Evelyn infilò il cucchiaio nel porridge della zia, a occhi chiusi.
Ci voleva coraggio. Lo lasciò andare.
Deglutì, aprì gli occhi.
Il cucchiaio era rimasto in piedi.
Curioso.
Evelyn rimase vagamente stupita dal fenomeno.
Guardò nella tazza, tenendosi prudentemente a distanza.
La luce entrava, ma non usciva.
Spostò la sedia un po’ più indietro; il porridge aveva la densità specifica di un buco nero.
Evelyn recuperò il cucchiaio: nell’uscire dalla zuppa, emise un suono di tappo che salta.
Massa.
Il porridge si richiuse intorno al buco come sabbie mobili, con rumore di risucchio.
Volume.
Evelyn si fece ancora più indietro.
Peso specifico.
La fisica non era mai stata il suo forte.
Era il suo primo giorno di lavoro. Non poteva mica uscire di casa a digiuno: afferrò una focaccina allo sciroppo e le diede un morso. La pasta le foderò i molari e coibentò il palato; cercò di staccarla con la lingua, ma lo sciroppo era a presa rapida.
Evelyn guardò di sottecchi la zia Libby che spignattava nel cucinotto, dandole le spalle.
Cantava i successi di Doris Day in falsetto. Evelyn capì perché i bicchieri che avevano usato a cena erano tutti incrinati.
Sempre tenendo d’occhi la zia, Evelyn si infilò cautamente l’indice in bocca e cercò di staccare la focaccina dal molare con l’unghia.
Una signorina non si mette le mani in bocca.
Ma non va nemmeno in giro con una focaccina sul palato.
“Tutto bene, tesoro?”, trillò la zia dalla cucina.
“Sfhughr”, rispose Evelyn, solerte. Un filo di bava le colò lungo la mano.
Pensò a cosa avrebbe detto il bel caporale se l’avesse vista in quel momento. Il pensiero le fece emettere un sospiro estatico. Chissà cosa stava facendo, in quel momento…
Magari stava facendo colazione.
L’immagine di Damian che intingeva un dito nello sciroppo e poi ci passava sopra la lingua, guardandola fissamente, la fece sbavare ancora un po’.
Oppure dormiva ancora.
Cercò di scacciare dalla mente Damian sdraiato a stella marina, coperto di petali di rosa.
O si stava lavando.
Visualizzò Damian uscire dal mare in una conchiglia dorata, in un tripudio di putti, coperto solo da…
“Evelyn, cara? Va tutto bene?” La zia le stava davanti, e si asciugava le mani nel grembiule con aria un po’ perplessa.
Evelyn alzò gli occhi e la guardò.
Poi, con grande nonchalanche, si tolse lentamente la mano dalla bocca. La asciugò in un tovagliolino.
“Benissimo, zia Libby”, disse, composta. Le porse il piatto. “Focaccina?”