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Autore: Liviuz    07/11/2014    3 recensioni
- Perchè mi odi? -
Guardai la luna. Prenderlo a calci, o non prenderlo a calci? Questo è il dilemma. Ma dopotutto la sua domanda era legittima.
- Ti potrei elencare almeno mille motivi per cui ti odio. -
- 69. -
69. Certo... Esisteva qualcuno con una mentalità ancora più disturbata della sua?
- “69” cosa? -
- Ti rendo la cosa più semplice. Voglio 69 cose che odi di me. -
- Perchè 69? -
- Così. E' un numero che mi piace. - rispose alzando le spalle. Ci pensai su. - Rendiamo tutto più interessante. Scommettiamo. - sbottò lui improvvisamente.
- Scommettiamo? - domandai sconcertata.
- Sì. Se non riesci a trovare 69 cose che odi di me... mi farai conoscere tua sorella. -
- E se vinco io cosa ci guadagno? -
- Decidi tu. - rispose con malizia. Mi guardai attorno, per poi appoggiare lo sguardo ancora su di lui. - Anche se poi sono convinto che non vincerai mai. Insomma, sono perfetto. -
- La convinzione fotte, Irwin. - feci incastrando il mio sguardo nel suo. - E voglio un viaggio, per Los Angeles. -
- Vuoi fare la piccola viaggiatrice? -
- No, voglio rivedere un ragazzo. -
Genere: Fluff, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Luke Hemmings, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The 69 Things'
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Chapter 10 - Hate That I Love You
 

"And i hate how much i love you boy, 
I cant stand how much I need you,
And I hate how much I love you boy, 
But I just cant let you go, 
And I hate that I love you so."

- Rihanna ft. Ne-Yo - Hate That I Love You

 

 
 
Per tutta la notte mi risuonarono nella testa le parole di Ashton. Alla fine cedetti all’impulso di scappare. Così con un bigliettino di scuse che avevo lasciato sul letto me l’ero filata in completo silenzio ed ero tornata a casa a piedi, nonostante tenessi a fatica gli occhi aperti. Non ero riuscita ad addormentarmi nemmeno nel mio letto. Era terribile passare le notti in bianco e specialmente era terribile avere un pensiero fisso nelle notti in bianco. Il mio erano le parole di Ashton. Anzi, era Ashton stesso. Sospirai frustrata. Perché nessuno si era mai dato da fare nel scrivere un manuale sui ragazzi? Insomma, c’erano anche i libri che ti spiegavano come sopravvivere in posti selvaggi e cose del genere, ma un libro che ti spiegava come sopravvivere ai ragazzi nessuno l’aveva ancora scritto. Insomma io odiavo davvero Ashton. Non riuscivo davvero a sopportare alcune sue cose, ma forse all’odio si era aggiunto qualcosa di inaspettato. Qualcosa come dell’affetto. Nutrivo dell’affetto per Ashton Fletcher Irwin. Un affetto che però non ero riuscita ancora a classificare. Mi sedetti sul letto tra i cuscini e le coperte, non sapendo cosa fare. Non avevo molta voglia di uscire. Avevo voglia di fare nulla. Se non rimanere lì a fissare una parete e cercare di non pensare a niente. Ma non ci riuscivo.
Tic.
Sobbalzai a quel rumore improvviso.
Tic.
Il ticchettio si ripeté. Qualcuno stava lanciando dei sassolini al vetro della mia finestra. Mi alzai lentamente per andare a vedere se la mia supposizione fosse esatta. Riuscivo a scorgere solo una figura incappucciata nella penombra dell’aurora. Aprii la finestra e qualcosa di duro mi colpì duramente la fronte. Gemetti dal dolore.
- Porca miseria! - imprecai per poi massaggiarmi la parte dolorante. Guardai in basso per scorgere il responsabile. - Odio quando mi colpisci in fronte con dei sassolini. - borbottai. Non ero affatto sorpresa di vedere Ashton.
- È la prima volta che succede. - si accigliò infilando nervosamente le mani in tasca.
- E spero l’ultima! - ribattei irritata. Mi pentii subito del tono che avevo usato. - Cosa ci fai qui, comunque? - chiesi in un sussurro, quasi impercettibile, ma Ash afferrò ciò che avevo detto.
- Te ne sei andata con un bigliettino. -
- Volevo solo tornare a casa mia. Non vuol dire niente il bigliettino. -
Rimase in silenzio per qualche istante, poi sospirò tristemente. - Scusami. - parlò.
- Scusarti? - feci sorpresa. Non capivo.
- Sono stato uno stupido. Non volevo metterti in mezzo a quello stupido gioco. Mi dispiace. -
- Era solo un gioco. - risposi. Un soffio di vento mi avvolse facendomi rabbrividire.
- Posso… posso salire? - balbettò lui. Non risposi. Ashton si arrampicò su per il sostegno delle piante rampicanti e in pochi istanti si trovava davanti a me. Mi scostai per farlo entrare e chiusi la finestra. - Ho detto la verità, in quel gioco. Non tanto per il commento che ho fatto, ma per il fatto di aver detto che mi sono innamorato di te. -
- Lo hai già detto. - risposi atona senza accorgermene. Mi sentii un’ipocrita a dire quelle semplici parole. Lui deglutì rumorosamente, posando lo sguardo a terra.
- Scusami. - ripeté come un disco rotto.
- Odio quando mi chiedi di scusarti per cose di cui non hai colpa. -
- Continui ad odiarmi. - disse inespressivo.
- È un sentimento che ho covato a lungo a causa dei tuoi comportamenti. Non posso semplicemente cancellarlo come se fossimo sempre stati amici. - o qualunque cosa noi siamo. - Odio quando pensi che le situazioni sgradevoli si possano cancellare come un segno a matita viene cancellato da una gomma. Non puoi aspettarti una cosa simile dopo appena tre settimane. Sono anni che ti sei comportato come se io fossi invisibile o comunque come se io fossi qualcosa di sgradevole ai tuoi occhi. -
Sussultò alle mie parole, come se gli avessi tirato uno schiaffo. - Non era mia intenzione. -
- Ora lo so. - annuii. - Quindi ti perdono per quello. -
- Grazie. - rispose solamente. Solo in quel momento notai quanto il suo viso fosse sciupato e gli occhi infossati.
- Hai dormito? - chiesi inutilmente, sapendo già la risposta.
- Sì. - si affrettò a rispondere.
- Odio quando fingi di aver dormito. -
- Si nota così tanto? - domandò soffocando uno sbadiglio e stropicciandosi gli occhi.
- Già. - affermai. Si reggeva a malapena in piedi dalla stanchezza. - Hai guidato fino a qui mezzo assonnato? -
- Uh-uh. -
Scossi sconsolata la testa. - Non sai che non si guida assonnati? - lo rimproverai.
- E chi te l’ha detto? -
- È una delle tante raccomandazioni che ti danno quando prendi la patente e comunque tutti quelli che hanno un minimo di buonsenso lo sanno. -
- Come la storia delle persone arrabbiate? -
- Qualcosa di simile. - confermai. Soffocò un altro sbadiglio socchiudendo gli occhi. - Forse meglio che torni a casa. -
Ashton arrossì leggermente. - Ho… Ho dimenticato le chiavi a casa di Calum. -
- Come…? - scossi la testa. Sospirai. Erano appena le cinque del mattino. - Dammi le chiavi della tua macchina. Vado a recuperare le tue cose, tu intanto riposati nel mio letto. -
- Ma nemmeno tu hai dormito! - ribatté.
- Ho riposato sicuramente più di te. - replicai.
- Non è vero! - si corrucciò. - Hai ticchettato le dita sulla gamba, stavi mentendo. - mi indicò la mano che si muoveva nervosamente sulla gamba, battendo le dita ad un ritmo invisibile.
- Cosa? -
- Quando menti inizi a battere le dita sulla gamba. - spiegò come se fosse ovvio. - Non te ne sei mai accorta? - si sorprese, quando non risposi.
- Batto le dita sulla gamba quando sono nervosa, o quando ascolto la musica. -
- Lo fai anche quando menti. - disse facendo spallucce. Sbuffai indispettita. - Non andare. -
- Allora cosa proponi di fare? - domandai seccata, incrociando la braccia al petto, cercando di non muovere le dita, cosa che mi risultava abbastanza innaturale.
- Possiamo… possiamo dormire insieme. - balbettò.
- Odio quando balbetti. -
Ashton si schiarì la gola imbarazzato. - Possiamo dormire insieme. - ripeté. - Se vuoi. - aggiunse torturandosi le mani. Studiai il suo volto. Era davvero troppo stanco per riuscire a tenere gli occhi aperti un altro minuto, ed anch’io ero abbastanza spossata. Non stavamo facendo niente di male infondo.
 
Mi svegliai udendo il battito calmo del cuore di Ashton. In qualche modo dormendo ero finita tra le sue braccia e lui mi stava stringendo in modo protettivo. Non mi sentivo così in pace con me stessa da un sacco di tempo, anzi non credevo di essermi mai sentita bene come in quel momento, in tutta la mia vita. Alzai leggermente la testa per vedere il suo volto. Aveva dipinta un’espressione di tranquillità assoluta. I muscoli del viso completamente rilassati, conferendogli un’espressione quasi seria e serena nello stesso tempo. La bocca leggermente schiusa da dove si vedeva la sua dentatura imperfetta. Le labbra screpolate e bagnate leggermente dalla saliva. Inspirai il suo odore. Sapeva di sudore e sapone. Sapeva semplicemente di… Ashton. Di casa. Di sicurezza. Si mosse leggermente, racchiudendomi completamente tra il suo corpo ed il materasso, incrociando una gamba sopra le mie. Dovevano essere le undici di mattina o addirittura l’una. Nessuno era venuto a controllare camera mia, sicuramente perché nessuno si aspettava che fossi a casa. Il cuore di Ashton continuava a tamburellare, sembrava di sentire il suono della sua batteria quando suonava canzoni come “Amnesia” o “Wherever You Are”. Non mi sarebbe dispiaciuto sentirlo cantare qualche strofa. Se c’era qualcosa che mi piaceva di lui era la sua voce profonda quando era serio.
- ‘Giorno, Christine. -
O la sua voce roca appena sveglio. Non mi ero accorta minimamente che era sveglio. Socchiuse gli occhi e mi sorrise tenuemente. Quando avevo sentito e visto Luke appena sveglio avevo subito pensato che fosse da stupro. Mi sbagliavo leggermente. Ashton gridava “Dio del Sesso”. Deglutii rumorosamente, cercando di divincolarmi dalla sua stretta, senza gradi risultati. Non mi lasciava andare ed io sinceramente non mi stavo impegnando molto nel sciogliere quella stretta.
- Dovremmo andare a casa di Calum, a prendere la tua roba. - rimasi sorpresa non tanto dal fatto che ero riuscita  a mettere in fila più di due parole che avessero un senso  in quel momento e che ero riuscita a pronunciarle in tono calmo, ma dal “noi” che mi era sfuggito.
- Sì… uhm. - balbettò Ash sciogliendo leggermente la stretta. - Forse… forse dovrei andare. -
Sentii un nodo alla gola. Aveva interpretato male le mie parole, pensava che lo stessi scacciando.
- Vengo con te. - gli sorrisi timidamente.
- Immagino che Rachel vorrà una spiegazione per la tua fuga. - rispose atono come se non volesse veramente ascoltarmi.
- Odio quando ti illudi di non capire il significato delle mie parole. - parlai irritata. - Non ti sto prendendo in giro, vengo per te. -
- Per me? - domandò allibito, sgranando gli occhi. - Non… non capisco. - sospirò.
- Ti odio Ashton. - affermai sicura. - Ma questo non vuol dire che non… - mi bloccai.
- Che non…? - volle sapere. Lo vedevo mordicchiarsi l’interno della guancia nervosamente.
- … Che non inizi a provare qualcosa per te che sia diverso dall’odio. -
- Cosa vuol dire? - chiese calibrando bene le parole. Già, cosa volevo dire? Raccolsi tutto il coraggio che avevo. Dovevo smetterla di mentire al mondo intero.
- Che per me sei importante ora. -
 
Non capivo. Quello che avevo detto poteva essere benissimo ritenuta una dichiarazione. Peccato che tra me ed Ashton sembrava essere scesa una bufera di ghiaccio. Anche dei pinguini avrebbero avuto freddo nell’abitacolo dell’auto di Ashton.
Lo avevo pregato di poter venire con lui e sembrava che alla fine aveva acconsentito solo per non sentirmi più parlare. Una mossa astuta da parte mia dirgli che iniziavo a provare dell’affetto per lui. Davvero molto astuta. Che stupida che ero! Solo nei film e nei libri i ragazzi erano dolci e fragili quando la persona di cui si erano innamorati si apriva con loro. Nella realtà diventavano impassibili, per non dire che non gliene fregava niente. Molto probabilmente aveva capito che la sua era solo una stupida cotta durata troppo tempo. Ed io… ero arrivata troppo tardi.
- Odio il tuo silenzio. - mormorai piano. La macchina si fermò bruscamente sul ciglio della strada.
- Scendi. - mi intimò  fissando la strada davanti a lui. Rimasi allibita per qualche secondo.
- Come? -
- Scendi dall’auto. - ripeté impassibile. Sentii la rabbia crescermi nel petto.
- Fottiti Irwin! - sputai incazzata nera. - Sei solo un ragazzino! -. Il petto intanto mi si abbassava ed alzava in modo preoccupante, mentre gli occhi mi si appannavano per la frustrazione. - Odio il fatto che non prendi sul serio le mie parole. -
Soffocai un singhiozzo aspettando che Ashton mi dicesse che era un idiota e che mi chiedesse scusa. Invano. - Scendi dall’auto, Christine. - continuò a dire per poi serrare la mascella. Avrei voluto urlargli contro tutti gli insulti che mi stavano invadendo la mente, ma alla fine ci rinunciai. Che senso aveva sprecare del fiato per dire cose che lui non avrebbe ascoltato? Afferrai la maniglia della portiera a le tirai forte, per poi spalancarla. Lo sportello mi ritornò indietro e mi feci male al polso , quando la fermai. Un singhiozzo mi uscì dalle labbra. Almeno ora avevo un dolore fisico per poter scoppiare a piangere. Scesi dall’auto e rimasi qualche istante in piedi con la mano sulla portiera senza saper cosa fare. La prima lacrima mi solcò la guancia. Senti un bruciore fastidioso all’altezza della gola.
- Puoi chiudere lo sportello ora. -
Non risposi. Rimasi a fissare il suo profilo che diventava sempre più sfocato. - Odio il fatto di aver pensato che tu fossi diverso, Irwin. -. Non gli diedi il tempo di rispondere. Sbattei la portiera e rimasi a fissare l’auto che sfrecciava via lasciando una scia dei pezzi del mio cuore infranto.
 
Una Mini blu metallizzata si fermò davanti a me. Ero rimasta a fissare l’asfalto davanti a me, seduta sul marciapiede, non sapendo se ritornare a casa o andare a casa di Calum. Il finestrino si abbassò e ne venne fuori il viso di William. Non sapendo più chi chiamare mi era venuto in mente lui.
- Piccola, sali in macchina. - mi incoraggiò, volgendomi un sorriso triste. Tirai su col naso, senza riuscire a muovermi. Le gambe non mi avrebbero retto in piedi. Will scese dall’auto, lasciando il motore acceso. Sentii le sue braccia forte avvolgermi in un abbraccio affettuoso. A quel punto non riuscii più a trattenermi. Scoppiai in un pianto irrefrenato - Ragazza, cosa ti è successo? - sussurrò lasciandomi un bacio tra i capelli.
- Ashton. - singhiozzai senza ritegno. - Sono una stupida. -
- Il ricciolino? Cosa ti ha fatto? -
- Ho lasciato che mi spezzasse il cuore. Voleva la sua vendetta e l’ha avuta. -. Il castano continuò a cullarmi, mentre la ferita nel petto mi bruciava. Non sapevo nemmeno quanto tempo ero rimasta a piangere. Alla fine mi trascinò ad uno Starbucks.
- Devi mangiare qualcosa, Piccola. - parlò William facendomi accomodare ad un tavolino appartato.
- Non ho fame. - biascicai soffiandomi il naso in una fazzoletto già usato.
- Non sparare stronzate, della cioccolata fa solo bene in questi momenti. Cosa vuoi che ti prenda? -. Non dissi niente. Non riuscii a proferire parola poiché avevo cominciato nuovamente a versare lacrime. - Ok, allora scelgo io per te. Torno tra un attimo. - e mi lasciò da sola.
Ashton voleva una rivincita e l’aveva avuta. Gli avevo spezzato il cuore e nel momento in cui ero caduta nelle brame dell’amore, lui ne aveva approfittato. Non avevo avuto nemmeno la forza di non piangere davanti a lui. Ero una stupida. Avrei dovuto trattarlo come un semplice amico o lasciarlo etichettato come “il mio vicino di casa”. Will tornò con due tazze e un piattino.
- Eccoti un Frappuccino e un pezzo di brownie. - disse appoggiandomelo davanti. - Non sei allergica al cioccolato, vero? -
Tirai nuovamente su col naso e scossi la testa, non riuscendo a ridere alla sua battuta. - Grazie William. -
- E di cosa? - chiese lui dolcemente appoggiandomi una mano sulla mia.
- Mi conosci appena, ma non hai esitato a venire quando ti ho chiamato. Ti ringrazio molto per questo. - parlai contrita.
- Sei una mia amica, ok? Non provare nemmeno a pensare che ti lascerei sola in un momento del genere. Ci sono passato anch’io una volta prima di incontrare James, mi sono innamorato di una persona meschina che mi aveva preso in giro più della metà del tempo, non era nemmeno gay. - raccontò seriamente. Deglutii per alleviare il bruciore che avevo all’altezza della gola. Sorrisi grata al ragazzo che avevo di fronte.
- Sei l’amico migliore che io possa avere in questo momento. -
 
William mi riaccompagnò a casa e rimase con me fino a che Rachel non tornò.
- Ricordati che lui non vale nemmeno un decimo delle tue lacrime, Chris. Non piangere per uno che non ti merita, ok? - mi consolò Will abbracciandomi saldamente. Rimasi tra le sue braccia per un po’ annuendo di risposta, prima di rendermi conto che non poteva vedermi annuire. Biascicai un “sì” nell’incavo del suo collo e lo salutai rimanendo sulla porta fino a che non salì in macchina e partì. Quando salii in camera trovai Rachel seduta sul mio letto intenta a messaggiare.
- Cosa ci fai qui? - le domandai rimettendo in ordine dei fogli sparpagliati sulla mia scrivania.
- Ashton è venuto da te. - affermò smettendo di messaggiare e fissandomi intensamente. Non ricambiai lo sguardo.
- Se sei venuta a parlare di lui, puoi anche tornare a messaggiare con Michael in camera tua. - ribattei prendendo delle biro per poi riporle in un astuccio.
- L’ho visto oggi. Sembrava distrutto. -
Strinsi i denti e continuai imperterrita a mettere a posto la mia scrivania. - Molto interessante, Ray. - risposi atona, non riuscendo ad essere ironica.
- Michael mi ha appena detto che si rifiuta di mangiare. - continuò lei. Scossi la testa stanca di quel gioco.
- Ashton può anche buttarsi in una vasca piena di budino al cioccolato. Non potrebbe importarmene di meno. - replicai seccata. Mi rifiutai di guardarla negli occhi. Ero certa che sarei crollata nuovamente.
- Piantala di mentirmi. Cosa è successo quando è venuto da te. - domandò duramente.
- Non trattarmi così! - sbottai al limite della sopportazione. - Sono tua sorella maggiore. I miei problemi me li risolvo da sola. - sputai voltandomi di scatto. La trucidai con lo sguardo facendola zittire. Mi stava bene che avesse degli amici, a differenza mia, ma questo non la autorizzava a dirmi che io invece non facevo altro che rovinare la vita della gente che incontravo. - Ora puoi uscire dalla mia stanza, prego. - feci dandole le spalle per continuare a mettere a posto la scrivania. Quando sentii la porta chiudersi crollai a terra. Le guance erano bagnate dalle lacrime e il mio corpo scosso dai singhiozzi. La mia vita era un dannato inferno. Cos’avevo fatto per ridurmi così?
 
Nessuno mi aveva più disturbata. Ero andata a dormire presto, recuperando tutte le ore di sonno perse. Mi ero svegliata qualche ora prima, ma ero rimasta nel letto senza pensare a niente, rimanendo a fissare il cuscino su cui il giorno prima Ashton aveva dormito. Dovevano essere le sette del pomeriggio quando mi decisi di alzarmi. Avevo voglia di disegnare. Non che fossi un’artista, ma quando mi venivano degli attacchi artistici, se si potevano chiamare così, i disegni venivano anche piuttosto bene. Presi un foglio, i pennelli ed i colori acrilici ed iniziai a tracciare uno schizzo di base.
Non sapevo quanto tempo fosse passato da quando avevo tracciato la prima linea a matita, all’ultima pennellata di colore. Posai il fogli in bilico sul tavolo e mi allontanai di qualche passo. Dovevo essere completamente impazzita. Perché avevo fatto il ritratto di un ragazzo riccio e biondo che baciava una ragazza mora? Non avevo disegnato le facce, ma era impossibile non capire chi fossero i soggetti ritratti. All’inizio avevo voluto disegnare solo una ragazza sola, nel buio, invece…
Il suono di un messaggio in arrivo sul cellulare mi distolse dai miei pensieri. Afferrai il telefono, indecisa se leggere da chi veniva o ignorarlo. Alla fine vinse la curiosità. L’ora segnata era l’una passata da un po’. Il messaggio veniva da Ashton.
 
Ashton Irwin:
Scendi.
 
Una semplice parola. Cosa voleva dire? Non mi aveva più contattata per più di ventiquattro ore. Mi aveva evitata tutto questo tempo. Ed ora mi voleva parlare. Strinsi i pugni per scaricare la tensione che mi aveva assalita. Non dovevo illudermi. Basta con le illusioni. Molto probabilmente aveva sbagliato chat. Non era nemmeno a casa. Forse era un messaggio per Michael o Luke, o magari per Calum. Non certamente per me. Era impossibile.
 
Ashton Irwin:
Devo parlati, Lee.
 
Doveva parlare con me. Deglutii rumorosamente. Non mi aveva mai chiamata per cognome, da quello che ricordavo, in quel ultimo periodo. Avevo la bocca secca, mentre rileggevo il messaggio, mi sembrava di avere in bocca un pezzo di stoffa. Cosa dovevo fare? Alzai lo sguardo ritrovandomi a fissare il dipinto che aveva fatto. Avrei dovuto capire che mi sarei fatta solo del male nuovamente, avrei dovuto già imparare la lezione. Eppure senza accorgermene mi stavo già allacciando le Converse bianche ai piedi, dopo aver infilato una felpa larga sul pigiama che indossavo. Sospirai frustrata, prima si issarmi sul bordo della finestra. Ero ancora in tempo per rifiutarmi. Potevo benissimo chiudere la finestra e mettermi sotto le coperte fingendo di dormire. Potevo rispondergli che non volevo più vederlo. Potevo fingere di non aver letto il messaggio. Ma non feci niente di tutto ciò. In meno di due minuti mi stavo pulendo la mani sporche sui pantaloni, dopo essere arrivata a terra. Cercai Ashton con lo sguardo. Lo notai davanti al mio vialetto di casa, mentre mi voltava le spalle curve in avanti, come se dovesse sopportare il peso di tutto il mondo da solo. Un brivido di freddo mi percorse tutto il corpo. Come se avesse percepito la mia presenza, si voltò. Le luci soffuse che venivano dai lampioni accentuavano le occhiaie scure sotto gli occhi e la barba incolta, gli davano un’aria vecchia e trascurata. Sentivo il sangue pompare nelle orecchie in modo quasi assordante, mentre il cuore sembrava quasi scoppiarmi in petto. Non so come, ma riuscii a raggiungerlo senza che le gambe mi cedessero. Finalmente ci trovammo faccia a faccia.
- Sei venuta. - parlò senza salutarmi. Non capivo se fosse un pensiero ad alta voce, o se non si aspettava che mi presentassi.
- Spero che ci sia un motivo valido per cui mi hai chiamata. - sbuffai. Improvvisamente mi sentii stanchissima, gli occhi mi si appesantirono. - Ho sonno. - sbadigliai. - Odio quando mi chiami ad orari assurdi solo per parlarmi. -
Ashton si mosse nervosamente sul posto, spostando il proprio peso da un piede all'altro. Ultimamente era sempre molto nervoso. Non riuscivo a capirne il motivo. Mi evitava, non mi stava a sentire e mi trattava come se fossi un'idiota. Ed ora ero comunque davanti a lui, su sua richiesta.
- Andiamo a farci un giro in spiaggia? - domandò evitando accuratamente il mio sguardo. Mi accigliai.
- È tardi. -
Per un attimo incrociò il mio sguardo. Vidi la disperazione più totale. - Ti prego. - mi supplicò. Rimasi sorpresa dalle sue parole. Strinsi le labbra non sapendo come rispondere. - Andiamo? - chiese nuovamente. Questa volta annuì in risposta.
A passo lento ci avviammo verso la spiaggia. Sentivo i piedi pesarmi come dei macigni, ma non fiatai. Finalmente la distesa scura d'acqua ci si parò davanti in tutto il suo splendore. Amavo l'oceano, ma ancora non capivo perché mi avesse trascinata fino a lì.
- Eccoci. - dissi alla fine, mentre ci fermavamo a mirare le onde argentate. - Allora... Di cosa volevo parlarmi? - chiesi fissandomi i piedi. Sentivo il suo sguardo bruciare su di me. Rimasi in attesa della sua spiegazione, ma lui rimase zitto, in un silenzio fastidioso alle mie orecchie. - Ashton? Cosa mi volevi dire? - riprovai. Alzai lo sguardo, ma lui sfuggì al mio. I miei nervi erano tesi come corde di violino.
- Dimenticati delle mie parole. - disse lui solamente. Sbattei velocemente le palpebre spiazzata dalla sua richiesta insensata.
- Come? -
- Dimenticati quello che ti ho detto a casa mia. -
- Odio le tua richieste insensate. -. Lo vidi stringere i denti. - Cosa significa che devo dimenticarmi delle tue parole? - sbottai arrabbiata.
- Sono stato un stupido. Dimenticati quello che ti ho detto. - sospirò. - Dimenticati che ti abbia detto di... di amarti. - si fermò. Le parole che aveva detto sembravano essergli coste te uno sforzo enorme, eppure era riuscito a dirmele. - Per favore. - aggiunse. Il sangue mi ribolliva nelle vene. Volevo prenderlo a schiaffi e pestarlo a sangue per la sua richiesta, ma non riuscivo a muovere un muscolo.
- E quello che ti ho detto io? Quello non conta niente? -. Ashton alzò lo sguardo ed incontrò il mio.
- Io farò lo stesso con quello che mi hai detto tu. Mi dimenticherò quello che mi hai detto e tu dimenticherai quello che ho detto io. Ritorniamo alle nostre vite ed amici come prima. - concluse. Non riuscii a trattenermi. Scoppiai in una risata stridula, mentre sentivo gli occhi pizzicarmi.
- Seriamente? - feci disgustata. - Pensi sul serio che tutto si possa dimenticare in un colpo? Come se nella mia testa ci fosse un tasto reset? -. Non disse niente. La rabbia aumentò. - Niente ritornerà come prima, né tanto meno ritorneremo a amici. - sputai. - Se non te ne fossi accorto, hai gettato via l'unica chance che avevi con me. -. Non sapevo nemmeno da dove mi venissero quelle parole così crudeli. Volevo solo sfogarmi su di lui.
- Non vuoi più che siamo amici? - domandò stupito e quasi anche rassegnato.
- Cosa pensavi? Che tutto sarebbe stato lo stesso, Irwin? Tra tutte le stronzate che ho sentito nella mia vita"amici come prima" è la peggiore di tutte. -. Il silenzio cadde su di noi come una tempesta di neve. Offrire pane a chi ha sete. Ecco cosa stava succedendo tra di noi. - Perché? - chiesi alla fine con rassegnazione. Stava finendo tutto. Se quella fosse stata l'ultima volta in cui ci saremmo parlati, volevo sapere perché voleva che dimenticassi. - Perché mi hai chiesto una cosa simile? Pensi che io voglia che ti dimentichi le mia parole? -
Passarono alcuni istanti prima che si decidesse a rispondere. - Sto per partire. - iniziò. - Me ne vado per un anno quasi. Tu inizierai l'università. - si bloccò.
- Quindi? -. Non capivo. - Cosa vuoi dire? Spiegati, dannazione! - esclamai stremata.
- Non ha senso iniziare qualcosa che non funzionerà. Non voglio stare male per te. Io proseguirò la mia vita con la musica, mentre tu studierai. Poi tu hai qualcun altro. -
- Io non ho nessuno. - riuscii a dire solamente. Un colpo di vento mi fece trasalire dal freddo. - Quindi questo è un addio, giusto? - domandai atona.
- Parto tra due settimane. Non volevo illudermi di poterti avere per solo due settimane. -
- Non sono un oggetto. Non hai tenuto conto dei miei di sentimenti nel tuo splendido piano? - feci ironica. - Odio il tuo squallido modo di dirmi addio. -. Lo vidi sbiancare e trattenere il respiro, come se lo avessi pugnalato dritto al cuore.
- Sessantanove. - parlò in un sussurro che sembrava essergli costata una fatica immensa.
- Mi prendi anche in giro ora? - feci tagliente. Qualcosa in me scattò, come una scintilla. Lo afferrai con entrambe le mani per la felpa.
- Sessantanove. - ripeté facendosi assente. - Hai vinto la scommessa. - spiegò. Avevo trovato tutti e sessantanove motivi per cui odiavo Ashton Fletcher Irwin. Ero arrivata alla fine della lista. Dalla tasca posteriore dei pantaloni tirò fuori un foglio. Non lo presi. Sapevo cos'era. Ora che c'è lo avevo davanti avevo paura. Non lo volevo più. - Parti la prossima settimana. Congratulazioni. -. Strizzai gli occhi, mentre le lacrime mi rigavano il viso. - Puoi rivedere il tuo ragazzo ora. -. Spalancai gli occhi. Il mio ragazzo? Ad un tratto tutto divenne chiaro nella mia mente. Le parole di Rachel mi tornarono alla mente "Quante volte veniva a casa nostra Jonathan?". Ashton l'aveva visto, ci aveva visti assieme. Aveva sempre pensato che lui fosse il mio ragazzo. Era per quello che non si era mai fatto avanti per tutto quel tempo. Jonathan era partito e lui aveva trovato una possibilità per parlarmi, fino a che quello che avevo desiderato vincendo la scommessa era di rivedere Jonh.
- Sei un idiota. - parlai spingendolo indietro. Dietro a lui c'era una panchina, lo spinsi forte, tanto da farlo cadere su di essa. Mi trovai in piedi davanti a lui che ora era seduto. Avevo ancora le mani strette a pugno sulla sua felpa, mentre il foglio che teneva in mano era caduto ai nostri piedi.
- Non é la prima volta che me lo dici. - sospirò. Aveva lo sguardo basso, quasi timoroso di incontrare il mio.
- Tu... -. Non riuscii a completare la frase. Scoppiai in una risata fragorosa, mentre piangevo sollevata. Dentro di me si continuavano a mescolare emozioni contrastanti.
- Christine, lasciami andare. - disse Ashton afferrandomi le mani, per staccarle da sé. Smisi di ridere. No. Non l'avrei lasciato andare.
- Jonathan era il mio migliore amico, Ashton. - affermai prendendolo per le spalle e spingendolo completamente contro lo schienale della panchina.
- Risparmiamelo, non voglio sapere come vi siete innamorati l'uno dell'altra. - sbottò alzando la testa di scatto.
- Ascoltami! - ribattei. - Hai pensato veramente che Jonathan fosse il mio ragazzo? -
- Cosa vuoi dire? -
- Che non hai capito niente. Il ragazzo che vedevi con me, il ragazzo che voglio rivedere... Lui è soltanto il mio migliore amico, non il ragazzo che amo! - parlai guardandolo negli occhi. - Per anni hai continuato a pensare che Jonh fosse il mio ragazzo, vero? Non ti è mai passato per la mente magari di chiedere a qualcuno chi fosse quel ragazzo? -
- No. - ammise arrossendo leggermente. Scossi la testa sospirando sconsolatamente. Lui abbassò la testa.
- Ashton? - lo chiamai sperando di rivedere le sue iridi, senza successo però. Mi sedetti accanto a lui. Continuava a torturarsi le mani. Gliele afferrai e le intrecciai alle mie. - Non voglio che ti dimentichi delle mie parole. Non voglio perderti, Ashton. - sussurrai. Strinse leggermente la stretta con le mie mani, concentrato sulle mie dita. - Jonathan è scappato da questo posto anche per colpa mia, sua sorella è ridotta così per me, è stato difficile andare avanti senza amici, quando la mia vita per anni era stata legata a quella di Jonathan. - spiegai, sperando che mi dicesse qualcosa.
- Vuoi rimettere a osto le cose con lui quindi? - chiese atono. Sciolsi la stretta delle nostre mani per prendergli volto, in modo che mi guardasse negli occhi.
- Certo che lo voglio. - confermai. - Ma voglio anche te. -. Provò a dire qualcosa, ma lo bloccai. Appoggiai le mie labbra sulle sue e lo baciai dolcemente. Le sue mani mi attirarono verso di lui. Non divenne un bacio passionale, rimase un contatto semplice di labbra, di respiri mescolati. Mi staccai allontanandomi di poco dalla sua bocca, i nostri nasi si toccavano. - Settanta. - mormorai. - Odio il fatto di amarti. -

 


 
 



Spazio Autrice:
And that’s all!
Hola chicas!
Come va? Credo bene. Io non così tanto, queste ultime settimane per me sono state molto pesanti, anche perché un mio compagno ha perso sua madre e beh, anche se non si conosce una persona, alcune cose ti turbano comunque. Tutto è tornato più o meno alla normalità e oggi ho deciso di aggiornare con il mio ultimo capitolo della FF, prima dell’epilogo. Potreste chiedervi perché proprio oggi! Vi rispondo semplicemente che oggi è il mio compleanno, quindi tanti auguri a me(?) Compleanno che ho passato di merda devo dire, a parte per le mie amiche, specialmente la mia best che festeggia tra due giorni, ma a casa ho dei problemi con mia madre e non blandi, quindi è stata una giornata comunque pesante.
La FF comunque è giunta alla fine, cosa dire? Tra un po’ pubblicherò anche l’epilogo, intanto spero che non mi abbandonerete, sto iniziando a scrivere qualcosa della prossima fan fiction, come credo di avervi già detto in precedenza e quindi, boh… Sono a corto di parole oggi *LOL*!
Passo subito alla Domandona:
Il vostro sogno di “gesto romantico” da parte di un ragazzo?
Io vorrei che mi portasse al mare, di notte, mettesse della musica con degli auricolari, qualcosa come “” di Taylor ed Ed a che ci mettessimo a ballare al chiaro di luna, preferibilmente il giorno del ballo di fine anno al posto dell’obrobrio che si organizza a scuola. Sogno ovviamente irrealizzabile per vari motivi!
However, ho detto tutto, ringrazio tutte voi per le splendide recensioni che ho letto fino ad ora e ringrazio coloro che hanno metto la mia storia tra le preferite, seguite e ricordate! Grazie mille! Ora mi dileguo, bye bye!

 

 
 
 
 
Cast:
5SOS
Christine Lee (Shay Mitchell)
Rachel Lee (Hailee Steinfeld)<
   
 
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