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Autore: _Anto    09/11/2014    2 recensioni
In occasione dell'anniversario dei quattro anni dalla 2x06, one shot basata su questa puntata e sulle informazioni che ci hanno soltanto accennato durante l'episodio e che, purtroppo, abbiamo potuto soltanto immaginare.
Cosa è successo dopo che Blaine ha cantato Teenage Dream alla Dalton guardando Kurt negli occhi per quasi tutto il tempo? Cosa è successo dopo che hanno preso quel cappuccino insieme? Kurt e Blaine si sono inviati degli sms nel corso della puntata: quando si sono scambiati i numeri? E come e quando Kurt ha parlato a Blaine del suo bacio con Karofsky? E ancora, alla fine, cosa succede al pranzo che Blaine decide di offrire a Kurt dopo aver affrontato insieme Karofsky sulle scale del McKinley?
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“Senti, bello, renditi utile. Vai a fare sgambetti ai vecchi della scuola serale, oppure a spiare i fringuelli.”
“Gli Usignoli”, lo corresse Kurt, contraendo la mascella stizzito.
“E’ uguale, vedi che fanno. Metti le piume, così entrerai nel nido.”
“Va bene.”
 
 
Kurt ancora non riusciva a capacitarsi del fatto che aveva deciso davvero di dar retta a Puckerman.
In realtà non voleva davvero andare a spiare gli Usignoli, affatto, Kurt non era quel tipo di ragazzo, così decise di comportarsi più discretamente.
Quella sera quando tornò a casa cercò qualche loro esibizione su google o addirittura sul sito della scuola.
Guardò ammirato tutti quei ragazzi con la divisa, lesse con interesse le frasi che c’erano scritte per pubblicizzare nei migliori dei modi quella scuola privata che da lì sembrava una sorta di paradiso terrestre.
Fu in quel momento che prese la decisione di scoprire se era vero, così studiò bene la loro divisa e trascorse il resto della serata a cercare di imitarla con i vestiti che aveva nell’armadio.
Il giorno dopo così si ritrovò a guidare verso Westerville con il Navigator che gli aveva regalato suo padre per i sedici anni: le mani che tremavano come foglie sul volante e i capelli che si stavano scompigliando per via del vento.
Parcheggiò la macchina nel parcheggio della Dalton e vi entrò.
Si guardò intorno ammirato, vedendo ragazzi sorridenti che chiacchieravano animatamente con i loro amici.
Imboccò delle scale che portavano al piano inferiore e proprio quando si trovava nel bel mezzo, si accorse che tutti avevano cominciato a correre. Si fermò su uno degli scalini togliendosi gli occhiali e guardò una fila di ragazzi che scendevano, poi fermò uno dei tanti. «Oh, scusami, posso farti una domanda? Sono nuovo qui».
Lo sguardo di Blaine si ravvivò nel vedere quel ragazzo e istintivamente tolse la mano dalla tasca per porgerla a lui. «Piacere, Blaine».
Kurt esitò un attimo, imbarazzato. Era decisamente la prima volta che qualcuno si presentava spontaneamente a lui, così sorrise sorpreso e strinse la mano del ragazzo. «Kurt», disse con un sorriso. «Cos’è tutta questa confusione?».
«Gli Usignoli!», esclamò Blaine come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «Ogni tanto improvvisano un’esibizione in aula magna. La scuola va in tilt per ascoltarli».
«Vuoi dire che il Glee Club è popolare qui?», domandò Kurt sconcertato, fissandolo e chiedendosi se facesse sul serio oppure no.
«Gli Usignoli sono come rockstar! – rispose Blaine entusiasta - seguimi, conosco una scorciatoia».
Kurt osservò stranito la mano di Blaine afferrare la sua, poi si lasciò guidare da lui lungo un corridoio. Si guardava intorno affascinato mentre il ragazzo con la divisa della Dalton lo trascinava per mano verso la sala canto. Non era mai stato preso per mano da un ragazzo e quel contatto così semplice gli suscitava mille emozioni diverse.
Alla fine del percorso però Blaine dovette lasciargliela per spalancare le porte della sala canto, e Kurt provò un senso di abbandono. Lo aveva appena trovato, e già sentiva di non poter stare senza.
Tornò a sentirsi spaesato come lo era stato all’inizio e fu sorpreso nel notare quanto una sola stretta di mano fosse stata in grado di farlo sentire a casa, anche se si trovava a chilometri di distanza al McKinley e non conosceva nessuno.
«Mi sento un pinguino all’equatore», mormorò con un sospiro.
«La prossima volta ricordati la giacca, novellino, e sarai uno di noi», disse Blaine con un sorriso, carezzandogli la spalla coperta da una giacca che non somigliava neanche lontanamente a quella della Dalton. Kurt osservò ogni suo movimento e sorrise agitato. «Ora se vuoi scusarmi…», continuò Blaine, dopo aver strizzato leggermente un occhio con fare complice.
Lo sconosciuto si allontanò e si posizionò in mezzo ad una schiera di ragazzi, i quali cominciarono a fare dei cori mentre lui intonava le parole di Teenage Dream. Restò a fissare ammaliato il ragazzo cantare splendidamente quella canzone e di tanto in tanto si faceva sfuggire un sorriso emozionato. E come dargli torto? Blaine non faceva altro che guardarlo, e i suoi occhi erano così intensi che era impossibile non restarne incantato.
Quando l’esibizione finì Kurt applaudì come se da quell’applauso ne dipendesse la vita, con gli occhi azzurri spalancati per l’emozione e le labbra serrate.
Dopo l’esibizione la sala cominciò a svuotarsi, restarono solo alcuni degli Usignoli e Blaine, che camminò subito verso un Kurt che adesso a stento si teneva in piedi. «Allora? Come sono stato?».
Kurt poggiò una mano sul muro per non cedere a quel sorriso mozzafiato. «S-sei davvero bravo, Blaine».
«Oh, grazie. Devi andarlo a dire subito ai tuoi amici oppure ho il tempo di offrirti un cappuccino?».
«Qualcuno ha parlato di un cappuccino? Fermi, ragazzi. Veniamo con voi!», esclamò Wes, e David annuì deciso. Blaine non tolse gli occhi da Kurt neanche per un attimo.
«Mi… mi dispiace, Blaine. Mi sento così ridicolo in questo momento… vuoi davvero offrirmi un cappuccino? Oppure volete rapirmi così non porto le informazioni al mio Glee Club? In quel caso posso giurarti che-»
«Kurt, frena», ridacchiò Blaine, poggiando di nuovo la mano sulla spalla di Kurt. «Ti sembro il tipo che rapisce le persone?».
Oh, be’. Con quel sorriso e con quegli occhi, in realtà, mi hai rapito dal primo momento, pensò Kurt, ma poi credette che fosse meglio non dirlo.
«Sembri un bravo ragazzo, Blaine», disse Kurt mentre stringeva spasmodicamente la manica della sua cartella.
In realtà Blaine sembrava migliore di qualsiasi altro ragazzo avesse mai incontrato.
 
 
Quando Blaine aveva chiesto a Wes e David di lasciare lui e Kurt da soli, i due non erano più tornati indietro.
Kurt e Blaine avevano parlato tantissimo davanti ad un cappuccino: Kurt che stringeva il bicchiere di cartone così forte e le lacrime che gli rigavano copiose le guance.
Blaine lo fissava, lo ascoltava in silenzio e di tanto in tanto si sporgeva verso di lui. Aveva questo strano vizio di farlo mentre parlava e Kurt si ritrovò ad adorarlo, perché sembrava quasi che volesse enfatizzare i numerosi consigli che gli aveva dato mentre se ne stavano seduti accanto a quel tavolo.
«Io dovrei andare», mormorò Kurt ad un tratto. «Ho le prove del Glee e… uhm, mio padre si starà chiedendo che fine abbia fatto».
Blaine annuì cercando di nascondere la delusione: non voleva ancora salutare Kurt. «Ti accompagno alla tua macchina, okay?»
Kurt annuì entusiasta e dopo dieci minuti si ritrovarono a camminare insieme, uno accanto all’altro, nel parcheggio della Dalton.
Kurt si sentiva stordito come non mai: parlare con Blaine, sfogarsi finalmente su quello che stava succedendo a scuola lui e farlo con qualcuno che lo capiva lo aveva destabilizzato. Però era stato bello e sentiva di essersi preso una cotta per un ragazzo che sicuramente non avrebbe visto mai più.
«Bella macchina», fischiò Blaine, quando si fermarono davanti al Navigator.
«Regalo di mio padre per i sedici anni», si giustificò Kurt, con un sorriso. Sorriso che si spense quando si accorse che era arrivato il momento di salutarsi.
«Okay… io allora vado. Grazie per il cappuccino e… e per tutto, Blaine. È stato bello parlare con te».
«Potremo farlo di nuovo», disse Blaine senza esitare neanche un attimo, e Kurt si lasciò andare contro la portiera incredulo. Era tutto troppo bello per essere vero. «Mi daresti il tuo numero?».
«Oh, certo», rispose Kurt. Blaine prese il cellulare dalla tasca dei pantaloni della scuola privata e ascoltò pazientemente Kurt che gli dettava il suo numero.
«Perfetto. Ti mando un sms appena posso così se non ti sto troppo antipatico puoi salvarti il mio».
Kurt pensò che fosse meglio non specificare che non gli stava antipatico per niente, che era lontano dalla sua idea dei ragazzi delle scuole private e che era sarebbe stato tutta la notte sveglio davanti al cellulare ad aspettare uno suo messaggio, così si limitò a sorridere.
«Ci si vede, Blaine».
Quando Kurt rientrò nella sua auto e Blaine lasciò il parcheggio a piedi per rientrare nella scuola, Kurt restò fermo in quel parcheggio almeno dieci minuti soltanto a respirare.
Aveva appena conosciuto il ragazzo perfetto.
 
 
 
Kurt il giorno dopo aveva ricevuto un messaggio.
In realtà lo aveva ricevuto dieci minuti dopo aver salutato Blaine, ma non c’era scritto altro che una frase in cui giustificava il suo sms dicendo che voleva soltanto lasciargli il suo numero.
Ma quello che aveva ricevuto il giorno dopo durante l’esibizione delle ragazze al Glee Club, era tutta un’altra storia.
Blaine gli aveva scritto “coraggio”. Lo aveva fatto così senza pensarci troppo, mentre era a scuola a fare lezione e con il ricordo del suo incontro con Kurt nella testa. Gli scrisse una semplice parola che fece martellare il cuore nel petto a Kurt mentre un sorriso prendeva pian piano forma sulle sue labbra.
 
Cosa vuoi dire?
 
Fu la risposta di Kurt a quell’sms, poi posò il cellulare per prestare attenzione all’esibizione.
Quando la lezione al Glee finì, arrivò anche la risposta di Blaine.
Aveva riscritto coraggio, questa volta in maiuscolo, e Kurt si ritrovò a sorridere come un idiota, anche se quella non era la risposta che si aspettava di ricevere.
Incredibilmente però la risposta glie la diede Karofsky un attimo dopo, che lo spinse contro l’armadietto facendogli cadere il cellulare per terra.
Con la parola di Blaine che si ripeteva nella sua testa a ripetizione – coraggio, Kurt, coraggio – affrontò Karofsky. Il cuore gli batteva ancora forte ma era così arrabbiato e così stanco di subire.
Quando Karofsky pose fine a quel fiume di parole in piena con un bacio, Kurt pensò che avrebbe preferito morire piuttosto che essere baciato.
 
 
Kurt si stava rigirando tra le coperte da almeno due ore e ogni volta che provava a chiudere gli occhi, vedeva Karofsky avvicinarsi e baciarlo disperatamente. Non riusciva a pensare ad altro che a quel bacio e gli faceva male sapere di non poter parlarne con nessuno. Era chiaramente un segreto, un segreto che probabilmente Karofsky non sapeva neanche di custodire. Non riusciva a credere che lui già sapesse di essere gay, sicuramente si era solo accorto di qualcosa e per questo usava la forza fisica per attaccare tutti coloro che avevano i gusti che probabilmente aveva anche lui.
Sicuramente le cose stavano in questo modo – o almeno così pensava Kurt – perché si rifiutava di credere che attaccava proprio lui perché provava qualcosa nei suoi confronti. Come Karofsky non era il suo tipo, neanche lui sarebbe mai potuto essere il tipo di Karofsky. E poi non aveva mai creduto di piacere a qualcuno, l’unico ragazzo per cui aveva provato davvero qualcosa era stato Finn, il ragazzo di Rachel, ma era etero e soprattutto uno dei ragazzi più belli della scuola. Irraggiungibile sotto tutti i punti di vista.
Ripensò al messaggio che Blaine gli aveva inviato quella mattina e guardò l’orario sull’orologio appeso alla parete: era mezzanotte passata. Sapeva che una notte in bianco lo aspettava, così si fece coraggio e prese il cellulare sul comodino.
 
Sei sveglio?
 
Dopo cinque minuti si sentì un idiota ad avergli mandato quell’sms a quell’ora della notte. Sicuramente stava dormendo, come tutti gli adolescenti normali che avevano scuola il giorno dopo. Ma Kurt non lo conosceva ancora bene, infatti improvvisamente il suo cellulare vibrò per avvisarlo che Blaine lo stava chiamando.
«Blaine?», mormorò intimidito, rispondendo alla chiamata.
«Ehi Kurt, stai bene?»
«Io… sì, credo. Scusa se ti infastidisco a quest’ora, è che… va be’ lascia stare, non fa niente. Scusami ancora per averti mandato quel messaggio».
«Kurt, Kurt, aspetta. Mi stai facendo preoccupare. Dimmi che succede, ti prego».
Il ragazzo dall’altra parte restò fermo a pensare alle sue parole e gli scappò un sorriso. Era la prima volta che qualcuno dimostrava davvero di esserci per lui, e il bello è che lo conosceva da pochissimo.
«Ho ricevuto il tuo messaggio stamattina, e ho deciso di seguire il tuo consiglio. Mi sono fatto coraggio e ho affrontato Karofsky».
«E…?», lo esortò Blaine, poi si schiarì la voce che era ancora impastata dal sonno.
«E… mi ha baciato, Blaine. Karofsky mi ha baciato».
Quello che seguì fu un silenzio davvero imbarazzante. «Blaine? Sei ancora lì?», sussurrò Kurt intimidito.
«Sì, scusa, è che… avrei dovuto immaginarlo. È troppo se ti dico che devi parlargli, Kurt? Non… non potete fare finta di niente».
«Blaine, no», rispose Kurt allarmato, mentre si metteva seduto sul letto. «Io non posso più affrontarlo. Ho esaurito tutte le mie scorte di coraggio al momento».
Blaine dall’altra parte sorrise. «E se ci fossi io con te? Ti andrebbe di affrontarlo insieme?».
Kurt chiuse gli occhi, poggiando la testa al muro. «Tu sei scappato, Blaine. Perché mai dovresti affrontare un mio bullo quando per non affrontare i tuoi hai dovuto cambiare scuola?».
Blaine pensò che effettivamente Kurt aveva ragione,  ma c’era qualcosa dentro di lui che lo stava supplicando di aiutare Kurt, perché Kurt era una persona bellissima e non meritava affatto tutto ciò che gli stava accadendo.
«Voglio farlo», rispose semplicemente. «Sul serio, domani va bene? Salto le lezioni e vengo a Lima».
«Non… non devi, Blaine, io… non posso chiederti questo».
«Tu non mi stai chiedendo niente, Kurt. Quello che ti ha fatto Karofsky è imperdonabile e so cosa significa essere soli quando il mondo fa di tutto per remarti contro, quindi voglio starti vicino e voglio essere accanto a te domani quando affronterai ancora una volta quell’idiota. A che ora finisci le lezioni?».
«M-mezzogiorno», mormorò Kurt arrossendo furiosamente. Il cuore adesso era tornato ad essere più leggero.
«D’accordo, allora ti aspetto fuori scuola».
«Sai almeno dov’è il McKinley?», ridacchiò Kurt.
«No ma penso che mi divertirò a scoprirlo, per poi riconoscerti tra la folla fuori scuola. Proprio come tu hai riconosciuto me alla Dalton», sorrise Blaine, e lo disse con una tale semplicità che Kurt si chiese se Blaine si accorgesse di quanto fosse carino quando se ne usciva con cose del genere.
«Buonanotte, Blaine. E grazie di tutto».
 
 
«E’ lui?», domandò Mercedes, quando uscì da scuola insieme ad un Kurt emozionato come se fosse al suo primo appuntamento. Il sorriso si allargò ancora di più quando vide Blaine poggiato accanto ad una macchina a braccia conserte ad aspettarlo.
«Sì, è lui», rispose Kurt con un sospiro.
«Woah, Kurt. Davvero niente male!», ridacchiò Mercedes, dandogli una pacca sulla spalla. Il ragazzo la salutò velocemente e poi si affrettò a raggiungere il ragazzo che – cavolo, era ancora più bello di quanto ricordasse.
Blaine lo salutò con un bacio sulla guancia e Kurt sentì la sua pelle andare a fuoco.
«Stai bene?», domandò il riccio, studiando bene il suo sguardo. Da quando Kurt lo aveva chiamato quella notte non aveva potuto fare a meno di sentirsi dannatamente preoccupato per lui e voleva davvero fare qualcosa per aiutarlo.
«S-sì, però adesso andiamo a cercarlo, okay?».
«Okay», rispose Blaine.
 
 
Kurt e Blaine affrontarono Karofsky insieme.
Dopo aver parlato per un po’ Kurt finalmente si rese conto di ciò che gli era successo: Karofsky si era preso il suo primo bacio e adesso era depresso per questo.
Blaine se ne accorse e lo guardò a lungo mentre se ne stavano seduti sulle scale d’emergenza del McKinley, sperando che Kurt tornasse a sorridere, perché vedere Kurt sorridere era una delle cose che gli era mancata di più in quei giorni.
Quando alla fine capì che Kurt non aveva nessun motivo per sorridere, decise di offrirgli il pranzo.
Andarono in un piccolo ristorante lì vicino e chiacchierarono ancora tantissimo davanti ad un piatto di pasta.
Blaine fece del suo meglio per far sorridere Kurt e ci riuscì in pieno: quando lasciarono il ristorante, erano entrambi sazi di cibo e di risate. Kurt poi portò Blaine a vedere un po’ Lima – non che ci fosse molto da vedere, ma non voleva ancora salutarlo – e così trascorsero del tempo in un parco, alternando passeggiate a piccole soste su delle panchine.
Non la smettevano un attimo di parlare, di raccontare l’uno all’altro i segreti più intimi e a ridere – era così bello provocarsi risate a vicenda.
Quando cominciò a fare buio Blaine decise di accompagnare Kurt a casa. In macchina cantarono insieme ogni canzone che passavano alla radio e non importava se fossero brutte o squallide e ridicole, ma le cantavano ugualmente a squarciagola, come se fossero le canzoni più belle di tutti i tempi.
Kurt si intristì quando Blaine fermò la macchina fuori casa sua.
«Sono stato bene. Di nuovo», ridacchiò Kurt, pensando al loro cappuccino preso alla Dalton qualche giorno prima.
«Sono stato bene anche io, Kurt. Mi dispiace per non esserti riuscito ad aiutare con Karofsky, ma… voglio prometterti che ti sarò accanto. Qualunque cosa accada».
«P-perché, Blaine?», mormorò Kurt, giocando con le sue stesse dita. «Perché dovresti farlo?».
Blaine poggiò una mano sulla sua, pregandolo silenziosamente di smetterla di essere nervoso. «Perché sei una persona fantastica, Kurt. Me ne sono accorto dal primo momento in cui ho posato gli occhi su di te. Mi permetterai di starti vicino?».
Kurt proprio non ci riuscì a trattenersi: si allungò e abbracciò Blaine, che lo accolse subito e lo strinse forte. «Sono felice di averti conosciuto, Blaine. Io… mi sentivo così solo e tu… grazie, okay? Solo… grazie».
Blaine sorrise tristemente, perché gli faceva davvero male al cuore vedere un ragazzo come Kurt crollare in quel modo. «Non sarai mai più solo, Kurt. Ci sono io adesso».
E ci sarebbe stato per sempre.
 

 
   
 
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