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Autore: Stars Trail    11/11/2014    5 recensioni
Aomine ha sempre amato il suo lavoro, almeno fino a questo momento.
[AoKaga]
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Daiki Aomine, Taiga Kagami
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Aomine ha sempre amato il suo lavoro, almeno fino a questo momento. Non gli è mai dispiaciuto troppo mettersi in pericolo, più per la botta di adrenalina che riceve ogni volta che insegue qualcuno o si vede una pistola puntata contro, che per senso civico. Ma al momento l’unica cosa che gli scorre nelle vene assieme al sangue è la paura che gli fa tendere i muscoli delle gambe e gli fa battere il cuore all’impazzata.
Non sa bene a chi attribuire la colpa del suo nervosismo, se a Kagami o al gruppo di imbecilli della yakuza che, nel tentativo di mandare a fuoco il magazzino di un negozio di lusso, è rimasto intrappolato nell’edificio trasformandosi d’improvviso in una massa di bambini piagnoni troppo cresciuti e terrorizzati all’idea di finire arrosto. L’unica cosa che sa è che non ha idea di per quanto tempo potrà convenire alle regole e restare al suo posto, al limitare delle transenne che delimitano l’area incidentata. I colleghi di Kagami stanno ancora tentanto di spegnere l’incendio, ma le loro facce preoccupate non gli infondono davvero nessuna fiducia. Perde cinque minuti di tempo a chiedersi se non sia il caso di agire, perché il fumo che esce dalle finestre del magazzino è nero e denso, e ha idea che se non si muove ad uscire da lì, Kagami potrebbe restarci pure per sempre, per quel che ne sa. Alla fine, Aomine decide di avvicinarsi a uno dei pompieri che ha appena dato il cambio a un collega per gestire la pompa idrica - non ha idea di come approcciarlo perché davvero, qualunque cosa gli dica, ha paura di una risposta che non gli piacerà.
“Ohi, avete intenzione di lasciare Kagami lì dentro?!” chiede, e si rende conto che il tono della sua voce è troppo alto e troppo piccato perché l’altro non lo guardi con troppo timore, ma che cosa dovrebbe fare? Sorridere? Quello si toglie il casco e china la testa, lo guarda come se sperasse di impietosirlo con quella faccia smunta e sudata.
“Non possiamo entrare,” risponde soltanto, e poi il suo sguardo si sposta verso l’edificio, e Aomine in quel momento si chiede perché sia ancora lì. Una finestra esplode di fronte a loro, lanciando scheggie di vetro davanti all’ingresso.
“Beh, se non andate voi ci andrò io,” sbotta, e corre verso la porta fumante lasciandosi cadere la fondina alle spalle e sperando di non trovare quell’idiota di Kagami carbonizzato in mezzo al nulla.

“Kagami!”
Non sa cosa lo inquieti di più, se l’odore acre del fumo o la sua voce che riecheggia tra le ceneri di quel pellame pregiato che ormai è solo un ricordo. Non sa quante stanze abbia visitato, quanti scalini abbia percorso per trovare quell’idiota del suo ragazzo, ed è sicuro che ora sia solo paura, quella che scorre nelle sue vene, e non sangue. Non gli piace, la sensazione che si sente addosso; non gli piace e ha paura che da un momento all’altro il panico prenderà il sopravvento e si ritroverà piegato in due a vomitare per l’ansia. “Cazzo,” sbotta, appoggiandosi al muro e coprendosi il viso con la manica della camicia per riprendere fiato. Chiude per un momento gli occhi e davanti a lui si creano gli scenari peggiori.
Non ha tempo per perdersi in pensieri negativi. Lentamente, riprende a camminare tra i detriti e si addentra verso il centro dell’edificio, tre piani sotto i suoi piedi e altri due ancora da esplorare. È quando sta per andare al quinto piano, che sente il gemito sommesso di qualcuno e si ferma, guardandosi attorno.
“C’è nessuno?” chiama, riallungandosi sul piano e abbandonando l’idea di salire al quinto piano. Aomine sente uno scricchiolio provenire dalla stanza alla sua destra, e ne segue il rumore come se si trovasse in una trappola e quella fosse la sua unica via di fuga. Sventola una mano davanti ai suoi occhi come se potesse davvero servire a dissipare la nebbia di fumo che gli si para davanti, anche se sa benissimo essere totalmente inutile. Segue il rumore indistinto che si fa spazio tra il crepitio di alcuni fuochi ancora accessi ma deboli, finché quello non si trasforma in un colpo di tosse, poi due, e lui accelera il passo.
Kagami davanti a lui è irriconoscibile, col viso sporco di sangue per metà, la visiera del suo casco di protezione sollevata per chissà quale motivo stupido. “Idiota!” sbraita, forse persino troppo adirato per i suoi stessi gusti, mentre fa slalom tra i detriti e raggiunge l’altro. Kagami strabuzza gli occhi, quando lo vede. Aomine sa benissimo che in una situazione diversa adesso si ritroverebbe sommerso di insulti, ma anche fosse non gli importerebbe. Il suo cuore, adesso che lui ha potuto vedere Kagami vivo con i suoi occhi, ha ripreso a battere a un ritmo umano - o forse no, è davvero troppo felice per capire qualcosa.
“Che diavolo ci fai qui dentro!?”
“Sei dentro da più di un quarto d’ora, dovevi essere fuori da un pezzo e quegli idioti non venivano a cercarti.” Nota solo ora, che Kagami trascina un peso morto sulle sue spalle. Non ci pensa due volte a metterglisi di fianco e ad aiutarlo a sostenere l’uomo. “E tu rischi la pelle per un idiota del genere, io non posso crederci.”
Kagami sbuffa, ma sorride, anche se stanco. “So fare il mio lavoro,” dice, tossicchiando tra una parola e l’altra.
“Sai anche come farmi prendere un infarto, questo non ti autorizza a infliggermi una tortura del genere, stupido. E adesso portiamo questo cretino fuori da qua.”

Non ragiona, Aomine, quando Kagami finalmente consegna il delinquente ai suoi colleghi. Finalmente si sente in diritto di prenderlo per il collo della giacca e trascinarlo lontano da quel trambusto, in un vicolo deserto dove non verrà nessuno - gli agenti e i pompieri troppo occupati ad assicurare i criminali alla gisutizia, i civili a tenersi alla larga dal pericolo quanto più possono.
“Aomine, cosa-”
Non gli dà nemmeno il tempo di parlare. Adesso che sono lì, da soli, adesso che sente l’odore del fumo addosso a Kagami e non nell’aria che lo circonda, solo adesso si rende davvero conto del terrore che si è appropriato del suo corpo fin troppo a lungo, della paura di dover tornare a casa senza un pezzo della sua vita che gli ha tenuto lo stomaco stretto fino a quel momento. Sbatte contro la sua bocca, il dolore dei denti che cozzano che risale fino al naso e poi sparisce da qualche parte tra occhi e cervello, quando la lingua trova il suo spazio tra le labbra di Kagami e scivola dentro, provocandogli un sospiro di sollievo.
È ancora lì. Respira, reagisce, è ancora lì.
“Tu non ti rendi conto-” sussurra sulle sue labbra, mentre il suo corpo si muove da solo, aderisce a quello dell’altro e si imbratta di cenere e odore di fumo. Non gli importa, perché l’adrenalina che ha ancora in circolo deve essere scaricata da qualche parte, e le mani di Kagami che dalla schiena scivolano al suo sedere non lo aiutano per nulla. “Tu non ti rendi conto di quanto mi hai fatto spaventare, stupido idi-”
Stavolta è Kagami che si spinge contro la sua bocca, che gli morde un labbro e lo succhia sentendo il sapore di un caffé trangugiato in tutta fretta prima che uscisse dall’ufficio, e dando a lui il retrogusto di fumo che sa sarà difficile da mandare via. Geme, incastrando una gamba tra quelle dell’altro e ancheggiando come se ne andasse della sua stessa vita. Sente le sirene in lontananza, un altra camionetta dei vigili del fuoco che arriva per dare supporto ai colleghi di Kagami, e d’istinto si spinge ancora di più contro il ragazzo, le mani che in tutta fretta forzano l’elastico dei pantaloni di Kagami e scivolano dentro la sua biancheria.
Aomine odia essere lì: al momento, preferirebbe di gran lunga essere sotto il getto caldo della doccia con Kagami contro le piastrelle e i suoi gemiti a spezzare l’aria; al momento, preferirebbe essere nel letto con Kagami sotto di lui che chiama il suo nome con la poca aria che lui gli permette di avere nei polmoni.
Vorrebbe essere lontano da lì, a casa. Ma non può aspettare, non ce la fa, ed è per questo che si spinge con insistenza, e lascia che le sue mani si spingano dietro e stringano le natiche di Kagami così forte che probabilmente gli resterà il segno, più tardi. “Se lo rifai,” mormora, e il suo fiato è corto almeno quanto quello di Kagami, mentre abbozza un sorrido, “se solo ci riprovi la prossima volta ti riempio di botte.”
“Certo, Aomine. Certo,” replica l’altro, ma Aomine non è sicuro di aver capito bene, perché il sangue sta correndo troppo veloce nelle sue vene, e la frizione delle loro erezioni ormai piene gli tende tutti i muscoli e si mangia ogni pensiero. Kagami si muove verso di lui, mentre Aomine cerca di farsi spazio tra le sue natiche, due dita che entrano senza troppa grazia nell’altro e spingono, lente. Decide che non c’è più tempo per le parole, non c’è più tempo da perdere, e qualunque cosa Kagami abbia intenzione di dire viene mangiata impietosamente dalla sua bocca, le parole schiacciate contro la gola dalla sua lingua. Le dita si fanno spazio nell’altro, e lui è certo che non gli ci vorrà molto prima di venire.
Kagami ondeggia tra le sue dita e il suo ventre, e quando lo sente stringergli i fianchi Aomine sa che è al limite della sopportazione - “Le cose che ti faccio non appena arriviamo a casa…” sussurra a denti stretti e poi non è capace di articolare alcun suono, solo un gemito che soffoca sulla spalla di Kagami, sulla sua divisa arancione che gli sporca il naso.
Non sa cosa farebbe senza di lui.

Aomine si pulisce un orecchio con nonchalance, mentre il suo capo gli ricorda che se fa un’altra stronzata del genere si ritroverà a dover girare per Tokyo in mutande e sulle mani per implorarlo di non togliergli il lavoro. Storce le labbra e guarda al soffitto, sperando che la lagna finisca presto, e che per lo meno Kagami stia subendo lo stesso trattamento, perché altrimenti sarebbe davvero ingiusto. Quando finalmente il boss lo lascia andare, Aomine si alza ringraziando gli angeli e tutti i santi, soprattutto quando, aprendo la porta, si ritrova la faccia di Kagami di fronte alla sua.
“Come è stato?” chiede, facendo un cenno. Kagami scrolla le spalle, alzando le sopracciglia.
“Non lo so. Non stavo ascoltando.”
“È per questo che ti amo,” gli dice, avvicinandoglisi. “Andiamo a casa, va’,” sogghigna poi, dandogli una pacca sul sedere. Kagami ride, ancora sporco di fuliggine, ma va tutto bene, alla fine.
“Andiamo a casa.”

   
 
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