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Autore: Sery400    10/11/2014    4 recensioni
Dopo la fine delle riprese, Ian va a vivere a Los Angeles con Nikki, mentre Michael rimane ad Atlanta con la moglie ed il figlio piccolo.
Ian però non vuole vivere con i rimorsi e nella sua mente ogni tanto passa ancora l'immagine di due occhi scuri che non riesce a dimenticare. Così decide di tornare ad Atlanta e rischiare il tutto per tutto.
Quando bussa alla porta dell'uomo che teme non abbia mai smesso di amare, è sorpreso nel vedere che non porta più la fede che un tempo non toglieva mai.
E' possibile che l'amore vada davvero oltre il tempo e la distanza?
#Somerkey
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Ian Somerhalder, Michael Malarkey
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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A mia moglie, grazie alla quale ho scoperto un sacco di cose sui matrimoni.
A Fede, che è colei che mi tartassa per ricevere spoiler e poi si arrabbia se questi le uccidono i feels.
A Stella -per me ti chiamerai sempre così, #sns-, che mi ha aiutata ogni volta che ho avuto un dubbio senza farsi problemi.
♡.









20 Agosto 2020 – Los Angeles.

 

«Ehy, amico!»

La voce di Paul, calorosa anche dal telefono, mi fa sorridere nonostante la situazione. Tiro fuori dal pacchetto di Marlboro l’ultima sigaretta rimasta.

«È finita, Paul.»

«Gliel’hai detto?»

Il tono di voce cambia, diventa premuroso. Prendo l’accendino sul fondo della tasca dei jeans e accendo la sigaretta che ho tra le dita. La porto alla bocca e inspiro forte.

«Una settimana fa, ma oggi si è fatta definitiva. Sto tornando ad Atlanta.»

«Se c’è qualcosa di cui vuoi parlare sto qui, lo sai.»

«Va tutto bene. Credo» aggiungo alla fine, perché in realtà, come sto, non lo so nemmeno io. Rompere dopo sei anni di relazione è dura, ma sentire quella sensazione di libertà che non provavo da troppo tempo è sicuramente uno dei fattori positivi.

«Se ti serve un posto in cui dormire io e Phoebe non vediamo l’ora di riabbracciarti.»

«Grazie amico, ma ho ancora le chiavi di casa mia.»

Faccio un altro tiro e sbuffo fuori il fumo. Il cielo è azzurro e il sole splende in questa bellissima giornata di agosto; di nuvole non se ne vedono e nonostante non ci sia vento, l’atmosfera non è afosa. A Los Angeles le giornate così non mancano e forse sento un po’ la nostalgia del freddo insistente di Atlanta. Una rondine mi passa davanti e si posa sul davanzale del balcone dove sono appoggiato. Sembra guardarmi e urlarmi che anche io sono libero, come lo è lei. O forse ho solo troppe ore di sonno arretrato e la mia immaginazione mi gioca brutti scherzi.

«D’accordo. Allora ci vediamo presto?»

«Certo. Come sta Nietzsche? Tutto bene?» chiedo, spegnendo la sigaretta nel posacenere. Paul e Phoebe desideravano così tanto un cane che, quando ho deciso di trasferirmi a Los Angeles, ho affidato il mio a loro.

«Tutto apposto» risponde lui e posso percepire un sorriso formarsi sul suo volto. «Le dico di salutarti, aspetta.»

Rimango in silenzio una trentina di secondi, poi sento Paul parlare con Nietzsche. Subito dopo l’abbaiare del cane mi arriva dritto nell’orecchio, nemmeno fosse qui accanto a me.

«Sentita?»

«Forte e chiara. Dille che mi manca.»

«Lo farò.»

«Ah, Paul?»

«Si?»

Faccio un respiro profondo, mi faccio forza, poi pongo quella semplice domanda all’unico che sa la mia storia dall’inizio alla fine. «Che per caso lo senti ancora?»

«No, Ian, mi dispiace. Non dopo ciò che è successo. Non mi sarebbe sembrato corretto nei tuoi confronti e poi-»

«Okay» interrompo quello che so sarebbe stato uno sproloquio di scuse inutili senza fine. «Sai se qualcuno del cast è ancora in contatto con lui?»

«Candice, forse. Puoi provare a sentire lei.»

«La chiamo subito. Grazie.»

«Quando vuoi. Quando hai il volo?»

«In pomeriggio.» Faccio per rientrare in casa, quando Moke mi taglia la strada e inizia a strusciarsi contro le mie gambe. «Devo andare. Ti faccio sapere per incontrarci.»

«D’accordo. Buon viaggio.»

«Grazie. Di tutto.»

«Sei mio fratello, Ian. Non dirlo nemmeno.»

Sorrido. Nonostante tutti gli anni che sono passati, nonostante il mio trasferimento e la distanza, nonostante lui sia diventato un regista abbastanza noto e io abbia continuato a girare film che non hanno mai sfondato quanto avrei desiderato, continuando contemporaneamente ad occuparmi della mia fondazione, siamo ancora fratelli. Come prima, come sempre.

«Ci vediamo, Paul.»

Ascolto il suo saluto, poi chiudo la chiamata. Infilo l’Iphone nella stessa tasca in cui ho riposto l’accendino e mi inginocchio per accarezzare la mia obesa palla di pelo arancione preferita. «Sei un ciccione, lo sai Moke?» sussurro, mentre gli gratto le orecchie. Lo sento fare le fusa e sposto la mia mano sotto il collo. Struscia ancora la testa sul mio ginocchio ed io ridacchio. «Qualcuno è voglioso di coccole, eh?»

«Parlavi di lui con Paul, non è vero?»

La voce della donna che avrei giurato di amare fino ad un paio di mesi fa mi fa alzare in piedi e lasciare Moke a piagnucolare in cerca ancora delle mie mani. Ha un’espressione che non tralascia nulla, né emozioni, né sensazioni. Ma sono cinque anni che viviamo insieme, i suoi occhi ho imparato a leggerli anche quando si dipinge in faccia un muro che lei pensa impenetrabile. Annuisco e lei abbassa la testa. «Mi dispiace, Nikki. È tutto ciò che posso dire e so che non è abbastanza, ma è la verità. Non posso pensare di vivere la mia vita con il rimorso, pensando a ‘cosa sarebbe successo se’.»

«Non sarò più qui in caso dovessi cambiare idea.»

«Lo so.» Mi avvicino a lei e le sposto una ciocca dietro l’orecchio. Guardo nei suoi occhi marroni pieni di amarezza. «Siamo stati una bella coppia. Ed io ti ho amata, questo non metterlo mai e poi mai in discussione.»

Annuisce ed accenna un sorriso. Non mi dice che mi ha amata anche lei. Lei mi ama ancora ed è a conoscenza della mia consapevolezza. Le prendo il viso tra le mani e le bacio la fronte. «Ho il volo tra qualche ora. Qualcosa da dire prima che vada via?»

«Ci siamo già detti tutto, non credi?»

«Sì.»

Faccio un passo indietro e le sorrido triste, per poi avviarmi verso la nostra camera da letto per prendere la valigia già pronta da ieri sera. «Sii felice, Ian.»

«Credo di dovertelo.»

«Non potrei desiderare di più.»

Le prendo una mano nella mia e le bacio le nocche, rivolgendole un ultimo sguardo. Raccolgo poi Moke e lo metto nella sua gabbietta contro la sua volontà. Gli accarezzo il muso, poi prendo anche la valigia e, dopo essermi assicurato di aver preso tutto, esco di casa.

Non chiamo il taxi che mi porterebbe all’aeroporto, non ancora. Sfilo il cellulare dalla tasca e arrivo alla lettera C. Squilla due volte, poi una squillante voce femminile mi saluta contenta.

«Ciao, bionda. Come va?»

«Bene, Ian. Aspetta un attimo che esco in giardino, Joe sta cercando di fare addormentare i gemelli.»

«Anche loro, stanno bene?»

«Sisi, grazie. Tu, piuttosto, come stai?»

Evito la domanda e deciso di rispondere, invece: «Torno ad Atlanta.»

Rimane in silenzio per qualche secondo, poi chiede, confusa: «Devo prenderla come una buona o una cattiva notizia?»

«Non lo so ancora. Prometto che ti racconterò tutto. Stasera sono lì, in settimana ci vediamo, che dici?»

«Assolutamente.»

«Devo chiederti una cosa.»

«Spara.»

«Ti tieni ancora in contatto con Malarkey?»

«Michael? Sì, ci sentiamo ogni tanto. A volte ci prendiamo un caffè insieme, perché?»

«Ti spiegherò tutto, te l’ho detto. Vive ancora ad Atlanta quindi?»

«Non so cosa c’entra tutto questo ma… sì.»

«Che mi invii l’indirizzo su whatsapp?»

«Subito. Ma vorrò spiegazioni. Eravate migliori amici, Ian.»

Non siamo mai stati solo migliori amici, Candice. Ma questo tu non puoi saperlo. «Grazie mille. Ci vediamo, Candice. Un bacio alla famiglia.»

«Sai che quello che fai, Ian?»

La verità? No, per niente. Ma non sono mai stato più sicuro di ciò che sto per fare prima ad ora. «Certo.»

«Un bacio anche a te.»

Attacco e chiamo un taxi. Nel frattempo Candice mi invia indirizzo e numero civico di Michael, che copio immediatamente tra le note. Come immaginavo, non è lo stesso di quattro anni fa.

 

 

 

20 Agosto 2020 – Atlanta.

 

«Guarda, questa è Nina» spiego a Marlon, indicando la bellissima donna della foto, posizionata al mio fianco.

«Che bella» commenta sbalordito, socchiudendo le labbra. Sorrido al ricordo di Nina, di tutti gli scherzi che mi ha fatto e che abbiamo fatto insieme. Al ricordo dei vecchi tempi.

Continuo a sfogliare insieme a mio figlio l’album contenente tutte le foto risalenti a quattro-cinque anni fa scattate sul set di The Vampire Diaries. Sono tutte quelle foto che contengono tanti di quei ricordi che le ho portato a stampare dopo l’ultimo giorno di riprese. Oggi le stavo riguardando, quando Marlon è saltato sul divano accanto a me ed abbiamo iniziato a guardarle insieme.

«Chi è lui, papà?»

Osservo la foto accanto ad Ian e per un momento il mio cuore si ferma. Penso a lui, a chi era per me. Chi era per me? «Era il mio migliore amico» rispondo, seppur consapevole che amico mio lui non è mai stato. Chissà come se la sta passando ora, se è felice, se è ancora bello come qualche anno fa. Chissà se è sposato, se anche lui in questo momento ha un figlio tra le braccia. Il solo pensiero mi fa attorcigliare lo stomaco. Chissà come sarebbe andata se ci fossimo amati in un momento in cui la mia vita non era così complicata. Se ci fossimo incontrati vent’anni fa. Od ora. «Non te lo ricordi? Guarda qui.» Sfoglio la pagina e gli mostro una foto in cui c’è lui in braccio ad Ian, entrambi sorridenti e con la luce negli occhi.

«Ero piccolo» osserva lui.

«Perché, ora sei grande?» chiedo scettico.

Lui mi guarda indignato. «Sì, guarda. Sono più alto di te.» Si alza in piedi sul divano, sovrastandomi.

«Ehy, così ti fai male, piccoletto» gli dico prendendolo tra le braccia. «Hai tutto il tempo per crescere.»

«Ho fame, papà, mangiamo?» mi chiede lui cambiando argomento. Guardo l’orario sull’orologio alla parete sopra il televisore e noto che sono quasi le otto.

«Che ne dici se ordiniamo una pizza?»

«Sisisi! Io rossa con la mozzarella» urla entusiasta, saltellando sul divano.

«D’accordo, ma stai attento!»

Mi alzo e prendo il telefono di casa per chiamare la pizzeria. Ordino due margherite e non ho nemmeno il bisogno di specificare il fatto che sono celiaco. Ormai chiamo la stessa pizzeria da anni, mi conoscono benissimo, a me e a Marlon.

Intanto che il fattorino arrivi, apparecchio la tavola mentre Marlon finisce di sfogliare l’album.

Dopo un quarto d’ora il campanello suona e mi dirigo senza esitazione verso la porta, non aspettandomi per nulla al mondo la persona che mi ritrovo davanti quando apro.

Due occhi azzurri come l’oceano mi guardano increduli, come se nemmeno lui si aspettasse di vedermi. I lineamenti del viso sono sempre gli stessi, il taglio di capelli anche. Ha uno strato di barba che non cura evidentemente da qualche giorno; qualche pelo è bianco, ma la mascella è ancora pronunciata e gli occhi mi fissano ancora come se fossi l’unica persona esistente sulla faccia del pianeta e a me di qualche pelo bianco non me ne frega niente in questo momento. È ancora bello. È ancora sexy. È ancora lui.

«Ian?»

 

 

 

«Ciao, Michael.»

Cerco di sorridere, ma non ci riesco. Perché cazzo sono qui? Magari ora spunta alle sue spalle sua moglie ed io come glielo spiego il motivo per cui sono in casa loro? Che poi, come faccio a spiegare qualcosa che non so nemmeno io? Guardo nei suoi occhi scuri che mi osservano come se fossi l’ultima persona che si aspettasse di vedere. Beh, come biasimarlo? L’ultima volta che ci siamo visti gli ho detto che mi sarei trasferito con la donna che amavo dall’altra parte degli Stati Uniti. Non ha lasciato nemmeno che lo baciassi un’ultima volta. Mi ha detto che mi avrebbe amato comunque ed io non ho saputo rispondergli. Pensandoci, non capisco il motivo per cui non mi sbatte la porta in faccia.

Il silenzio è assordante per due come noi che in silenzio non sono mai riusciti a starci. Lo osservo. È dimagrito, indossa una maglietta scura a maniche corte e dei jeans neri. Ha ancora il solito strato di barba che adoravo accarezzare quando passavamo le serate sul divano a vedere film.

Ora è lui ad accarezzarsela con la mano destra e la prima cosa che noto è che non porta la fede. Gli prendo entrambe le mani. È il primo contatto che abbiamo dopo anni. La sua pelle è ancora calda come ricordavo ma le dita non sono più piene dei calli che gli procuravano le corde della chitarra. Lo guardo in viso ed il suo sguardo è fermo, rigido, per un momento quasi non lo riconosco. Lascio immediatamente le sue mani e faccio un piccolo passo indietro. Non dovrei essere qui. Non dovrei assolutamente essere qui.

«Scusa, io…» inizio, non sapendo di preciso cosa dire. Forse dovrei andar via. Sicuramente avrei dovuto farmi sentire prima per telefono o mandare un messaggio. Magari far dire a Candice del mio ritorno. «Io dovrei-»

«Ian.» Il suo sguardo si è forse un po’ addolcito. Sicuramente non è freddo come un minuto fa. Sembra più che altro confuso, ora.

«Non porti la fede» sussurro.

Non capisco se sia stanco, shockato, in panico o sull’orlo di una crisi di nervi. Non prova nemmeno a parlare. Mi osserva con quegli occhi che hanno dentro fin troppe emozioni per far si che le comprenda tutte.

Dio, è passato così tanto tempo.

«Papà, è arrivata la pizza?» urla una voce da bambino.

Questo spunta del soggiorno, i capelli scuri arruffati e tratti troppo simili a quelli del padre per non capire che quello è Marlon. Si aggrappa timido alla gamba di Michael e sussurra il mio nome. Come fa a saperlo? È impossibile che si ricordi di me. L’ultima volta che l’ho preso in braccio non aveva nemmeno due anni.

«Sì, è Ian» conferma Michael, sorridendogli.

Noto il modo in cui lo guarda e, per un momento, lo invidio profondamente. Se solo sei anni fa non mi fossi innamorato del mio migliore amico forse starei anche io con un bebè tra le braccia.

Mi inginocchio davanti al bimbo e lui mi guarda diffidente, sebbene sembri sapere che non sono una minaccia. «Ciao piccoletto. Hai gli occhi identici a quelli di tuo padre, sai?»

Accenna un sorriso che evidenzia ancora di più le due guanciotte dolci. «Me lo dice sempre la mamma» farfuglia.

Rivoglio a Michael uno sguardo che riesce a comprendere nonostante gli anni: che diavolo sta succedendo?

«Guarda, piccolo, è arrivata la pizza» dice a suo figlio, indicando poi qualcuno alle mie spalle.

Mi volto e noto un fattorino con un paio di pizze tra le mani.

«Grazie Nick, tieni il resto» gli dice, tirando fuori venti dollari e porgendoglieli.

Lui gli sorride, consegna le pizze e va via.

Michael mi intima di entrare, poi chiude la porta e si dirige in cucina, seguito del figlio. Io rimango fermo immobile ad osservare la casa. È più piccola rispetto a quella in cui viveva precedentemente, ma è comunque spaziosa. Ci sono un paio di divani nel soggiorno sulla mia destra e un tavolino di fronte ad essi. C’è una grande tv e una libreria non completamente piena. Dalla portafinestra le luci emesse dai lampioni per strada illuminano la stanza che sarebbe altrimenti troppo buia.

Michael torna dopo un minuto scarso e accende la luce nonostante non stiamo nella penombra. «Marlon è in cucina a mangiare. Vuoi un caffè? O… hai cenato?» La sua voce è rimasta roca ed intensa, ma sembra stanca, confusa.

«Sono apposto, grazie.»

Annuisce, poi si incammina verso il divano e si siede. Io lo seguo, prendendo posto accanto a lui, ma comunque ad una certa distanza. Intreccia le mani sulle cosce e guarda in basso.

Ho così tante domande da porre e cose da dire che non so da dove incominciare. Decido di iniziare da ciò che più mi confonde. «Cosa è successo con Nadine?»

Si passa una mano tra i capelli e si siede meglio. Ancora non incrocia il mio sguardo. Sembra in difficoltà. «È faticoso crescere un figlio, Ian.» Il modo in cui pronuncia il mio nome è lo stesso che mi ha fatto innamorare anni fa. «Soprattutto quando si hanno idee ed opinioni diverse su come crescerlo. Ed è difficile avere due lavori che ti portano in giro per il mondo.» Perché non arrivi al punto, Michael? «Abbiamo divorziato. Marlon aveva due anni; lo ho in custodia io.» Sembra pesargli mormorare quelle parole, come se fosse stato uno dei peggiori periodi della sua vita. Probabilmente è così. «Raccontami di te, Ian. Perché sei qui?»

Tiro un sospiro. Perché sono qui?

Lo guardo in viso e sembra stia combattendo con se stesso per impedirsi di guardarmi. «La vita a Los Angeles è figa. Non ci si annoia mai. C’è costantemente il sole, sai? Ho continuato a lavorare, ho portato avanti la fondazione e ho avuto una relazione di cui non mi pento» racconto.

«Sembri essertela spassata bene» osserva Michael con tono inespressivo, che guarda ancora la tenda davanti a noi.

«Abbastanza» rispondo. «Volevo persino sposarla, Nikki» continuo. Allora posa lo sguardo su di me. I suoi occhi scuri mi scrutano in una richiesta silenziosa di andare avanti. «Sono andato in gioielleria e mentre osservavo gli anelli pensavo a quanto fossero belli.» A quelle parole la sofferenza occupa il marrone dei suoi occhi e scaccia via il luccichio verde. «Poi ne ho visto uno e non ho potuto fare a meno di immaginarlo al tuo dito.»

Sgrana gli occhi, incredulo. Mi guarda fisso per qualche secondo, come a cercare di capire se menta o no. Alla fine sono io che distolgo lo sguardo, quando la sensazione di aver osato troppo si fa strada dentro di me e mi fa stringere il cuore. È che mi è mancato così tanto, soprattutto in questi ultimi giorni, da quando ho capito che il periodo migliore della mia vita sono stati gli anni che ho passato con Michael, non quelli accanto a Nikki. Mi è mancato così tanto che oggi ho avuto giusto il tempo di entrare in casa per posare la valigia e Moke, che già ero riuscito per venire qui. Ho pensato così tanto alle sue labbra che nel momento in cui volto di nuovo la testa verso di lui, sono loro ad attirare il mio sguardo, non più i suoi occhi che ora non la smettono di fissarmi.

«È successo tutto troppo tempo fa» commenta Michael, abbandonandosi sul divano e passandosi le mani sul volto, probabilmente ricordando chi eravamo cinque anni fa.

«So di non aver nessun diritto, Michael, ma sarebbe stupido dire che a me sembra passato solamente un giorno?»

«Ma il fatto, Ian, è che non è la verità. Sono trascorsi quattro anni in cui io ho passato di tutto, okay? Dal divorzio, alle discussioni pesanti per chi avrebbe ottenuto la custodia di Marlon, alla solitudine nei giorni in cui lui non è stato con me ed io ero solo in questa casa.» Michael alza il tono della voce, ma non più di tanto, essendo consapevole che di là c’è suo figlio che potrebbe sentire tutto. Ma in questo momento, sembra si stia sfogando ed io non posso che stare qui ed ascoltarlo in silenzio. «Tu non hai idea, Ian, di quanto ci abbia messo per andare avanti dopo che tu mi hai abbandonato.»

«Io non ti ho-»

«Non ci provare, Ian. Tu sei scappato e mi hai lasciato solo.» Si alza in piedi e mi punta il dito contro, ma non con cattiveria, non ne ha mai provata nei miei confronti. «Ed io ce ne ho messo di tempo prima di stare di nuovo bene.»

«Sai cosa?» sbotto all’improvviso, cercando di tenere il tono basso, ma alzandomi comunque in piedi per fronteggiarlo. «Hai ragione. Ho visto in Nikki un’opportunità per essere felice e l’ho colta appena ho potuto. Sono scappato via da te e dalla relazione complicata che avevamo, da te che avevi una moglie e un figlio. Sono scappato perché in quelle condizioni non saremmo mai stati felici. Ti do ragione, Michael. Ma ora io sono qui. Dammi del coglione perché non l’ho capito prima, dello stupido perché ci ho messo quattro anni, dell’ingenuo perché mi sono fiondato in casa tua, ma ci sono arrivato a capire che dalle cose non si scappa, che per quanto puoi correre veloce, prima o poi ti raggiungono tutte, se non le affronti. E chiamami pure sfacciato, ma è la verità ed ho bisogno di dirtelo: ho una voglia pazzesca di baciarti, Michael.»

Lui rimane in silenzio per istanti che sembrano infiniti dopo la mia dichiarazione, semplicemente fissando le mie labbra e lasciandomi fare lo stesso. Io sto ansimando per la foga che ho messo in quelle parole e mi rendo conto solo ora di aver fatto un passo in avanti mentre parlavo, quello che bastava per arrivare ad una spanna da lui.

«Sono passati quattro anni, Ian» dice, cercando di essere freddo, ma guardandomi con quegli occhi che si sono sciolti fin troppo facilmente dopo le mie parole. «Troppo tempo per far finta che non sia cambiato nulla.»

«Lo so, Michael, e lo capisco. Ma sono tornato e non ho intenzione più intenzione di scappare. Quindi sappi solo che io sono in città e che per ora non pretendo niente.»

Annuisce sostenendo il mio sguardo. «Okay.»

«Credo sia ora che vada a casa» mormoro, voltandomi ed avviandomi verso la porta.

Sento i suoi passi che si avvicinano e nel momento in cui mi giro per salutarlo, Marlon fa la sua entrata in soggiorno. «Ho finito papà.» Si tocca fiero il pancino e sorride genuinamente come solo i bambini riescono a fare.

«Vai in camera, ti raggiungo tra poco» gli risponde il padre, spettinandogli i capelli.

Lui fa come gli è stato detto e corre via. Michael si volta verso di me e restiamo ad osservarci secondi che sembrano ore. Decido di andar via, così gli do le spalle e poso una mano sulla maniglia. Sto per aprire, quando mi chiama. Lentamente mi giro a guardarlo. Sembra respirare faticosamente ed ha la bocca socchiusa.

«Sì?»

Scuote la testa. «Nulla.»

«Ciao, Michael.»

Non risponde; si limita ad osservarmi mentre apro la porta e vado via da lui.

 

 



22 agosto 2020 – Atlanta

 

«Chi non muore si rivede!» esclama Candice appena apre la porta di casa per farmi entrare. Mi intrappola in un forte abbraccio mentre io ridacchio, stringendola di rimando.

Ci rifletto solo ora su quanto mi erano mancati i miei vecchi colleghi e amici. Rivedere ieri Paul e Phoebe, oggi Candice… è bello rincontrare gente con cui passavi intere giornate, una volta.

«Allora, tutto bene?» chiedo sorridendole.

«Più che bene, in realtà» risponde facendomi cenno di seguirla in cucina. «Joe e i piccoli tornano tra un po’, quindi abbiamo tempo per raccontarci tutto. Un caffè?»

«Grazie» accetto sedendomi su una delle sedie accanto al tavolo.

Lei prepara il caffè, poi si siede accanto a me aspettando che sia pronto. «Dimmi tutto.»

Mi passo ansioso una mano tra i capelli e rivolgo lo sguardo al tavolo di legno su cui ho appoggiato le braccia. «È una storia lunga e complicata e molte cose che ti dirò ti sorprenderanno, non poco. Quindi, per favore, posso chiederti di rimanere in silenzio fino alla fine?»

«Assolutamente.» Annuisce, poi mi prende il viso per guardarmi negli occhi. «Nulla di ciò che dirai mi farà cambiare idea su di te, okay? Niente. Ti voglio bene, Ian, sempre.»

Le sorrido amaramente, ma con sincerità. Quelle parole fanno scivolare un po’ della tensione che si è accumulata sulle spalle. «Quando sono iniziate le riprese della quinta stagione io avevo ancora il cuore spezzato a causa di Nina ma, come sappiamo tutti, mi sono fatto forza e ho cercato di mettere da parte i miei sentimenti per essere il più professionale possibile.» Inizio a raccontare e lei non distoglie per un secondo lo sguardo da me. «I primi mesi sono stati un inferno. Paul aveva appena divorziato dalla moglie ed io non mi ero mai sentito così solo. Poi è arrivato Michael sul set e dal momento in cui i nostri sguardi si sono incrociati e la sua mano ha stretto la mia, ho capito che in quell’uomo c’era qualcosa di diverso.» Ricordare il nostro primo incontro fa più male di quanto avessi mai potuto immaginare. Lo stomaco mi si stringe e devo fare un respiro profondo prima di riuscire a continuare. Candice mi mette la mano sul braccio e stringe amichevolmente, sorridendomi tranquilla. «Si è subito stretto un legame, tra di noi. Da quel giorno ho avuto qualcuno con cui suonare la chitarra, con cui prendermi sbornie nonostante l’età, a cui parlare di tutto sapendo di non esser mai giudicato. Gli raccontavo di Nina e lui mi raccontava di sua moglie. Tirava fuori aneddoti risalenti alla sua adolescenza e riusciva sempre a strapparmi un sorriso. Poi Nina è andata avanti ed io anche. Ma, improvvisamente, non ero più solo.»

«Dio, Ian» mormora lei scuotendo la testa. La guardo interrogativa e lei rimane qualche secondo ad osservare i miei occhi lucidi. «Ti sei innamorato di lui, non è vero?»

Rimango a fissarla in silenzio, senza riuscire a rispondere, anche se sussurrare un “sì” non dovrebbe essere così difficile. «Come…?» riesco a mormorare.

«Ti si legge negli occhi.»

Rimango in silenzio ancora una volta, senza sapere cosa rispondere ad affermazioni del genere.

«Continua.» Il tono di voce è calmo e capisco che sta cercando di non giudicare. Non prima di sapere tutta la storia. Una caratteristica di lei che ho sempre adorato.

«Lui era sposato, però, quindi le cose sono sempre state complicate. Cioè, inizialmente era per entrambi una splendida amicizia; nessuno dei due avrebbe mai pensato di provare sentimenti per l’altro. Fino a quando una sera è successo che eravamo sul mio divano a sparare cazzate come avevamo sempre fatto, mezzi sbronzi e lui mi ha baciato. Non me lo aspettavo. Si è scusato e stava per scappare via quando l’ho preso per la maglia e l’ho fatto sedere di nuovo accanto a me. Ho stupito non solo lui, ma anche me stesso, quando l’ho baciato. Da quella sera è stato sempre peggio e sempre meglio contemporaneamente. Ci sono stati altri baci, c’è stato il sesso, ci sono stati i ‘ti amo’ e il cercare continuamente nascondigli per non farci scoprire da nessuno del cast o da sua moglie. Però allo stesso tempo non mi sono mai sentito così bene, così vivo. Lo amavo e sapevo che, nonostante tutto, lui provava lo stesso. Poi è nato suo figlio e la situazione è degenerata. Lui non aveva più tempo per cazzeggiare con me. Io avevo conosciuto Nikki e quando ho notato che io e lui non riuscivamo più a stare insieme, abbiamo ufficializzato la cosa. Michael se l’è presa tantissimo anche se non aveva nessun diritto, essendo lui stesso sposato. Io ho imparato ad amare Nikki e lasciar da parte Michael. I primi mesi è stato facile: io e lui non giravamo mai insieme visto che le scene le avevo tutte con Kat. Poi Damon ed Enzo sono tornati e con loro i baci occasionali e le pomiciate nei camerini.» Mi fermo un attimo, poiché per continuare devo rivivere uno dei momenti più difficili di sempre e non credo di essere ancora pronto. Non sarò mai pronto a rivedere nella mia mente gli occhi pieni di lacrime di Michael mentre gli dico addio.

«Il caffè» sussurra Candice, alzandosi per versare quello nelle due tazzine che aveva preparato in precedenza.

Colgo l’occasione per riprendere fiato e far calmare il mio cuore, che batte ora esageratamente veloce. Mi asciugo, con la mano destra, la lacrima che sta per sfuggire al mio controllo ed osservo Candice prendere le due tazze e porgermene una. Beviamo in silenzio; lei comprende che ho bisogno di qualche minuto e me lo concede. Io lo sfrutto al massimo.

Dopo esser passati cinque minuti, però, mi sembra il caso di farmi forza e continuare a raccontare. «Prima della fine delle riprese della settima e ultima stagione» inizio, e Candice riporta la sua attenzione su di me, «io e Nikki avevamo deciso di andare a vivere insieme, da lei, a Los Angeles, solo che il tempo passava ed io rimandavo continuamente il giorno in cui l’avrei detto a Michael. Un giorno sono entrato nel suo camerino per dirglielo ma non sono riuscito a spiccicare parola. Sono scoppiato a piangere e lui è corso ad abbracciarmi. Io in quel modo però mi sentivo ancora peggio poiché sapevo che dopo aver detto ciò di cui dovevo informarlo non avrebbe più voluto abbracciarmi in quel modo. Così mi sono fatto forza e l’ho allontanato. Gli ho detto che la amavo e che mi sarei trasferito. Era sconcertato, allibito. Mi ha chiesto di ripetere e poi mi ha fatto fermare appena ho nominato il suo nome. Mi ha detto che non potevo farlo, non potevo lasciarlo. Mi ha detto di amarmi ed io non ho saputo rispondergli. Non perché avevo smesso di amarlo, ovvio che no. Ma ho pensato che se lui avesse pensato quello mi avrebbe lasciato andare con più facilità.» Prendo un respiro profondo e mi asciugo con il dorso della mano sinistra la lacrime che sta rigando il mi volto. «Ho provato a baciarlo, mi ha allontanato. Ho provato ad accarezzarlo e ha fatto un passo indietro. Così sono andato via.»

«Hai davvero dovuto affrontare tutto questo da solo?» sussurra lei, prendendomi una mano nella sua. Mi guarda con occhi pieni di tristezza e comprensione, ma non pena. Non proverà mai pena nei miei confronti ed è un’altra delle cose che mi ha spinto a rivelarle tutto.

«Paul era l’unico a sapere tutto» mormoro, ricordando le volte in cui correvo da lui per raccontargli cose appena successe o per chiedere un consiglio. Era l’unico che riusciva a farmi ragionare e l’unico che mi è sempre stato accanto. «Ma non è finita qui» dico, tirando su la testa e incrociando nuovamente il suo sguardo. «Ho vissuto quattro anni con Nikki e –se non consideriamo il primo mese- io ero felice. La amavo davvero, tanto da volerla sposare. Sono andato in gioielleria e nel momento in cui mi sono soffermato su un anello, ho pensato a Michael. Era tanto che il pensiero di lui non mi sfiorava la mente, ma in quel momento l’immagine di lui sull’altare con me era più forte di qualsiasi altro desiderio. Sono tornato a casa e ci ho riflettuto un paio di settimane. Ho pensato che magari anche lui mi aveva ancora nella testa ed io non avrei mai potuto vivere con il rimorso. Non volevo andare avanti ogni giorno della mia vita chiedendomi cosa sarebbe successo se avessi scelto diversamente e pentendomi di non averlo fatto. Così l’ho detto a Nikki, a grandi linee e lei mi ha detto che non sarebbe più stata lì se non fosse andata come volevo io. Ho scelto di rischiare. Ho mollato tutto e sono volato qui.»

«Lo hai già visto?»

Annuisco. «Sono andato da lui la sera stessa in cui sono atterrato. Mi ha detto del divorzio e io gli ho raccontato la mia storia, compreso il fatto dell’anello. Abbiamo discusso. Lui mi ha accusato di averlo lasciato solo per anni ed io non ho potuto che trovarmi d’accordo, ma gli ho detto che sono tornato e non credo c’era il bisogno di sottolineare che sono qui per lui, questo dovrebbe averlo capito. Ha ammesso che gli serviva tempo, così ho detto che comprendevo e sono andato via.»

«Wow. È… tanto. Non ho idea di come riesca a tenere sotto controllo tutto ciò, Ian, davvero. Hai idea di cosa farai ora?»

«No, in realtà no. Credo che semplicemente aspetterò, gli darò tutto lo spazio che vuole. Ciò che mi preoccupa di più è il fatto che ha un figlio. Un figlio che è abituato ad andare a trovare la madre. È ciò che più potrebbe impedire a Michael dire di sì ad una relazione seria con me. Come gliela spieghi ad un bambino di… quanti? Sei anni?, la presenza di un uomo nel letto di suo padre?»

Candice sospira, probabilmente perché pensa che io abbia ragione. Mi sto rendendo conto solo ora della vera complicazione di tutto ciò e di come potrei letteralmente stravolgere la vita di un uomo, ma la cosa più mi lascia senza fiato, è il fatto che continuo a non pentirmi di nulla.

«Io credo che vedendoti continuamente con lui semplicemente diventerà abitudine.» Mi guarda, cercando di leggere i miei pensieri. Io rispondo titubante allo sguardo. «Non credi?»

«Non lo so, credo che tocchi a lui decidere il modo in cui crescere il proprio figlio.»

«O magari ci penserete insieme» propone lei, senza riuscire a nascondere un sorriso. «Hai sempre voluto un figlio tu, no?»

Apro la bocca per rispondere, quando suona il campanello.

«Sarà Joe» dice Candice sorridente, alzandosi per andare ad aprire la porta.

Mi alzo anche io per andare a salutarlo, ma quando Candice apre la porta, gli occhi scuri che si fissano su di me, non sono per niente quelli di suo marito.

La bionda fa cenno a Michael di entrare, ma lui nemmeno la guarda. Sembra essersi immobilizzato dopo avermi visto in casa. La mia mandibola è arrivata al pavimento, mentre osservo interamente la sua figura, leggermente nascosta dalla nostra comune amica. Quest’ultima osserva lui, poi si gira a guardare me. «Vi lascio soli» bisbiglia, per poi passarmi accanto e sparire nel corridoio che porta probabilmente alle camere da letto.

Scuoto la testa e faccio un paio di passi in direzione di Michael. «Ciao» sussurro senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi.

«Cosa ci fai qui?» chiede, tornando in sé.

«Vengo a trovare una vecchia amica. Tu che ci fai qui?»

«Non eri a casa» risponde subito. «Candice è l’unica con cui sono rimasto in contatto. Ho pensato che avevi per forza dovuto parlare con lei per sapere il mio nuovo indirizzo.»

Annuisco. «Perché mi cercavi?»

Il cuore accelera i suoi battiti e devo dire ai miei polmoni di continuare a respirare regolarmente e mantenere la calma. Mi sento sempre di più un ragazzino di quindici anni e questo non mi succedeva dall’ultima volta in cui abbiamo fatto l’amore sulla scrivania del mio camerino, dimenticandoci di chiudere la porta a chiave, possibilmente sgamabili da qualunque membro del cast.

«Ricordi ciò che ho detto sul divorzio?» Annuisco ancora. «Non era del tutto vero.» Sospira. «Il fatto è che nel momento in cui tu sei andato via, io sono crollato, Ian. Non sono più riuscito a portare sulle spalle l’intero peso della mia famiglia. Ho lasciato cadere mia moglie e lei non è più voluta salire. Io non l’ho forzata. Eri tutte le mie forza, Ian.»

Non rispondo. Guardo i suoi occhi pieni di lacrime e risento nella mia mente l’eco della sua ultima frase, sussurrata con voce spezzata. La distanza tra noi è tanta da impedirmi di sfiorargli il volto con la mano. Perciò rimango immobile e mi limito ad osservare le occhiaie che due giorni fa non aveva e la barba che non si è disturbato di accorciare.

«Di’ qualcosa» mi supplica, spostando il peso del suo corpo da una gamba all’altra.

«Mi era mancato sentirti parlare attraverso le metafore.»

Scoppia a ridere di una risata nervosa, che so lo aiuta a sciogliere qualche tensione. Quel suono roco che io non posso che trovare armonioso, mi fa sorridere sinceramente, come non facevo da giorni a causa dell’ansia che mi faceva stringere lo stomaco ogni minuto. Le rughe agli angoli degli occhi sono il segno degli anni che sono passati, ma le fossette ai lati della bocca sono le stesse che ho notato la prima volta che ha riso insieme a me.

Torna serio e fa un passo verso di me, posando delicatamente una mano sulla mia guancia sinistra. Le sue mani sulla mia pelle mi hanno sempre provocato tanti piccoli brividi sulla mia schiena e noto con piacere che questa è una delle cose che non è cambiata.

«Sei un bastardo, Ian, e tornare nella mia vita dopo quattro anni di assolutamente nulla, è stata forse la bastardata più grossa che tu abbia mai fatto. Ed io vorrei così tanto voltarti le spalle e continuare a vivere la vita che mi sono costruito con mio figlio, ma se così facessi io la notte continuerei a ricordare i tuoi occhi che mi guardano nello stesso modo in cui stanno facendo ora e ne uscirei pazzo a sapere che avrei potuto averti di nuovo accanto a me e non ho colto l’occasione.»

«Io non voglio forzarti, Michael. Per me puoi anche andare via e tornare tra due mesi o tra un anno intero, io sarò qui. Non devi dire di sì a qualcosa che non sei pronto ad affrontare.»

Inizia a grattarmi dolcemente la guancia, mi accarezza la barba che, se avessi saputo di incontrare Michael, avrei sistemato, e sospira piano. «Non voglio aspettare due mesi, figurati un anno.»

Chiudo gli occhi e porto entrambe le mie mani sulla sua nuca. Avvicino il mio viso al suo e faccio sfiorare le nostre fronti.

«Forse possiamo imparare ad amarci ancora» sussurra con un fil di voce.

Scosto un po’ la testa per guardarlo negli occhi. «Forse non abbiamo mai smesso.»

Posa entrambi le mani sui miei fianchi e fa scontrare il mio corpo con il suo. I nostri petti che si alzano e abbassano velocemente e in sincronia sono uno a contatto con l’altro e le nostre labbra si sfiorano senza realmente toccarsi. Rimaniamo a respirare uno sull’altro per un’abbondante manciata di secondi, fino a quando la situazione è troppo per entrambi e ci fiondiamo contemporaneamente sulle labbra dell’altro. Stringo i suoi capelli tra le mie mani mentre lui mi avvicina ancora di più a sé portando le mani sulla mia schiena.

Le sue labbra sono ancora morbide e ancora gentili, nonostante il bisogno insistente da parte di entrambi di riempire questi anni che son stati fin troppo vuoti senza l’altro. La sua lingua sfiora delicatamente la mia mentre mi accarezza i fianchi. La frenesia iniziale si trasforma in dolcezza e quel bacio diventa ciò che, mi rendo conto ora, ho desiderato per troppo tempo seppur non sapendolo.

Mi lascia andare dopo qualche secondo per fare in modo che entrambi riprendiamo fiato. Ha ancora le sue mani sulla mia vita, però, ed io continuo ad accarezzargli i capelli mentre ci guardiamo sorridendo.

«Sei bello quanto la prima volta che ti ho visto.»

Chiudo gli occhi e sospiro. Con le mani scendo ad accarezzargli il busto, fino ad arrivare all’orlo della sua maglietta. Infilo le mani sotto e tocco il suo corpo caldo come ero abituato a fare anni fa, mentre con il mio naso sfioro il suo dolcemente. «Andiamo a casa?»

Annuisce, apriamo entrambi gli occhi e ci guardiamo un’ultima volta, prima che io prenda la sua mano ed intrecci le nostre dita. Mi volto e cammino insieme a lui verso il corridoio. «Biondaaaaaaaaaa» urlo, facendo ridacchiare Michael.

Lei spunta fuori da una delle porte precedentemente chiuse. «Si?»

«Grazie di tutto» le dico andandola ad abbracciare. Le cingo la vita con un braccio, mentre l’altro rimane dietro, legato a quello di Michael.

«Sono sempre qui» risponde sorridendoci. Scioglie l’abbraccio e si sofferma a guardare le nostre mani intrecciate. «Ciao Malarkey» lo saluta, alzandosi un punta di piedi per baciargli una guancia.

«Salutami Joe e i gemelli!»

Risponde affermativamente, poi io e Michael usciamo da casa sua e camminiamo verso l’uscita del palazzo.

«Hai la macchina?» mi chiede.

«No, sono a piedi. Tu?»

«Si, vieni.»

Inizia a quasi a correre verso la sua Audi bianca, trascinandomi con sé. Lascia la mia mano per mettersi al volante ed io entro al posto del passeggero. Ci mettiamo nemmeno dieci minuti ad arrivare a casa mia, essendo questa abbastanza vicina, ma sembra davvero passata una vita quando infilo le chiavi nella serratura.

«C’è polvere ovunque, è possibile che troviamo persino ragni in giro, ti avverto» dico aprendo la porta e richiudendola appena entra anche lui. Lancio le chiavi sul divano del soggiorno e mi volto a guardarlo.

«Non mi interessa» risponde.

Allora lo bacio ancora e ancora, fino a quando le labbra di entrambi si fanno più rosse del solito. Infilo nuovamente le mani dentro la sua maglietta, ma stavolta gliela levo. Lui mi sorride; negli occhi non ha più il dolore che gli avevo visto due giorni fa. Passo le mani sulle sue spalle e sul suo petto. Le fermo lì per riavvicinarmi e pressare di nuovo le labbra sulle sue. Sfila la mia maglia e osserva il mio corpo come era sempre solito fare. Io lo prendo per mano e lo porto in camera mia. Mi prende in braccio e mi adagia sulle coperte, mettendosi a cavalcioni su di me e sorridendomi felice. Si abbassa a baciarmi e facciamo scontrare le nostre lingue per la seconda volta oggi.

Si allontana per guardarmi, ma io non gli do il tempo di farlo. «Non smettere di baciarmi.»

Così mette le sue mani sul mio petto e posa di nuovo le sue labbra sulle mie. E forse è questa la libertà, penso. Forse sentirsi liberi equivale a sentirsi in pace.

«Mi è mancato fare l’amore con te, Ian» sussurra sulle mie labbra prima di impossessarsene di nuovo.

Ma stavolta sono io che lo allontano per guardarlo serio. «Dovremmo assolutamente smettere di comportarci in modo così sdolcinato.»

Michael scoppia a ridere ad un centimetro della mia bocca, così bacio la sua risata, prima che possa affondare il viso nel mio collo e abbracciarmi stretto.

«Ti rendi conto che dobbiamo recuperare quattro anni di baci, abbracci e coccole varie?» chiedo ad occhi chiusi, sorridendo al pensiero.

«Tranquillo, abbiamo tutta la vita» risponde al mio orecchio, per poi scendere a baciare il mio collo.

Vengo immediatamente scosso da continui brividi, inizialmente per le parole che ha detto, poi per i mille baci che mi sta lasciando.

Tutta la vita. Vuole rimanere con me tutta la vita.

Mi prende un lembo di pelle tra i denti e inizia a succhiare, lasciandomi un succhiotto che, per la prima volta, sono sicuro non cercherò di coprire in ogni modo possibile. Fa scivolare le mani sull’orlo dei jeans e me li sbottona. Abbassa la zip mentre mi guarda negli occhi, poi alzo il bacino per aiutarlo a sfilarmeli.  Li lascia all’angolo del letto, poi si leva i suoi. Torna a baciarmi con la leggera differenza che stavolta le nostre erezioni si sfregano piacevolmente. Piccoli gemiti escono dalle mie labbra, così come dalle sue. Mi bacia il petto, poi scende sugli addominali e risale a mordermi il labbro inferiore. Io sorrido a questo suo continuo bisogno di dimostrarmi attenzioni che non è cambiato con il tempo e lo prendo per il collo per baciarlo per bene. Poi il collo glielo bacio e posso sentire la barba che mi solletica piacevolmente.

«Michael» lo chiamo, tirandomi su con il busto e portando lui con me. «Un attimo.» Ci sediamo di fronte, le gambe di uno intrecciate dietro la schiena dell’altro. Gli accarezzo il volto con entrambe le mani. «Marlon?»

«È con Nadine» risponde calmo.

Annuisco. «Come pensi la prenderà?»

Si prende qualche secondo per rispondermi. «Non lo so, Ian, ma non ho intenzione di rinunciare a te.»

«Non voglio intralciare il vostro rapporto» ammetto scuotendo la testa.

Lui me la prende tra le mani e mi bacia dolcemente. «Non succederà. Per ora in sua presenza saremo discreti, abituiamolo a vederci insieme. Poi quando sarà più grande gli parleremo. Okay?»

«Non ci credo che stiamo insieme da mezz’ora e già parliamo del nostro futuro» mormoro ridacchiando. Se solo non fosse stato così complicato, all’inizio, magari avrei provato questa immensa felicità già cinque anni fa. Ma ciò che è fatto è fatto, no? Siamo qui ora, è tutto ciò che conta.

«Ho già provato a vivere una vita senza di te, Ian. Non si vive bene. Non voglio provare di nuovo quelle sensazioni. Mai più.»

«Mai più» ripeto annuendo. Lo bacio e lui mi fa nuovamente stendere. A spogliarci anche dell’intimo ci mettiamo qualche secondo e il fare nuovamente l’amore dopo tanti anni è un riscoprirsi tanto piacevole che quando finisce tutto ci diamo giusto il tempo di riprendere fiato, prima di ricominciare a baciarci come se la vera aria fossero le labbra dell’altro.

 

 

 

7 settembre 2021 - Atlanta

 

La persona che vedo nello specchio è ansiosa, ha le mani che le sudano e respira faticosamente. Ha addosso uno smoking ed una camicia bianca, con una cravatta che le stringe troppo il collo.

Se qualcuno mi vedesse, penserebbe che sto per avere un attacco di panico. Ma la verità è che io non sono mai stato più sicuro di una scelta in tutta la mia vita. È vero che se potessi brucerei questi vestiti e mi infilerei una canottiera e un jeans, è vero anche che ho il cuore che martella tanto forte nel petto da farmi percepire i battiti anche senza pressare sulle vene del polso. Ma il pensiero di tirarmi indietro non mi sfiora nemmeno la mente.

Dopo la sera di un anno e sedici giorni fa, io e Michael abbiamo trascorso ogni singola ora semplicemente amandoci. Gli ho detto di nuovo di amarlo dopo esattamente sedici giorni. Lui mi ha risposto senza esitazioni ed è per questo che quando il giorno del mio compleanno mi ha chiesto di sposarlo e abbiamo immediatamente iniziato ad organizzare tutto, non abbiamo avuto dubbi sulla data.

A Marlon sono subito stato simpatico ed aveva ragione Candice sul fatto che si sarebbe abituato a vedermi a casa loro. Il piccolo stava dalla madre solo un giorno alla settimana, perciò di solito ero io ad andare a casa di Michael, fino a quando non ci siamo resi conto che ormai dormivo da lui due giorni sì e uno no e che quindi tanto valeva che rimanessi lì definitivamente. La maggior parte dei miei vestiti era già lì e anche la mia chitarra. Ho fatto in modo che Michael ricominciasse a suonare e Marlon dopo un po’ ci ha preso gusto a guardarci mentre strimpellavamo canzoni varie. Per fare l’amore aspettiamo ogni sera che Marlon dorma e non sono poche le volte in cui il padre va in camera sua e gli canta qualcosa per farlo addormentare tra le sue braccia. Io, dopo un anno, ancora mi sciolgo davanti a quella visione.

Ovviamente non è stato tutto rosa e fiori e non lo è tutt’ora. Io mi incazzo quando si scorda di prepararmi il caffè di prima mattina e lui mi urla contro ogni volta che rifaccio il letto in modo sbagliato. Inizialmente discutevamo ogni fine settimana su chi sarebbe dovuto andare a fare la spesa, poi abbiamo trovato un accordo che consiste nell’andare insieme e portare con noi Marlon, così che il tutto non sarebbe stato noioso. Una volta ho messo una sua maglia chiara nella stessa lavatrice in cui erano già pronti dei panni scuri. Si è rovinata irrimediabilmente e mi ha tenuto il broncio per due giorni. Ho dovuto aspettare che il venerdì uscisse per portare Marlon da Nadine per riempire il salotto di rose e cadere in uno dei cliché più ridicoli di sempre. Inutile dire che quando è tornato è rimasto più sorpreso dal fatto che non ero riuscito a finire la doccia e che quindi mi sono presentato davanti a lui con solo un asciugamano intorno alla vita, che dai petali di rose per tutta casa.

Marlon non l’ha presa male quando ci ha trovati una mattina di dicembre, qualche giorno dopo la proposta, a baciarci uno tra le braccia dell’altro, in piedi appoggiati contro il tavolo della cucina, attendendo che il caffè fosse pronto.

 

 

Guardo Marlon, che ci osserva con la bocca socchiusa, forse non capendo cosa sta realmente accadendo, poi sposto lo sguardo su Michael, che è titubante. Lo vedo annuire leggermente, poi si avvicina al figlio e si inginocchia davanti a lui. Si volta verso di me e mi fa segno di fare lo stesso.

«Ora ti racconto una storia, che ne dici?» dice al figlio, che si limita ad osservarlo. «Vieni, andiamo sul divano.» Lo prende in braccio e lo porta in soggiorno. Io mi occupo di spegnere il fornello acceso, prima di seguirli. Quando arrivo da loro, noto che Michael ha fatto sedere Marlon accanto a sé e tiene un album tra le mani. Mi fa spazio vicino a lui ed io mi siedo, poi sfoglia le pagine fino ad arrivare ad una foto di me e lui in cui ridiamo. Ricordo ancora quanto ho amato quella foto, anni fa. «Hai già visto questa foto?»

«Sì, le ho viste tutte» risponde Marlon.

«Bene, ora ti parlo di questo pomeriggio con Ian.» Fa una pausa in cui prende la mia mano tra la sua, poi continua a parlare. «Avevamo finito di girare delle scene sul set ed eravamo andati nel mio camerino per rilassarci un po’. Ad un certo punto ho notato che Ian mi stava fissando e gli ho chiesto il motivo. Lui ha indicato i miei baffi troppo accentuati rispetto al resto della barba e mi ha detto che ero ridicolo in quel modo. Io mi sono offeso e gli ho voltato le spalle, ma lui ha iniziato a ridere e a farmi il solletico fino a quando non gli ho di nuovo rivolto lo sguardo, sorridendo. Ha deciso di immortalare il momento e ha messo la foto come sfondo del mio cellulare per far sì che ogni volta, prima di uscire di casa, io la riguardassi e mi rendessi conto quando fossi brutto con la barba in quel modo. Da quel giorno non ci fu una volta in cui la mia barba non fosse perfetta.»

«Beh, eri davvero brutto, papà» osserva Marlon.

Io scoppio a ridere e Michael mi guarda male, ma poi sorride con me. Batto il cinque al piccolo, a cui lancio uno sguardo d’intesa.

«Continua» sussurro all’orecchio di Michael, che annuisce.

«Ora, ti ho già raccontato come ho conosciuto la mamma, non è vero?» Marlon annuisce. «Sai che è successo tanti anni fa e che nel tempo ci siamo innamorati sempre di più, tanto da decidere di sposarci ed avere te. Qualcosa è successo, però. Io sono venuto qui ad Atlanta a lavorare e ho conosciuto Ian.» Si ferma per sospirare e probabilmente per cercare le parole giuste. Io gli stringo forte la mano cercando di dargli forza e coraggio. Lo vedo accennare un sorriso. «Lui, quando io ero triste, diceva sempre cose stupide per farmi sorridere, sai? Ed io ridevo sempre con lui. Come è successo quel giorno in cui abbiamo scattato la foto. Solo che un giorno è dovuto andare via ed io non avevo più nessuno con cui ridere. La mamma era sempre dispiaciuta del fatto che io sorridevo poco, ma io non volevo vederla infelice, così sono andato via. Ed ora Ian e tornato, ed io sorrido sempre.»

«Quindi anche io quando sono triste potrò andare da Ian?» chiede Marlon entusiasta.

«Certo piccoletto» rispondo allora, sporgendomi per passargli una mano tra i capelli. «Ho intenzione di far ridere te e il tuo papà per tutta la vita, è un problema per te?»

Lui scuote la testa con forza e salta giù dal divano per abbracciarmi. Mentre mi stringe mi volto verso Michael, che sta sorridendo e mi sta rivolgendo quel tipo di sguardo che rivolge solo a me. «Ora vatti a vestire, piccoletto, che tra un po’ è pronta la colazione.»

Marlon mi lascia e corre in camera sua. Michael aspetta che lui abbia svoltato l’angolo per prendere entrambe le mie mani e far intrecciare le nostre dita. «Grazie per essere sempre così meraviglioso.»

Mi avvicino per pressare le mie labbra sulle sue in un bacio leggero che però contiene tutto l’amore che provo per lui.

«Grazie a te per darmi la possibilità di esserlo.»

 

 

Mi è capitato di vedere Nadine un paio di volte. L’imbarazzo da parte mia è stato palese entrambe le volte, ma fortunatamente ero sempre con Michael e non ho mai dovuto fare affidamento sull’uso della parola. La cosa positiva è che, nonostante mi incolpi della rottura tra lei e Michael, non mi odia per vivere nella stessa casa di suo figlio e per crescerlo nello stesso modo in cui fanno i suoi genitori.

«Ehy amico, come stai?» La voce del mio testimone di nozze, appena entrato nella stanza, mi distoglie dai miei pensieri. Mi fronteggia e mi mette una mano sulla spalla. Ha un vestito grigio con una camicia bianca, i capelli ovviamente sistemati perfettamente e con cura. Lui ha chiarito con Michael il motivo per cui si era allontanato ed ora sono di nuovo amici come un tempo.

«La verità?» dico e lui annuisce. «Vorrei andare da lui, prenderlo e scappare. Andare via da qui e tutto questo. Passare direttamente al viaggio di nozze, senza tutta questa gente che deve osservare il nostro amore. Però dall’altra non sono mai stato così sicuro di una mia scelta in tutta la mia vita. Voglio sposarlo, voglio essere suo per sempre. E voglio che le persone invidino ciò che abbiamo. Mi rende egoista questo?»

Paul scuote la testa. «No. Credo sia giusto. Ed il tuo ragionamento non fa una piega. Però già pensare che sarete in due dovrebbe alleggerire il peso, no? »

«Assolutamente» rispondo annuendo. «A proposito!» esclamo, facendo un passo indietro. «Non posso assolutamente vederlo in smoking davanti a tutta quella gente senza averlo visto prima. Non ho autocontrollo, gli salterei addosso.»

«Oh, lo farai» risponde ridendo.

Lo guardo stranito, così si affretta ad aggiungere: «L’ho visto prima di venire qui. È un gran bel figo.»

«Cazzo, non dire così.» Mi passo una mano tra i capelli e sospiro nervoso. «Devo vederlo.»

«Non si può vedere lo sposo prima della cerimonia» mi ricorda Paul.

«Non era la sposa, una volta?»

«Non in questo caso, amico.»

Grugnisco e mi volto di nuovo verso lo specchio. Mi sistemo un ciuffo e passo una mano sulla giacca un po’ spiegazzata dai miei precedenti movimenti. «Ma quanto manca? Sono due ore che sto qui dentro.»

Lo osservo mentre tira fuori il cellulare dalla tasca e vede l’orario. «Dovrebbero mancare dieci minuti, ma mi ha detto Candice, che è con Michael, che appena era pronto mi avvisava.»

«Quanto cazzo ci mette quel bastardo?» sbotto nervoso. Perché sono nervoso, ora? Prima ero tranquillo, anche se un po’ teso.

«Ti ricordo che “quel bastardo” lo stai per sposare» osserva Paul ridacchiando.

«Oddio» mormoro. «Mi sto per sposare. E non mi ricordo la promessa che avevo scritto. Oddio» ripeto, iniziando a sudare freddo.

«Ian Somerhalder che ha un attacco di panico. Non credevo avrei mai assistito ad una scena del genere» dice Paul, che guadagna un mio sguardo omicida. «Amico, guardami» continua con tono pacato, stavolta, rassicurante. «Non c’è bisogno che te lo ricordi io che lo ami, giusto?»

«Giusto.»

«E se arriverai davanti a lui senza ricordarti la promessa che avevi intenzione di recitare, improvvisi. Non dovrebbe essere un problema, no? Dì quello che provi per lui ed andrà tutto bene, anche perché non credo si aspetti chissà cosa, già è consapevole dell’intensità con cui lo ami.»

Faccio un paio di passi in avanti e stringo Paul in un abbraccio che ricambia senza pensarci due volte. «Grazie amico.»

In risposta mi dà due pacche sulla schiena e finalmente mi calmo. Sto per sposare l’uomo della mia vita. Non ho ragione di essere nervoso.

Il momento viene interrotto da un bussare frenetico alla porta. Sciolgo l’abbraccio e va Paul ad aprire. Entra nella stanza una Candice bellissima nel suo vestito rosa pelle. «Come stai?»

«Agitato e tranquillo allo stesso tempo. Lui?» rispondo velocemente.

«Ho dovuto trattenerlo per non farlo correre qui.»

Paul scoppia a ridere ed io con lui. Butto la testa all’indietro, sfruttando quell’attimo di ilarità per rilassarmi il più possibile. Quando torno a guardare Candice, questa sembra a dir poco confusa.

«Non è colpa tua» inizia a spiegare Paul. «È che io ho dovuto fare lo stesso con Ian qualche minuto fa.»

«Aah» sussurra lei, ridacchiando. «Comunque, è pronto. Quindi possiamo iniziare.»

«Okay. Posso farcela.» Prendo un respiro profondo e sorrido ad entrambi, annuendo.

«Certo che ce la fai» mi incoraggia Paul, con l’ennesima pacca sulla spalla.

Usciamo insieme dalla stanza, poi Candice va a sedersi con gli altri invitati, mentre Paul rimane affianco a me, davanti ad una porta chiusa. Parte una dolce melodia suonata dai violinisti in sala, che ci fa capire che i testimoni devono entrare.

«Sai quando è il tuo turno, no?»

«Certamente» rispondo, poi sorrido al mio migliore amico, che apre la porta ed entra.

Io rimango nascosto, attendendo il momento in cui anche a me toccherà varcare quella soglia. Mi si stringe lo stomaco, inizio ad essere percorso da brividi e l’ansia si impossessa di me. Continuo a respirare profondamente, pensando che non sto facendo nulla di complicato, nulla per cui devo aver paura. Sto solo per guardare negli occhi l’uomo che amo, dirgli tutto ciò che provo per lui davanti a centinaia di persone e infilargli una fede al dito. Non è nulla di che, no?

Le note della versione acustica di Teenage Dream arrivano velocemente fino alle mie orecchie e per un momento prendo in considerazione l’idea di correre da Michael prima che entri e scappare via. Mi passo una mano sul viso, poi la metto sulla maniglia della porta.


You think I’m pretty without any makeup on.
 

Esercito la pressione necessaria ed apro timidamente, affacciandomi in sala. Michael è nella mia stessa situazione, dal lato opposto della stanza. Nel momento in cui incrocio il suo sguardo il cuore mi si ferma nel petto. Contemporaneamente quegli occhi scuri mi danno tutta la forza che mi serve per entrare e chiudermi la porta alle spalle.

 
You think I’m funny when I tell the punchline wrong.
I know you get me so I let my walls come down, down.
 

Lo osservo da capo a piedi e non riesco ad attribuirgli un aggettivo che non sia perfetto. Il cuore mi inizia a battere veloce nel petto mentre mi incammino verso di lui, con in sottofondo la nostra canzone. Non guardo la gente alla mia sinistra, nonostante senta ogni singolo sguardo su di noi. I miei occhi non riescono a smettere di fissare Michael con la stessa intensità con cui mi sta fissando lui. Sono sette anni che lo conosco eppure non credo di averlo mai visto più bello di così. Sono perfetti i capelli, la barba di un giorno, la camicia che aderisce perfettamente sul suo petto e lo smoking che calza a pennello. È perfetto il modo in cui cammina, ma questo me lo dico ogni volta che lo fa.


Before you met me, I was alright but things
Were kinda heavy, you brought me to life.
Now every February, you’ll be my Valentine, Valentine.


Accenna un sorriso durante l’ultima frase ed io non posso che ricordarmi di quel tweet di sei anni fa.

Ormai la distanza che ci divide è davvero poca ed io penso che nel momento in cui saremo a meno di un metro di distanza io non riuscirò a frenarmi dal baciarlo e dirgli che lo amo così fottutamente tanto.


Let’s go all the way tonight
No regrets, just love.
We can dance until we die
You and I
We’ll be young forever
 

Eccoci qui, entrambi davanti al tavolo su cui è appoggiato Bryn -a cui ho cortesemente chiesto di sposarci, essendo il mio migliore amico di una vita- a guardarci negli occhi e sorridendoci nervosamente. Fa un passo verso di me e mi sussurra all’orecchio: «Non sei mai stato così bello.»

Brividi mi percorrono la schiena nel momento in cui sento la sua voce roca e per un momento lo detesto, poiché sa che i mormorii all’orecchio sono il mio punto debole. Poi lo guardo negli occhi e passa tutto. Gli sorrido, un sorriso vero e mimo con le labbra le parole “Ti amo”.

Prendo entrambe le sue mani e per un momento osservo gli invitati. C’è Candice in prima fila che si sta asciugando la lacrima che le ha appena rigato il viso e non posso non pensare che sia tenerissima. Accanto a lei c’è, da una parte, Marlon e dall’altra Phoebe, che ci guarda emozionata, forse pensando al momento in cui al posto nostro ci sarà lei, con Paul al suo fianco. C’è poi la mia famiglia e quella di Michael, Kat -che non ha esitato mentre pronunciava quel sì per telefono, rispondendo al mio invito, nonostante sarebbe dovuta venire da New York-, e amici vari.

Rivolgo lo sguardo alla mia destra, dove Paul mi sorride rassicurante e dove Daniel e Kevin osservano Michael.
 

You make me feel like I’m living a teenage dream
The way you turn me on, I can’t sleep
Let’s runaway and don’t ever look back, don’t ever look back
My heart stops when you look at me
Just one touch now baby I believe
This is real so take a chance and don’t ever look back, don’t ever look back
 

We drove to Cali, and got drunk on the beach
Got a motel and built a floor out of sheets
I finally found you, my missing puzzle piece
I’m complete


Let’s go all the way tonight
No regrets, just love
We can dance until we die
You and I
We’ll be young forever
 

Rimaniamo a fissarci con le dita delle mani intrecciate per il resto della canzone, fino a quando, dopo il secondo ritornello, non va a sfumare.

«Quando Ian mi ha detto che si sarebbe sposato, la prima cosa a cui ho pensato è stata che no, non era possibile, che lui era l’uomo sposato con il suo lavoro e con gli animali.» Bryn inizia il suo discorso di presentazione ed io, già dopo quelle poche parole, ridacchio. In sala è calato il silenzio, tutti attenti ad ascoltare le parole del mio migliore amico. «Poi mi ha detto quale sarebbe stata la persona che avrebbe sposato ed ho capito tutto. Ho compreso perché dopo due mesi già si chiamavano fratelli e si vedevano più spesso di quanto facevamo io ed Ian o Paul e Ian. Ho compreso il motivo dei suoi sguardi che sembravano nel vuoto, ma erano sempre rivolti a Michael. Ho compreso la scelta di tornare in una città che non è mai stata la sua preferita, dopo aver lasciato la ragazza con cui stava da anni. Perciò, nel momento in cui mi ha chiesto di essere io colui che li avrebbe sposati, non ho potuto dire di no. Anche perché, se ci sono due persone che dovrebbero sposarsi, quelle solo loro due, poiché tanto amore dentro due occhi io non l’ho mai visto.»

Cerco di mettere, nello sguardo che rivolgo a Bryn, tutta la gratitudine che provo nei suoi confronti in questo momento. Lui risponde con un cenno della testa e un sorriso che conosco bene.

Invita il paggetto a portare le fedi e sia io che Michael scoppiamo a ridere quando è Candice che deve dire a Marlon di venire da noi, visto che lui si è completamente dimenticato. Scende dalla sedia accanto alla nostra amica e cammina verso di noi, portando le fedi sul cuscinetto che tiene tra le mani. Io e Michael sciogliamo l’intreccio delle nostre dita per farlo passare e posare gli anelli sul tavolo accanto a noi. Il padre gli accarezza piano i capelli prima che torni a posto.

Quando ci viene poi detto di recitare le promesse, sono io il primo ad aprire bocca. «Molti di voi si staranno chiedendo il perché della scelta di introdurre come marcia nuziale Teenage Dream» inizio, rivolgendomi agli invitati. «Il motivo è abbastanza semplice e sarà un piacere per me spiegarvelo.» Guardo Michael, che sorride, sapendo già cosa sto per raccontare. «Quella che avete sentito è la nostra canzone. Lo è stata sin dal principio, sin dall’inizio di tutto. Ho conosciuto Michael in un momento della mia vita in cui il mio cuore era spezzato e tutto ciò che riuscivo a vedere era il buio. Lui è entrato prepotentemente nella mia vita e senza rendersene conto me l’ha stravolta.»

«Ti amo così tanto» sussurra, in modo che solo io possa sentire.

«C’è un rigo che recita: “Ora ogni febbraio sarai il mio Valentino.” Potrà essere abbastanza banale come frase, infondo, ogni coppia passa San Valentino insieme, no? Eppure per noi ha un valore fondamentale, poiché il 14 febbraio 2014 abbiamo avuto il nostro primo vero appuntamento. Pochi giorni prima io avevo twittato chiedendo chi sarebbe stato il mio Valentino e promuovendo delle magliette della mia fondazione. Michael mi ha risposto, promettendo che sarebbe stato lui il mio Valentino. Quando ho letto quel tweet ho riso, poiché non avrei mai pensato che avrebbe fatto davvero una cosa del genere. Quando è arrivato il 14, è venuto a bussarmi a casa e mi ha portato a cena fuori. È stato lo stesso giorno in cui, a fine appuntamento, sulla porta di casa mia, mi ha detto di amarmi per la prima volta. I due anni successivi abbiamo ugualmente passato il giorno di San Valentino insieme. E nonostante poi siamo stati quattro anni divisi, io ogni 14 febbraio pensavo involontariamente a lui.» Faccio un bel respiro e gli sorrido. «Tutto ciò semplicemente per introdurre il fatto che ti amo, Michael, e questa cosa non potrà mai cambiare, per nulla al mondo. Perché hai preso in mano il mio cuore mentre sanguinava e lo hai guarito, permettendogli di battere ancora ogni volta che il tuo sguardo si posa su di me. Ti amo perché mi hai visto nei miei momenti peggiori ed hai continuato a sorridermi nonostante tutto. Ti amo perché quando c’è qualcosa che non va mi urli contro al posto di chiuderti in te stesso e questo ci permette di chiarire, anche se non abbiamo ancora imparato a tenere le nostre mani a posto ed i piatti continuano a volare in cucina insieme alle urla. Ma ti amo anche perché il giorno in cui con una scheggia di un piatto mi sono ferito una mano, tu mi sei venuto affianco ed hai immediatamente dimenticato il motivo per cui ce l’avevi con me e mi hai medicato. Ti amo perché quando sono giù di morale tu non ti preoccupi di farmi poemi su come andrà tutto bene ed il mondo continuerà a girare nel verso giusto; mi fai semplicemente stendere su di te e mi canti alcune delle tue canzoni all’orecchio fino a quando non mi addormento tra le tue braccia. Ti amo perché tu mi ami nella stessa maniera in cui ti amo io e non riesco nemmeno ad immaginare una vita in cui io non ti amerei. Perché sei perfetto, così come sei. Sei perfetto per me, Michael. Ed io ti prometto che così come ti amo ora, ti amerò domani e per il resto dei miei giorni. Ed è il motivo per cui voglio starti accanto per sempre: perché se io non ho te, non ho nessuno.»

In sala cala il silenzio più totale, interrotto subito dal fruscio che emette la giacca di Michael, quando lascia una mia mano per asciugarsi una lacrima che è sfuggita al suo controllo. Abbasso la testa ridendo e nel momento in cui la rialzo vedo solo due mani che mi prendono il viso e poi sento le labbra di Michael sulle mie. Rimango per un momento sconcertato dal suo gesto improvviso, poi porto le mani sulla sua schiena e lo stringo a me, muovendo delicatamente la bocca sulla sua. Fa un passo indietro e si scusa con Bryn, visto che quella era una cosa che in teoria sarebbe dovuta esser fatta dopo lo scambio delle fedi.

Lui, con un gesto della mano, gli fa capire che è tutto okay.

Partono improvvisamente applausi e la stanza si trasforma in battiti di mani ovunque, che scemano solo dopo un paio di minuti.

«Grazie, davvero, ma se permettete, ora è il mio turno di dire a questo idiota quanto lo amo» annuncia Michael, sorridendomi. «Ian non si è soffermato su alcuni punti fondamentali della canzone. Il verso più importante a mio parere, è uno di quelli finali, che recita: “Ti ho finalmente trovato, mio pezzo di puzzle mancante. Sono completo”. È la mia frase preferita poiché è esattamente così: ci completiamo. Lui non sa fare le lavatrici, io non so fare la lavastoviglie. Lui sa cucinare, ma l’avessi visto una sola volta apparecchiare o sparecchiare. Fosse per lui mangerebbe anche direttamente dalla pentola. È disordinato come poche persone ho conosciuto, perciò è un bene il fatto che io sia pure troppo ordinato. Quando la sera ci mettiamo sul divano lui suona ed io canto. Quando ancora mi esibivo nei pub lui era sempre colui che non mi abbandonava mai e mi dava il coraggio e la forza di salire sul palco. Lui è caloroso, mentre io ho perennemente freddo. Sono quello che si prende sempre tutte le coperte, ma Ian non si lamenta mai per questo. Ed ogni volta che ne ha l’occasione mi ricorda che io sono perfetto, ma non è questa la verità, Ian» dice, voltandosi verso di me, stavolta. «La verità è che siamo perfetti insieme. Ed io con te mi sento completo, sempre. Per concludere con la storia della canzone, un’altra verità è che sì, questo è vero. Ora ci credo, è tutto vero. Non credo che debba dirti i motivi per cui ti amo, visto che te li elenco un giorno sì ed uno no, perciò mi limiterò a dirti che sei colui che mi fa sentire libero, che mi fa sentire vivo. Sei colui che, a trentasei anni, mi fa sentire le farfalle nello stomaco ogni volta che sorridi. E fidati quando ti dico che è la sensazione più piacevole che una persona possa provare. E sono qui ora a prometterti, Ian, che sarò il tuo Valentino per i prossimi 14 febbraio.»

Gli invitati applaudono ancora. Nel frattempo, dico a Michael, con le lacrime agli occhi: «Sei consapevole del fatto che sei l’unico che riesca ad emozionarmi, vero?»

«Posso baciarlo ora, sì?» chiede Michael a Bryn, che titubante, risponde: «In realtà dovreste scambiarvi le fedi.»

Ma lui se ne frega palesemente delle parole del mio amico e mi prende per i fianchi per attirarmi a sé. Mi guarda per un paio di secondi negli occhi, poi pressa le sue labbra sulle mie ancora una volta. Schiudo le mie per far sfiorare dolcemente le nostre lingue, quando Michael, con una mano sulla mia schiena, si sporge per farmi fare il casquè.

Dio, giuro che quando torniamo a casa gliela faccio pagare questa. L’ho pregato per un anno intero di non farmi fare il casquè al matrimonio, ma ovviamente sto sposando una testa di cazzo, quindi avrei dovuto aspettarmelo. Mi godo il bacio, però, e le sue mani sul mio corpo. Le mie sono una sul suo bicipite e una sulla sua nuca, ad accarezzare piano i suoi capelli. Quando si rimette in posizione eretta e porta me con sé, si allontana dalle mie labbra per sorridermi bastardo.

«Michael ti giuro che appena torniamo a casa-»

«Cosa? Me la farai pagare? Non vedo l’ora» risponde malizioso in un sussurro, dandomi un altro bacio sulle labbra.

«Come non detto» mormora Bryn, che però ci guarda sorridendo.

Ci giriamo verso di lui ridendo, poi io prendo la fede di Michael e guardandolo negli occhi con un sorriso che non vuole andare via, gli infilo all’anulare sinistro la fede con inciso con il mio nome dentro. Lui se la guarda per qualche secondo sorridendo come un idiota. Un bellissimo idiota. Poi prende la mia e fa i miei stessi gesti.

Concludiamo il tutto con un terzo bacio ed altri applausi degli invitati.

Firmiamo i documenti che ci sono da firmare, poi i testimoni vengono a congratularsi. Abbraccio Paul, poi Bryn, ringraziandolo, mentre Michael fa lo stesso con i fratelli. Ringrazia anche lui Bryn e abbraccia a sua volta Paul.

«Ian?» mi chiama Bryn, prima che possiamo uscire per andare all’aperto dagli invitati.

«Sì?»

«Sei passivo?»

Sento Michael scoppiare improvvisamente a ridere così forte da non essere sicuro di averlo mai sentito ridere così tanto prima ad ora. Le mie guance si fanno rosse fuoco, mentre chiedo il perché di quella domanda.

«Sono i passivi a fare il casquè, amico.»

Non rimango nemmeno per ascoltare la sua risata, mi limito ad incamminarmi verso l’uscita, lasciando persino mio marito dietro. Quel bastardo di marito, che mi raggiunge correndo.

«Amore?»

«Non chiamarmi amore.»

Mi abbraccia da dietro, facendomi fermare sul posto e inizia a baciarmi il collo, essendoci come spettatori solo i testimoni e Bryn, visto che gli invitati sono usciti tutti e ci aspettano fuori.

«Ti amo» sussurra al mio orecchio.

«Oddio, ma chi me l’ha fatto fare di sposarti?»

Ma nonostante quelle parole, mi giro per guardarlo negli occhi sorridendo.

«Mi ami così tanto» dice sghignazzando.

Sospiro rumorosamente, ma annuisco. «Ti amo così tanto che forse potrei fartela passare liscia. Forse» aggiungo subito, sottolineando la parola.

Mi abbraccia forte ed io rispondo nello stesso modo, riempiendomi le narici del suo profumo e lasciandomi andare nella sua presa stretta.

«Sei mio marito, Ian» sussurra con la voce di un bambino.

Sciolgo l’abbraccio per guardare ancora in quegli occhi scuri che amo profondamente. «Lo sono» rispondo annuendo, prima di baciarlo ancora.

 

 



4 aprile 2022 – Atlanta

 

Vengo svegliato da quello che definisco senza ombra di dubbio un terremoto. Socchiudo gli occhi e noto, sul letto matrimoniale, Marlon che salta insistentemente. Alzo una mano per farlo smettere, ma sono talmente assonnato che questa ricade a peso morto sul letto. Richiudo gli occhi cercando di riprendere sonno ma, come se non bastasse, il piccoletto si mette anche ad urlare. Si tuffa sul padre chiamandolo.

«Papà, papà, svegliati papà!»

«Umhg, cosa c’è?» mormora lui, la voce ancora impastata dal sonno.

«Dobbiamo andare dalla mamma, è tardi» spiega lui.

Non faccio in tempo ad aprire gli occhi per osservarlo, che si rotola sopra di me. «Papà Ian gli dici di svegliarsi?»

Sgrano un po’ gli occhi, poi rivolgo lo sguardo a Michael, che ricambia stupito, ma sorridente.

«Ora glielo dico, tu hai fatto colazione?»

Scuote la testa con un’energia che non capisco da dove prende.

«Allora valla a fare, su. Io e papà ti raggiungiamo.»

«Okay» risponde contento, prima di saltare giù dal letto e correre fuori, lasciando la porta socchiusa.

Michael è ancora steso sul fianco destro, con le mani probabilmente sotto al cuscino, nella stessa posizione in cui dorme tutte le volte che non lo ritrovo abbracciato a me. Mi avvicino, pressandomi su di lui e cingendogli la vita con il braccio sinistro. Lo sento gemere piano nel momento in cui sente la mia durezza mattutina su di lui. Poso le labbra sul suo collo e in contemporanea con la mano che prima era ferma sul suo ventre scendo fino ad impugnare il suo membro.

«La porta è aperta, Ian» mugugna lui, sorridendo però ai miei baci, lenti quanto i movimenti della mia mano, per cui sta cercando di trattenere i gemiti.

«Allora sii silenzioso» gli rispondo, lasciandogli poi un succhiotto sotto l’orecchio.

«Sbaglio o ti ha chiamato papà?» chiede leccandosi le labbra.

Sorrido dolcemente sulla sua pelle e annuisco. «L’ha fatto.»

Lo porto all’orgasmo in un paio di minuti, poi gli dico di non preoccuparsi per me, così lui si gira e mi bacia sulle labbra. «Ti amo, Ian. Fino alla fine dei miei giorni.»

Prendo la sua mano sinistra e giocherello un po’ con la fede. «Anche oltre.»










Note: wow, ce l'ho fatta. Ci ho messo una settimana a scrivere questa fanfiction e non mi sembra vero che abbia pubblicato.
I tweet che menziono nella fanfiction ci sono realmente stati, potete vederli qui.
Non so esattamente cosa dire, spero vi sia piaciuta, se sì potete scrivermelo con una recensione, sennò sapete che anche le critiche sono sempre accettate:)

Un bacio a tutte coloro che sono arrivate fin quaggiù.

Ps: mi scuso con chi segue Wherever you will go; non ho aggiornato appunto perché ero impegnata a scrivere questa ff qui, ma ora mi concentrerò di nuovo su quella. A tra poco con il prossimo capitolo:)

Bye.

  
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