinse, attento a non schiacciare il bouquet tra loro e affondò il viso contro il suo petto, nascondendosi in quel piacevole rifugio.
Sebastian si sentì invadere dal suo profumo alla vaniglia, ma sorrise contro il suo orecchio: "Non ho ancora ordinato e già pensi a saltarmi addosso?”, lo incalzò in tono ridente, cercando di celare quell'improvvisa aritmia.
Si sentì stringere persino più forte, quasi Kurt non volesse lasciar andare quel momento per le loro schermaglie ironiche.
"Da quando ti conosco, non sono più solo", ammise con voce flebile.
Sebastian sospirò, ma ne baciò la gota e ne sfiorò il volto, con tocco vellutato: "Neppure io”, ammise, adagiando la fronte alla sua. “ Non che mi importasse, prima di te".
I signori vogliono ordinare?”.
Naturalmente”, Sebastian si scostò prontamente e spostò la sedia perché Kurt, gli occhi ancora lucidi, potesse accomodarsi.

~

Kurt era nel mezzo di un suo tipico melodramma: sembrava incapace di formulare un'intera frase di senso compiuto senza strillare di aver dimenticato qualcosa. Continuava a fare e disfare il nodo al foulard, ad assicurarsi che fosse ben stretto, forse inconsciamente premeditando il proprio suicidio o cercare di sfogare (inutilmente) tutta la tensione accumulata fino a quel fatidico San Valentino.
Sebastian uscì dal camerino ed osservò il proprio riflesso: malgrado la fissa di Kurt per le giacche a doppio petto e quel suggerimento sul porre all'indietro il ciuffo caratteristico a dargli un'aria più elegante e meno sbarazzina, beh... doveva ammetterlo, era proprio uno schianto. Anche con un vestito pensato da Kurt. Gli altri modelli messi a disposizione da Vogue.Com sembravano scomparire al confronto. Non era un caso se Kurt avesse scelto proprio lui per gli abiti a cui aveva dedicato più tempo e che sembravano ben adattarsi ad uno stile senza troppi fronzoli ma sexy, con quella punta di classico a cui l'aspirante stilista non sapeva rinunciare.
Stava ancora controllando l'ordine d’ingresso dei suoi vestiti, dando indicazioni ai modelli, spazzolando abiti e riassettando colletti e asole, quando Sebastian si schiarì la gola per attirarne l'attenzione.
Attese che si voltasse in sua direzione e fu allora che i loro sguardi si incrociarono. Non avrebbe dimenticato quel momento: il suo cuore sembrò essersi fermato, mentre Kurt sgranava gli occhi, le labbra schiuse in un'espressione di muta sorpresa e di mero incanto.
Sebastian esibì il suo miglior sorriso arrogante e allargò le braccia ad indicarsi con falsa modestia. Fu come se tutto il mondo loro attorno fosse scomparso e Kurt deglutì, prima che un sorriso trasognato ne sforasse le labbra e ne facesse rilucere gli occhi. Gli si avvicinò con quel passo leggero, quasi non sfiorasse neppure il pavimento e le mani si posarono sulla giacca a lisciarla da pieghe immaginarie, prima di circumnavigarlo.
"Sei perfetto", sussurrò come se il coinquilino incarnasse il sogno di essere un vero stilista. Come se rappresentasse la sua idea di moda.
Sebastian sorrise con aria compiaciuta: "Te ne accorgi solo ora?", sussurrò suadente, sporgendosi pericolosamente al suo viso.
Forse fu la suggestione del momento tanto atteso, forse la vicinanza così spontanea e la naturalezza di quel tono flirtante.
Kurt non gli aveva risposto: lo sguardo era perso nel proprio, quasi la domanda si riferisse a qualcosa di ben più profondo. Quasi ancora una volta volesse far emergere ciò che era celato e seppellito e che Sebastian non avrebbe pronunciato.
"Cinque minuti all'inizio", annunciò uno degli organizzatori e Kurt si riebbe. Sbatté le palpebre e gli sorrise nuovamente, con nuova dolcezza nello stringergli il braccio. "Grazie di tutto".


Farsi immortalare per Saint Laurent era stato un optional aggiuntivo al suo piano malefico, ma sfilare per Kurt andava oltre il mero compiacimento personale. Era la conferma che sarebbe stato partecipe dei momenti più importanti e che era un desiderio di entrambi.
Lo aveva osservato prendersi i meritati applausi, gli occhi velati di lacrime di commozione e di pura gioia alle lodi di Isabelle Wright e dei giornalisti in sala.
Blaine sostava sul fondo della sala, un bouquet di rose in mano, ma l'aria corrucciata che aveva balenato sul suo viso, fin da quando lo aveva visto sfilare.
Sebastian seguì Kurt dietro le tende che coprivano la passerella e ne osservò lo sguardo ancora pregno di gioia, prima che gli gettasse le braccia al collo, ridendo con una spensieratezza che raramente lo aveva coinvolto così nel profondo.
Si sentì lui stesso invadere da quell'euforia, prima che lo scostasse dolcemente: ne cinse le mani e l'osservò con quel sorriso più beffardo. "Dopotutto non sembro una prostituta portoricana", commentò come se quella fosse stata la sua preoccupazione principale, da che aveva accettato di sfilare con le sue creazioni.
Kurt rise suo malgrado, trattenendo le mani del coinquilino tra le proprie. Scosse il capo: "No, sei il mio Valentino", sussurrò con voce più flebile, scrutandolo negli occhi e sorridendo, come se i loro pensieri fossero lineari. "Come l'anno scorso", aggiunse in un flebile bisbiglio, quasi stesse sfiorando quel ricordo con una nuova consapevolezza.
Sebastian sentì il cuore fermarsi in petto: era come se quell'anno non fosse mai davvero trascorso e ci fossero soltanto loro due, così vicini da poter cambiare tutto. Si sentì protendere il viso in sua direzione. O forse era stato Kurt a farlo per primo. Non avrebbe saputo dirlo.
Fu il gelido richiamo di Blaine a riportarli alla realtà e Kurt trasalì: la stessa espressione smarrita e delusa di chi è stato interrotto nel mezzo di un sogno.
Sebastian lo guardò da sopra la sua spalla, nello stesso istante sentì il coinquilino sottrarsi alla stretta delle sue mani.
Blaine si avvicinò, il bouquet tra le mani che porse al fidanzato, ma il sorriso forzato che spesso esibiva in presenza di Sebastian. "Congratulazioni e... buon San Valentino", si era sporto per baciarlo.
Sebastian non si curò neppure di riservargli un'occhiata astiosa: non si era davvero illuso che quella serata avrebbe potuto concludersi come avrebbe desiderato. Si voltò per lasciarli soli e chiudersi nel camerino. Non ci volle molto per cambiarsi: era desideroso di cancellare quella serata al più presto, magari con una bella sbronza.
Kurt e Blaine si erano allontanati ed immaginò che fossero già usciti. Sospirò, pronto a scendere dal palco innalzato per la sfilata, quando percepì il suono attutito delle loro voci. Si avvicinò al sipario e sollevò gli occhi al cielo: sia mai che la Mezza SegAnderson perdesse l'occasione di stare su un palco, anche se coi riflettori spenti.
"Era la mia serata, non riesco a credere che tu sia così egoista!", la voce di Kurt era fastidiosamente alta e stridula. Conoscendolo doveva essere vicino a lacrime rabbiose, evidentemente perché Blaine stava cercando di metterlo sotto pressione.
"E sono davvero orgoglioso di te, come tuo amico e come fidanzato. Ma non posso credere che tu abbia chiesto a Sebastian di sfilare per te e che, soprattutto, tu me lo abbia tenuto nascosto!", fu la risposta del ragazzo, la cui voce era più altisonante e rivelava tutta l'esasperazione accumulata, oltre quel singolo episodio.
Kurt s’irrigidì in uno di quei rari moti di orgoglio che lo facevano impuntare sulla propria posizione. "Vorresti per caso dirmi che, in quanto fidanzato, hai diretto di veto su chi possa indossare o meno le mie creazioni?".
Blaine scosse il capo, contrariato. "No, ma in quanto tuo fidanzato, a tre settimane dal nostro matrimonio, ho diritto di sapere perché lui ha avuto un simile ruolo nel tuo primo ingaggio e perché, malgrado non abbiamo parlato d'altro negli ultimi tempi, tu non abbia mai pronunciato il suo nome e io abbia dovuto scoprirlo così!". Indicò la passerella a rimarcare quanto l'omissione di quell'informazione fosse persino più grave della richiesta in sé.
Kurt scosse il capo, con aria incredula, a testimonianza di quanto fosse stato naturale reclamarne la presenza, anche nelle vesti di modello. "Lui c'è sempre stato nella mia vita, da quando lo conosco".
"A differenza mia, è questo che vuoi dire", Blaine aveva incrociato le braccia al petto, mettendosi sulla difensiva.
Kurt sospirò, esasperato all'idea che l'altro cogliesse sempre un confronto implicito con il proprio coinquilino. "E' un dato di fatto e mi dispiace che tu pensi che in un momento tanto importante per me, io abbia voluto ferirti volontariamente", la sua voce s’incrinò per la mortificazione.
"No, Kurt”. Blaine lasciò cadere le mani lungo i fianchi, scuotendo il capo con vigore. “E' diverso: tu non hai proprio pensato a me!".
Le sue parole parvero soltanto far irrigidire ulteriormente il fidanzato. "Dovrei scusarmi se per una volta nella mia vita, ho pensato soprattutto a me e ciò che ritenevo meglio per la mia carriera, sfilata di Sebastian inclusa?”.
Blaine sorrise con aria amara, scuotendo il capo. "Tra tre settimane non ci sarà più un « me », saremo solo un « noi », sempre che tu abbia ancora intenzione di sposarmi”.
Kurt indietreggiò come se lo avesse appena schiaffeggiato. "Credi che mettere in dubbio i miei sentimenti con continue allusioni, non ferisca me, a tre settimane dal matrimonio?”.
"No. Non quanto dovrebbe almeno". Blaine non abbandonò quel sorriso più amaro e le sue labbra furono percosse da un tremito, ma lo guardò con aria determinata. "Che cosa provi per Sebastian?".
Kurt arrossì e boccheggiò, prima di scuotere il capo. "Non posso credere che tu me lo stia davvero chiedendo”, mormorò con voce flebile e rauca.
"Non posso credere che tu non lo capisca", fu la replica di Blaine in un sussurro altrettanto amaro.
Sebastian arretrò istintivamente.
"Allora, Kurt ?”. Blaine avanzò di un passo come a volergli impedire qualsiasi possibile fuga. “Che cosa è Sebastian per te?".
Una parte di Sebastian era consapevole che quella risposta avrebbe segnato la sua vita, da quel momento in poi. Ma era tutt'altro che pronto a conoscerla, tutt'altro che sicuro di ciò che Kurt avrebbe risposto e di come avrebbe potuto affrontare gli istanti successivi.
Sembrò un momento mortalmente lungo quello in cui Kurt non riuscì a guardare il fidanzato negli occhi e lo sguardo diafano si perse in un punto indefinito, mordendosi il labbro, le braccia strette al suo corpo, quasi a proteggersi.
L'attesa sembrava rendere tutto persino più surreale, evidentemente non era una risposta scontata quella che avrebbe fornito.
"Lo sai”, mormorò Kurt con voce rauca, quasi vicino alle lacrime. “E' mio amico, il più caro che abbia mai avuto qui a New York". Ogni parola sembrò pesare come un macigno e assestargli una coltellata in petto.
Sebastian non volle sentire altro: si allontanò come se quella definizione fosse il suo punto di arrivo. La dimostrazione ultima del fallimento in una battaglia persa dall'inizio.
"E?", lo incalzò Blaine.
"E' parte di me”, sussurrò Kurt, mentre Sebastian lasciava l'edificio senza guardarsi alle spalle. “L'unica di cui sono certo".


Sebastian non era avvezzo agli appuntamenti, ma neppure riusciva ad immaginarsi in quel tipo di situazione o nell'atto di corteggiare qualcuno. Passarci del tempo insieme per appurare che vi potesse essere una buona compatibilità o che si sarebbe stancato nell'arco di due settimane al massimo.
In realtà non poteva davvero figurarsi che qualcuno, ad eccezione di Kurt, potesse tirare fuori qualcosa di nuovo da lui. Di nascosto e poco scontato.
Erano due mondi diversi, due diverse concezioni dell'amore e del sesso, della vita e delle relazioni. Probabilmente era la premessa di tale divario a ridurre la pressione. O la sicurezza che, qualunque cosa fosse accaduta, sarebbero tornati a casa insieme. Proprio in nome di quella familiarità con un'altra persona che aveva voluto evitare da sempre.
Sorrise tra sé al pensiero, osservando il modo in cui Kurt contemplava i ballerini.
Si sorprese a sollevarsi in piedi: "Non abituarti, perché non sono solito chiederlo, ma ti va di ballare?".
Kurt sorrise, una reale emozione ad illuminarne lo sguardo: stranamente quella premessa non aveva sminuito l'importanza di quel gesto. Al contrario, sembrò renderlo persino più prezioso. Allungò la mano che Sebastian strinse, come fosse qualcosa di perfettamente naturale.
Ne cinse la vita esile, ebbe la sensazione che le proprie braccia fossero perfette per incastonarlo contro di sé e trattenerlo. E che il corpo esile dell'altro fosse destinato a cercare un rifugio contro di sé: quasi ne avesse intuito i pensieri, Kurt affondò il viso contro la sua spalla.
Sebastian lo sentì appoggiare la gota contro il suo petto, quasi a tastarne i battiti. Si scostò per osservarlo, inclinando il viso di un lato e rimirandone gli occhi che sembravano rilucere come un cielo scintillante: "A cosa pensi?".
Kurt sorrise. "Ancora non riesco a credere che tu abbia architettato tutto questo per me".
Si strinse nelle spalle, quasi a sminuire. "So quanto ti piacciono queste cose", sollevò gli occhi al cielo. "Ancora ho incubi su Tom Hanks", aggiunse come se il ricordo di quella trasferta a Coney Island fosse incancellabile.
Kurt rise, ma si strinse più forte contro di lui e Sebastian rinsaldò la pressione delle braccia attorno alla sua vita, tenendolo ancora più vicino. Scoprendo che non soltanto era piacevole sentirselo accanto, ma che non avrebbe mai desiderato allontanarlo da sé.
"Sei il mio Valentino", sussurrò Kurt con un misto di divertimento e di tenerezza.
"Credo di essermi appena sgonfiato", gli rivelò Sebastian con un sorrisetto divertito.
Kurt assunse un'aria scandalizzata. Gli diede una pacca sul braccio, a mo' di ammonimento, ma affondò nuovamente contro la sua spalla. "Non roviniamo questo momento", parve una supplica.
Sebastian si scoprì a trattenere il fiato, ma si sporse al suo orecchio: "Non ne ho intenzione", sussurrò in risposta. Appoggiò la gota alla sua, socchiudendo gli occhi, neppure curandosi di volteggiare a tempo, limitandosi a dondolare con lui sul posto.
"Rachel", bisbigliò Kurt poco dopo, l'aria confusa.
Sebastian aggrottò le sopracciglia. "Non è il momento adatto per dirmi che credi di essere bisessuale e poi, Rachel, davvero?", domandò con aria incredula.
"No, intendevo dire che Rachel è qui", replicò il ragazzo, indicando con il mento la giovane moretta che si stava slanciando in loro direzione, dopo averli individuati con occhi simili ad un radar.
Sebastian imprecò tra i denti, prima che la ragazza li raggiungesse, gettandosi su Kurt con un piagnucolio da mestruata isterica: "Io e Finn abbiamo litigato!”, singhiozzò sulla sua spalla, evidentemente non resasi conto di aver interrotto un momento piacevole. Ma il suo dolore non era abbastanza forte, da toglierle la tempra polemica: “Non sai quanto ci ho messo a farmi dire da quella Tiffany dove ti eri cacciato, neppure fosse un segreto di stato!”,
"Mi dispiace", mimò Kurt da sopra la spalla dell'amica, guardandolo con aria mortificata.
"Anche a me".
Gli rivolse un cenno del capo e si allontanò, prendendo nota mentale di sferrare un calcio nei “paesi bassi” di Hudson alla prima occasione utile.

Sorrise ironico tra sé: non aveva mai creduto nel destino, ma cominciavano ad esserci troppe nefaste coincidenze nel loro cammino. Ed era stanco di coltivare la speranza che veniva puntualmente delusa.

~

Hunter Clarington si drizzò, dopo aver passato l'ultima mezzora a scrutare sotto il bancone e sotto tutti i mobili, con aria alquanto perplessa. Si ripulì le lenti degli occhiali con l'orlo della t-shirt che indossava.
"Niente chiavi", annunciò ad un'affranta Brittany Pierce che, con il vestito rosa guarnito di strass e persino finte alucce decorative sulle spalle, somigliava ad un'adolescente Trilli in versione molto poco Disney.
La ragazza si prese il viso tra le mani e scosse il capo in un moto di puerile disappunto, facendo ciondolare le lunghe gambe dal bancone sul quale era appollaiata.
"Ancora qui, Clarington?", gli abbaiò contro il proprietario che sembrava non desiderare di meglio che licenziarlo di nuovo. "Non pensare di passarci la notte con la fatina", alluse alla biondina e scosse il capo, come se anche il vederli insieme fosse fonte di reale fastidio. "E chiudi, quando esci".
"Come sempre, Signor Murphy", replicò tra i denti, sorridendo con aria accondiscendente.
La ragazza sospirò e, con una lieve spintarella, scese dalla superficie per scivolare sui tacchi a spillo. Gli rivolse un sorriso, stringendosi le braccia al corpo. "Grazie dell'aiuto: dovrò cercare un albergo", si guardò attorno e parve sbiancare. "Oh no, dov'è la borsa?".
Hunter la sollevò con un vago sorriso, porgendogliela. Arcuò le sopracciglia, come se stesse riflettendo su qualcosa: "Potresti chiamare il proprietario dell'appartamento per fartene dare una copia".
La ragazza scosse il capo con aria ancora più mortificata. "Sarebbe la terza volta in un mese”, gemette, assumendo di nuovo quel broncio più puerile. “Se scopre che le ho perse di nuovo, mi butterà fuori".
"Oppure", il ragazzo si avvicinò, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni, con aria casuale. "Potresti dormire da me: naturalmente ti cederò la mia camera", si affrettò a precisare, perché le sue intenzioni non fossero fraintese.
Lo sguardo azzurro lo contemplò con aria incredula e scosse il capo, quasi con aria imbarazzata, di fronte ad una così spontanea disponibilità. "Sei troppo buono con me".
Hunter scrollò le spalle, quasi a sminuire il tutto, ma non mancando di sorriderle con fare rassicurante: "Non è un disturbo, davvero: prendo le mie cose e possiamo andare".
Si volse, ma la ragazza ne cinse il braccio frettolosamente. "Aspetta!".
La guardò con aria incuriosita, il viso inclinato di un lato. "Sì?".
"Non puoi andare subito a casa”, asserì lei con aria di puerile divertimento, lasciandone il braccio, ma inclinando il viso di un lato e osservandolo con aria eloquente. “Sei l'unico che stasera non ha ancora avuto il suo ballo", gli fece notare con uno scintillio vivace nello sguardo.
Si stava infatti riferendo alla strampalata idea del proprietario per ribaltare le sorti di un pub prossimo al fallimento: cercare di attirare nuovi avventori e far tornare i clienti abituali, offrendo loro un ballo con uno dei ballerini del suo staff. Ciò aveva causato non poche proteste nei fidanzati gelosi come Evans, nonché il doppio del lavoro per il buttafuori che era intervenuto più volte, quando i pochi presenti si erano dimostrati fin troppo entusiasti.
Hunter sbatté le palpebre e la osservò come a voler appurare di non aver frainteso in alcun modo, ma di fronte allo sguardo di incoraggiamento della giovane (la cui mano era già protesa verso di sé), scosse rapidamente il capo: "Io non ballo”, cercò evidentemente di trarsi d'impaccio, passandosi una mano sulla nuca. “Mi limito a riempire i bicchieri".
"Non più", obiettò la giovane e, senza dargli tempo di ulteriore replica o protesta, si avvicinò al juke box per inserire una moneta e scegliere una traccia musicale.
"Adoro questa canzone", lo informò ma, di fronte all'ulteriore obiezione del ragazzo, gli cinse la mano con aria risoluta e Hunter non poté che seguirla, colpito dalla sicurezza e dall'autorità giocosa con cui riusciva ad abbindolarlo senza alcuno sforzo.
Brittany lo condusse verso il centro della pista da ballo, tenendogli il braccio sollevato, così da piroettare su se stessa, prima di voltarsi per assumere la giusta posizione. Con gesti esperti, ne guidò le mani affinché le sostenesse il fianco. Adagiò una mano sulla spalla di lui ed intrecciò l'altra a quella del giovane, sorridendo con evidente aspettativa, attendendo che le prime note echeggiassero.
"Non sono granché come ballerino", tentò di protestare l'ennesima volta ed apparve realmente a disagio nel tenerla così vicino, quasi timoroso che, ancora una volta, potesse rovinare tutto inavvertitamente.
Brittany sorrise con aria complice: "Un frullato gratis, se mi calpesti il piede?", gli propose, quasi volendo stemperarne la tensione e farlo rilassare.
Uno sbuffo divertito da parte del barista: "Non batterai facilmente il record di bevute gratis di Sebastian".
Lei rise con quel tintinnio gradevole al suo udito e, cercando di vincerne la rigidità, ne cinse il collo, inducendolo a circondarle la vita con le braccia, così da essergli più vicino, quasi la prossimità fisica potesse lenirne le remore anziché aumentarle.
Hunter parve lentamente rilassarsi: probabilmente fu inspirandone lo stucchevole profumo di fragola di cui era impregnata la sua pelle, misto al calore scaturito da quel piacevole contatto. O forse era contemplarne lo sguardo azzurro che mancava della malizia femminile, di arroganza o di falsità. Era la consapevolezza ch'ella non si sarebbe fatta remore ad esprimergli i suoi reali pensieri, senza alcun imbarazzo. La pressione delle sue braccia si fece più risoluta, pur attento a non stringerla troppo. Prese poi abbastanza confidenza e slancio per indurla a piroettare nuovamente su se stessa e persino farla reclinare in un casquet, suscitandone un'espressione sorpresa, ma non di meno compiaciuta.
"Credevo che non sapessi ballare", commentò, infatti, la giovane con voce flebile, quando tornò in posizione eretta.
Hunter si strinse nelle spalle e parve recuperare quel sorriso più accattivante: "Non è la mia specialità”, ammise senza imbarazzo. “Ma ho partecipato a troppe cerimonie familiari per non essere costretto a farlo", le confidò.
Brittany annuì distrattamente: sembrava molto più interessata ad osservarlo attentamente.
Hunter intuì, dal lieve corrugamento della fronte, che qualche pensiero le stava martellando la mente.
"Davvero non c'era nessuna ragazza da cui tornare, stasera, anziché cercare un paio di chiavi?", gli chiese con quella tipica schiettezza, unita ad una reale curiosità nello scrutarlo negli occhi, quasi cercando una risposta che andasse oltre quel frangente.
Il ragazzo sospirò, ma increspò le labbra in un sorriso ironico. "In realtà ce ne sarebbe stata una," ammise e Brittany lo guardò con persino più attenzione. Parve persino fermarsi al centro della pista, prima che fosse lui a condurla nuovamente con dolce risoluzione, intrecciando le dita alle sue, quasi quel contatto fosse la chiave di tutto.
"Ma non credo che abbia colto il significato delle mie attenzioni”, ammise con un sorriso quasi mesto. “Non nel modo in cui speravo".
La ragazza sbatté le palpebre, scuotendo il capo quasi mortificata alla sola idea, soprattutto alla consapevolezza che quella situazione doveva averlo turbato. "Chi potrebbe essere tanto stupida?", domandò con tono così sinceramente scandalizzato ed incredulo da strappargli un verso di ilarità e uno scuotimento del capo.
La strinse più forte, quasi dovesse in qualche modo rassicurarla e gli occhi azzurri furono percorsi da uno scintillio del tutto nuovo. "Non mi importa se gli altri la ritengono...". Corrugò le sopracciglia, cercando il termine giusto. "Persa nel suo mondo, chimicamente sbilanciata o... Diversamente intelligente", asserì e lo sguardo verde scintillò di tutta la devozione e la sincera ammirazione che ne aveva animato le serate in quegli ultimi mesi. "So che è molto di più", sussurrò con voce più profonda.
Quelle parole e quel tono sommesso sembrarono intaccare qualcosa nella ragazza che, per la prima volta, non trovò una repentina e pronta risposta. Non parve neppure accorgersi della fine della canzone: sostò immobile nell'osservarlo con il volto lievemente reclinato all'indietro, mentre le mani scivolavano lentamente dalle spalle del suo improvvisato cavaliere. Lo sguardo azzurro sembrò scintillare di una nuova consapevolezza: se una rivelazione alle parole del giovane o ai propri segreti pensieri, difficile a dirsi.
"Brittany”, la richiamò, quasi cercando di indovinare l'origine di quell'insolito silenzio.
Un nuovo scintillio nello sguardo azzurro.
"Shh", sussurrò con quel sorriso più giocoso, ma Hunter ne scorse il cambiamento in un battito di ciglia. Sembrò che quell'alone più fanciullesco e ingenuo lasciasse spazio a quello più femmineo e deciso, quasi la donna che era in lei riuscisse finalmente ad emergere e con un fascino del tutto nuovo. Allungò delicatamente la mano al volto del giovane, sfiorandone appena lo zigomo e si sollevò sulle punte.
"Di chi sono queste chiavi?", giunse limpida la voce di Sebastian dall'ingresso.
Quest'ultimo fece saettare lo sguardo ad osservare i due sulla pista da ballo. Non si scompose, quasi fosse perfettamente "naturale" scorgerli a quella vicinanza intima e coi volti protesi. Soltanto la lieve inarcatura delle sopracciglia ne rivelò la sorpresa.
"Ah, Tontittany", la salutò, sventolandole e facendole tintinnare. "Vanno così male gli affari?", domandò poi, guardandosi attorno, quasi soltanto in quel momento si rendesse conto che non era rimasto nessuno.
"Le mie chiavi!", squittì Brittany che corse verso Sebastian quasi saltellando.
Hunter Clarington restò nella stessa posizione, passandosi una mano tra i capelli, letteralmente shockato. Se per il bacio mancato o per l'arrivo inaspettato del ragazzo, era difficile a dirsi.
"Grazie, grazie, grazie! Non dovrò dormire sotto un ponte!", commentò Brittany stringendole tra le mani e portandosele al petto, di fronte al cipiglio ironico del suo salvatore.
"Yeah!", Sebastian ne imitò il saltello con aria enfatica mentre, sullo sfondo, Hunter Clarington sembrava star facendosi un replay mentale della scena per sincerarsi di non essersi sognato tutto.
"Come posso ringraziarti?", squittì la biondina.
"Ci sarebbe una cosa", rispose Sebastian, ancora con quel falso sorriso allegro.
"Che cosa, che cosa?", gli chiese evidentemente ansiosa di sdebitarsi.
"Levati dai piedi", le indicò l'uscita con un cenno del capo e sollevò gli occhi al cielo.
Brittany sgranò gli occhi, con aria offesa, prima di affrettarsi a percorrere la pista da ballo e recuperare la borsetta, camminando impettita. Tornò dal barista soltanto per sollevarsi sulle punte e baciarne rumorosamente la guancia: "Grazie di tutto", ne sfiorò la mascella, laddove aveva lasciato un bel sogno rosato.
"Allora?", la incalzò nuovamente, Sebastian, sbuffando. "Serve a me, adesso", indicò il barista con un cenno del mento.
“Sto andando, sto andando!”, brontolò la ragazza, con aria evidentemente risentita, agitando la mano verso l'altro.
"Buonanotte", riuscì a balbettare Hunter e parve che un sorriso stolido gli si fosse bloccato sulla faccia, a giudicare dalla mascella tesa e i pugni ancora serrati lungo i fianchi. "Spero sia morto qualcuno, Sebastian", si rivolse all'altro, lo sguardo ancora puntato alla porta che la ragazza si era appena chiusa alle spalle, evidentemente incapace di sbloccare quell'espressione che stonava incredibilmente con il tono stizzito con cui gli si era rivolto.
Sebastian inarcò le sopracciglia: "Oh”, imitò il tono confuso della giovane. “Ho interrotto qualcosa?", chiese con aria fintamente innocente.
La mascella del barista vibrò: evidentemente stava valutando se fosse il caso di colpirlo subito o attendere. Scosse il capo, tornò alla sua postazione quotidiana e riempì un bicchiere di tequila: il sorriso si era dissolto dal volto.
"Mi leggi il pensiero", convenne Sebastian, lasciandosi cadere sullo sgabello, ma il barista lo precedette e ingollò l'intero contenuto in un solo sorso.
"Stai cercando di impressionarmi?".
Hunter se ne versò un altro, l'aria composta. "No, se cedessi alla voglia di prenderti a pugni, sarebbe meglio avere una sola possibilità su tre di colpire il bastardo giusto", spiegò con aria pragmatica.
"Dammi qua", Sebastian gli strappò rudemente di mano la bottiglia e la tracannò dalla canna. "Molto meglio: se la bevo per intero, magari ti scopo", aggiunse.
Hunter non si degnò neppure di guardarlo: "Vaffanculo", borbottò mentre recuperava i propri effetti personali, sfregandosi appena la guancia macchiata.
"Potrebbe piacerti".
"Sto davvero per darti un pugno", rispose distrattamente. Cincischiò con il cellulare, probabilmente domandandosi se non potesse cogliere l'occasione per scrivere un galante messaggio di buonanotte o se dovesse attendere il giorno dopo per non apparire tanto disperato.
"E' finita", commentò Sebastian, dopo un lungo silenzio nel quale parve ripercorrere quella lunga giornata.
"Tecnicamente non era ancora iniziata", commentò, Hunter guardandolo di sottecchi, le sopracciglia inarcate, neppure prendendosi la briga di chiedergli di cosa stesse parlando.
Sebastian non parve neppure risentirsi della precisazione poco lusinghiera, lo sguardo perso nel vuoto. "La Mezza SegAnderson ha vinto: io ci rinuncio", annunciò, ma sembrava che avesse bisogno di pronunciarlo a voce alta per convincere soprattutto se stesso.
"Aspetta", Hunter sollevò la mano e appoggiò di nuovo sul bancone il cellulare e lo zainetto, appoggiando i palmi sulla superficie, quasi stesse cercando di raccogliere le forze. "Per mesi interi ho sopportato le tue sbronze, mi sono spacciato per un tizio del gas, sono stato complice di un furto di un anello di valore, ho ridotto le mie possibilità di una sana vita privata, ripetuto tre volte lo stesso esame di anatomia... per cosa? Tu che ti arrendi? A tre settimane dal matrimonio?!”, sulle note finali la voce si era alzata, a far intendere l'assurdità della situazione e di quella conversazione.
"La tua vena”, Sebastian la indicò con un cenno distratto del mento. “Credo che stia per esplodere".
Lo ignorò ma la mascella si tese e parve davvero irritato: "Sai qual è la verità? Sei soltanto un vigliacco”, pronunciò con voce dura, prima di scuotere il capo. “E' ora che questa storia finisca. Se non hai intenzione di parlare a Kurt, lo farò io".
Sebastian si irrigidì e lo sguardo di smeraldo dardeggiò infastidito. "Non sono venuto a chiederti l'approvazione, Clarington: anzi, ti sto dando la benedizione a tornare alla tua vita da SfigHunter", lo disse come se ciò dovesse essere risolutivo, affinché l'altro non interferisse nuovamente. Perché non spronasse quella parte di sé che stava inveendogli contro e che, nell'ultimo anno, aveva messo a tacere più volte.
"Sei un idiota", gli abbaiò contro il barista, ma cercò di calmarsi. "Si può sapere cosa è successo questa sera? E non provare a negare”, sollevò la mano prima che potesse attaccare discorso. “Prima è meglio che beva qualcosa di più forte", armeggiò tra le bottiglie.
Suo malgrado, Sebastian accennò un sorriso: "Siamo sicuri che non sarai tu a saltarmi addosso?".
Hunter roteò gli occhi, ma versò due bicchieri di whisky con una scrollata di spalle. "Lo scopriremo".
"Forse dovrei andare a richiamare la tua-”.
"Parla".

La reazione di Hunter, al termine del resoconto, fu uno scuotimento del capo, un sollevare gli occhi al cielo e uno strofinarsi la fronte, con aria di melodrammatica incredulità.
"Siete due idioti, ma mi sorprende che ancora non vi siate strappati i vestiti di dosso”, asserì dopo un lungo silenzio.
Sebastian neppure si prese la briga di apparire compiaciuto o vagamente smanioso all'idea. "E' finita, fattene una ragione”, scosse il capo e ingollò un altro bicchiere. “Non posso credere di essere io a dirlo a te”.
Hunter lo fissò persino più disgustato: "Sei un coglione: fattela tu una ragione".
In circostanze normali, Sebastian si sarebbe avveduto di quanti epiteti gli fossero stati sferrati contro e senza che opponesse alcuna reazione. "
Ti ho detto che non devi più fare nulla e ti lascerò in pace”, lo fissò con aria stizzita.
Il barista roteò gli occhi. "Sei un coglione", ripeté. "Ma un coglione fottutamente innamorato: il tuo cinismo è andato a farsi fottere, dopotutto", parve ritrovare un sorriso di consolazione a quella constatazione. Un sorriso che si espanse ad un successivo pensiero, divenendo quasi un ghigno.
"E questo ti diverte?", gli domandò Sebastian con aria piccata e vagamente sospettosa di fronte a quella esternazione di gioia quasi inquietante.
"Contrappasso”, ribatté il barista con fare filosofico. “Dopotutto il karma esiste: quindi se la tua vita sentimentale va' a puttane e tu hai fatto del tuo meglio perché così fosse, forse allora...", non finì la frase, ma dal sorriso voluttuoso si intuì che credeva che fosse giunto il proprio momento.
Ma Sebastian non lo stava più ascoltando: un pensiero continuava a pungolarlo, il tono di voce di Kurt quando Blaine lo aveva incalzato a più riprese perché parlasse dei sentimenti che nutriva nei propri confronti. Se anche lo aveva definito “il più caro amico” nella sua vita newyorchese, non gli era sfuggito quanto avesse esitato e quanto dolorose fossero state quelle parole. Un dolore che, probabilmente, non riguardava soltanto l'ennesimo litigio col fidanzato.
"Forse no", sussurrò tra sé e sé.
L'altro son si scompose neppure: sembrò intuire che, malgrado i fumi dell'alcol, la mente di Sebastian fosse fissa su qualcos'altro. Sospirò ma, quasi con aria di supplica, domandò un semplice: "Glielo dirai?".
Sebastian sorrise con aria divertita. "Certo che no".
Hunter sbatté le palpebre e fissò il proprio calice: "Credo che berrò di nuovo".
"Buona idea", Sebastian allungò il proprio perché glielo riempisse nuovamente.
"Hai un nuovo piano, vero?", fu la rassegnata domanda.
"Forse", gli sorrise con aria complice.
Il barista sospirò con aria sconfitta. "Apro un'altra bottiglia di whisky: saranno le tre settimane più lunghe della nostra vita”.
Non ci fu bisogno di rispondere, era certo che la sua deduzione fosse più che legittima.


To be continued...

Non vi nascondo di essere stata la prima a sbarrare gli occhi nel realizzare a quale punto della narrazione siamo ormai giunti :)
Questo aggiornamento, poi, giunge in una settimana davvero speciale per la sottoscritta: malgrado il mancato appuntamento con Barry (quanto mi è mancato T.T), non ho potuto che sorridere nel rivedere finalmente Nolan, anche soltanto come guest star nella 3x05 di Arrow. Devo ancora riprendermi da un paio di scene in cui credo sia stato di una dolcezza unica e l'altra metà in cui non è mancato un fascino decisamente più sensuale :D
Ma veniamo ai nostri pupilli e diamo una sbirciatina al prossimo capitolo:


[…] “Ma continui ad evitare la questione”. “Sarebbe più facile se Kurt non evitasse me”.
[…] “Fanculo, dov'è il whisky?” “Non dovresti essere tu il custode del mio fegato?” “Infatti è per me: finirò in terapia di questo passo”.
“Sebastian” “Kurt” “Sono qui”.
“Non è di lui che non mi fido” “Cosa... cosa c'è che ancora non mi hai detto?”.


Prima di salutarvi, ancora una volta sentiti ringraziamenti a tutti coloro che stanno continuando a seguirmi, anche silenziosamente. E' davvero una grande soddisfazione potermi sentire parte delle vostre giornate, un paio di Venerdì al mese. Ma in modo particolare a chi mi dedica un pensiero, condividendo le proprie emozioni e il proprio stato d'animo sugli eventi di ogni capitolo o sul corso stesso della fanfiction. E' soltanto per voi che la pubblicazione è motivo di tanta soddisfazione :)
Non mi resta che augurarvi un buon weekend :)
Kiki87
1 Per il testo originale: qui
Per ascoltare il brano: qui

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: Kiki87