Storie originali > Romantico
Segui la storia  |      
Autore: Fiore Blu    15/11/2014    1 recensioni
Sono qui davanti alla casa che corrisponde all’indirizzo datomi dal prof, e mi sto torturando il cervello nel tentativo di elaborare un saluto carino.
Tipo “ehi!”, oppure “ohi!”, o magari un “ehm, ciao!” ma mi accorgo sin da subito che sarebbe come dirgli in faccia: “Senti, sono intraprendente come Mammolo, potresti avere un po’ di pietà?”
[OS partecipante al contest "La Vita è una rete di piccoli, invisibili appuntamenti"]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
http://freeforumzone.leonardo.it/d/10931336/La-vita-%C3%A8-una-rete-di-piccoli-invisibili-appuntamenti/discussione.aspx
 
FATE. Quando è il destino che ti sceglie...
NICK 
Fiorella Runco 

TITOLO 
FATE. Quando è il destino che ti sceglie... 

PROMPT 
ROBE STRANE: L'ESERCITO DELLA LIBERAZIONE DEI CRICETI 
CITAZIONI: "PERCHE', C'E'QUALCOS'ALTRO DI CUI VALGA LA PENA PARLARE?" 
OGGETTI: UN PACCHETTO DI SIGARETTE 
PERSONAGGI: E' DECISAMENTE ASSONNATO 
LUOGHI: UN POSTO IDEALE PER NASCONDERSI 
TEMPO: QUELLO DI BERE UN CAFFE' 

RATING 
Giallo 

INTRODUZIONE 
Sono qui davanti alla casa che corrisponde all’indirizzo datomi dal prof, e mi sto torturando il cervello nel tentativo di elaborare un saluto carino. 
Tipo “ehi!”, oppure “ohi!”, o magari un “ehm, ciao!” ma mi accorgo sin da subito che sarebbe come dirgli in faccia: “Senti, sono intraprendente come Mammolo, potresti avere un po’ di pietà?” 

*******


FATE: quando è il destino che ti sceglie...

Sapete qual è la cosa peggiore di trasferirsi in una nuova città?
“Sistemare casa, ambientarsi in una nuova scuola, farsi nuovi amici, cercare di non fare figuracce con dei completi sconosciuti e non finire nei guai!” penserete voi.
Ma vi sbagliate.
Il mio stomaco non è mai stato tanto teso in vita sua. Anzi si sente strano almeno quanto me. Di solito lo ammansisco con la nutella, o con le patatine al formaggio... ma in questo momento credo proprio che non sia il caso.
Quel è il problema?
Nessuno.
Okay, ho mentito.
Il problema è Skylar Fate.
E chi sarebbe? Direte voi.
È questo il punto. Non lo so.
Oggi a scuola il prof di disegno ci ha divisi in gruppi e, come da regolamento, chi ultimo arriva male alloggia, perciò l’ultima arrivata – che sarei io – è stata accoppiata con l’unico ragazzo assente.
Sono qui davanti alla casa che corrisponde all’indirizzo datomi dal prof e mi sto torturando il cervello nel tentativo di elaborare un saluto carino.
Tipo “ehi!”, oppure “ohi!”, o magari un “ehm, ciao!” ma mi accorgo sin da subito che sarebbe come dirgli in faccia: “Senti, sono intraprendente come Mammolo, potresti avere un po’ di pietà?”. Perciò cambio strategia.
Cerco di immaginare il suo viso.
Comincio con qualcosa di non traumatico: faccia pulita, occhiali, qualche brufolo, e magari anche l’apparecchio. Non guardatemi così. Mi sento a mio agio solo se volo basso.
D'altronde il mio aspetto mediocre mi urla di continuo di mirare basso.
E non è una battuta di spirito, credetemi.
Ma è una frase con doppio senso.
E questo è ancora più crudele.
Infatti non raggiungo il metro e sessanta e sono ingrassata cinque chili negli ultimi mesi.
Sono praticamente una pallina. Una pallina strana.
Tutto di me è contorto, a partire dal colore dei miei capelli lunghi. Infatti non riesco mai a capire se siano biondi o castani perché sono troppo scuri per essere biondi e troppo chiari per essere castani.
Ma concentriamoci ancora su Skylar, lo sconosciuto.
Potrebbe essere grasso e brufoloso, il che potrebbe essere un bene. Ma anche no.
Infatti potrebbe offrirmi una merendina oppure sorridermi sfacciatamente mentre sbava sulla torta che ho portato, giusto per essere gentile.
Ultimo tentativo.
Potrebbe essere mingherlino e occhialuto, intelligente sopra la media.
Magari potrebbe essere simpatico e magari...
La porta si apre strappandomi dai miei pensieri.
Anche le tre alternative vengono strappate via.
Skylar non ha la faccia pulita, non ha gli occhiali, non è grasso, e non sta sbavando sulla torta - sempre ammesso che questo dio greco sia Skylar!
«Sa... salve» dico.
Salve! Salve? Ma dico, sono demente o cosa? Nemmeno mio nonno dice più “salve”!
Il ragazzo davanti ai miei occhi è appena uscito dalle pagine di una rivista di moda.
È stupendo, luminoso, muscoloso al punto giusto e... seminudo.
I suoi occhi grigio argento mi squadrano da cima a fondo e poi si fermano sulla torta.
Un sorriso cattivo aleggia sulle sue labbra piene.
«Scusa, non accetto dolci dagli sconosciuti» ghigna e comincia a chiudere la porta salutandomi con la mano come se fossi una bambina di cui liberarsi.
«Aspetta!» urlo quasi, bloccando la porta.
Il contraccolpo fa sbattere l’angolo di legno sulla fronte del ragazzo.
«Ma che diavolo... !» impreca, guardandomi male subito dopo. La sua fronte candida ha un segno rosso a forma di striscia.
«Scusa!» sobbalzo, mortificata.
Complimenti Em. Sei sempre un disastro ambulante.
«Si può sapere cosa vuoi da me?» chiede finalmente lui, posandosi una mano sul viso a mo’ di protezione.
«Ehm... sto cercando un certo Skylar Fate» dico, sperando vivamente che non sia lui.
Preferirei decisamente il ciccione brufoloso e famelico in questo momento.
Con la mano libera tiene ben salda la porta e i suoi muscoli guizzano.
I pettorali scolpiti, i tendini che legano in modo eccessivamente armonioso la clavicola sporgente e il bicipite marcato. Gli addominali che terminano in due meravigliose e vistose fossette accanto alle ossa del bacino, tipiche di un bel corpo maschile.
«E chi saresti tu?» chiede, facendo ritornare la mia attenzione sul suo bel viso spigoloso.
«Mi chiamo Emma. Sono nuova in città. Il professore di disegno mi ha assegnato un compito da svolgere per domani insieme a questo Skylar... ma oggi lui era assente, così il professore mi ha dato il suo indirizzo. Ed eccomi qui» spiego imbarazzata.
Ecco bel fusto. Ora sai che sono una sfigata.
I suoi occhi sembrano incupirsi, ma dura solo un secondo.
Lo guardo incerta, e so che la mia faccia lo sta pregando di avere pietà e di dirmi dove trovare questo Skylar.
«Dalton è sempre stato un gran bastardo» dice solo.
Dalton? Il mio cervello cerca di capire la sua frase. Oh.
Dalton è il prof di disegno, l’uomo calvo e peloso che ha accoppiato la nuova arrivata con un ragazzo assente, obbligandola a cercare per due ore in una città sconosciuta... uno sconosciuto.
Sorrido, felice che lui la pensi come me, invece di trovarlo divertente.
«Perciò...» comincio, sperando che a questo punto abbia capito la mia triste situazione e provi ad aiutarmi.
«Perciò entra. Skylar sarà qui tra poco» apre la porta e mi lascia entrare.
Gli sorrido di nuovo cercando di nascondere la delusione.
Se la persona che cerco è grassa, brufolosa e antipatica mi sparo, perché quel modello... è stato un colpo al cuore.
Lui mi lascia al centro dell’entrata voltandomi le spalle.
Addio schiena scolpita, addio scapole marcate, addio meraviglioso lato B.
Sì, avete ragione sono disgustosa, ma a diciotto anni vorrei potermi permettere certe cose.
Insomma, non ho mai avuto un ragazzo, perciò...
Oh vi prego non guardatemi così. Non ho ucciso nessuno! Solo sono ancora – come dicevano gli antichi? Ah, sì – illibata.
Mi guardo intorno cercando di distrarmi.
La casa è semplice eppure è arredata con gusto. Fa parte di una serie di villette a schiera perciò non è gigantesca ma ha un non so ché di fascinoso.
A sinistra dell’entrata c’è un enorme arco a volta che dà sul salotto.
La tv al plasma sta trasmettendo un cartone animato.
La protagonista è Barbie, e ciò mi fa arrovellare le budella.
Inoltre, invece di Ken – non ho mai capito perché il suo fidanzato abbia un nome tanto strano – c’è una specie di giocattolo di legno a forma di soldatino. Io e alcuni amici nella mia vecchia città avevamo una sorta allergia a Barbie, tanto che avevamo inventato un modo di dire. Invece di “che barba” dicevamo sempre “Ken Barbie” scoppiando a ridere subito dopo. Distolgo la mente da quei ricordi nostalgici e guardo ancora verso la tv. Vicino alla protagonista ci sono dei topi, frotte di topi giganti! O è Barbie ad essere troppo piccola?
Un urlo improvviso mi fa sobbalzare.
«Skylar!» strilla una voce squillante di bambina. Mi affaccio in salotto e scorgo una bimba piccolissima. Non ha più quattro anni.
Sento dei passi veloci avvicinarsi.
«Lucy!» subentra il tipo di prima. Sembra spaventato. Anzi no, è preoccupatissimo!
Le grida della bimba erano davvero strazianti!
Il ragazzo si fionda dalla piccola e le si siede accanto, la prende tra le braccia e la culla sul suo petto, accarezzandole i capelli.
La piccola prende tra le manine la stoffa della camicia azzurra appena indossata da quello che deve essere suo fratello.
«Lucy... si può sapere perché strillavi? Mi hai fatto paura! Pensavo avessi fatto un capitombolo!» la ammonisce dolcemente lui.
Mi sciolgo!
Caspita che ragazzo dolce! Vorrei essere al posto della piccola urlatrice.
«I topi» pigola lei, indicando col ditino la tv.
«Oh» dice lui, ora i suoi occhi argentei sono velati di ironia.
«Beh, non sei felice di vedere l’Esercito della Liberazione dei Criceti?» scherza lui, parlando alla bambina molto dolcemente per distrarla.
«L’Esercito?» chiede la piccola confusa.
«Ma certo!» esclama l’altro. «Sono stati loro a liberare il tuo Hamtaro! Adesso lui è con i suoi amici» spiega.
Sorrido divertita. Lui mi guarda.
«Davvero?» chiede sospettosa Lucy.
«Certo!» assicura il ragazzo. «Ora però devi continuare a guardare il cartone, ok? Perché io ho da fare, piccola» dice baciandole la testa.
La bambina annuisce e torna a guardare Barbie.
Io ritorno nell’entrata seguita a ruota da quel ragazzo.
Si passa una mano tra i capelli biondi e ondulati, mediamente lunghi e straordinariamente corposi e luminosi.
«Piacere, Skylar Fate» accenna un sorriso e mi porge la mano.
«Emma Algar» afferro la mano, felicissima.
«Sai, non mi presento mai senza una camicia» spiega lui.
Io scoppio a ridere. Se si fosse presentato senza camicia sarebbe stato molto meglio.
«Sky!» sento urlare dal piano superiore. «Dove ti sei cacciato, piccolo bastardo?».
Passi pesanti si avvicinano ma prima che dall’angolo possa sbucare il possessore di quella voce arrogante Skylar mi sfiora la mano.
«Reggimi il gioco» sussurra.
«Eccoti qui...» schiamazza un ragazzo corpulento e bruno. Assomiglia molto all’idea di Skylar in sovrappeso, ma lo sguardo non è famelico, è disgustoso.
«Cosa vuoi Drew?» chiede freddo il mio nuovo conoscente.
«Ho sentito strillare quella mocciosa!» spiega Drew, scrocchiandosi le dita. «Che diavolo aveva?» sbotta.
«Niente. Ora sta bene» taglia corto Skylar. Guarda di sottecchi il gorilla e poi distoglie lo sguardo.
C’è tensione.
«Spero che se ne stia buona. Stavo dormendo!» gli ringhia contro l’altro.
«Oh mi dispiace!» risponde l’atro in tono ironico.
Drew non sembra farci molto caso.
Invece di ribattere sposta lo sguardo su di me.
«E questa chi sarebbe?» chiede in tono accusatorio.
«Lei se ne sta andando!» dice Skylar. «È la presentatrice di un marchio importante di arredamento e design».
Oh.
Beh, mi aveva chiesto di tenergli il gioco!
«Infatti» lo spalleggio.
«E dove sarebbero i depliant?» domanda Drew. Mi sta fissando il seno in maniera vomitevole.
«In realtà... se avete una connessione, sarebbe più pratico se vi mostrassi il nostro sito web» azzardo. Recitare... potrei fare carriera... come comparsa.
Skylar sembra compiaciuto.
Drew molto seccato.
«No, no. Non ci interessa. Sparisci!» sbadiglia quest’ultimo, tornando da dove è venuto.
«Oh. Grazie per il vostro tempo, signore!» dico fintamente dispiaciuta.
«Vieni con me» sussurra Skylar.
Mi prede per il polso e corre fuori con me al seguito.
Non oso chiedergli dove mi sta portando e il mio istinto di autoconservazione mi dice di rilassarmi.
Faccio in modo che la busta con la torta non finisca spiaccicata a terra, e così la stringo al petto.
Quando smette di correre mi accorgo di essere finita in un piccolo parco verdeggiante.
Scegliamo una delle tante panchine e ci sediamo. Poso la torta al mio fianco.
Intanto la musica proveniente da un pub vicino riecheggia nell’aria che profuma di pane appena sfornato e di natura.
«Mi dispiace per la corsa» sorride affannato Skylar, lasciandomi il polso.
La mia pelle è rovente.
Il suo sguardo mi abbaglia, ma ricambio comunque il sorriso.
«Non fa niente» dico.
Lui si sistema i lunghi capelli, spettinati dalla folle corsa e poi estrae dalla tasca dei jeans scuri un pacchetto di sigarette.
«Ti dispiace se fumo?» chiede cupo.
Porca miseria! Impreco mentalmente.
Sono allergica al fumo, ma dirlo ad uno sconosciuto che fin’ora è stato molto gentile con me ed è anche bellissimo e sexy, mi sembra una cosa bestiale.
Perciò sto zitta.
Lui logicamente lo prende per un no.
Il fumo comincia ad impregnare l’aria ed io inizio a tossire.
All’inizio cerco di trattenermi, ma poi si ci mettono anche le lacrime.
Maledizione!
Skylar si accorge del mio malessere sin da subito.
Spegne la sigaretta e mi fa aria con la mano.
«Oddio Emma. Stai bene? Perché non mi hai detto che il fumo ti dava così fastidio quando te l’ho chiesto?»
«Sono allergica!» ammetto arrossendo. «Ma pensavo di poter resistere» confesso.
«E perché lo pensavi?» chiede interdetto.
«Non volevo sembrare noiosa e petulante. Insomma...».
«Sciocchezze!» sbotta. «Non avresti dovuto fingere che andasse tutto bene. E ti assicuro che non mi saresti sembrata affatto noiosa. Sei allergica diamine!».
Sembra spaesato dal mio comportamento da martirio.
«Scusa!» mormoro. In effetti sono stata una stupida. «Comunque... vuoi una fetta di torta?» chiedo, cercando di alleggerire l’atmosfera.
«Mi dispiace. Non posso» sorride mesto.
«Giusto. Non accetti dolci dagli sconosciuti» ironizzo ma una punta di tristezza mi stringe lo stomaco.
«Oh beh, non è per quello!» ride angelicamente. «Sono celiaco. Non posso mangiare la tua torta» spiega mesto, un po’ dispiaciuto.
«Celiaco...» ripeto quel termine.
«Sì. E credimi se potessi ignorerei la mia allergia come hai fatto tu con il fumo. Ma nel mio caso non me la caverei con un po’ d’asma» scherzò.
No. Infatti.
«Capisco. Allora siamo pari» sorrido guardando il suo pacchetto di sigarette.
«Concordo» mormora. Alzo lo sguardo e incontro i suoi occhi.
Sono davvero singolari, limpidi come la superficie calma di un lago di montagna.
Distolgo il mio sguardo dai suoi occhi intensi e mi guardo intorno.
«È un posto bellissimo» mormoro «ci vieni spesso?».
«Sì. è un posto perfetto per nascondersi» risponde criptico.
Sento i suoi occhi su di me.
«Ci stiamo nascondendo?» domando sorpresa e sospettosa. «Temi che la tua ragazza scopra che sei con me? O che sei stato accoppiato per un compito con l’ultima arrivata?» chiedo più severa di quanto volessi.
«Cosa?» esclama sgranando gli occhi chiarissimi. «No! Hai capito male! Innanzitutto non ho una ragazza. E poi questo è il mio nascondiglio. Drew o suo padre non verrebbero mai a cercarmi qui. Nessuno sa di questo posto. Perciò quando ho detto che era un buon posto per nasconderci... non  intendevo dire che mi nascondevo perché sono con te» spiega, cercando di farmi capire che ho pensato male.
Rido.
Rido di cuore.
«Va bene. Non parliamone più» concedo sorridendo.
Lui mi concede un sorriso sghembo un po’ malinconico.
«Allora...» dice dopo un po’ di silenzio «… di cosa si tratta?» domanda con lo sguardo perso nel vuoto.
«Parli del compito del professor Dalton?» chiedo.
Lui annuisce piano.
«A noi è toccato il tema dell’abbandono» esordisco «tutti gli altri studenti hanno scelto per primi e...».
«Tipico» mormora. Poi alza un lato della bocca a mo’ di sorriso tirato.
«Cosa intendi?» chiedo.
«Che chi ultimo arriva male alloggia» asserisce.
Io non rispondo.
All’improvviso è irritato e tetro, i suoi occhi sembrano essersi adombrati come se il sole fosse appena stato oscurato dalle nuvole.
Forse ce l’ha con me perché non ho avuto il coraggio di aggiudicarmi un tema meno scellerato, o forse sta pensando ad altro...
«Vieni» dice alzandosi «ho un disperato bisogno di assumere caffeina».
Sospiro di sollievo.
«Mm, sì... mi ci vuole proprio una bella tazza di caffè» concordo.
Mi alzo e afferro la busta con la torta, poi la getto nel bidone della spazzatura vicino alla panchina.
«Ti sbarazzi della torta!? Perché?» chiede, come se avessi affamato il mondo intero col mio gesto.
«Beh... io l’avevo cucinata per addolcire il mio compagno di studi... ma visto che non posso utilizzarla... la butto» spiego.
«Volevi addolcirmi con una torta?» sorride, facendomi cenno di seguirlo.
Annuisco divertita.
«Dove andiamo? In un bunker?» scherzo.
Lui ghigna.
«Beh in effetti la caffetteria in cui ti sto portando ha le porte blindate» dice di rimando poi mi volta le spalle in maniera felina, facendo una breve giravolta su se stesso.
È altissimo e ha delle gambe chilometriche, per stargli dietro devo quasi mettermi a correre.
Poi lo affianco.
«Hai il materiale da disegno nello zaino?» chiede senza guardarmi, le mani nelle tasche.
Faccio finta di niente mentre trasalgo perché mi ero completamente dimenticata di portare in spalla lo zaino.
«C - certo!» balbetto.
«Bene» mormora.
Mi guida per il parco fino a trovare una strada abbastanza tranquilla in cui fa capolino una graziosa caffetteria in stile retrò.
«Scegli un tavolo io ordino due caffè» dice pratico.
Obbedisco.
Scelgo un tavolo appartato e comincio a togliermi lo zaino dalle spalle.
«Ehi... tu sei Anna, la nuova arrivata, giusto?».
Mi voltò incuriosita dall’ultima parte della frase, quando mi accorgo che la ragazza bionda e truccata come una fata si sta rivolgendo proprio a me.
«Emma. Mi chiamo Emma non Anna» dico con tono pacato. Non voglio sembrare scortese.
«Oh, scusa. Ricordavo male!» ridacchia sgranando gli occhi nerissimi.
Ha un vestito attillato e abbastanza corto e dei tacchi vertiginosi, e per un attimo mi sento come Cenerentola ricoperta di stracci.
Io indosso una casacca anonima che mi arriva alle cosce e dei pantacollant che ho abbinato alle ballerine.
Sorrido, cercando almeno di sembrare sicura di me.
«Io sono Laura Casteller. Ero in classe con te oggi» dice sporgendosi verso di me.
Da seduta non faccio fatica ad accorgermi della scollatura esagerata del suo vestito.
«Certo che mi ricordo!» dico.
A te è toccato il tema dell’amore. Come dimenticarlo?
Mentre rideva civettuola con il professor Dalton vicino alla cattedra, i ragazzi della mia classe le guardavano il fondoschiena.
«Hai poi trovato Sky? Dio! Non riesco a credere che ti abbiano fatto far coppia proprio con lui!» dice.
«Perché? Cos’ha che non va?» chiedo, cercando di sembrare interessata.
«Beh, è un tipo piuttosto problematico. D’altronde dopo quello che ha fatto...» comincia ma qualcuno alle sue spalle la interrompe.
«Laura» dice Skylar. Due caffè in mano.
«Oh» mugola lei «ciao Skylar. Non sapevo che fossi qui» spiega Laura lanciandomi un’occhiataccia.
Lui la ignora e si siede al mio fianco, porgendomi uno dei caffè.
«Grazie» dico afferrandolo.
Lui mi sorride.
Laura sembra impietrita sul posto.
Non so come comportarmi.
«Vuoi sederti con noi?» chiedo.
Sento il ragazzo al mio fianco irrigidirsi e raffreddarsi come un ghiacciolo, mentre Laura sgrana gli occhi.
«Passo, grazie Anna. Non vorrei perdere il mio peso forma... bevendo tutto quel caffè zuccherato» dice affettata.
Emma! Correggo mentalmente.
Non so perché mi aspettavo dicesse che aveva paura di essere contagiata dalle mie forme tutt’altro che esili.
Annuisco salutandola mentre se ne va senza degnare di uno sguardo Skylar.
«Ma che le è preso?» chiedo interdetta.
«Che cosa ti ha detto?» domanda Skylar, ignorando spudoratamente la mia domanda.
«Niente di importante. Cambiamo argomento» suggerisco.
Non so come mai, ma Laura mi ha fatta incuriosire parecchio. E anche Skylar.
Sembra spaventato, a disagio, tormentato.
«Perché, c’è qualcos’altro di cui vanga la pena parlare?»
Rimango in silenzio per qualche secondo spiazzata.
«Non lo so. Dimmelo tu!» rispondo calma. «Cosa mi avrà detto di tanto importante o di tanto brutto da farti irritare in questo modo?» chiedo timida.
Non voglio che si arrabbi con me.
Lui rimane in silenzio, fissandomi la faccia come se fosse in cerca di un punto nero.
Guarda vicino al naso! Gli suggerirei, ma poi mi ricordo di averli coperti con un po’ di fondotinta.
Dopo qualche secondo distoglie lo sguardo e sospira.
«Lascia perdere» mormora.
«Come vuoi» dico piano.
Non lo conosco nemmeno e già mi sento così confusa!
Il trillo di un cellulare mi fa sobbalzare.
La musica della suoneria è inconfondibile.
«Chopin» sussurro.
«Pronto?» risponde lui, guardandomi. «Certo. Ho capito piccola. Tra cinque minuti sarò a casa, ok?... Certo! Ti porto dei dolcetti, promesso. Tienilo premuto sulla fronte... no, non devi toccarlo con le dita! Sì... sì. Il tempo di un caffè e sono da te, principessa».
Chiude la chiamata.
Durante la conversazione con “piccola” o “principessa” ho notato che la sua espressione si accartocciava. Rabbia, tristezza, preoccupazione...
«Emma... mi spiace ma non posso rimanere. Non voglio fare lo stronzo, ma ho solo il tempo di un caffè» mi informa.
Aggrotto le sopracciglia.
«Oh... per il disegno non c’è problema! Dammi un foglio» dice, accorgendosi della mia espressione.
Obbedisco e tiro fuori un foglio bianco e una matita.
Skylar non batte ciglio e comincia a disegnare.
Ai lati estremi del foglio disegna due figure: un uomo di profilo che dà le spalle ad un bambino in lacrime, all’altro capo del foglio. Più traccia particolari e più mi accorgo del talento del ragazzo concentrato al mio fianco.
Le mani del piccolo sono protese disperatamente verso la schiena rigida dell’uomo.
Al centro del foglio, per completare il tutto, Skylar disegna due mani adulte, nella stessa identica posa di quelle del bambino.
Sono mani vuote, ferite, scarne e tese disperatamente verso il nulla.
Un bambino che ha perso suo padre! Penso.
Poi guardo Skylar.
“E poi questo è il mio nascondiglio. Drew o suo padre non verrebbero mai a cercarmi qui. Nessuno sa di questo posto” aveva detto nel parco.
Lui viveva col padre di Drew...
«Ecco» dice, scostandomi da quei pensieri.
«Skylar... è... commovente» biascico. Ho il magone.
«Vuoi dire che è brutto da far piangere? Beh allora mi dispiace ma prenderai il tuo primo insufficiente a causa mia» mormora alzandosi.
Giusto. Il tempo di un caffè.
Il tempo di un caffè, cinque miseri minuti per tirare fuori i sentimenti di una vita e spiaccicarli su un foglio come se fossero stati rigurgitati.
Era stato abbandonato? Magari da suo padre?
«E io cosa faccio?» chiedo. «Come partecipo? Cosa posso fare per poter dire che l’abbiamo fatto insieme? Mi sento inutile» dico imbarazzata.
In questo modo è come se lui avesse lavorato da solo, anche per me.
Domani prenderò un voto alto solo grazie al suo talento.
«Oh beh... puoi sempre dargli un po’ di colore. O puoi impacchettarlo, incorniciarlo, decorarlo... insomma cose da donne» mi rassicura. I suoi occhi mi stanno dicendo di non preoccuparmi.
«No. Non lo toccherò. Lo rovinerei» dico.
Lui fa spallucce.
Acchiappa il caffè e lo trangugia in un secondo.
«E stato un piacere, Emma. Adesso devo proprio andare!» dice allontanandosi. Poi lascia cadere una banconota sul tavolo. «Ci vediamo domani a scuola» sorride.
«Ciao» mormoro, vedendolo sparire in tutta fretta.
Ecco gente.
Sono sopravvissuta a Skylar Fate, ai suoi addominali scolpiti, al suo viso d’angelo, al suo portamento sexy e alle sue stranezze.
Sospiro di sollievo nonostante mi senta improvvisamente sola.
Chissà se a quest’ora è da “piccola principessa”! Penso.
Mi alzo e pago i caffè, ripromettendomi di ridare il resto a Skylar.
Poi mi avvio verso casa.
So bene che mia madre e mio padre sono ancora a lavoro così me la prendo comoda.
Mi perdo due o tre volte, poi decido di prendere un taxi.
Odio girare a zonzo.
Arrivata a casa mi distendo sul divano.
So benissimo che dovrei disfare i pacchi che ingombrano l’intero salotto, ma mi dico che, essendo solidi, non evaporeranno col tempo.
Stringo al petto il disegno di Skylar e cado tra le braccia di Morfeo.
 
*******
 
Ho sempre creduto che la tv fosse l’invenzione più oscura e demoniaca che l’uomo avesse mai compiuto, ma la sveglia che mi sta traforando un timpano, decisamente la batte in crudeltà.
Preferirei guardare Carlo Conti senza trucco legata con delle corde al divano.
Sì, decisamente.
Apro gli occhi rassegnata e costringo il mio braccio ad alzarsi per permettere alla mia mano di chiudere questo fracasso assordante.
Ecco. Buongiorno, Emma. Mi dico. Preparati ad un altro giorno di pene e sofferenze.
Mi vesto lentamente: jeans, camicetta lunga e ballerine, poi vado in bagno a lavarmi i denti.
Quando ho finito di torturarmi i capelli decido di rassegnarmi.
Non mi trasformerò in una mattina in Angelina Jolie, perciò corro al piano di sotto, afferro un muffin e del latte e li trangugio velocemente. Poi esco. Direzione scuola.
Lo vedrò? Mi chiedo allungando il passo. E se lo vedo che faccio?
Non ho il tempo di chiedermelo: la campanella è suonata e io sono in ritardo.
 
Arrivata in classe mi siedo nel banco del giorno prima.
«Buongiorno» dice il professor Dalton entrando svogliatamente dalla porta.
Gli studenti rispondono in coro salutandolo.
Cala il silenzio.
«Bene ragazzi... adesso visionerò il vostro duro lavoro» scherza il prof, sbeffeggiando sfacciatamente la classe.
Mi guardo intorno ma di Skylar non c’è nessuna traccia.
Non è venuto neanche stavolta! Mi dico sconsolata.
Poi qualcuno varca la soglia ancora aperta.
«Buongiorno. Scusi il ritardo» mormora Skylar rivolto al prof.
Ansima e si tiene la pancia piatta e fasciata dalla t-shirt con una mano come se gli facesse male.
Il prof gli fa un cenno seccato: «Abbiamo perso le speranze con lei, signor Fate» sogghigna.
Intanto Skylar avanza verso un banco vuoto in terza fila.
Non mi aspettavo certo che sedesse nel posto vuoto vicino al mio banco, in quinta fila, forse non mi ha nemmeno notata, ma ci rimango male lo stesso.
«No, Fate! Quel posto è occupato!» lo blocca un ragazzo bruno e dall’aria trasandata.
«E da chi?» domanda Skylar, sfidandolo.
«Dalla mia borsa» risponde una ragazza con i capelli tinti di rosso.
Skylar sbuffa, ma non risponde alle provocazioni.
Intanto nell’aula si diffonde un fastidioso vociare.
Il ragazzo si guarda intorno alla ricerca di un altro posto e ne scorge uno vicino allo stesso ragazzo che l’ha provocato.
Muove un passo verso il banco ma il tipo di prima non vuole mollare.
«Senti amico, non ti volevo davanti al banco e credi che ti voglia di fianco?» lo schernisce sfacciatamente il bruno.
Skylar sospira forte dal naso.
«Qual è il tuo problema, Aster?» sbotta Skylar.
«Tu. Sei tu il mio problema. Vedi di strisciare a un centinaio di kilometri da me. Non voglio respirare la tua stessa aria, stronzo» risponde l’altro.
Sbianco.
Skylar sembra sul punto di tirargli un pugno.
È così rigido che sembra essere di marmo, i pugni lungo i fianchi stretti sembrano tremare di rabbia.
Il silenzio cala di nuovo nella classe e stavolta tutti sono con il fiato sospeso.
Intanto due ragazzi corpulenti si avvicinano al ragazzo bruno e lo spalleggiano.
Oh no! Penso.
Il professor Dalton sta facendo finta di niente in modo spudorato, ed è a lui che dovrebbero tirare un pugno.
Allora decido di intervenire.
«Skylar» lo chiamo. La mia voce sembra riecheggiare per l’aula silenziosa.
Mi pento immediatamente di averlo fatto, ma non posso più tirarmi indietro.
Tutti si voltano verso di me, Skylar compreso.
Deglutisco e fisso i miei occhi nei suoi, cercando di concentrarmi solo su di lui.
«Se vuoi puoi sederti qui» dico indicando il banco vuoto.
Che stupida! Mi dico, maledicendomi. Non verrà mai! Mai!
Il vociare ricomincia e stavolta mi accorgo di strane risatine e occhiatacce che mi vengono rivolte.
È solo il secondo giorno di scuola! Perché? Perché devo sempre rovinare tutto?
Passano secondi che mi sembrano ore poi Skylar comincia a camminare nella mia direzione, lasciando da parte l’idea di pestare quell’Aster.
Raggiunge il banco quasi unito al mio, si siede di slancio gettando lo zaino nero a terra e poi si sofferma a guardarmi.
Arrossisco e distolgo lo sguardo facendo finta di nulla.
Poi tolgo dallo zaino il disegno che, ne sono certa, riscuoterà molto successo.
Tutti sembrano aver altro per la testa e ormai non ci degnano più di uno sguardo.
«Grazie» lo sento mormorare.
Sorrido.
Muoio dalla voglia di chiedergli cosa sia accaduto, ma resto in silenzio.
Ieri quella ragazza, Laura, che stava per dirmi qualcosa su Skylar, e oggi questo.
Sono confusa.
È assolutamente vero che conosco questo ragazzo da poco più di dodici ore, ma è sempre stato gentile e disponibile con me.
Ma adesso che lo guardo con gli occhi degli altri...
Ha l’aria tetra, scontrosa. La sua bellezza disarmante è pericolosa come quella dei ragazzi che sanno di avere il mondo ai loro piedi e ne approfittano.
È decisamente assonnato, ha gli occhi cerchiati da ombre profonde, come se non avesse dormito che qualche ora, e le sue nocche sono ricoperte di graffi.
Con una mano si tiene lo stomaco.
Distolgo lo sguardo sentendo i suoi occhi su di me.
Comincio a pensare a cosa sia dovuto il suo aspetto malaticcio.
Una rissa notturna.
Mm, sfociata per cosa?
Una donna.
Soldi.
Droga.
Mi blocco.
No! Mi dico. Non sono mai stata una persona che giudica dalle apparenze, e non lo diventerò oggi solo perché il ragazzo bellissimo seduto al mio fianco sembra uno zombie ferito.
 
La giornata scorre monotona e io e Skylar non ci scambiamo neppure un occhiata.
All’uscita ci salutiamo con un cenno.
Sospiro.
Sono sempre più confusa.
Inoltre Dalton ci ha accoppiati di nuovo per l’ennesimo compito a casa...
«... continuare così, bello! Sembri distrutto!».
«Non voglio uccidermi, Tyler. Solo che ieri non ho potuto trattenermi. Lui stava per farle...».
Giro l’angolo e mi ritrovo faccia a faccia con Skylar e un altro ragazzo.
I due parlavano di chissà cosa, ma mi ero resa conto a chi appartenesse l’ultima voce solo appena girato l’angolo.
Skylar si era zittito immediatamente e mi fissava appoggiato all’armadietto accanto al mio.
«Lo so, fratello, ma non puoi darla vinta a quel bastardo...».
«Tyler. Non è il momento» dice Skylar guardando il suo amico di colore e poi me.
Tyler capisce.
Io abbasso lo sguardo e tento di prendere le mie cose il più in fretta possibile.
«Allora Emma... quando possiamo incontrarci per quel compito?» mi sento dire.
Alzo lo sguardo e trovo Skylar a fissarmi dall’alto del suo metro e novanta.
«Mm, quando vuoi. Sono sempre libera» dico.
«Perfetto allora» annuisce compiaciuto.
Poi il suo amico lo trascina via.
 
*******
 
Guardo la mia immagine nello specchio ma non la vedo.
Continuo a pensare al pezzo di conversazione che ho ascoltato stamattina.
L’amico di colore di Skylar gli diceva di non darla vinta ad un fantomatico bastardo, e Skylar spiegava che non era riuscito a trattenersi.
“Lui stava per farle...” stava dicendo, prima che arrivassi io.
Cosa?
Del male?
Un succhiotto?
Una torta?
“Non voglio uccidermi”.
Sospiro.
Sono da due giorni in questa città e già mi sono cacciata nei guai. Penso, mentre mi lego i capelli in una treccia.
Scendo al piano di sotto.
I miei fanno il turno di notte in ospedale, perciò ho la casa tutta per me, ma ciò non mi fa certo saltare di gioia.
Mi accoccolo sul divano e accendo la tv.
Il ronzio del televisore non mi attira minimamente né mi appassionano le battute romantiche della soap-opera che stanno trasmettendo.
Ad un tratto suonano al campanello.
Chi diavolo è alle dieci e mezza della sera? Mi chiedo, irrigidendomi subito.
I miei sono le uniche persone a cui aprirei a quest’ora.
Raggiungo il portone d’ingresso e sbircio dall’occhiello.
Sbianco.
«Skylar!» esclamo spalancando l’uscio.
Il ragazzo è appoggiato a una delle colonne del porticato, è pallido e un rivolo di sangue gli cola dal labbro rotto.
Ha l’ombra di un livido fresco sullo zigomo e si regge a malapena in piedi tenendosi l’addome.
Lui cerca di mantenere l’equilibrio e cammina vacillando debolmente verso di me.
«Emma...» mormora piano. I suoi occhi sono spiritati, disperati, lucidi. «… mi dispiace, non volevo piombare qui così...» dice seriamente dispiaciuto e preoccupato da ciò che potrei fare io.
Deglutisco cercando di mantenere la calma.
«Sta’ tranquillo. Non importa. Ma dimmi chi ti ha ridotto così!» squittisco nervosa.
«Non sono qui per questo» spiega pacato, nonostante sia palese il suo malessere.
«Come sai dove abito?» chiedo a bruciapelo. Mi costa ammetterlo, ma ora ho paura di essere sola con lui.
«No, ti supplico! Non devi temermi! Non sono uno psicopatico o uno stalker!» dice agitato, cercando di calmarmi. «Ho solo sbirciato sul tuo diario».
I suoi occhi sono sinceri e le sue condizioni sono serie.
In quello stato non potrebbe far del male a nessuno.
Ha solo bisogno di aiuto.
«Entra» dico ferma.
Lui si trascina fino alla cucina, seguendomi.
«Emma...» dice.
«Sta’ zitto. Devo trovare la cassetta del pronto soccorso» dico, torturandomi il cervello per ricordare immediatamente dove l’hanno messa i miei.
«No! Non sono qui per questo!» asserisce serio, l’urgenza gli fa tremare la voce grave. «Devi farmi un grosso favore. Ti prego!».
Mi blocco.
Lo guardo.
Si regge al muro con una mano e con l’atra si tiene lo stomaco.
Ha l’espressione esausta e allo stesso tempo febbrile.
«Skylar!» dico. Cosa vorrà di così importante da trascurare le sue condizioni? «Almeno siediti!» propongo, offrendogli una sedia.
Lui declina con un cenno, poi mi guarda serio.
«Ti prego, ti prego... non puoi dirmi di no» mormora, gli occhi liquidi.
«Dimmi cosa ti serve» lo esorto.
«Puoi nascondere qui la mia sorellina per stanotte?» chiede disperato, quasi sofferente. «Te lo giuro, Emi, è solo per una notte» promette, come se mi stesse chiedendo di prestargli un milione di euro.
Mi ha chiamata Emi! Penso estasiata. Poi ritorno in me.
Rimango basita.
Sua sorella?
Dovrei nasconderla?
«Perché?» chiedo, quasi senza accorgermene.
Lui si irrigidisce. Sembra combattuto. Sta decidendo cosa rispondere e se rispondere.
«Ha importanza?» chiede abbassando gli occhi grigi.
«Beh tu che dici?» chiedo, facendo spallucce. «Sai, non voglio essere denunciata dai tuoi genitori domani. Perché tua sorella dovrebbe essere nascosta? E chi ti ha ridotto in questo modo?».
Lui sospira. Sa che ho ragione.
«Il padre di Drew è tornato dopo due mesi di assenza» dice. Aspetto che continui, ma non lo fa.
Il padre di Drew... non è suo padre ma vivono sotto lo stesso tetto.
Quest’uomo è il nuovo compagno della madre di Skylar?
Oppure ha adottato lui e sua sorella?
Improbabile: Skylar è maggiorenne e la piccola ha più o meno quattro anni. Se lui fosse stato adottato da bambino Lucy non esisterebbe nemmeno!
«Quindi?» chiedo «Tua madre...» comincio, ma lui mi blocca come se non volesse sentirmi nominare sua madre.
«Lui mi odia!» asserisce Skylar assumendo un’espressione straziante. «Non voglio che Lucy assista di nuovo...» si blocca.
Ha irrigidito la mascella e chiuso gli occhi.
«È stato quell’uomo a farti questo? E davanti a Lucy?» chiedo in un sussurro, pregando che risponda di no.
Annuisce.
Io sussulto.
«L’hai detto a tua madre?» chiedo, la voce più acuta di qualche ottava.
Lui non risponde.
«L’hai detto alla polizia?» continuo.
Lui mi guarda, riaprendo gli occhi.
Poi ride amaramente, come se gli avessi appena raccontato una barzelletta macabra, una di quelle che si raccontavano in Russia ai tempi della seconda guerra mondiale.
«L’hai detto a qualcuno?» domando triste ed esasperata.
Lui non risponde nemmeno stavolta.
Mi viene in mente quel ragazzo di colore incontrato quella mattina stessa e di colpo quel pezzo di conversazione acquista significato.
«Skylar...» mormoro, la voce strozzata dall’angoscia.
«Puoi farlo?» chiede, rialzando gli occhi stanchi e rassegnati.
Annuisco.
Lui sembra più rilassato per quanto possa esserlo.
Esce da casa mia e si avvia verso un auto nera, apre la portiera e si abbassa sul sedile.
Poi si rialza con un gemito, tenendo tra le braccia la piccola Lucy.
La bambina si avvinghia al suo collo nascondendo la testa nella spalla di lui.
Skylar la porta dentro casa continuando a stringerla.
È una scena commovente.
I due hanno i capelli dello stesso identico biondo, boccolosi e lucenti.
Gli occhi chiari e del colore del crepuscolo con la sola differenza che quelli di Lucy sono rossi di pianto e inondati di lacrime.
«Ehi principessa...» mormora Skylar all’orecchio della piccola. Come un flash ricordo la telefonata ricevuta nella caffetteria e come mi ero subito allarmata immaginandolo con una ragazza. «... ti presento una mia cara amica» dice, cullando la piccina e accarezzandole i capelli di sole.
Lucy si gira verso di me e mi squadra.
«Ciao piccola. Io sono Emma» sorrido, cercando di tranquillizzarla.
«Ciao» risponde pigolando. È dolcissima, vorrei stringerla forte forte a me e dirle che va tutto bene.
«Emma si prenderà cura di te stanotte. Che ne pensi?» le domanda il fratello sfiorandole la guancia con le labbra.
La bambina sembra trasalire.
«Rimani anche tu, vero Sky?» chiede impaurita.
«Solo per un po’, piccola» la informa lui.
«No, non voglio! Non voglio! Se torni a casa vengo pure io! Pure io!» singhiozza in modo straziante Lucy.
«Non posso riportarti a casa» asserisce il fratello.
«Io voglio stare con te, Sky!» pigola lei aggrappandosi al suo collo.
Skylar stringe gli occhi, racchiudendo fermamente tra le sue braccia la piccola in lacrime.
«Lucy, sorellina, ti prego. Se non mi fai andare via Tom si accorgerà che non ci sei!» mormora amaramente Skylar.
Decido di intervenire.
«Ehi Lucy, tesoro... vuoi vedere le mie bambole? Se te ne piace qualcuna potrei persino regalartele!» dico, pregando che la bimba mi dia retta.
Skylar mi fissa intensamente.
«Sai, ho persino la Barbie che combatte contro... l’Esercito della Liberazione dei Criceti! È davvero bella, sai?» esclamo.
La sento smettere di piangere, allora continuo.
«Sai che dovrei avere anche la casa dei criceti? E se mi aiuti a cercare tra gli scatoli dovrebbero esserci anche gli abitanti della casa...».
La bimba si volta a guardarmi.
Scorgo nei suoi occhietti chiari e vispi il desiderio di vedere i giocattoli di cui sto parlando, così continuo.
«Pensa Lucy... se stanotte resti qui, nel caso non riuscissi a dormire potrei farti vedere tutti i cartoni animati delle principesse Barbie. Li collezionavo, sai?» esclamo, ignorando l’imbarazzo che provo nel confessare certe cose davanti ad un ragazzo.
Poi allungo le mani verso la piccola.
«Non puoi rifiutare Lucy! Prometto che domattina ti acconcerò i capelli come una vera principessa!» sorrido speranzosa.
Lei sospira e viene in braccio a me.
Skylar sembra soddisfatto e sollevato.
Mi abbasso con la piccola in braccio vicino agli scatoloni ancora sparsi a terra e apro quello con su scritto “Emi”.
La piccola si siede a terra scendendo dal mio petto e comincia a tirare fuori bambole e peluche.
Le brillano gli occhi.
Poi cerca i miei come se stesse chiedendo il permesso.
«Se resterai qui potrai giocarci fin quando vorrai» prometto.
Lei annuisce e poi sembra scordarsi sia di me che di Skylar.
Sorrido e raggiungo quest’ultimo.
«Credimi, non so come ringraziarti. Quello che stai facendo... ti sarò grato per sempre» mormora tristemente.
«Chiunque con un po’ di cuore ti avrebbe dato una mano con Lucy» cerco di sminuire. Ma lui scuote il capo vigorosamente, facendo ondeggiare i capelli dorati.
«Non credo proprio che sia come dici» asserisce con fermezza. Sembra davvero esserne certo.
«Adesso che farai?» chiedo. «Puoi dormire sul divano... se vuoi!».
«Grazie di cuore Emi, ma non posso chiederti anche questo» sussurra, per fare in modo che Lucy non senta.
«Puoi! Non ti permetterò di tornare da quell’uomo!» sussurro a mia volta.
Lui sorride angelicamente.
«Grazie, Emi. Sono anni che nessuno si preoccupa per me in questo modo!» confessa tetro.
Ma non rimane, anzi, si dirige a passi lenti e silenziosi verso la porta.
Si volta un’ultima volta a guardare la sorella, posando i suoi occhi premurosi su di lei, poi mi saluta con la mano.
Esco con lui e chiudo la porta. Lucy sta giocando tranquillamente e sembra non essersi accorta di nulla.
«Ti prego Skylar...» dico. Se torna in quella casa non chiuderò occhio stanotte.
Respira affannosamente e il labbro è spaccato.
Sembra davvero messo male.
«Prenditi cura di lei fino a domattina» mormora.
Siamo a pochi centimetri di distanza, potrei toccarlo se volessi.
Io annuisco.
Lui si china fino a far arrivare la sua testa accanto alla mia.
Le sue labbra toccato delicatamente la pelle della mia guancia.
«Grazie Emi. Buonanotte» sussurra al mio orecchio.
Poi scompare salendo nell’auto scura e sfrecciando a tutta velocità verso il nero della notte.
Il mio cuore sembra essersi fermato e non riesco a muovermi.
Allora capisco cosa sia quella sensazione di trasalimento, dolore e desiderio insieme.
Porto le mani al petto e sospiro.
«Fregata» mormoro, con un misto di rabbia e rassegnazione.
 
-------------------------------------------------------------------
Salve a tutti... ho deciso di partecipare a questo contest per mettermi alla prova, e anche perchè ho adorato l'idea...
spero vi piaccia e ringrazio tutti quelli che hanno letto.
<3
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Fiore Blu