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Autore: paeonia    08/11/2014    1 recensioni
“Lei era un foglio di carta, fragile e tagliente - la gente ci scriveva sopra emozioni e sensazioni, disegnava e poi gettava tutto in un fiume, lasciando che l'acqua portasse via i loro pensieri, dopo averli liberati. Dimenticata, spezzata dalla corrente di cristalli sciolti che vagava per il mondo, portando pensieri anonimi in posti sconosciuti. E lui lo scrisse, su quel foglio, lo scrisse sulla sua pelle, perché Lisa era davvero una che non sai, una che ti scoppia dentro e si ferma non sai quando, se si ferma. E la vivi, per forza e per amore insieme, con la consapevolezza che non ti resta altro. Che devi, che puoi, e rimane la cosa piu' bella che hai. Lisa era davvero tutto questo, e ci vuole niente a farle male, perché quando non hai fine, sei subito profondo.”
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Clifford, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Crystalised.
 

 
Things have gotten closer to the sun
And I've done things in small doses
So don't think that I'm pushing you away
When you're the one that I've kept closest
The xx - Crystalised


Le note dolci le accarezzavano la pelle trasparente come il cielo, le vene bluastre creavano un contrasto candido con il resto del suo corpo. I lunghi capelli castani le accarezzavano il seno coperto da un maglione blu esageratamente largo, che copriva il suo busto, finendo a circa metà coscia.
Si portò una mano alle labbra, mordicchiando nervosamente l'unghia dell'indice sinistro, mentre i suoi grandi occhi marroni scrutavano il foglio posto sulla scrivania in legno chiaro davanti a lei. Il carboncino nero l'aveva segnato, delineando sulla superficie bianca il volto di una donna, una sigaretta tra le labbra, le lacrime che scorrevano sulle gote, un piccolo sole come pupilla. Vide il suo riflesso sugli zigomi della ragazza, straziata da una vita che non le apparteneva.
Guardò fuori dalla finestra, le prime luci dell'alba irrompevano nella quiete della notte, tingendo il cielo di rosa e arancione. Si sedette sul davanzale marmoreo e freddo, stanca dalla notte insonne, passata a dipingere sentimenti su un pezzo di carta che sarebbe finito rinchiuso in un cassetto, dimenticato del mondo, dal mondo dimenticato. E forse era così che si sentiva lei.
Lei era un foglio di carta, fragile e tagliente - la gente ci scriveva sopra emozioni e sensazioni, disegnava e poi gettava tutto in un fiume, lasciando che l'acqua portasse via i loro pensieri, dopo averli liberati. Dimenticata, spezzata dalla corrente di cristalli sciolti che vagava per il mondo, portando pensieri anonimi in posti sconosciuti.
La luce si era fatta più potente, decise di camminare verso il bagno, raccogliendo l'acqua del rubinetto tra le mani, portandosela sugli occhi, schizzandola un po' sullo specchio. Strofinò energicamente con l'asciugamano, alzando lo sguardo ed incontrando i suoi occhi castani scrutarla attraverso la superficie trasparente dello specchio. Inclinò il viso verso destra, osservandosi con fare critico. Non si dispiaceva, ma non era felice di ciò che era. Poteva sempre essere meglio, continuava a ripetersi che doveva migliorare, eppure sembrava solo fallire nei suoi nobili intenti.
Decise comunque di presentarsi a scuola nonostante la notte insonne. Cambiò il maglione, indossando una larga felpa bianca e nera, truccandosi e infilandosi gli anfibi neri ai piedi, le cuffie nelle orecchie e lo zaino sulle spalle. Andava solo perché aveva il corso d'arte, e l'arte era tutto ciò che le interessava veramente. La calda voce di Alex Turner la accompagnò fino alla fermata del pullman, già strapieno. Salì comunque, appostandosi accanto alla macchinetta arancione che serviva per timbrare i biglietti, ignorando gli amici di vecchia data che muovevano la mano nella sua direzione.
Si stupì di quanto fosse carina la razza umana: per salutare persone le stringevano, a volte uscivano gocce d'acqua dai loro occhi, e se amavano delle persone, portavano loro dei fiori.
Fiori che lei non aveva mai ricevuto. Amava i gigli in particolare, le davano una sensazione di eleganza infinita, che mai avrebbe potuto mutare nel tempo, perché sarebbero sempre stati bellissimi. Le sarebbero sempre piaciuti in ogni caso. Eppure nessuno era mai arrivato sotto casa sua per darle un mazzo di fiori, perché nessuno l'aveva mai amata così tanto da affidarle qualcosa di delicato come un giglio. Lei era un giglio, così gracile, così a momenti, in un attimo il vento è pronto a strappartela via con una dolcezza prepotente, graffiandoti le mani delicate troppo deboli per sopportare il peso di quel fiore.
 
Tutti quei visi che vedeva ogni giorno ma che erano così estranei passavano lentamente sotto i suoi occhi, aspettando il suo solito amico che era solitamente in ritardo. La seconda campanella era suonata, ma a Lisa non importava, lei doveva aspettarlo, almeno quel giorno. Un motivo, in realtà, non c'era, era solo giusto così.
«Lizzie!» esclamò una voce maschile. Si girò, un ragazzo alto e biondo la stava osservando dall'altro dei suoi venti centimetri di altezza in più.
«Matthew» rispose lei, atona, alzando velocemente la testa in un rapido cenno di saluto.
Si sedette accanto a lei su quel muretto, accanto alla grande porta d'entrata di quella scuola fin troppo grande. Qualche ragazzino del primo anno correva per riuscire ad entrare in orario, loro due se ne fregavano. «Direi che ormai la prima ora la saltiamo - esordì lui, passandosi la mano tra i capelli biondi - quindi, che ne dici di restare qui, fumare un po', andare al bar a bere un caffè, e nel frattempo mi racconti che cos'è successo?» Lisa trasalì. Aveva capito tutto semplicemente dopo un saluto più spento del solito.
«Vada per il caffè» asserì lei, annuendo.
Le prese la mano e subito si alzò, per lasciarla dopo poco e incamminarsi lentamente verso il bar al lato opposto della strada. Il campanellino tintinnò appena aprirono la porta di legno, il solito odore di cacao avvolse i due ragazzi avvolti nei cappotti per isolarsi dal vento di novembre. Due caffè, un biscotto, e si sedettero al solito tavolo vicino ad una grande finestra. «Ora mi dici cos'hai?» chiese lei, agitando la bustina di zucchero che successivamente svuotò nella tazzina bianca.
«Non lo so.»
«Non lo sai?»
«Non lo so.»
Lisa fece ruotare il cucchiaino nella piccola tazza dalla scritta Simon & Garfunkel's cafe oro, e sorrise quando ricordò il duo. Portò la tazza alle labbra, sorseggiando lentamente il caffè ancora fumante. «Non so come sto, perché non sto. - Sospirò. - Tutto scivola via ed io non ho il tempo di fermarlo.»
«È giusto così, Lizzie.»
Lisa pensò che, forse, le cose accadono perché dovevano accadere. Matthew era lì perché doveva essere lì. Il caffè le piaceva così tanto perché doveva piacerle.
Ogni cosa, ogni persona, ha uno scopo nella vita.
E forse, quello di Lisa, era di trovare la vera Lisa, ed essere tale.





Buonsalve a todos.
In teoria avevo già pubblicato questo capitolo ma mia cugina, carina e simpatica come sempre, me l'ha eliminato. Ottimo lavoro, stron... dolcezza.
Be', in ogni caso, è la prima volta che pubblico qualcosa (escludendo più o meno la stessa cosa però su wattpad), e spero vi piaccia, perché a me non dispiace. Almeno, l'idea, poi ovviamente non la so sviluppare e quindi è okay, giusto?
No, non è okay.
Se mi faceste pensare cosa ne pensate mi fareste felice, perché voglio davvero sapere cosa ne pensa la gente, l'unica persona che legge cose mie è la mia prof d'italiano, che continua a dire che sono disordinata e uso troppe metafore.
Ah, e il mio amico rincoglionito meglio conosciuto come prof di religione, che non può giudicare i nostri quesiti ma ci mette il voto lo stesso. Felice lui, è andato in overdose di acqua santa e incenso.
Tornando alle cose importanti, la storia.
Non credo di avere altro da dire.
Abbracci, biscotti e Tom Odell a tutti,
Lisa.

Su wattpad mi trovate come sosweetasfeather.

 
   
 
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