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Autore: PaladinaBianca    12/11/2014    2 recensioni
E' passato molto tempo dalla morte di suo padre.
Scomparso, disperso nelle profondità del Mare Digitale.
Cosa succederebbe se Aelita, un giorno, decidesse di raggiungerlo?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aelita, Altri, Jeremy, Odd
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Destiny: numbers, chaos, energy.
 

Secondo un antica leggenda cinese: "Il filo rosso del destino";
gli dei hanno attaccato un filo alla caviglia di ciascuno di noi,
collegando tutte le persone le cui vite sono destinate a toccarsi.
Il filo può allungarsi, o aggrovigliarsi, ma non si rompe mai.
È tutto prederminato dalle probabilità matematiche.

(Touch; primo episodio - prima stagione.)




Uno scricchiolio, un fischio leggero; e il silenzio.
Lasciò che la porta si chiudesse da sola, dietro di lei.
L’Hermitage era sempre lo stesso: non vi era una singola cosa che fosse al suo posto.
Strati di polvere sugli scaffali solitari, sul pavimento disseminato di libri.
Come sempre, non si azzardò a toccare nulla; la sensazione era sempre la stessa: un minimo movimento, un vano tentativo di mettere ordine, avrebbe potuto guastare la pace in cui era immerso quel luogo.
Quella casa era figlia di un’altra epoca.
Si portava appresso inverni interminabili, il calore di un caminetto acceso e le ultime note, appena accennate, di quel pianoforte ormai a pezzi.
La ragazza si fermò al centro di quello che sapeva essere stato il salotto.
Sospirò piano; sorrise triste.
L’Hermitage era una porta sul passato, l’unico luogo in cui il cambiamento non era più possibile.
Era parte del mondo, eppure rifuggiva da esso; così come evitava i suoi numeri.
Numeri. Probabilità, caos; i calcoli che controllavano lo scorrere del tempo e della vita degli uomini.
Ad un tratto, nella luce del tramonto, un rintocco lontano.
Le campane di una Chiesa; un suono quasi impercettibile.
Lei mosse un altro passo incerto; due, tre.
Raggiunse la finestra e scostò la tenda lacera, tentando di scorgere il paesaggio celato dietro il vetro opaco.
Nel giorno del suo diciottesimo compleanno, prese finalmente una decisione.
Quella sera, nascosta fra i muti echi del suo passato, Aelita Shaeffer decise di spezzare le ali del destino.
 

Nulla si crea, nulla si distrugge; tutto si trasforma.


Da anni, ormai, ripeteva questa legge matematica, come un mantra.
Anche quella sera, mentre il cielo assumeva pian piano il lattiginoso colore della tempesta, la sussurrò a mezza voce.

Temo che tutta questa storia finirà male, per noi.

Flashback; sempre lo stesso.
Quella mattina, il giorno della loro ultima battaglia.
Strinse i pugni. Aveva sempre avuto ragione.
Non importa quanta gioia, quanta soddisfazione avessero provato gli altri.
Quella vittoria le aveva lasciato molto più di un semplice amaro in bocca.

Sei ancora là fuori, da qualche parte, vero papà?

Lacrime; lacrime represse per giorni, mesi, anni.
Inchiodata davanti al vetro della finestra, mentre i lampi iniziavano a scarabocchiare di luce il suo volto, sentì tutto il peso di quell’antico dolore.
Da quando quell’informe ammasso energetico era esploso, decomponendosi, lei non si era mai data pace.
Aveva giurato a se stessa che l’avrebbe ritrovato, e così avrebbe fatto.
E, finalmente, era giunto il momento di agire.

Dopo quello che le parve un tempo infinito, riprese il controllo del proprio corpo.
Si mosse lentamente, scavalcando i ricordi intrappolati nella polvere.
Raggiunge la porta, la aprì; chiuse gli occhi, lasciandosi investire dal vento.
Iniziò a camminare lentamente, verso la vecchia fabbrica abbandonata, incurante della pioggia.
Nell’edificio fatiscente, i tuoni rimbombavano in un modo inquietante; lei non ci fece troppo caso.
Si aggrappò alla vecchia corda, spiccò il salto e atterrò con un tonfo leggero sul pavimento.
Azionò l’ascensore, che si mise in moto con un leggero scricchiolio.
Entrò e scese, sempre più giù, dopo aver definitivamente chiuso fuori il resto del mondo.
Tutto era come l’avevano lasciato, anni prima.
Iniziò ad agire in fretta, ricordandosi che era ormai tardi, e che qualcuno dei suoi amici avrebbe anche potuto cercarla.
Amici. I miei amici.
Esitò, ma fu un attimo.
Non appena ebbe stretto la leva nella mano destra, vide nuovamente chiaro il proprio scopo.
In quella sera di fine giugno, Aelita Shaeffer riaccese il supercomputer.
 
Tornata nella sala di controllo, inserì con mano tremante il dischetto, contenente il programma che aveva finalmente (e faticosamente) terminato.
Da sola, nel segreto; non senza rimorso, ma anche con crescente determinazione.
Uno, due, tre. Invio.
Un suono sinistro, ormai dimenticato, accompagnò il lancio del programma.
La ragazza sorrise; paura e rimpianti erano ormai dimenticati.
X.a.n.a.
Il programma multi-agente era di nuovo in funzione.
E lei era pronta a fondersi nuovamente con lui, il nemico, nella speranza che la conducesse da colui che aveva perso, e che voleva disperatamente ritrovare.
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Una risata agghiacciante, dannatamente familiare, aveva destato improvvisamente il ragazzo.
Si sistemò gli occhiali sul naso, recuperò il cellulare.
Un messaggio; da Aelita.

Spero che tu possa capire.
Ti amo, Jeremy.
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Aelita impostò la virtualizzazione automatica.
E si precipitò alla sala degli scanner.
Nascose una lacrima, forse inconsciamente, mentre entrava nel vecchio scanner.
E, poi, iniziò a sentire la voce di Jeremy, nascosto da qualche parte nella sua testa.

Trasferimento Aelita.
Per l’ultima volta, si chiese se quello che stava facendo fosse giusto.

Scanner Aelita.
Sì, si rispose, senza esitare.

Virtualizzazione.
Sto tornando a casa.

Settore foresta.

Tutto era come un tempo, quando era fuggita con suo padre.
Si guardò le mani, così piccole, stentando a riconoscersi.
Poi li sentì avvicinarsi, i mostri.
Non si rifugiò in una torre, come avrebbe fatto in passato.
Prese la direzione opposta, diretta al Mare Digitale.
Si fermò sul confine del settore, pronta a saltare.

Uno, due, tre.
L’ultima cosa a cui pensò, prima di essere risucchiata nella rete, fu Jeremy.

Addio, Jeremy.

Poi, nei suoi pensieri, ci fu solo bianco.
In quel vuoto infinito, iniziò a prendere forma qualcosa.
Una frase, soltanto poche parole. Lontane, eppure ancora così nitide.

Non dimenticare mai, Aelita.
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No.

Non era possibile.
Jeremy entrò nella sala di controllo giusto in tempo per vedere scomparire, sullo schermo, il segnalatore di posizione. 
Rimase immobile per diversi minuti, prima di alzarsi, lentamente; e chiamare Odd.

-Sono Jeremy.
-Spero tu abbia un valido motivo per svegliarmi nel cuore della notte, Einstein!
-Aelita è morta.
-Okay, senti, non è il primo di aprile. E, in ogni caso, non è divertente.
-Odd, non mi stai ascoltando. Aelita lo ha risvegliato, anche se non so come. Ed è tornata a casa.

Dall’altra parte del telefono, il silenzio.

-Chiamo gli altri; non fare sciocchezze.

Fine comunicazione.

Perché, tra tutti, aveva scelto di chiamare proprio Odd?
Sorrise, nonostante tutto.
Sapeva che il ragazzo non avrebbe detto nulla, al telefono, per rassicurarlo.
E che non avrebbe capito il vero motivo per cui aveva chiamato.
Voleva solo che fossero tutti insieme, quando l'avrebbero trovato.

Sospirò, si sistemò gli occhiali.
Doveva darsi una mossa, non voleva che qualcuno cercasse di fermarlo.
Scese all’ultimo piano della fabbrica.
Spense nuovamente il supercomputer, senza esitare.
Strappò con le sue stesse mani i cavi dell’alta tensione, prima di avvolgerseli attorno al corpo.
Raggiunse lentamente la leva abbassata e, di nuovo, si preparò a dare corrente.

Ancora pochi minuti.

-Jeremy?

La voce, quella di Yumi.
Al piano superiore.

Uno, due, tre.
Riaccese il supercomputer, non appena udì gli amici scendere di corsa, usando le scale.
L’ultima cosa a cui pensò, fu Aelita.
Se la ritrovò davanti, tra le scintille, sorridente.


Nulla si crea, nulla si distrugge; tutto si trasforma.


Una legge fisica.
Sì, era giusto, in un modo strano e perverso, che anche nel momento della sua morte avesse in mente soltanto numeri, leggi, e postulati.
Non avrebbe mai capito il significato celato dietro quelle parole. 

Mi dispiace, Aelita.
Non sono riuscito a capire, questa volta.
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I numeri sono costanti, ma a volte no.
La nostra incapacità di influenzarne il risultato è la grande rivelatrice. Rende giusto il mondo.
I computer generano numeri casuali, tentando di ricavare un significato dalle probabilità.
Infinite sequenze numeriche senza nessuno schema.
Durante un'evento cataclismico globale: uno tsunami, un terremoto, gli attentati dell'11 settembre; d'un tratto questi numeri non sono più casuali.

La nostra coscienza collettiva si sincronizza, e i numeri fanno lo stesso.
La scienza non sa spiegare questo fenomeno, ma la religione sì.
Si chiama preghiera, una richiesta collettiva espressa all'unisono; una speranza condivisa.
I numeri sono costanti, ma a volte no.

(Touch; settimo episodio - prima stagione.)



Ad un tratto, nella luce del tramonto, un rintocco lontano.
Le campane di una Chiesa; un suono quasi impercettibile. 
   
 
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