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Autore: Atropine_Alu    07/11/2014    1 recensioni
In una galassia imprecisata, in un futuro ancora più imprecisato, diversi popoli sono in guerra tra di loro, chi per arricchirsi e chi, più semplicemente, per sopravvivere. Conoscerete gli intrighi, le guerre e le storie di tantissimi personaggi e popoli che sembreranno differenti solo all'apparenza... il protagonista di questa storia è Crow, un ragazzo di razza Meder che desidera solo vivere con il suo amore e le sue armi. Ma nessuno può sottrarsi ai giochi di potere che coinvolgono il Grande Patto dei Popoli, nemmeno lui...
**Questa storia era troppo radicata nella mia mente per non scriverla!! Sarà lunghissima ma abbiate pazienza, non si scrive la storia di una galassia in mezza giornata lol ***
Genere: Fantasy, Guerra, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Era un’altra giornata soleggiata sulla nave-pianeta. Anche il giorno prima era bel tempo. E il giorno prima ancora. E quello prima, e via dicendo. E anche il giorno dopo di ogni giorno sarebbe stato bel tempo. Iriaco non riusciva a ricordare un solo giorno di pioggia nella sua vita. Eppure, doveva pur esserci stato, in un'altra realtà, in un’altra città. Il bel tempo era bello, era utile- ma era anche noioso. Chissà se un giorno, come pronosticava sua madre, i Meder avrebbero conosciuto anche la pioggia… Scosse la testa, lasciando che i lunghi riccioli scuri gli solleticassero il volto. Pensare a queste cose era inutile, quando la vita ti sorrideva. E in quel momento a Iriaco sorrideva più di chiunque altro a Medenia. Era seduto sul suo enorme letto, nudo, coperto solo dalle lenzuola, e stava aspettando che sua moglie venisse a dargli un caloroso buongiorno.
Con o senza pioggia, lui era il principe dei Meder, e il popolo, là fuori, contava sul suo buon umore e sulla sua disponibilità. Sorrise pigramente, e i suoi pensieri furono interrotti dalla porta del bagno che si apriva. Gelmaine era lì, con una strana espressione in volto. “Iriaco? Mio principe, ho una buona notizia per te.” Disse con voce tremante, quasi come se si vergognase. Iriaco le si avvicinò: “E che bisogno c’è di dirmelo in modo così timido? Parla, amore mio, cosa succede?” Lei ridacchiò, poi disse in un sussurro: “Sono diventata una donna, Iriaco. Ho avuto il menarca, finalmente.” Il principe aprì la bocca, troppo eccitato per parlare. Sentì che la moglie gli diceva qualcos’altro, ma non riuscì a sentirlo. Finalmente… finalmente il momento era giunto. Gelmane era sana, era una donna, poteva avere figli, che voleva dire eredi, altri principini…
E il potere di sua madre diminuito un altro passo di più. Sì, quello fu il suo pensiero immediato. La madre che cadeva lentamente dal trono al quale sembrava essere inchiodata da troppo tempo. Abbracciò la moglie e la baciò, estasiato. “Che splendida notizia, amore! Non vedo l’ora di annunciarlo a mia madre e ai miei fratelli… ne saranno felicissimi!” Lei sogghignò. “Ovviamente, tua madre sarà così contenta che non mangerà dall’emozione. Diventare nonna deve…piacerle da morire” Iriaco rise e scosse la testa. “Non riesce ancora ad accettare che un giorno io e te governeremo i Meder. Sì, odierà i nostri futuri figli, ma a chi importerà a quel punto? Dai, scendiamo per la colazione. Non vedo l’ora di vedere la sua faccia, mi metterà un enorme appetito!”
Iriaco non poteva essere davvero più felice in quel giorno. Gelmane era finalmente diventata la donna che aveva sempre desiderato sposare, il tempo era splendido e lui… lui era un passo più vicino alla corona. Il popolo aveva sempre benvisto il principe e sapeva che tutti desideravano che prendesse il posto della madre. Era bellissimo, pieno di carisma e intelligenza, e aveva per moglie una delle donne più belle della colonie, e presto tutti avrebbero saputo che era anche entrata nell'età fertile. Probabilmente il Consiglio avrebbe iniziato a fare pressioni su sua madre perché abdicasse in favore di Iriaco, e a lei...non sarebbe rimasta troppa scelta. “Chissà cosa penserebbe mio padre di tutto questo… se sarebbe contento di me, di mia moglie, delle mie scelte. Speriamo mi benedica.. ovunque egli sia.” Mentre attraversava il corridoio mano nella mano con la sua principessa, non poteva fare a meno di pensare a lui. Era morto da quasi vent’anni, ma il suo ricordo era ancora vivo in Iriaco, che aveva 13 anni quando un tragico incidente lo separò dall’amatissimo padre. “Incidente un corno…”, pensò. La solita vena cominciò a pulsargli sul collo. Si stava di nuovo infuriando, con se stesso, con la madre, anche con il padre. Doveva smetterla di agitarsi così tanto. Avrebbe avuto la sua vendetta…
“Iriaco, smettila, mi fai male!” piagnucolò Gelmane al suo fianco. Iriaco si destò dai suoi pensieri e si accorse di aver stretto così forte la mano della moglie che l’anello che aveva al dito stava letteralmente bucandole la pelle. Basta, si disse. Non manca molto, mi vendicherò… “Scusami, amore. I soliti brutti pensieri. Passeranno.” “Non importa…. È una bella giornata. Sempre più bella”, aggiunse sorridendo. Lui le sorrise a sua volta. Era bello vederla felice, felice come una bambina… perché Gelmane era praticamente una bambina. Aveva solo 14 anni, e sei mesi prima aveva detto sì davanti a un funzionario religioso e quasi tutti i Meder della nave-pianeta, per sposare il principe ereditario del popolo. Lei era figlia di uno degli orafi più influenti della città, e aveva conosciuto Iriaco quando aveva appena 8 anni. Da quel momento si era ripromessa di fare di tutto pur di averlo sempre con sé. Non era raro che i Meder si scegliessero mogli giovanissime, e quasi nessun reale faceva eccezione. Ma l’attaccamento quasi feroce che la ragazzina aveva sviluppato per Iriaco e l’affetto infinito che lui riservava solo a lei erano veri, non dettati dalla necessità di sposarsi per comodo dei regnanti, così la coppia era diventata quasi leggendaria tra la gente. Era una bellissima storia d’amore, e il popolo la adorava. Adorava vedere il principe felice con la sua principessina, e lei felice parimenti con il suo amato Iriaco. Il popolo amava sempre sognare, fantasticare. E per lui, che stava vivendo questo sogno, niente poteva essere migliore. Aveva amato i modi capricciosi e testardi di Gelmane da subito. Adorava il suo spirito battagliero e la sua natura indomita. Ma in fondo, lei rimaneva una ragazzina, bisognosa di affetto e di cure, che lui sapeva donarle senza riserve. Era una ragazzina forte, capace di tener testa alla suocera, ma contemporaneamente era una bambina che doveva spiccare il volo verso l’età adulta. La baciò con affetto, mentre lei gli si strinse al petto. Suo padre l’avrebbe adorata. Diceva sempre a Iriaco di trovarsi una donna forte e dolce, come l’acqua. E Gelmane lo era, anche nel fisico. Aveva il corpo flessuoso ed elegante dei Meder, ma aveva ossa forti, capace di sopportare molto più di quanto avrebbero potuto fare la maggior parte delle altre donne, ossa fatte per sopportare molte gravidanze, e una massa di capelli rossi impossibili da sistemare. Ma dietro quegli occhioni grandi e neri c’era un’infinita dolcezza. Ed era tutta per il suo Principe.
“Buongiorno.”
Una voce quasi metallica e inespressiva interruppe i romantici pensieri di Iriaco. Sua madre, bella ed eterea come sempre, stava in fondo alla grande scalinata che conduceva alla sala da pranzo. Era vestita come una dea, con un lungo abito giallo sole che splendeva di pietre preziose, la pesante corona perfettamente posata sui lunghi capelli castani, gli occhi azzurri fissi su di lui in quel modo che riusciva ancora a mettergli soggezione. Tutto in lei emanava luce, potere, sfarzo. Era una regina dalla punta della testa a quella dei piedi. Ma avvicinandosi, Iriaco vide la cruda realtà: la madre stava diventando vecchia, e faceva di tutto per mascherarlo. “Buongiorno, madre. Oggi è davvero una mattina lieta. Dove sono i miei fratelli?” chiese lui con gentile freddezza. Non sopportava che la madre ignorasse deliberatamente la sua giovane sposa, né che lo trattasse come se fosse un noioso brufoletto che non voleva saperne di andarsene. “Sono a fare colazione. Aspettavano tutti il futuro re, ma ti sei svegliato tardi. Come al solito.” Stringendo gli occhi, aggiunse: “Fianthe si è alzata alle sette, a differenza tua.”
“Ne ho ben donde di alzarmi così tardi, madre. Gelmane ha avuto il suo menarca e chiaramente ho dovuto starle vicino in un momento così felice e strano.”Buttò lì la frase con nonchalanche, ma sapeva di aver lanciato una bomba devastante sull'ego di sua madre. Aspettò che la sua faccia calma e controllata si contorcesse in una smorfia di sorpresa, prima di aggiungere: “E grazie al Cielo che mia sorella è già in piedi, così può confortarla in modo migliore di me”. Si scusò mentalmente con Fianthe per averle assegnato il compito di dama di compagnia di sua moglie, ma era sicuro che avrebbe capito. E la soddisfazione di vedere sua madre stizzita e senza parole per le sue rispostacce acide era troppo grande per pensare ad altro. Anche Gelmane sorrideva con finta umiltà e castità, mentre abbassava gli occhi cercando di trattenere una vera e propria risata. Come da copione, però, sua madre riprese immediatamente il controllo. “Che bella notizia” mentì la regina. “Adesso possiamo fare colazione?” Iriaco annuì. Adesso che sua moglie era una donna, una donna come sua madre, chi era formalmente il reggente importava poco. Il Re era lui, e sua madre doveva piegarsi a questo fatto. Come io mi sono dovuto piegare quando lei mi ha detto che mio padre era morto.


“Che cosa disgustosa” mormorò Medea appena fu sola nello studio medico. Sola era unicamente un modo di dire per lei: era sempre in compagnia di qualcuno, e che fosse l’intera corte, o il suo dottore, o le sue figlie gemelle, nessuno la lasciava mai in pace. E forse, in fondo era meglio così. Era sempre meglio che oziare e adagiarsi sugli allori mentre una stupida quattordicenne le usurpava il trono che le spettava di diritto. “Ci dispiace, mamma. Gelmane è una ragazzina volgare” disse Amantha mentre le calava il vestito dalle spalle. “Sì, non sarà mai una regina bella come te” aggiunse Araminta con disprezzo. Medea scalciò con i piedi in un gesto di stizza. Non sopportava che qualcuno la compatisse o mostrasse pietà per lei, come se fosse una vecchietta capricciosa, anche se era sicura che le parole delle ragazze fossero sincere. E il pensiero che qualcuna sarebbe stata regina al posto suo era decisamente peggio di un po' di conforto e compassione. Ordinò che le figlie uscissero dalla stanza e la lasciassero sola con il dottore,e loro eseguirono scattando, obbedienti come sempre.

“Devi trovare il metodo di sterilizzare quella smorfiosa” disse Medea senza preamboli al suo medico mentre questo le si avvicinava con uno sguardo malizioso. “Non voglio che quei due inizino immediatamente a complottare per mettere al mondo un marmocchio che poi mi farà apparire per la vecchia che sono.”E soprattutto, che mi farà perdere il trono.. “Sarebbe anche ora che Iriaco diventasse papà” ribatté il dottore beffardo, punzecchiando la sua paziente, “Il popolo non aspetta altro che tu abdichi per lui…” “Tu lo dici solo perché sei un verme schifoso che si diverte a prendersi gioco di me! Potrei arrestarti per aver detto una cosa del genere!” urlò la regina rossa di rabbia. “Casomai fosse Crow, ad arrestarmi…sarebbe una situazione piuttosto imbarazzante, non trovi? Due gocce d’acqua, ma dalla parte opposta della legge..." la sua risata fece innervosire ancora di più la regina. Medea fu sul punto di schiaffeggiarlo, ma ci ripensò. Mi terrò questa tua insolenza per dopo, bastardo. La mano che aveva alzato con violenza disegnò una carezza sul volto del medico. “Per questo ti amo. Perché sei così intelligente. Non come quell’idiota di mio marito”
“Che è morto.”
“Certo, è morto, per questo dico che era un idiota, no? Ma non voglio parlare di lui” Medea finse tranquillità, ma a dire il vero, c’era qualcosa che la infastidiva a proposito del fantasma del marito. Lei non era superstiziosa, ma preferiva non parlare mai male dei morti. I vecchi Meder dicevano che scavavano tunnel nella mente dei vivi e li facevano impazzire se questi non li rispettavano... ma era anche vero che tutte queste superstizioni rimbambivano per bene gli anziani...
“Non posso rendere sterile Gelmane. Tutti capirebbero. Non posso farle alcun male. Posso solo agire su di te.” Disse con schietta franchezza il medico, con una punta di colpevolezza nella voce. “Certo. Lo so. Lo immagino. Non te la lascerei toccare comunque”. Fingere un po’ di gelosia non le avrebbe fatto male…il sentimento verso Ludo era scomparso da tempo, ma comunque era meglio averlo come amante che come nemico. Finché il suo popolo continuava a pensare che lei fosse una madre e una vedova esemplare tutta figli e lutto, il dottore poteva fare del suo corpo ciò che voleva. Ormai ne aveva passate tante, non si sarebbe fermata di fronte a niente.
E avere un amante giovane la faceva sentire ancora desiderata e bella come un tempo. “Sei ancora gelosa di me, Medea? Eppure non vedo altre donne all’infuori di te…” disse lui avvicinandosi in modo sensuale. Le mise una mano sui fianchi nudi. “Ci sono le mie figlie qui fuori, Ludo” disse lei duramente. A volte però sentiva la pesantezza di donarsi contro la sua volontà. Ma non c’erano molte vie d’uscita, e questa era una realtà alla quale nemmeno la Regina Dorata poteva sfuggire. Devo resistere. “E allora perché ti sei spogliata?” le chiese lui brutalmente. “Dovevi visitarmi” ribatté lei. “E infatti, lasciami fare il mio lavoro” fu la sua risposta fredda. E poi iniziò il suo “lavoro”, come sempre. Gli atteggiamenti del dottore erano diventati sempre più violenti, sempre più impazienti. Medea sapeva che avrebbe voluto diventare re, e che non si accontentava più delle promesse che lei gli ripeteva da 20 anni. Si arrabbiava, la malediceva, la insultava, ma poi finiva sempre nello stesso modo. La lasciava vincere, padrone solo del suo corpo, ma mai del suo orgoglio di regina.
“Dimmi che mi ami” sussurrava piangendo sul suo seno, “Che ami solo me.”
“Ti amo, Ludo, amo solo te”, rispondeva lei. E riusciva a dirlo in modo molto convincente. Era un’esperta, ormai. Lui si sentiva gratificato, felice, e continuava ad amarla e a sopportarla. La rivestiva con cura, la baciava, la ricopriva di complimenti. “Il nostro progetto va a gonfie vele, Medea. Le bambine rispondono molto bene” le disse mentre la accompagnava alla porta. “Sono felice, dottore. Presto io e te saremo re e regina di un popolo grande e perfetto!”
“Portami a corte con te…”
Medea si raggelò. Questo era un pensiero pericoloso, soprattutto espresso in modo così chiaro. Significava davvero che Ludo era stanco di aspettare? In tal caso, doveva agire in fretta.. “è una promessa. Sarai a corte con me”, rispose lei donandogli un sorriso accattivante. Poi sparì oltre la porta, chiedendosi se qualcos’altro dovesse andare storto in quella giornata.
   
 
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