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Autore: Vanya Imyarek    09/11/2014    1 recensioni
Per i Greci, il kosmos è l'ordine del mondo, basato sul perfetto equilibrio tra opposti, come luce e tenebre, bene e male. Ora, se la gente odierna sapesse che il kosmos è minacciato da un fantasma con vari problemi mentali e un chiodo fisso pr la propria divinizzazione, e che è invece difeso da un paio di ragazzi doppiogiochisti, opportunisti e pure alquanto iettatori, tutti impegnati a cercare di procurarsi un'antica corona egizia dai poteri straordinari, ci sarebbe da supporre che il mondo piomberebbe nel panico generale.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Servi del Kosmos'
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                                                   CHAD

 

 

GUADAGNO  UN  BUON  MOTIVO  PER  NON  APPREZZARE  LE  VISITE  ALL’ ACCETTAZIONE

 

 

 

Penelope si lamenta troppo. In fondo, oltre ad aver rischiato la vita, ha solo rischiato di finire al manicomio. Io ho rischiato la vita e al manicomio c’ero già!

Immagino che non ci sia bisogno che io mi presenti, tanto mi conoscete tutti, e dimenticarsi di me – posso capire di Penelope, ma di me! – sarebbe semplicemente contrario alle leggi della scienza. E comunque sì, a questo punto avrete capito che, scopiazzando spudoratamente i fratelli Kane, ci daremo il turno a raccontare questa storia.

Per vostra fortuna, aggiungerei io, vi avrei sinceramente compatiti se aveste dovuto ascoltare Penelope per tutto il tempo. Potrete odiare noi, le nostre vicende e quello che abbiamo fatto, ma almeno la storia sarà ravvivata dal mio affascinante stile narrativo.

Dunque, in questa parte vi spiegherò, al pari della Gufatrice, come ho scoperto in che modo preciso non fossi normale (perché, beninteso, lo sapevo fin da prima di essere straordinario).

Ad alcuni di voi ho già accennato di aver passato quattro anni di clinica psichiatrica, ma non sono mai stato troppo prolisso in materia. Ora mi toccherà esserlo, perché è lì che comincia la mia storia.

 Tutti i miei cosiddetti ‘problemi psicologici’ sono iniziati quando avevo tre anni, il giorno in cui mia madre morì investita da un camion. Quando gli assistenti sociali vennero a casa per dirmelo, io fui tanto furbo da rispondere loro che sapevo già da tempo che sarebbe stata investita, perché me l’aveva detto una voce nella testa. Quelli conclusero che stessi mentendo per chissà quali ragioni, e mi spedirono in orfanotrofio senza porsi tanti problemi.

 Il fatto è che, come vi ho dimostrato più volte, io sono davvero in grado di sapere come morirà la gente. Mi basta posare gli occhi su una persona, e subito c’è quella voce che mi spiega nel dettaglio le modalità della sua dipartita. E no, approfitto di quest’occasione per ribadire che, contrariamente a quanto dicono molti, non conosco le date di morte delle persone, né, se vengono uccise, da chi. Solo il modo, che può avvenire domani come tra cent’anni.

 Negli anni che passai all’orfanotrofio, comunque, decisi che era mio dovere mettere a parte le persone di quanto mi dicevano le voci, in modo che avrebbero potuto prendere le dovute precauzioni. I primi anni la gente si limitò a pensare che la mia fosse semplicemente una ricerca di attenzioni, ma man mano che crebbi, iniziarono a chiedersi come mai non l’avessi ancora fatta finita con quella storia.

 Iniziarono a chiedermi, ingiungendomi di essere sincero, se veramente sentissi quelle voci. Alle mie ripetute risposte affermative, iniziarono a chiamare degli psicologi, ai quali continuai stupidamente a ripetere la stessa versione della storia. Questo, e il fatto che mi fossero state diagnosticate iperattività e disturbo da deficit dell’attenzione, non li predispose molto bene nei miei confronti. Alla fine mi sbatterono in una clinica.

 Fu solo a quel punto che capii che la sincerità non era stata una gran politica.

 Iniziai a cambiare versione, a dire che ora non sentivo più quelle voci, nella speranza che mi dichiarassero guarito. Non avevo considerato che lo psicologo a cui ero capitato era un cretino peggiore di quanto ero stato io, uno fermamente convinto che le voci mi ordinassero di uccidere la gente nonostante tutti i miei tentativi di spiegare che non era così.

 Questo tipo applicava, per curarmi, una cosa che lui chiamava sistema alfabetico, e che consisteva in pratica nel fare il contrario di ciò che le voci dicevano. Come ciò fosse possibile quando tutto quello che le voci mi dicevano era la modalità della morte altrui, non è dato sapere. Quando gli chiedevo delucidazioni, mi diceva che uccidere è una cosa sbagliata, e non riuscivo a cavargli altro che variazioni sul tema.

 Ora, questo sistema di cura potrebbe sembrare semplice, ma non lo era affatto: mi toccava stare per ore nel suo ufficio, mentre lui mi proponeva varie situazioni, e mi chiedeva come avrei reagito, raccomandandomi di non farmi influenzare dalle voci. Ogni tanto mi assegnava anche piccoli incarichi, come sostenere una conversazione il più civile possibile on gli altri ospiti della clinica, oppure portare dei documenti ai suoi colleghi o all’accettazione, il tutto senza permettere che le mie azioni fossero influenzate dalle voci. Che comunque non mi dicevano mai di fare niente, quindi quegli esercizi servivano ad altrettanto.

 Quel fatidico giorno mi toccò appunto uno di quegli incarichi. “Oggi dovrai andare fino all’accettazione, chiedere la cartella relativo ad Albert Ridge e portarmela” mi disse lo psicologo con lentezza e scandendo bene le parole. Per qualche motivo, sembrava credere che soffrissi anche di un qualche ritardo mentale.

 Mi limitai ad annuire. “Va bene” risposi tranquillamente.

 “E mi raccomando, ricordati che le voci non sono entità soprannaturali e tu non hai il dovere di ubbidire loro. Se ti dicono di fare qualcosa, ignorale. Intesi?”

“Dunque, se le voci mi ordineranno di massacrare l’addetto all’accettazione con dei fogli di carta, non devo dargli retta” ricapitolai “Va bene”

Lui annuì, convinto che forse stavo iniziando a dare segni di miglioramento e ignaro del fatto che più di uno dei suoi pazienti avrebbe riconosciuto quella come una frase sarcastica. Riuscii a trattenermi dal ridergli in faccia e feci ciò che mi aveva detto.

 Quando arrivai all’accettazione, la trovai del tutto deserta, salvo il tizio al bancone. Non lo avevo mai visto prima in vita mia, e la cosa non mi stupì molto: quelli che stavano all’accettazione non duravano mai molto.

Nei quattro anni che ero stato lì, ne avevo visto succedersi cinque: una donna anziana e arcigna, licenziatasi per esaurimento nervoso, un tizio licenziato perché sorpreso a fumare in quel luogo pubblico, una ragazza giovane con delle minigonne davvero notevoli (non pensate male, ci avrebbe fatto caso chiunque), un trentenne nevrotico andatosene anche lui per esaurimento, e una tipa dall’aria spaurita che era scomparsa portando con sé una discreta parte dei soldi dell’istituto.

 Il tipo che ora sedeva dietro il bancone sembrava piuttosto uno dei ricoverati: teneva gli occhi rovesciati all’indietro, senza neanche battere le palpebre, ed era del tutto indifferente all’ambiente circostante. Un po’ mi somigliava, visto che era di colore e con i rasta, ma aveva una tale quantità di collanine (oltre all’espressione idiota) che io non mi sarei mai sognato di portare.

 Ma la cosa che più mi lasciò perplesso non fu il suo atteggiamento cretino: fu il fatto che, non appena lo guardai, la mia solita voce disse ‘Morto’.

 Ci rimasi di stucco. La voce non mi aveva mai detto niente del genere, era sempre stata anche troppo precisa. Ero sicuro che non volesse dire che il tizio sarebbe morto di vecchiaia, perché in tal caso usava, appunto, l’espressione ‘Vecchiaia’. Cosa voleva dire che sarebbe morto ‘Morto’?

 Mi interrogai su questo mistero per tutto il tragitto fino al bancone; mi sentivo quasi tradito dalla mia voce. Il ‘morto morto’ non si curò minimamente di uscire dalla sua trance quando mi avvicinai: sembrava nel pieno di una seduta vudù. Magari la voce lo credeva uno zombie?

“Scusa, mi servono i documenti di Albert Ridge” esordii, tentando l’approccio educato. Che come nella maggior parte delle volte, non servì a un emerito cavolo.

“Ehi, gli spiriti loa potrebbero separarsi da te il tempo che tu mi dia i documenti di Ridge?” Tentai un metodo migliore, con un unico risultato. Lo zombie diede infatti un segno di vita, ovvero batté le palpebre. Ma a parte questo non fece assolutamente nulla.

Io sbuffai. Chissà dove l’avevano pescato quell’idiota. Se avessi tardato troppo, il mio psicologo mi avrebbe tempestato di domande sui motivi, e probabilmente non avrebbe creduto al fatto che il tizio del bancone fosse immerso nel contatto con gli spiriti.

 Decisi quindi di lasciare il ‘morto morto’ alla sua seduta e di prendere il documento da me. Andai dietro il bancone, alle spalle del tipo, e iniziai a scartabellare i vari documenti. Nei due mesi che aveva passato alla clinica, la ladra aveva dimostrato un concetto di ordine del tutto particolare, quindi Dio solo sapeva dove avrebbe potuto essere la roba di Ridge.

 E fu proprio mentre stavo scartabellando, che fui interrotto da una bazzecola quale una mano che mi si stringeva all’improvviso intorno alla gola.

 Nella confusione più totale, cercai di divincolarmi, ma il mio aggressore aveva una presa resistente.

 “Certo che i guai te li vai proprio a cercare, mezzosangue!” rise una voce maschile alle mie spalle. Capii che lo zombie era emerso dalla seduta, e a quanto pareva allo scopo di dimostrare di essere un pazzo omicida.

 Non mi soffermai troppo a lungo su questi pensieri, in quei momenti l’unica cosa che fai è cercare di salvarti. Ormai iniziavo davvero a sentirmi soffocare, e iniziavo a vedere macchie luminose che mi danzavano davanti agli occhi.

 Finalmente uno miei calci andò a segno nel punto migliore, e il tizio mollò la presa, piegandosi in due per il dolore. Io caddi a terra e rotolai via, andando a sbattere contro il bancone, prima di alzarmi e cercare di scappare. Lo sentii ridacchiare debolmente alle mie spalle.

 “Dove corri, ragazzino?” chiese, e all’improvviso la porta dell’accettazione si chiuse di scatto. La raggiunsi e cercai di aprirla, ma non mi riuscì in nessun modo, né in quello normale né con gli spintoni. Cavolo, sembrava una scena da film horror scadente. Ma non era scientificamente possibile che fosse stato lui … ci doveva essere un complice nascosto dietro la porta, ecco.

 Non ebbi particolare tempo di dilungarmi in queste speculazioni, perché sentii uno strano sibilo e mi girai istintivamente per vedere cosa fosse. Un pugnale di metallo nero mi evitò per un soffio.

 Devo confessare che feci un salto ben poco dignitoso, spostandomi dalla precedente linea di tiro. Lo zombie si era rimesso in piedi con una velocità sospetta per il tipo di lesione subita e ora si stava scostando un lembo della giacca di pelle, estraendo dal suo interno un nuovo pugnale. Ma dove si era procurato quell’affare? Sembrava di essere finiti in un film!

 “Schivi e basta?” mi chiese il tizio con un’altra di quelle risatine da psicotico, accompagnando la frase con un altro coltello. Scattai di lato e riuscii a evitarlo.

 “Deludente. Perché non mi trasformi in polvere, figlio della morte?”

 E quell’epiteto da dove l’aveva tirato fuori? Non sapeva che c’erano insulti migliori che comprendevano la parola ‘figlio’? Non che me li rendesse più graditi, ma almeno erano riconosciuti dalla società civile.

 Il tizio scagliò un altro coltello e questa volta mi sfiorò di striscio. Per mia fortuna, credo, ero talmente confuso e agitato che non mi accorsi neppure del dolore. Piuttosto, cercai di capire cosa fare in quel frangente.

 Scappare era fuori discussione, lo zombie aveva gentilmente chiuso tutte le porte.

 Urlare e cercare di richiamare qualcuno? Fino a quel momento non eravamo stati esattamente silenziosi, e non si era fatto vivo nessuno.

 Le opzioni rimaste erano desolatamente limitate: cercare di affrontarlo in un corpo a corpo e di strappargli i coltelli. Poteva sembrare disperato, ma non mi sottovaluto così tanto e … okay Penelope, chiudi il becco, lo ammetto che ero quasi disperato, va bene?

Mi gettai alla carica contro di lui, schivando un altro coltello, e riuscii ad abbatterlo con uno spintone tremendo, crollandogli addosso.

 Ma perché sono stato tanto stupido da raccontare nei dettagli la cosa alla Gufatrice? Va bene, va bene, lo ammetto anche con voi che ci sono riuscito solo perché nella corsa ho preso dentro nella scrivania … ma quello che ho detto sopra, a conti fatti, è la verità.

 Dicevo, in un modo o nell’altro, atterrai addosso al tizio, ma ovviamente la cosa non lo stordì minimamente. Piuttosto, tornò all’idea originale di strangolarmi.

 A questo punto provai una sensazione ben diversa dalla paura e dalla disperazione. Rabbia. Rabbia per il fatto di essere in quella situazione, rabbia perché stava andando a finire così, una rabbia accecante. D’istinto, afferrai la mano che cercava di strangolarmi e cercai di allontanarla da me.

 E quella si trasformò in polvere.

 Non avvertii nessuna sensazione particolare che annunciasse l’accaduto, ma non appena la ebbi afferrata, la sua presa si sciolse in polvere grigia. E non finì lì. Il suo braccio continuò a sbriciolarsi, velocissimo, e feci appena in tempo a cogliere il volto inorridito dello zombie, prima che tutto il corpo facesse la stessa fine. Di lui rimase solo la giacca coi coltelli.

 Le porte dell’accettazione si spalancarono di colpo. Io ero lì da solo, sopra un mucchio di polvere e una giacca che fissavo con espressione probabilmente allucinata. Come poteva essere successo? Era impossibile, contro natura!

 E a quanto pareva ero anche stato io a provocare tutto, dato quello che mi aveva detto prima lo zombie. ‘Perché non mi trasformi in polvere’ … be’, alla fine lo avevo accontentato. Ma come cavolo avevo fatto? L’impressione di essere piombato in un film fantasy era la cosa più forte in quel momento.

 Mi resi conto che la guancia, dove il coltello mi aveva sfiorato, iniziava a fare male, probabilmente l’adrenalina doveva essersi esaurita.

 “Oddio!” strillò una voce femminile acutissima. Cercai la sua fonte e vidi un’infermiera che dava di matto. Dopo gli ultimi avvenimenti, mi parve quasi una vista rassicurante. Prima di sentire quello che stava dicendo.

 “Aiuto! Uno dei pazienti ha aggredito l’uomo all’accettazione! Muovetevi!”

 Ma di che stava delirando? Se neanche c’era un uomo, ma solo un mucchio di polvere! Va bene farsi fregare dalla giacca, ma doveva essere proprio cieca.

 “Ma cosa dici!” ribattei. Lei in risposta cacciò un urlo tanto acuto che per sentirlo meglio avrei dovuto essere un pipistrello.

 Sentii dei passi di corsa nel corridoio e, pensando di poter spiegare tutto, cercai di rialzarmi appoggiandomi alla scrivania. Solo che quella si trasformò in polvere, facendomi crollare nuovamente a terra.

 Mi sentii agghiacciare. Ma cosa cavolo stavo facendo? Adesso riuscivo a trasformare le cose in polvere con il solo tocco delle mani? Oddio, e se avessi toccato qualcuno per sbaglio cosa sarebbe successo? Be’, un po’ idiota chiederselo, lo zombie era una sufficiente prova scientifica.

 Scattai in piedi facendo leva sul pavimento. Dovevo andarmene di lì, sarebbe successo un casino se questa mia abilità fosse saltata fuori. Primo sarei diventato un fenomeno da baraccone o da laboratorio scientifico, e secondo avrei dovuto ammazzare qualcuno per dimostrarlo.

 Feci per correre verso la porta, ma in uno dei miei attacchi di genialità (genialità superiore al solito, intendo) presi anche la giacca dei coltelli, pensando che un qualcosa con cui difendermi mi sarebbe servito. Avrei dovuto pensare che si sarebbe trasformata in polvere, ma stranamente non lo fece. Era strano, ma preferii non indagare oltre e rischiare di ammazzare qualcuno per sbaglio.

  Medici e infermieri vari entrarono mentre stavo infilando la porta, ma corsi come un disperato e riuscii a non farmi prendere subito.

 Quando raggiunsi la strada, poi, le cose si risolsero meglio: erano più restii di me ad attraversarla senza guardare le macchine, e il risultato della loro prudenza fu che portarono a casa la pelle, ma si persero il sottoscritto.

 

 

Ladies & Gentlemen,

ecco qui il secondo capitolo di questa storia, con il quale entrambi i protagonisti sono presentati. Spero che apprezziate almeno uno dei due. E ora, passiamo agli spoiler: nel prossimo capitolo, Chad e Penelope si incontreranno, e tra un litigio e l’altro improvviseranno un’associazione a delinquere per mettere a repentaglio la sicurezza di un povero dio che si trovava lì per caso.

 

 

 

  
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