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Autore: Snoopina    12/11/2014    1 recensioni
Thomas è un quindicenne. Niente di più e niente di meno. Finché, rientrando a casa dopo una serata come tante, trova qualcuno ad accoglierlo nel garage.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La prima volta che vide l'Uomo nel Garage fece la cosa più ovvia.
 
Non ci credette.
 
Rincasava da una serata al pub del paese vicino, una media rossa che viaggiava allegramente nelle sue vene quindicenni. Era un po' allegro, questo sì, ma non al punto da avere delle allucinazioni. Tant'è che aveva guidato tranquillamente il suo scooter – non proprio nuovo di pacca, questo no, ma ancora più che decoroso - lungo la decina di chilometri che lo separava da casa.
Quando era arrivato in vista del portellone del garage aveva estratto agevolmente le chiavi dalla tasca del giubbotto – senza fermarsi, continuando a guidare con una mano sola, quindi non era ubriaco, no? - e aveva premuto il pulsante di apertura. La luce sotto la maniglia aveva lampeggiato il suo assenso nella tiepida mezzanotte primaverile e la porta basculante aveva iniziato ad alzarsi.
 
In una sera così, come poteva immaginare che ci fosse un Uomo nel Garage?
 
Si era infilato sotto il portellone mentre si stava ancora aprendo, chinandosi un poco per evitare di sbattere la testa – non ce n'era poi bisogno, ma lo faceva sentire più ardito – ed era entrato nel garage buio alla sola luce del fanale. Non era uno di quei garage condominiali, con le pareti in cemento grezzo, il pavimento polveroso e una lampadina nuda appesa al soffitto, di quelli che sembrano il set ideale di un film horror. Il suo era un garage moderno, accuratamente imbiancato e piastrellato, e la lampadina ordinatamente protetta da un paralume in vetro avrebbe dovuto accendersi automaticamente all'apertura della porta.
Sennonché il meccanismo si era guastato due settimane prima e suo padre continuava a scordarsi di chiamare l'elettricista.
 
(Thomas aveva il fondato dubbio che suo padre non volesse chiamarlo finché non avesse avuto abbastanza lavori da fargli fare per giustificare il costo dell'uscita, ma non osava accusarlo apertamente per evitarsi una filippica su chi pagava i conti, in quella casa)
 
Ma se quella dannata lampadina avesse funzionato, l'Uomo l'avrebbe aspettato? O se ne sarebbe andato in qualche altro garage, a spaventare a morte qualche altro adolescente allampanato?
 
Fatto sta che quando lui era entrato l'Uomo era lì.
 
Thomas non l'aveva visto subito, concentrato com'era a parcheggiare il suo scooter il più vicino possibile al muro onde evitare di rigare la preziosa Audi di suo padre, che doveva ancora finire di pagare e gli costava 400 euro al mese e non se la sarebbero mai potuti permettere se fossero stati in affitto e lui alla sua età non poteva capire certe fortune.
 
Ma quando fermò il motorino e guardò alla sua destra era lì, seduto proprio al posto di guida della Preziosa Audi, e lo fissava. Non poteva sbagliarsi, nemmeno nella luce fioca del fanale dello scooter ancora acceso. Era un Uomo, o qualcosa del genere. Sembrava ritagliato nella tenebra, buio sullo sfondo del buio. Thomas non vedeva i suoi occhi, ma era sicuro che lo stesse guardando. Lo sentiva.
Un lungo brivido percorse lentamente il suo corpo, sollevandogli i capelli sulla nuca. Le gambe gli si irrigidirono ai lati della sella. Non pensò nemmeno di alzarsi. Non pensò e basta, immobile, occhi negli occhi con quella creatura che gli occhi non li aveva.
 
Era stato lì per ore, o forse per cinque minuti, prima che qualcuno accendesse la luce con l'interruttore in cima alle scale che portavano in cucina.
Thomas sollevò gli occhi e suo padre era lì, con il suo pigiama verde scuro a rombi e uno sguardo eloquente.
«Potresti tenere acceso il motore ancora un attimo? Così dovresti riuscire a svegliare tua madre».
Thomas si affrettò a girare la chiave e solo dopo, nel garage inondato dal silenzio, guardò l'Uomo che, come era prevedibile, non c'era più.
Suo padre aggrottò le sopracciglia. «Che ti succede?». Thomas scosse la testa. Si sentiva già un idiota. Si lasciò andare a una mezza risatina, nel tentativo perso in partenza di ammorbidire il vecchio. «Mi sembrava che ci fosse qualcuno sulla tua macchina. Con 'sta luce rotta non si vede un accidente». «Sull'Audi?». Tutto il sarcasmo era scomparso dalla voce di suo padre mentre si slanciava giù per le scale alla massima velocità concessagli dalle pantofole di velluto. Spalancò la portiera dal lato del guidatore e infilò dentro la testa. La luce si accese immediatamente nell'abitacolo, illuminando la sua calvizie incipiente e la pelle immacolata degli interni. Niente Uomini. Lo Zanardi Senior, per buona misura, procedette a controllare i sedili posteriori e perfino il baule. Ancora niente Uomini all'orizzonte. Corrugò nuovamente le sopracciglia e tornò a guardare Thomas, che con un residuo di rispetto filiale evitò di rivelargli quanto gli ricordasse uno sharpei incazzoso. Il peggio era passato. «Divertente» disse il Senior. Thomas scrollò le spalle, scese dallo scooter e si allungò per appoggiare il casco sul suo ripiano. Un posto per ogni cosa, ogni cosa al suo posto. «Ho detto che mi sembrava di aver visto qualcuno, non che c'era. Era buio». Il padre gli scoccò un'occhiata sprezzante e risalì le scale senza aspettarlo. Thomas premette il secondo tasto sul telecomando e aspettò che il portellone fosse perfettamente chiuso prima di seguirlo.
Mai aprire il garage prima di essere in vista della casa, mai andare via prima che fosse completamente chiuso. Qualcuno avrebbe potuto infilarsi in casa e macellarli tutti per portarsi via il megaschermo.
Lanciò una rapida occhiata verso l'alto. Suo padre era andato, lo sentiva sciabattare al piano di sopra. Si avvicinò al finestrino della Audi e guardò dentro. Non c'era proprio nessuno. Forse undici gradi erano troppi per una birra, eh?
 
Se fosse stato un adulto sarebbe passato fuori di testa, avrebbe avuto un attacco isterico e sarebbe stato internato con un Tso. Ma aveva quindici anni ed era l'età più bella del mondo.
Andò a letto.
Il giorno dopo l'avrebbe detto ai suoi amici per farsi due risate. Si sentiva già raccontare: «Deh, ieri sera - cazzo! - vedevo i mostri...». Si addormentò mentre stava ancora pensando a come finire.
 
Suo padre, invece, non riusciva a dormire.
Nel cuore della notte scese in garage, aprì la portiera dell'Audi e installò il bloccasterzo.
Solo allora riuscì a dormire.
 
La mattina dopo era domenica e Thomas dormì fino alle undici prima di consumare una colazione tardiva seguita da un pranzo pantagruelico. Quando faceva sega a scuola e andava al bar prendeva il caffè, ma a casa preferiva il latte con il cioccolato.
Amava la domenica mattina, con l'intero pomeriggio che si stendeva davanti a lui carico di promesse. Il cazzeggio al campetto, un giro in motorino o in due sulla moto da cross di Davide. La sera, che invece gli stava alquanto sul callo, sembrava così lontana.
Spazzolò il tiramisù, si precipitò a lavarsi i denti e corse a cavallo dello scooter. La luce del giorno inondava il garage e non c'era nessuno sull'Audi, che domande.
 
Tornò alle sette meno un quarto, con un accenno di tramonto all'orizzonte. Non c'era nessuno sull'Audi.
 
In settimana non si usciva, così era deciso. In casa Zanardi la critica costruttiva all'Autorità non era incoraggiata. Thomas riusciva a mascherare la sua sfigataggine modificando con il cellulare le foto scattate sabato notte e domenica pomeriggio e caricandone due ogni sera, come se fosse fuori a divertirsi. Il gruppone su Facebook, le bollicine pseudo-artistiche della birra su Instagram. L'iPhone in carica e poi subito a dormire, ché il giorno dopo c'è scuola.
Ma sarebbe arrivato un altro sabato sera, arrivava sempre.
Infatti arrivò puntuale anche quella settimana.
 
Thomas tornò al pub dell'altra volta, bevve con moderazione, scherzò, rise e cercò di non badare all'arsura che sentiva nella gola quando venne il momento dei ciao e dei ci vediamo domani e dei frizzi e lazzi che hanno senso solo quando hai quindici anni e non ci sono ragazze nel tuo gruppo.
Salì sullo scooter con gambe rigide come stecchi di legno e sgommò senza fretta verso casa.
Boschi e case correvano ai suoi lati troppo in fretta. Scese a 30 chilometri orari ma il garage si avvicinava inesorabilmente: aveva l'impressione che fosse l'Uomo stesso a corrergli incontro.
Lasciare lo scooter fuori? Impensabile, suo padre non gliel'avrebbe mai lasciata passare. E come si sarebbe giustificato? Con l'Uomo nell'Audi?
 
Il garage arrivò.
 
Thomas mise giù le sue nuove gambe di legno e aprì il portellone solo all'ultimo momento. Attese finché non fu sollevato completamente, in modo che la flebile luce della luna penetrasse all'interno del garage insieme al fascio più intenso del fanale. Da lì riusciva a vedere solo il retro dell'Audi, così elegantemente allungato e fottutamente inutile. Imprecò fra i denti, strinse le mascelle e imboccò il garage con un'accelerata decisa. Guardò subito alla sua destra, al posto di guida dell'Audi.
 
Non c'era nessuno.
 
Era così impegnato a scrutare l'abitacolo buio che non si accorse dello scaffale finché ci andò contro con un fracasso da svegliare i morti.
 
Al piano di sopra risuonarono i passi sciabattanti di suo padre.
 
Merda.
 
Venne un altro sabato sera. Poi un altro. E un altro ancora.
 
Quando l'Uomo tornò era settembre, Thomas aveva iniziato la seconda liceo e conservava un ricordo piuttosto vago di quella sera di primavera. Un ricordo dalla strana qualità onirica, tipica della notte.
 
Era sabato sera ed era uscito. Stessa storia, stesso posto, stesso bar, come diceva quella vecchia canzone. Quando entrò nel garage e gli impalpabili occhi di tenebra dell'Uomo si posarono su di lui avrebbe dovuto sentirsi terrorizzato, ma la sensazione fu diversa.
 
Fu come se lo fosse aspettato.
 
L'uomo lo guardava. Thomas si accorse con affascinato orrore che non era completamente immobile: le sue spalle magre erano scosse da un movimento morbido e regolare. L'Uomo respirava.
 
Era vivo.
 
Thomas si ricordò di suo padre e spense il motore. Volse con decisione le spalle all'Uomo, estrasse il cellulare dalla tasca e attivò la luce del flash, dirigendola verso le scale e badando bene a evitare l'Audi. Scese dallo scooter, salì le scale e accese la lampadina. Solo allora guardò giù. L'Uomo – ma guarda un po'! - era scomparso.
Aspettò che il portellone fosse ben chiuso, poi andò a dormire.
 
Stavolta passarono solo due settimane.
 
Thomas non si era illuso: ormai sapeva che l'Uomo sarebbe tornato. Restava da capire perché.
Entrò nel garage con calma, parcheggiando con cura lo scooter.
Suo padre l'avrebbe scuoiato se avesse fatto ancora casino.
Ed eccolo lì, seduto al posto di guida in quell'Audi che ora odiava per un motivo in più, girato verso di lui. La sagoma nera che ormai gli era singolarmente familiare. Cazzo, probabilmente era l'unica persona al mondo a vederla. Di sicuro non aveva mai chiesto in giro chi altro l'avesse incontrata.
Thomas si accomodò meglio sulla sella, in modo da guardare in faccia l'Uomo.
“Chi sei? Cosa vuoi? Perché proprio a me?” chiese in silenzio. Rimase così a lungo, lo sguardo affondato nell'abisso di quel volto nero. E l'abisso, come nella migliore tradizione nietzschana, scrutava dentro di lui.
Si sforzò di sentire qualcosa. Qualunque cosa. L'aura malvagia che circonda certe persone. Quella buona, al profumo di lavanda, della sua vecchia nonna. Niente.
Chiuse il portellone e andò a dormire.
 
Il sabato successivo l'Uomo era lì.
Thomas aveva l'impressione di dover capire qualcosa e di doverlo fare in fretta.
Si sedette sulla sella, a gambe incrociate, in quella che ormai considerava la posizione tipica delle loro interazioni. Come il solito tavolo d'angolo in birreria, da dividere con gli amici di sempre.
Stavolta parlò davvero all'Uomo. «Chi sei? Cosa vuoi? Perché proprio a me?».
Ebbe l'impressione che il mento della sagoma si abbassasse impercettibilmente in segno d'assenso.
Il braccio di Thomas fremette, ma finì per andarsene a dormire.
Non prima che il portellone si fosse richiuso fino in fondo, of course.
 
Mercoledì sera, dopo cena, Thomas stava ripassando diligentemente la lezione di storia dell'indomani. Zanardi Senior lanciò uno sguardo dentro la sua stanza e si allontanò soddisfatto.
Thomas studiò ancora per mezzora, il tempo che diventasse completamente buio.
Poi scese in garage, al buio, reggendosi al corrimano della scala.
Aprì il portellone, in modo che la sola luce della luna rischiarasse l'abitacolo dell'Audi quanto bastava per scorgere una sagoma nera seduta al posto di guida.
 
L'auto era vuota.
 
Sabato sera Thomas andò al pub con gli amici. Si divertì. Tornò a casa e si predispose all'incontro. Perché mai dovesse vederlo solo di sabato sera, poi...
L'Uomo non lo deluse.
Thomas si accomodò sulla sella e gli parlò a lungo. L'Uomo annuì impercettibilmente di tanto in tanto. Poi, nel bel mezzo di un discorso, Thomas si allungò e appoggiò di scatto la mano al finestrino. L'Uomo allungò la sua senza esitazioni, finché le sue dita scheletriche combaciarono con quelle affusolate del ragazzo. Thomas sentì dapprima un freddo glaciale, poi un caldo ustionante. Ritirò la mano con un sibilo e corse a dormire.
Sì, il portellone era chiuso.
 
Il sabato successivo Thomas capì di non poter procrastinare ulteriormente.
Fedele a quell'insieme di regole non scritte che regolavano il suo rapporto con l'Uomo, andò al pub con gli amici, rise e scherzò. Chissà, forse doveva essere nella predisposizione d'animo adatta per incontrarlo. Forse doveva sentirsi tutti i suoi quindici anni, non uno di più né uno di meno.
Tornò a casa, parcheggiò con calma senza guardarsi intorno e premette il tasto per chiudere il portellone. Aspettò il lieve tonfo che segnalava la fine della corsa. Nel buio totale che sostituì la pallida luce lunare non riusciva a vedere nulla.
Allungò la mano alla cieca, fino a sentire il vetro del finestrino contro il palmo. Presto un freddo intenso attraversò il cristallo e raggiunse la sua mano.
L'Uomo vedeva anche al buio.
Ci avrebbe giurato.
Solo allora si alzò e seguì il profilo della macchina, assaporando la sensazione della carrozzeria liscia che scorreva sotto le sue dita. Suo padre, dopotutto, aveva ragione: quell'Audi era bellissima. Girò intorno all'auto, aprì la portiera dal lato del passeggero e si accomodò sul sedile. Controllò che lo sportello fosse ben chiuso con la sicura inserita prima di rivolgersi alla sua sinistra.
 
«Allora, dove mi vuoi portare?».
 
 
 
   
 
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