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Autore: parolecomemarchi    07/11/2014    1 recensioni
Si voltò verso il mare e ascoltando un tacito richiamo cominciò a scendere per la passerella, avvicinandosi sempre più alla riva, incantata dall’acqua che schiumava contro la sabbia compatta e ora di un marrone grigiastro.
Quello non era stato solo un bacio, era stata l’unione di due grandi realtà in contrasto, era la speranza che domava le fiamme del dolore, era la felicità che mandava a quel paese la tristezza.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                         “Ovunque io guardi adesso,
 sono circondata dal tuo abbraccio.
Tesoro riesco a vedere la tua aura.”
-Beyoncé

  
Il mare lasciava andare le onde con aggressività, l’acqua gorgogliava dal profondo del mare. Al centro di quella apparentemente infinita distesa azzurra si concentrava una densa coltre di nubi, illuminate dalla luce del sole che andava sorgendo.

L’aria era fredda, congelata, tanto che faceva male persino a respirarla, si insidiava nei polmoni con dolorosa velocità e aggrediva il corpo con la stessa ferocia di una stilettata diretta al cuore.
La spiaggia era deserta se non per pochi gabbiani che, gracchiando fastidiosamente, rapivano cibo dal pelo dell’acqua profonda e volavano in grandi cerchi concentrici tra le nuvole grandi e modellate dal vento.
Forme allungate e sinuose si ripetevano nell’azzurro piatto che era la sfera celeste, lasciando così intuire in quale direzione soffiava il vento, che le scompigliava i capelli lunghi.

Sola, seduta sulla fredda sabbia della costa, stava Hearin.

Una piccola macchiolina rossa e blu, seduta in solitudine con le gambe tirate al petto e le mani nude a stringere le gambe, tremava in modo incontrollabile con le guance sommerse di goccioline salate.
Il freddo pungente le aleggiava intorno rendendola vittima, le dita delle mani ormai rosse e screpolate, le labbra quasi bianche, secche e crepate erano chiazzate da goccioline rosso scarlatto.
Quasi impercettibilmente, con intervalli irregolari di tempo, piccoli e soffocati singhiozzi le rubavano il respiro, aumentando in lei la rabbia e la frustrazione che avevano provocato quel pianto.

In principio era stato solo un riflesso istantaneo e naturale alla notizia, poi il malessere provato aveva spostato l’ago della bussola su altri motivi, altri episodi, ricordi di parole ed immagini che potevano solo provocarle dolore.

Come avevano potuto farle un simile torto?

Non riusciva a spiegarselo, anche volendo essere comprensiva, non riusciva ad ordinare al suo corpo di non reagire, non riusciva ad eliminare la rabbia dal suo animo, tanto che se provava a scostarsi spintonandola da parte, questa, tornava indietro ad attaccarla se possibile, ancor più brutalmente.

Il problema risiedeva in due persone a lei care, due persone a cui apparteneva in modo quasi totalitario: i suoi genitori.
Perché l’avevano abbandonata così? Cosa aveva fatto di tanto male per meritarselo?

Mentre con la mente tornava al passato, quando tutto sembrava andar bene, udì un rumore soffocato di passi che le venivano incontro, ma decise di fingere e di non averli percepiti.
Persa tra colori e ricordi quasi non si accorse della presenza che le sostava al fianco, seduta come lei con le ginocchia strette al petto.
Non si voltò nemmeno, una folata di vento portò alle sue narici un dolce profumo di lavanda e limone e riconobbe il ragazzo che l’aveva, erroneamente, raggiunta.

-Non voglio essere cattiva con te. Perciò prima che ti sbotti contro è meglio che tu ti alzi e che te ne vada- disse cercando di non balbettare, asciugandosi con il dorso della mano le guance solcate dalle lacrime, ora fattesi più frequenti.
Il vento la investì, spazzandole via dal viso le scie salate, facendola al contempo rabbrividire. Sentì la pelle tirarle sul viso, all’altezza delle guance, ma una volta abbassata la mano al fianco la lasciò penzolare mollemente contro la sabbia fina. Incurante di tutto ciò che l’attorniava.

-In questo momento c’è bisogno che tu sia cattiva.- disse sorridendole timidamente, per nulla intimorito dallo stato emotivo decisamente poco stabile in cui gravava Hearin.
I capelli biondi, corti e tirati su da poco gel, si mossero seguendo l’aria che frustava le loro pelli chiare. Se li sistemò con una mano, spazzandoli via dalla fronte corrucciata. Le sopracciglia scure aggrottate al centro della fronte, quasi a sfiorarsi, mentre il debole bagliore del sole rendeva leggermente più complicato guardarsi negli occhi.

Hearin posò il mento sulle ginocchia tremanti e magre, lasciandosi andare ad un sospiro sconsolato che venne così seguito da un singulto.
Sgranando di poco gli occhi scuri si portò una mano alle labbra, tagliate dai morsi del tormento che le feriva l’animo, scusandosi poi con uno sguardo remissivo per quell’uscita poco controllata.
-Non c’è bisogno invece che ti trattenga in questo modo.- le consigliò Justin.

Le afferrò la mano posata tra la sabbia, spolverandogliela dai sottili granelli se la portò alle labbra piene e vi depositò un bacio, lì sulle nocche scorticate, lasciando così che il viso della ragazza riacquistasse colore.
Il rosso le tinse le guance morbide ma fredde, riscaldandola solo alla superficie. Il suo era un gelo inestinguibile che aveva basi profonde, congelato era anche il suo cuore, anche se solo per una piccola parte.
Hearin tolse la mano dalla sua presa, con un gesto poco gentile si scostò da lui, alzandosi in piedi, attenta a non sollevarsi troppo velocemente, non tanto da permetterle di cadere sotto il peso del suo corpo.
Le gambe, costrette nella stessa posizione da ore, erano deboli e sembravano aver rinunciato a sostenerla.

-Cosa succede?- chiese Justin alzandosi da terra, rivolgendole uno sguardo assai carico di preoccupazione ed ansia. Era quello che le faceva più male di tutto, il resto al confronto era niente e anche la morte della sua famiglia le sembrava essere meno dolorosa.
Sicuramente meno di ciò che gli occhi dei vivi le stavano provocando. I suoi genitori l’avevano sempre guardata amorevolmente, con sguardo fiero e orgoglio nelle iridi chiare. Ora invece tutto era diverso.
Le persone non riuscivano a far altro che guardarla con pena, fitta e ricolma di dispiacere per lei, quasi come se il loro dolore potesse equivalere o superare il suo, lei che tutto quello lo stava vivendo e lo stava sentendo sulla sua stessa pelle.

Lo aveva accettato però, aveva capito  che quello era il loro unico modo di ascoltare e alla fine, si era convinta a lasciar stare, perché chi non sa cosa vuol dire non può far altro che cercare di capire. E anche se lo fa malamente almeno, aveva sempre pensato, ci provava.
Ciò che invece non poteva accettare era che, alla massa di idioti si aggiungesse anche lui.
Lo stesso ragazzo, l’unico forse, che aveva capito e ascoltato ogni suo turbamento senza replicare con stupide frasi di commiato o semplici condoglianze, inutili parole.

-Non puoi dire sul serio. Io mi aspettavo altro da te. Non posso e non voglio credere che tu sia come tutti gli altri. Piuttosto che a me cosa succede a te? Arrivi qui e parli come il resto delle persone lì fuori, quelle che io e te disprezziamo tanto perché non capiscono e non capiranno mai. Sei arrivato qui con l’intenzione di dirmi cosa sia giusto fare o non fare per me.-

Si voltò verso il mare e ascoltando un tacito richiamo cominciò a scendere per la passerella, avvicinandosi sempre più alla riva, incantata dall’acqua che schiumava contro la sabbia compatta e ora di un marrone grigiastro.
Justin la seguì senza proferire parola. Con Hearin le parole non servivano a nulla, gridare scuse inutili era appunto, inutile.
Con Hearin c’era un bisogno disperato di fatti, perché la piccola Hearin altro non aveva bisogno se non di quelle certezze che le erano state tolte.

-Mi hanno lasciata.- il sussurro che emisero le labbra martoriate e scarlatte della ragazza venne udito anche da Justin che, avanzando piuttosto timidamente si permise di affiancarla.
Rivolgendo il suo corpo nella sua stessa direzione, con gli occhi ambrati, si perse tra i suoi colori.
Osservò come incantato le linee armoniose che le contornavano il volto candido, la curva degli occhi che si alzava verso l’alto, il naso poco pronunciato e delicato, gli zigomi alti e arrotondati dalla giovane età.

Era piccola Hearin, minuta ed esile, rinchiusa nel suo corpo di ragazzina.
Pareva tanto fragile che al ragazzo veniva voglia di stringerla a se solo per tenerla al sicuro, ma il vetro fine di cui era composta si era già frantumato al contatto con il suolo, tre anni prima.
Sembrava così debole Hearin che Justin si era ripromesso di non farle mai e poi mai del male, neanche se fosse stata l’opzione più facile per sfuggire dai suoi problemi.

-Devi essere cattiva Hearin. So che qui dentro qualcosa si sta spezzando, ma prima che si frantumi senza sollecitazioni, fai in modo di farlo rompere tu perché tu sai che tipo di dolore sai sopportare, la morte no, l’abbandono neanche- sussurrò lui al suo orecchio.
La ragazza tremò tanto forte che il ragazzo si sentì in dovere di sfiorarla, per assicurarsi che se le gambe magre le avessero ceduto, lui sarebbe stato in grado di reggerla.

-Lo sai che non so essere cattiva come dici tu. Non nello stesso modo in cui puoi esserlo tu.- rivelò lei abbassando lo sguardo dal cielo all’acqua che si mescolava ai suoi piedi.
Pochi passi la distanziavano dalla sostanza liquida e trasparente che sembrava richiamarla a se, aveva improvvisamente voglia di immergersi. Immergersi e non respirare più.
A quella timida frase qualcosa si scatenò nel ragazzo.

Senza preavviso la prese dai fianchi e la girò verso di sé. I loro occhi si incontrarono in un abbraccio silenzioso, pieno di parole non dette, di ricordi celati nel profondo e bisogno, un profondo bisogno di sentirsi. Di viversi.
Uno sguardo, un movimento, una parola non detta e le loro labbra si trovarono unite.
La carne calda delle labbra di Justin si muoveva freneticamente su quelle di Hearin e la riscaldarono.

Quelle labbra piene le donarono il calore che le serviva per riprendersi e mettere da parte il male, bastò solo il tocco delle loro bocche affinché si scatenasse un’incredibile tempesta di sentimenti che li travolse in pieno.
Si staccarono solo per pochi secondi, attimi in cui si guardarono profondamente negli occhi quando in realtà stavano facendo molto di più.

Quello non era stato solo un bacio, era stata l’unione di due grandi realtà in contrasto, era la speranza che domava le fiamme del dolore, era la felicità che mandava a quel paese la tristezza.
Era meglio del sesso, del piacere carnale che ti scuote e ti svuota, era stato l’amore dei sentimenti e la pace dei sensi.

Erano i loro cuori che si scaldavano a vicenda. Era la giornata più brutta che Hearin potesse mai immaginare di vivere che si trasformava nel momento più bello della sua esistenza.


 
*Jazzy99 space*
Non so cosa scrivere in questo spazio autrice.
Ehm.. solo che spero vi piaccia, che io ci ho messo tutto il sentimento che sono riuscita a metterci, che l'ho scritta principalmente pensando a me stessa e che quindi, se siete abili nella lettura, potrete estrarre anche qualcosa di me e credo che questo sia importante.
Spero che qualcuni abbia la voglia di recensire e di dirmi cosa ne pensa di questa OS.
Vi annuncio già che, per chi mi segue, ho in mente grandi progetti. nulla di conctreto per il momento.
-Sara


 
   
 
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