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Autore: Tomi Dark angel    12/11/2014    2 recensioni
PERNICO.
Tratto dalla storia: -Ragazzi!- Leo li raggiunge, ansimando copiosamente. Si piega in due per riprendere fiato, respira pesantemente, ma alla fine parla: -Ni… Nico. Nico, ragazzi. È tornato al Campo.-
Percy sbarra gli occhi afferra Leo per le spalle e lo scuote con violenza, come un pazzo fuori controllo.
-Dove, Leo! Dove lo hai visto? Sicuro che era lui?!-
-I… io credo di… sì. È andato da Chirone, ma…-
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Jason Grace, Nico di Angelo, Percy Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Così poco. Basta così poco per lacerare una vita. Si sboccia nell’arco di giorni, anni, mesi, così come ingiustamente si appassisce in pochi attimi. È un ciclo continuo, che non si ferma dinanzi a suppliche e preghiere, a lacrime e grida disperate. La morte non risparmia nessuno, e nessuno risparmia la vita. Funziona così, per quanto appaia ingiusto.
Nico Di Angelo, la morte la conosce bene. Ci ha parlato per anni, per anni ha vissuto alla sua ombra come mefitica creatura d’oscurità. La gente lo guarda, annusa il puzzo di morte e a sua volta comincia a odorare di paura. Nico fiuta quell’odore come un segugio, ne avverte la consistenza contro le pareti delle narici e quasi sorride perché ormai è abituato ad essere diverso, ad essere morto.
È per questo che sette anni fa scelse di abbandonare il Campo Mezzosangue. Di lui, i vivi non se ne fanno niente. Di lui, i vivi hanno semplicemente paura. Nico l’ha capito e accettato dopo anni di tentativi, dopo disperati momenti in cui da bambino cercava di piacere alla gente e quella lo allontanava. Ricorda ancora di quella volta a Vancouver, quando un cameriere lo aveva cacciato dal suo bar perché spaventava i clienti. E Nico era andato via, portandosi dietro il suo sentore di morte e paura, le lacrime agli occhi, i piccoli pugni serrati in strette rabbiose come di cane bastonato. Aveva sentito la terra tremare, i morti gemere nel sottosuolo. Non seppe mai se la sua rabbia aveva spedito qualche scheletro a uccidere il cameriere, ma qualcosa gli dice che è andata così.
Assassino. Mostro. Ora, a distanza di sette anni dalla guerra contro Gea, lo è davvero.
Nico avanza a capo chino, ombra tra le ombre. Non vede la luce del giorno da circa quattro anni, e ha paura di risalire in superficie. Teme ormai di essere abituato solo e soltanto all’oscurità. I suoi occhi sono vacui, schiariti da una bassa parvenza di cecità che tuttavia acutizza i suoi sensi, rendendoli vivi e all’erta come quelli di un gatto. Se anche solo una mosca si avvicinasse a lui, Nico la sentirebbe e riuscirebbe ad afferrarla tra pollice e indice con un semplice scatto del polso. Ci ha già provato, ci è già riuscito. E questo lo rende troppo simile a una bestia, troppo poco umano. Forse dipende dai suoi poteri sviluppati o dalla sua vista che funziona solo e soltanto al buio alla quale si è adattata, ma è così.
Nico Di Angelo non puzza semplicemente di morte, ormai. Nico è morto da tempo, senza neanche accorgersene. Ma ora deve ritornare in superficie perché suo padre glielo ordina, perché Ade gli ha chiesto di consegnare un messaggio a Chirone. E Nico non ha semplicemente avuto la forza di protestare.
Scivola tra le ombre, sguscia sicuro lungo il fiume Lete, le cui sponde aride all’inizio gli seccavano le labbra e la gola, ma che adesso invece non lo toccano nemmeno. L’acqua risponde al suo comando così come risponderebbe a quello di Ade, perché ormai quella è casa sua, perché Nico Di Angelo è potente e col tempo non ha fatto che diventare più forte, più inarrestabile. Ha il vago sentore che il suo stesso padre lo tema almeno un po’, e questo un tempo gli avrebbe dato soddisfazione. Adesso invece, Nico non prova niente.
Nico è già morto, e i morti non provano sentimenti.
Risale dagli Inferi, emergendo dalle ombre come pallida figura di ragazzo, lento e fiero nella sua andatura silenziosa. I suoi passi non producono rumore e al suo passaggio gli alberi della foresta si piegano abbacchiati, feriti, come ansiosi di ritrarsi dalla creatura che torna a calcare la Terra dopo tanti e tanti anni.
Come previsto, la luce dell’alba comincia a filtrare tra le fronde e gli ferisce gli occhi come scure calata sul suo volto. Nico si ritrae, incespica goffo all’indietro, premendosi una mano sul viso esangue.
Non può farcela, non così. Come fanno gli altri semidei a sopportare quel calore, quella luce? Lui li odia da morire.
Con stizza, estrae dalla tasca della veste una lunga striscia di stoffa nera, di velluto. Se la preme sugli occhi, legandola poi dietro la testa come unico scudo contro la luce mefitica che tuttavia oserà bagnargli la pelle. Ma non ha scelta, a meno che non voglia incappare nelle ire di Ade. Meglio evitare.
-Signora O’Leary.- chiama a bassa voce, fischiando piano.
Dalle ombre alle sue spalle emerge una figura massiccia, muscolosa, che calpesta l’erba con grosse zampe di mastino. Nico la sente avvicinarsi, annusa il suo odore, immagina gli occhi di rubino fissi in attesa su di lui. La Signora O’Leary è stata sua compagna per molti anni, e tutt’oggi non si smentisce. Gli cammina accanto, lascia che Nico poggi la mano sul suo fianco nero e pulsante di vita. Lo guida con dolcezza, un passo alla volta, pur sapendo che il ragazzo è in grado di cavarsela da solo. Eppure, quel mastino è il suo unico amico, la sua unica compagnia, e alla Signora O’Leary va bene così.
Camminano fianco a fianco, emergendo lentamente dal bosco senza problemi. I mostri li evitano, indietreggiano, spariscono nel folto senza voltarsi indietro. Hanno paura, come tutti.
 
Percy Jackson si allena, sforza i muscoli, lascia che il corpo rinasca attraverso la scherma e il sudore. Balza, affonda, avanza e indietreggia, morbido come un ballerino, esperto come il migliore degli spadaccini. Con l’aiuto di Jason Grace, insegna ai più piccoli come difendersi, come salvarsi la vita. È tutto ciò che fa, da quando ha lasciato Annabeth, da quando sono tornati miracolosamente vivi dalla guerra contro Gea. Da quando Nico Di Angelo è scomparso poco dopo i festeggiamenti, silenzioso come un’ombra, degno figlio di suo padre.
Al pensiero del piccolo ragazzino abbandonato a se stesso chissà dove, Percy si distrae e Jason elude la sua guardia. La spada d’oro imperiale scivola sotto la sua ascella, sfiora miracolosamente il pettorale, lacerando appena la maglietta. Jason è preciso, non lo colpisce mai. Ma quando arriva al punto da graffiargli appena la pelle, Percy si deve ritenere colpito o definitivamente sconfitto. Per stavolta, non può che considerare la seconda chance.
-Tutto bene?- chiede Jason, zittendosi però all’occhiata dell’altro.
-Tutto chiaro?- Percy si rivolge alla piccola folla di spettatori assiepati intorno a loro. Li guardano ammirati come si fisserebbero delle vere celebrità. Il che non è tanto lontano dalla realtà, considerato che il solo essere sopravvissuti alla guerra contro Gea li rende poco meno che déi agli occhi dei più giovani. –Provate voi, adesso.-
Percy si ritrae, siede sull’erba mentre i ragazzini impugnano le armi. Li guarda allenarsi, così piccoli e quasi indifesi, con lame più grosse di loro. Ripensa a Nico, al suo fisico gracilino, alla sua bassa statura di bambino. La sua spada di ferro dello Stige sembrava troppo grande, quando la impugnò durante l’ultima battaglia. In quel frangente, quando Percy lo vide sparire tra la folla, pensò di averlo perso per sempre.  E in effetti, fu proprio ciò che accadde.
Nico Di Angelo sopravvisse, ma sparì nel nulla subito dopo, come un angelo maledetto che ha infine assolto ogni suo dovere.
Percy ripensò a lui troppo spesso, lo cercò a lungo, si dannò pur di rivederlo, ma Nico sembrava sparito nel nulla. Nessun messaggio-Iride lo raggiunse, nessuna preghiera di Percy fu ascoltata. Può essere morto, e Percy non lo sa nemmeno.
-Cos’hai oggi?- domanda Jason, sedendosi al suo fianco. Lo fissa in silenzio, i capelli biondissimi simili a oro colato, gli occhi di un azzurro intenso, quasi elettrico, che richiamano in tutto e per tutto la potenza dei fulmini. Sono un po’ come gli occhi di Percy, che con le loro profonde sfumature verdi azzurre rispecchiano ogni sfaccettatura dell’oceano più profondo, devastante, cristallino nella sua limpidezza. Occhi di figlio del mare, occhi di semidio. Occhi di ragazzo prematuramente invecchiato per il troppo visto e per il troppo perso.
-Percy?- Jason lo chiama di nuovo, ma Percy non risponde. Sotto un certo aspetto, lo odia. Lo odia perché Jason è stato l’ultimo a vedere Nico prima che sparisse, lo odia perché Jason gli parlò e non volle mai spiegare ciò che il più piccolo gli confidò quell’ultima volta.
-Percy!-
-Niente. Sto bene, Jas…-
-PERCY!!!-
Qualcuno urla, gli corre incontro gesticolando forsennatamente. Percy non ha bisogno di schiarire la vista per riconoscere Leo Valdez, capo indiscusso della casa di Efesto ed ennesimo eroe della guerra contro Gea. Li raggiunge di corsa, schizzando sull’erba come una freccia scagliata dall’arco, gli occhi sbarrati e le labbra schiuse di sorpresa. Percy non l’ha mai visto così agitato, e per questo si preoccupa.
-Che succede?!- chiede Jason, allarmato quando lui.
Leo li raggiunge, ansimando copiosamente. Si piega in due per riprendere fiato, respira pesantemente, ma alla fine parla: -Ni… Nico. Nico, ragazzi. È tornato al Campo.-
Percy sbarra gli occhi afferra Leo per le spalle e lo scuote con violenza, come un pazzo fuori controllo. Tutta l’acqua che è nei dintorni freme, ribollisce agitata, ondeggia sciabordante lungo gli argini che la costringono in letti di fiume o in bottigliette d’acqua.
-Dove, Leo! Dove lo hai visto? Sicuro che era lui?!-
-I… io credo di… sì. È andato da Chirone, ma…-
Percy lo lascia andare e comincia a correre. Vola sull’erba, i piedi leggeri, gli occhi sbarrati, i pugni stretti. Nessuno stallone riuscirebbe a superarlo, in quel momento, semplicemente perché a spingerlo è una forza maggiore, ultraterrena, che quasi lo munisce di ali d’aquila.
Sente che, se non fa in fretta, Nico sparirà di nuovo, forse per sempre. E questo Percy non può permetterlo perché deve parlargli, perché deve vederlo e prenderlo a pugni per essere sparito così all’improvviso senza neanche avvisare.
Percy accelera, corre finché i muscoli cominciano a bruciargli. Anche in quel caso, si rifiuta di fermarsi. Sfida il vento, ignora l’ombra di Jason che lo affianca in volo, calando di quota fino a condursi al suo fianco.
-Pensi sia davvero lui?- chiede, ma Percy non risponde. Avvista la casa di Chirone in lontananza, e accucciata fuori la porta…
-Signora O’Leary!-
Percy si ferma con uno scivolone quando il mastino lo vede e comincia a scodinzolare. Si alza, gli balza addosso con la delicatezza di un uragano, fino ad atterrarlo.
-Ciao, bella!- Percy ride di una risata purissima, cristallina, che gli sgorga dal cuore. Sente sul pelo dell’animale il profumo di Nico, il calore del suo tocco sul pelo morbido. Adesso finalmente, è certo che il figlio di Ade è lì.
-Dov’è Nico?- chiede Jason, tenendosi tuttavia a debita distanza. Ha le ginocchia flesse, pronto a spiccare il volo nel caso il mastino infernale decida di serbargli un benvenuto simile a quello che tutt’ora schiaccia Percy al suolo.
La Signora O’Leary pare capirlo e rivolge la grossa testa pelosa verso la porta schiusa, che lentamente si apre davanti ai loro occhi. Il ragazzo che varca la soglia, sgusciando alla luce del sole, è l’essere più bello ed etereo che Percy abbia mai visto.
Il viso androgino, sottile, dai tratti quasi elfici, ricopre di pelle madreperlacea un naso dritto e labbra moderatamente carnose, rosee, che spiccano come sbocci fioriti sul pallore elegante e quasi prezioso della carne. Capelli corvini, lucidi come piume d’uccello cadono scomposti sul volto, accarezzandolo in lunghezza fino a sfiorare le spalle, coperte da una lunga veste nera, con scollo a V decorato da intarsi d’argento e legata in vita da una cintura di cuoio, alla quale è appesa una spada. I piedi sono scalzi, le maniche abbastanza larghe e lunghe da nascondere le mani pallide. Infine, una spessa benda di velluto nero gli copre gli occhi, nascondendo maledetta una bellezza che Percy vuole osservare ad ogni costo.
-Signora O’Leary. Basta così.- dice il ragazzo, che dimostra circa diciannove anni ma la cui voce invece trasuda aristocratica fermezza di adulto. Al suono di quel timbro, la terra trema e la Signora O’Leary non osa disubbidire. Percy si chiede come quella splendida creatura possa piegare al suo volere un mastino infernale e il suolo stesso. Lo scambierebbe per un dio, se lo avesse mai visto in precedenza durante una delle battaglie alle quali hanno preso parte tutti gli déi.
-C… chi sei?- si lascia sfuggire, continuando a fissare il ragazzo. Lo vede sussultare, volgere verso di lui il capo bendato. Se non avesse gli occhi coperti, forse lo fisserebbe attentamente con occhi… di che colore? Azzurri, neri, verdi? Percy non riesce a immaginarli.
-Percy Jackson.- dice il ragazzo, scendendo gli scalini. Tende una mano, e automaticamente la Signora O’Leary vi appoggia il muso con dolcezza, delicata come Percy non l’ha mai vista. Da ciò, capisce con un tuffo al cuore che molto probabilmente il ragazzo è cieco. Non sa perché, ma quel pensiero lo intristisce profondamente.
Al suo fianco, Jason tace.
-Sei un semidio?- domanda Percy, alzandosi in piedi.
Il ragazzo inclina il capo, quasi beandosi della sua voce. Nessuna emozione traspare dal suo volto pallido e magro. –Sembra di sì. E lo sei anche tu, vero? Figlio di Poseidone.-
-Come lo sai?-
-Ti conoscono tutti, qui.-
Il ragazzo si avvicina, la voce incolore, la veste frusciante come propaggine d’oscurità. Rivolge un cenno a Percy e Jason, salutandoli.
-Mi dispiace, ma ora devo andare.- dice, la mano ancora appoggiata al muso della Signora O’Leary. Li oltrepassa con calma, il passo faticosamente moderato, come se in realtà volesse scappare via. Trema appena, ma Jason lo nota e Percy avverte qualcosa di familiare nel ragazzo, come se lo conoscesse. Impossibile, no? Se così fosse, si ricorderebbe di lui, del suo viso, delle sue movenze. Non è facile dimenticare una creatura tanto eterea.
Eppure, Percy sente che qualcosa non và nel comportamento del ragazzo.
-Nico.-
Jason pronuncia quella parola in un soffio, incredulo ma sicuro di sé. E Percy sbarra gli occhi quando il ragazzo si volta, l’ombra di un triste sorriso sulle labbra. Inclina il capo, rilassa i muscoli e improvvisamente scioglie ogni tensione.
-Ci ho sperato fino all’ultimo, ma non sei tonto quanto lo è sempre stato Testa d’Alghe, vero, Jason?-
Percy vacilla, incespica all’indietro. Fissa la spada appesa al fianco del ragazzo, guarda quei capelli neri e quel viso. Non può essere Nico Di Angelo, quello. Quella creatura non ha nulla dell’acerbo ragazzino che ha conosciuto anni addietro.
-Jason, che accidenti stai dicendo? Questo non è…-
-Percy, guardalo bene.-
E Percy lo fa, mentre il ragazzo aspetta pazientemente, immobile, per nulla intimorito. Nico sarebbe scappato davanti all’intensità del suo sguardo, Percy lo sa. Perché invece adesso il ragazzo non si muove? Semplice. Perché non è lui.
-No, Jason. Non…-
Ma il ragazzo improvvisamente si avvicina, veloce come nessuno che Percy abbia conosciuto in precedenza. Non fa rumore, come se non fosse realmente lì.
Tende le mani verso il suo viso, facendo emergere le dita lunghe e sottili da sotto le maniche larghe della veste. È più basso di lui di qualche centimetro e non ci vede, ma sembra sapere esattamente dove poggiare le dita quando gli afferra il viso, sfiorandolo con leggerezza di farfalla, delicato come fugace alito di vento. Gli accarezza il naso dritto, gli zigomi alti di ragazzo, le sottili arcate sopracciliari, su fino ai capelli corvini che non stanno mai in ordine.
Percy avverte un profumo familiare emanare da quel corpo, inspira grato i ricordi che esso gli rimanda. Sì, riconosce quell’odore… e non dovrebbe essere lì, su un perfetto sconosciuto. Cieco. Diverso dal suo Nico.
-Sei come ti ricordavo.- mormora il ragazzo con un accenno di emozione. Sorprendentemente, gli tremano la voce e le mani gelate come il ghiaccio. –Percy.-
E alla fine quel tono, il modo in cui pronuncia il suo nome, conferma i sospetti di Jason e abbatte le negazioni di Percy Jackson. Quel richiamo, lui lo conosce bene. L’ha sentito tante volte in battaglia, nei suoi stessi sogni, nei ricordi che tanto spesso l’hanno tormentato. Percy.
-No… Nico?- mormora lui, alzando timidamente una mano. La appoggia sulla guancia pallida dell’altro, sfiora delicato la benda che gli copre gli occhi. Poi, sorprendendo anche se stesso… singhiozza.
-Cosa ti è successo?-
Percy singhiozza, senza accorgersene cade in ginocchio. Stringe convulsamente la veste di Nico, appoggia il capo sul suo grembo tremante d’emozione. Sente d’averlo abbandonato, sente d’averlo deluso. Per pensare ad Annabeth, per guardare avanti insieme a lei, ha scelto di non voltarsi. A pagarne il prezzo, è stato quel ragazzo ora troppo cresciuto, troppo anziano per la solitudine che l’ha schiacciato e invecchiato prematuramente. Avverte il peso del dolore nella sua voce, nel suo corpo, nei suoi gesti, come triste angelo dalle ali spezzate. Tutto questo, perché Nico si fidava di lui, e Percy l’ha semplicemente deluso.
-Percy.- Nico lo chiama, china il busto su di lui. Con mani tremanti d’emozione, lascia scivolare i polpastrelli sul suo petto per cingerlo con braccia sorprendentemente nervose di muscoli longilinei, non massicci, ma comunque presenti. Lo stringe in un abbraccio delicato, fragile, che sa di una tristezza profonda che mai andrà via. Questo fa singhiozzare Percy con più forza, fino a ferirsi le corde vocali. Si piega in due come un vecchio al ricordo di come Nico chiese la sua attenzione dopo la battaglia. Al contrario, quella volta lui scelse di pensare ad Annabeth, voltandogli le spalle mentre il ragazzino chiedeva silenziosamente aiuto. Percy lo lasciò solo, preda dei suoi incubi e della sua solitudine, semplicemente perché per lui Annabeth era più importante.
-MI DISPIACE!!!- grida con quanto fiato ha in corpo. Singhiozza forte, stremato, preda di un dolore che improvvisamente gli apre gli occhi sul perché Nico abbia abbandonato il Campo tanti anni fa.
È colpa sua. È colpa sua se Nico ha vissuto in solitudine, è colpa sua se ormai è cieco. Mentre Percy pensava ad Annabeth, poco a poco Nico Di Angelo si spegneva.
-MI DISPIACE, NICO!!!-
Percy grida, ma non gli sembra abbastanza. Soffre, ma non basta. Vorrebbe accecarsi a sua volta, se solo fosse possibile al contrario ridare la vista al figlio di Ade.
-È colpa mia… mi dispiace… è colpa mia.-
Jason non sa che dire, non sa come reagire alle lacrime di Percy. Al contrario, Nico non sembra in difficoltà. Semplicemente, continua a stringerlo in silenzio finché i singhiozzi non si calmano e lui si accascia esausto nell’abbraccio morbido del suo profumo. Inspira lentamente, cerca di calmarsi. Ma più pensa alla cecità di Nico, più si sente male.
-Portalo a casa.- dice Nico, rivolgendosi a Jason. Scivola via dall’abbraccio disperato di Percy, non si volta indietro quando lo sente gemere e pregare che ritorni. Ironia della sorte che il grande eroe di déi e mezzosangue si pieghi tanto al cospetto di un ragazzo cieco e più piccolo di lui.
-Non andare via.- mormora Jason, mentre afferra l’amico. –Lo distruggeresti.-
Nico si volta, lentamente comincia ad allontanarsi. –Lui distrusse me sette anni fa. Ma non gli somiglio, Jason. Aspetterò che si riprenda, poi dovremo salutarci definitivamente.-
E Nico Di Angelo mantiene la parola. Attende silenzioso al capezzale di Perseus Jackson, gli stringe forte la mano mentre dorme. Non riesce a odiarlo, non più. Vuole vederlo in viso, ma deve aspettare la notte, ora dopo ora, mentre il sole cala e le tenebre avanzano sul suo viso, rendendolo più sicuro di sé, meno fragile, come un fiore notturno che soltanto al bacio della luna riesce a sbocciare.
Si sfila la benda, schiude gli occhi appena lattiginosi, come velati di cataratte. Sono occhi scuri, intensi, vivi di rinate emozioni. Occhi adulti, che stonano sul suo viso di ragazzo. Nico li odia profondamente.
All’improvviso, Percy sussulta e sbarra gli occhi. Scatterebbe a sedere se Nico non gli premesse invece una mano all’altezza della clavicola per spingerlo giù, tra le coltri.
È bello, proprio come l’ha sempre ricordato. Anzi; crescendo è migliorato, diventando il degno figlio del mare. Indomito e bellissimo, dal viso mascolino e abbronzato, dal corpo tonico tinto di pallide sfumature d’oro prezioso. Su quel viso d’angelo, spiccano gli occhi profondi, tempestosi, che troppo hanno visto e troppo hanno assimilato. Occhi antichi come l’oceano, occhi ai quali gli oceani possono solo piegarsi.
Quando lo fissano, essi si sbarrano improvvisamente, ancora lucidi di lacrime pentite. Nico non vorrebbe mai più vederli versare lacrime.
-Nico? Sei ancora…-
-Qui. E ti vedo, Percy. Quindi, per l’amor di Ade, piantala di piagnucolare.-
Nico quasi sorride all’espressione attonita dell’altro. Si alza in piedi, stiracchia i muscoli coperti dalla veste di velluto. In qualche modo, dinanzi agli occhi di Percy, qualcosa in lui sta rinascendo poco a poco, come un fiore di vita che gli sboccia nel petto, distendendo morbide propaggini di serenità mai provata in ogni direzione. È l’effetto di Percy, della sua presenza, del suo sorriso. Nico non vi è abituato, ma è bello e quasi si sente a casa.
-Come… ci vedi?-
-Secondo te? Hai frainteso la benda, idiota di un Jackson: io non ci vedo solo alla luce del sole.- Si interrompe bruscamente, quasi trattenendo il fiato. Si risiede lentamente, misura i gesti. Poi, s’arrischia a parlare ancora: -Posso vederti, Percy. Adesso posso farlo.-
E a quelle timide parole, un fiore di calda tenerezza sboccia nel petto di Percy. Guarda Nico, e per brevi istanti rivede in lui quel pallido bambino indifeso, aspro, ma ancora vivo e umano. Lo riconosce poco a poco, sovrapponendo i tratti dei suoi ricordi a quelli formati della splendida creatura che siede al suo fianco, bellissima e silenziosa come angelo guardiano. È Nico, ma non è più il suo Nico. Percy conosce davvero quel ragazzo? In fondo al cuore sente di sì, ma non può esserne certo, e di questo ha paura.
-Sei cresciuto.- dice soltanto Percy. Vorrebbe aggiungere che lo trova bellissimo, intoccabile come un sogno troppo lontano o come la luna troppo alta nel cielo sulla sua testa. Vorrebbe, ma non parla più. Piuttosto lo fissa, si riempie gli occhi dell’immagine in penombra dello splendido angelo maledetto che ha davanti. Guarda quegli occhi lattiginosi e troppo profondi, quel viso cresciuto e ancora troppo pallido.
Improvvisamente, Nico si alza.
-Hai bisogno di riposo, Percy.-
-Dove vai?-
-A casa mia.-
Quella risposta secca gli fa male, brucia come acido su una ferita. Casa sua non è il Campo Mezzosangue, Percy lo sa. Con quelle parole, Nico vuole dirgli che sta andando via, forse per sempre. Ma lui non vuole.
-Nico…-
Nico solleva una mano per zittirlo. Le ombre intorno a lui tremolano, si contorcono insieme al suo nervosismo. Percy dovrebbe averne paura, ma la realtà è che quell’aura di macabro potere emanata da Nico… gli piace. Gli piace da impazzire.
-Riposa, Jackson. Riposa e sii felice.-
-Lo sarò se resterai qui.-
Quelle parole gli sfuggono di bocca prepotenti, prima che Percy possa fermarle. Si preme una mano sulla bocca, fissa gli occhi di Nico che si sbarrano all’inverosimile in una buffa espressione di incredulità. Non riesce a credere a ciò che ha sentito, eppure è certo che a parlare sia stato Percy.
-Che… hai detto?-
Percy sospira, e infine lascia cadere i veli. Gioca il tutto per tutto, scopre finalmente le sue carte perché sa che altrimenti Nico andrà via e lui dovrà lasciarlo andare. Siede in mezzo al letto, incrocia le gambe, poi batte una mano sul materasso per indicargli di raggiungerlo. E miracolosamente, Nico lo fa.
-Nico…-
-No, Percy.- Nico solleva una mano, gli blocca le parole in gola. Ha dell’incredibile che ormai gli basti un gesto per farsi ubbidire. –Io non resterò. Non posso farlo. Questa non è casa mia, e questa non è la mia vita. Sono passato perché papà me lo ha chiesto, ma non ho intenzione…-
-Smettila! Perché continui a punirti per qualcosa che non hai fatto?-
Percy gli afferra il viso tra le mani, incrocia il suo sguardo improvvisamente stralunato. Vede Nico arrossire, lo sente tremare sotto le dita come fragile pezzo di carta percosso dal vento. E capisce in quel momento, di poterlo modellare. Capisce che in realtà, Nico è debole al suo cospetto perché in lui c’è ancora qualcosa, un pezzo di quella fragile infantilità che ancora grida aiuto, che ancora prega qualcuno di prendersi cura di lui. Si sente diverso, e forse lo è davvero. Però… non è così per Percy.
Nico Di Angelo è lo stesso ragazzo che da bambino giocò la sua carta più importante sul campo di battaglia, contro Crono.
Nico Di Angelo è lo stesso ragazzo che non ha mai mancato di seguirlo, di essergli in qualche modo… fedele. Amico.
Nico Di Angelo è colui che lo ha perdonato per aver lasciato morire tutto ciò che restava della sua famiglia.
-Ho capito, Nico.- mormora alla fine, con un sorriso. –Vieni qui.-
Percy spalanca le braccia, attende in silenzio che Nico realizzi cosa vuol dire. Non si aspetta che il figlio di Ade scivoli contro il suo petto, non si aspetta che ricambi il gesto. E anche stavolta, Percy non sbaglia.
-Che… che significa?- Nico indietreggia spaventato, come se Percy avesse appena snudato Anaklusmos.
-Non sei solo, Nico. E non sei diverso. Quando ho sentito che eri tornato al Campo, io… ho corso. Ho corso come non ho mai fatto in vita mia, semplicemente perché… mi vergogno a dirlo, ma volevo darti un pugno. Volevo punirti per essere sparito, per avermi lasciato solo. Ma quando ti ho visto, quando ho realizzato cosa sei diventato… credo di aver capito, Nico. Ho visto sul tuo volto il peso della sofferenza, della solitudine e dei sacrifici. Semplicemente comparendo nel mio campo visivo sei riuscito a placarmi, a insegnarmi qualcosa. A farmi capire che in realtà, ognuno di noi è solo. In solitudine affrontiamo le più grandi prove che la vita ci riserva, e in solitudine cadremo innanzi alla morte. È per questo che la gente ha paura di te, Nico: perché semplicemente presentandoti mostri agli altri la più grande verità della vita. Io mi sono sentito debole, solo, indifeso, come defunto innanzi alla Morte vera. Avresti potuto fare di me ciò che volevi, quando sono caduto in ginocchio.-
Percy china il capo, abbassa le braccia.
-Ma non l’hai fatto.- sussurra alla fine. –Hai avuto pietà, Nico. Più di tutti noi, ti sei dimostrato umano, vivo, sensibile. Sei stato diverso, caritatevole. E io, cosa ho fatto di te? Ti ho ignorato, ho guardato da un’altra parte. Perché non mi punisci, Nico? Perché non ti ribelli alla mia arroganza?-
Nico non risponde. Respira profondamente, chiude gli occhi. Poi, con enorme sorpresa di Percy, il figlio di Ade reagisce all’improvviso, con uno scatto felino quasi invisibile. I muscoli si tendono, un corpo sottile ma potente inchioda Percy al letto con una spinta vigorosa, inaspettata.
Nico gli sale a cavalcioni sul bacino, stringe le cosce sui suoi fianchi. Poi, gli afferra il viso con un’unica mano bianca, magra, ma abbastanza forte da spingere Percy all’immobilità. Le ombre intorno a loro danzano, si consolidano in masse nervose, simili a spirali di energia. Percy capisce che è Nico a muoverle e sa che da un momento all’altro, una pallida mano di zombie potrebbe sbucare dal muro accanto al letto per infilargli una lama nella gola.
-Guardami, figlio di Poseidone.- ringhia Nico con voce roca, bestiale, che per qualche motivo riempie Percy di brividi ben lontani dalla paura.
Lo guarda e affonda lo sguardo in due pozze scure, aggressive, profonde come gli abissi del Tartaro e feroci come quelle di un animale selvatico. Nico inclina il viso, lo studia, flette i muscoli sotto la veste per accostare il viso al suo e Percy capisce che in quel momento, l’altro ragazzo è imprevedibile. Potrebbe fare qualsiasi cosa, trattarlo in qualsiasi maniera. E Percy non avrebbe modo di ribellarsi perché il potere di Nico è ovunque e lo schiaccia al suolo come una mano invisibile, inamovibile.
-Punirti? In che modo dovrei punirti, Jackson?- sibila Nico, lasciando scivolare il capo in basso, verso il viso di Percy. Lascia che le loro guance si sfiorino, accosta le labbra all’orecchio dell’altro e ne sfiora il lobo con un soffio gelido come il ghiaccio.
Percy perde poco a poco il controllo del suo corpo e rabbrividisce, totalmente alla mercé dell’altro. Sente un fiotto caldo attraversargli le vene come lava, stringe i pugni, serra la mandibola. Vorrebbe rispondere a quella domanda, ma non riesce a parlare.
-Cosa vuoi che faccia?- sibila Nico al suo orecchio. È come il sussurro di un predatore, l’ansito selvaggio di un animale che si appresta a balzare sulla preda. Inclina il viso, gli sfiora la guancia con le labbra in un bacio di Giuda assolutamente provocatorio. Continua a bloccare Percy, gli lascia capire che è totalmente inerme al suo tocco. E lui non può, né cercherà di opporsi.
Potrebbe accadere di tutto, potrebbe…
Una risata. Bassa, sincera, quasi di bambino. Nico che si ritrae, i suoi occhi che guizzano di puerile ilarità. Si preme una mano sulla bocca, lo fissa ringiovanito attraverso la cortina di capelli scompigliati.
-La tua… la tua faccia!- esclama, mentre Percy si alza a sedere stupito, fissando Nico ringiovanire davanti ai suoi occhi, innocente come quando l’ha conosciuto, sereno come non l’ha mai visto. È una persona nuova che ha davanti, uno spettro di colori oscuri che a modo loro, appaiono solari e quasi benigni.
Nico Di Angelo ride. Ride di lui, ride grazie a lui. Ed è il suono più bello che Percy abbia mai sentito. È come udire lo scroscio argentino dell’acqua, è come guardare il sole che sorge dietro colline rigogliose di smeraldo. Ed è anche qualcosa di talmente raro da lasciare Percy Jackson senza fiato, come se avesse davanti il diamante più grande e prezioso del mondo.
E se Nico gli era apparso bello in precedenza… adesso è assolutamente meraviglioso. Più elegante di Afrodite, più aristocratico di Ade, più luminoso di Apollo. È l’ottava meraviglia del mondo, e Percy la scopre solo adesso, dinanzi a quel sorriso che avrebbe creduto di non vedere mai più.
-Tu… ridi?- si lascia sfuggire, mentre Nico tenta di calmarsi.
-Io… certo che ri… rido. Oddio, scusa.- Cerca di calmarsi, ma sembra un’impresa disperata. Nico sembra sereno, felice, quasi nuovamente bambino. E tutto perché Percy è lì, perché non è più solo.
Le ombre fremono e lentamente cominciano a ritrarsi, come pieghe di velluto sempre più sottili, sempre più accartocciate su loro stesse. Si discostano ferite, scacciate dal loro stesso padrone. Alleggeriscono l’atmosfera, lasciano che l’ambiente si illumini proprio mentre… sorge il sole.
La luce dorata piove come morbida cascata lungo le finestre, verso il pavimento azzurrino della capanna di Poseidone e Percy fissa affascinato quei nastri luminosi, massicci, quasi palpabili come reali entità. Nico si accorge del suo sguardo improvvisamente sereno, emozionato come quello di un bambino che apre il suo regalo di Natale. Il suo Percy. Gli basta poco per tornare se stesso, per irradiare di benefica allegria tutto ciò che lo circonda. Nico l’ha sempre amato semplicemente per questo.
-Aspetta.-
Nico si sporge, allarga le braccia. Comincia a muovere le mani con grazia innata, come se stesse danzando, seguendo tuttavia uno schema preciso che Percy fissa incantato.
Poco a poco, le ombre spariscono, assorbite dalle pareti. Si ritraggono, abbandonano ogni angolo della stanza, raccogliendosi intorno a Nico come una cappa semplicemente per consentirgli di vedere.
La luce inonda le pareti, piove come intensa tempesta d’oro sul mondo intero. Davanti agli occhi di Percy, ogni cosa si tinge di pallida sfumatura lucente, brillante come pietra preziosa, calda, morbida di sfaccettature luminescenti. I raggi solari rimbalzano sulla vaschetta d’acqua poco lontana dal letto, riflettendo su di essa uno spettro di colori sempre in movimento, dispersi come frammenti di specchio frantumato, ma ancora brillante di luminescenza. È come guardare un mondo nuovo e bellissimo, un piccolo regalo degli déi che in pochi istanti ripropongono l’aspetto di un Olimpo sceso in Terra.
Percy scende dal letto, si guarda intorno affascinato. Quando si volta però, vede Nico accucciato sulle coperte, schiacciato contro la parete, gli occhi chiusi e il volto piegato di lato, come in caparbio rifiuto alla luce del sole. Appare quasi fragile in quell’atteggiamento spaventato, remissivo, che sa di bestia chiusa in gabbia col suo stesso domatore violento. E questo a Percy fa male.
Nico non guarda davvero la luce del sole da anni. Si bea di oscurità, si convince d’esser egli stesso oscurità fitta, remota, minacciosa. Si sente morto, si accartoccia come cadavere in quel buio che l’ha sempre accolto quando invece l’oscurità ha saputo solo rifiutarlo. E quella luce graffiante e bellissima, Nico ce l’ha davanti, specchiata in grandi occhi verde acqua, limpidi come i mille oceani dell’universo, puliti come pioggia che cade dal cielo. Per quanto bella, quella luce fa male.
-Non è giusto.-
Percy avanza lentamente, lo raggiunge. Con dolcezza, affonda le mani in quell’oscurità perpetua che abbraccia Nico, facendolo respirare, vivere, sentire a casa.
-Non è giusto.-
Percy gli afferra le mani, penetra la cappa di fitto terrore che avvolge il figlio di Ade. Cerca di tirarlo dolcemente, ma egli si ritrae contro il muro.
-Percy, no.- mormora. –Te l’ho detto… io non appartengo a questo mondo.-
Ma Percy inclina il capo, accosta il viso al suo. –Tu sei nato nella luce, Nico. Tu sei la luce, e tale sei stato per tutti noi. Per me. Quando ero cieco, tu mi illuminavi la via. Quando ero solo, tu mi porgevi la mano per trarmi verso il calore di un sole nuovo, che ho scoperto solo grazie a te. L’alba di questo stesso mondo è potuta sbocciare di nuovo semplicemente perché tu hai voluto così. Hai lottato per la luce, hai creduto in essa e nel domani che poteva giungere per tutti noi. Sei stato più potente del sole, più caparbio di qualsiasi raggio lucente che ogni mattina bacia l’oceano, scendendo giù, fino al palazzo di mio padre. Tu non appartieni all’oscurità, Nico Di Angelo.-
Percy tira ancora, poco a poco si accorge che Nico ricambia la stretta, anche se con fare titubante.
-Tu puoi vedere la luce, Nico. Puoi vederla come tutti noi. Ricordi le storie che ci raccontavano quando eravamo piccoli?-
Un altro centimetro, un altro pallido avanzare verso il nuovo giorno.
-C’erano degli eroi, in quelle fiabe. Eroi veri, che lottavano con le unghie e con i denti semplicemente perché credevano in qualcosa… a volte in qualcuno.-
Nico tentenna, cerca di ritrarsi, ma Percy non lo lascia andare.
-Credi in me, Nico. Credi nella possibilità che ogni ombra possa essere passeggera. Anche l’oscurità deve passare.-
Si accosta al ragazzo, gli circonda la vita con un braccio. Il viso di Percy si accosta al suo, lo fissa per distrarlo, per impedirgli di fuggire. E in quell’unico sguardo, vi infonde ogni più piccola dose di preghiera, ogni speranza che Nico finalmente, possa tornare a vedere la luce.
-Me l’hai insegnato tu, Nico. Così piccolo, così fragile e infantile… ma anche così terribilmente saggio. Hai saputo insegnarmi che il nuovo giorno alla fine sorge per tutti noi. E io ci ho creduto semplicemente perché tu volevi che fosse così. Mi sono affidato a te, mi sono aggrappato alle tue speranze. Adesso, tu aggrappati alle mie e lasciati guidare. Guarda il mondo che hai salvato, guarda lo sbocciare di un nuovo giorno. E sii uno di quegli eroi delle fiabe che, pur feriti e zoppicanti, hanno la forza di avanzare ancora e di credere nel domani!-
Percy lo strattona, tira a sé quell’ultimo briciolo di speranza alla quale si aggrappa disperato, pregando che funzioni. Sente Nico aggrapparsi al suo collo, avverte il suo corpo moderatamente muscoloso aderire al suo in una stretta spaventata. Il viso del più piccolo affonda contro il suo collo, nascondendo gli occhi mentre la luce dorata del sole lo bacia di un oro profondo, prezioso, che riflette di splendide sfaccettature i suoi capelli corvini e la pelle madreperlacea.
-Apri gli occhi.-
Nico non si muove, e Percy lo stringe più forte.
-Nico… guardami. Guarda me, guarda soltanto me.-
E stavolta, Nico ubbidisce semplicemente perché guardare Percy Jackson è la cosa più naturale che ha sempre fatto. È come respirare aria pulita, è come muovere i primi passi di bambino. È come guardare al sole senza scottarsi davvero.
Gli occhi bruciano, la vista recalcitra ferita. Ma Nico non chiude gli occhi, perché non ha mai visto Percy così da vicino. Distingue i riflessi d’oro colato che morbidi scivolano sulla sua pelle, scruta i bagliori corvini dei suoi capelli scuri.
Poi, ci sono gli occhi. Brillanti come smeraldi, profondi come gli anfratti del Tartaro e dell’universo stesso. Nessun tesoro potrebbe eguagliare in valore la preziosità di quello sguardo semplice, gentile, vivo. Nico vede sfuocato, ma i colori di quelle iridi cangianti sono talmente intensi da apparirgli visibili come fari puntati direttamente in faccia.
-Sii la mia luce, Nico.- mormora Percy, avvicinandosi. –Sii la mia luce, e io sarò la tua. Sii la mia luce… e perdonami, se puoi.-
Con più coraggio di quanto se ne sente realmente in corpo, Nico affonda le mani nei suoi capelli e lo guarda, pregando gli déi che la vista non venga a mancargli proprio ora.
-Io ti ho già perdonato, Perseus Jackson.- mormora, accostandosi a sua volta. Percy è così alto che Nico deve alzarsi sulle punte per premersi totalmente su di lui, corpo contro corpo, anima contro anima. Morte contro Vita. –E lo farò sempre, ogni volta che vorrai. Io sono nato dalla Morte, e come tale non conoscevo né Vita, né luce. Questo, finché non sei arrivato tu. Mi hai completato, come si completano a vicenda due lancette d’orologio che da sole non potranno mai indicare l’ora esatta. E questo vale più di tutte le colpe del mondo. Sii assolto, sii sereno. E sii la mia Vita.-
Nico non sa cosa lo spinge, non sa chi dei due si sia mosso per primo. All’improvviso, Percy accentua la stretta sui suoi fianchi e china il volto sul suo per trascinarlo in un bacio leggero, agognato, benedetto dalla luce e dall’oscurità, dalla Morte e dalla Vita. Lingue che si intrecciano, labbra che si toccano, denti che affondano giocosi in morsi gentili. Un bacio sereno, un bacio che riporta Nico Di Angelo alla luce di una nuova vita.
Ed è lì, al cospetto del sole più dorato che il mondo abbia mai visto, che due perfetti opposti d’identica bilancia s’incontrano al bivio di una nuova alba. È lì che angelo della Morte e angelo della Vita si toccano, si baciano, fanno l’amore. È lì che il mondo ricomincia a girare per il verso giusto, maturando tra le mani di una nuova era.
Nico Di Angelo rimase al Campo Mezzosangue per altri due giorni prima di sparire di nuovo. Sparì, ma Perseus Jackson non lo lasciò mai andare davvero. Attendeva il suo ritorno ogni volta, e ogni volta Nico si ripresentava, a volte a distanza di settimane, a volte a distanza di mesi. E quando i due si incontravano, chiunque fosse presente poté affermare che tra le braccia di Percy, Nico tornava a vivere. La sua pelle riprendeva colore, i suoi occhi vedevano di nuovo. Questo, finché alla fine Percy lo convinse a restare.
Invecchiarono insieme, Morte e Vita, Vita e Morte. E laddove sole e tenebre poterono baciare di benedizioni quella unione, lì si concluse il circolo esatto dell’esistenza. Due lancette d’orologio che si completavano, ali gemelle che insieme sbattevano per innalzarsi verso i picchi più alti del cielo.
Il cerchio della vita funziona così. E io sono qui per poterlo raccontare perché ho visto, perché so, perché ho ascoltato questa storia mille e mille volte da migliaia di bocche diverse. Chi sono? Il mio nome è Bianca Di Angelo, e sono colei che dall’alto ha visto esaudire ogni singola preghiera di pietà per mio fratello ormai uomo, ormai vivo, ormai felice. Un giorno, la sua lancetta vitale toccherà la mezzanotte, e allora ci vedremo di nuovo, magari in presenza dello stesso Perseus Jackson. Forse, quel giorno non è lontano, e forse… forse toccherà a me raccontargli ciò che ho visto e sentito su di loro, perché dopotutto, Vita e Morte sono un’unica grande avventura che si completa solo e soltanto con l’aiuto di entrambe le controparti.
 
Angolo dell’autrice:
Dunque… che dire? Forse la mia storia è un po’ lunghetta, ma credo… sì, credo di essere soddisfatta del risultato. È solo la mia seconda storia sulla Pernico, ma forse ne scriverò altre in futuro. Detto ciò, non posso che ringraziarvi. Grazie per aver letto, grazie per essere arrivati fin qui, alla fine di questa piccola avventura. E soprattutto, grazie a chi lascerà un commento. Possa la sorte essere sempre a vostro favore, piccoli semidei, che siate in missione o meno. Grazie ancora, e a presto!
Tomi Dark Angel
 

 
  
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