Absence
Seduta
in riva al mare, Amarië aspettava.
Erano
ormai passati anni, lunghi anni trascorsi ad aspettare.
Aspettare
cosa?
Perché
aspettare?
Tante
domande e così poche risposte.
Nonostante
i tanti anni trascorsi dalla sua nascita, lei era sempre bellissima. I suoi
capelli biondi mandavano riflessi dorati al sole alto nel cielo, la sua pelle
bianca era priva di qualsiasi segno del tempo, le sue mani erano candide, le
dita sottili, esili, perfette.
Solo
nei suoi occhi si leggeva il peso del tempo che portava sulle spalle, il peso
di una vita di solitudine.
Il
peso che non lasciava più il suo cuore da quando lui se n’era andato.
Da
quando la maledizione di Mandos si era abbattuta sul popolo di Finwë da quando
i due alberi di Valinor erano caduti, da quando i Noldor se n’erano andati
oltre il Grande Mare, lontano da Aman.
Da
allora, Amarië aspettava.
Non
aveva voluto andarsene. Doveva fedeltà alla stirpe dei Vanyar, la sua stirpe,
la stirpe di suo padre. Così come Finrod doveva fedeltà alla sua.
E
così se n’era andato, lontano, lontano da Aman e lontano da lei.
Lasciandola
sola.
Nemmeno
la sua famiglia riusciva a portarle conforto, a guarire o almeno a curare la
profonda ferita che il suo addio le aveva inferto nell’anima e nel cuore. Negli
occhi delle persone che amava oramai riusciva solo a vedere il riflesso del suo
rimpianto, lo specchio della sua sofferenza.
Essere
soli è difficile.
Ma
essere soli in mezzo alle persone che ami lo è ancora di più.
Se
n’era andata.
Abbandonata
la casa di suo padre, si era rifugiata sulle rive del Grande Mare.
Quello
che tormentava il cuore di Amarië era un dilemma insostenibile, che la opprimeva
e non le dava pace.
Lei
amava Finrod. Lo amava più della sua stessa vita. E lo avrebbe amato in eterno,
poiché gli elfi amano una sola persona per tutta l’eternità, e lui era il suo
amore.
Ma
non poteva tornare.
La
maledizione di Mandos si era abbattuta sulla sua stirpe, e le vie di Aman gli
erano precluse.
C’era
un modo soltanto che gli avrebbe permesso di fare ritorno al Reame Beato.
Morire.
Amarië
rabbrividì, mentre le onde continuavano ad abbattersi sugli scogli.
Morire.
Per gli Elfi significava solo la morte del corpo, poiché l’anima rimaneva in
vita per rinascere nuovamente dopo l’espiazione delle proprie colpe nelle Aule
Atemporali.
Ma
si trattava pur sempre di morte.
Desiderava
con tutta se stessa di poter ricongiungersi con colui che amava. Ma questo significava
desiderarne la morte.
Poteva
davvero, nel profondo del suo cuore, sperare che lui morisse?
Non
riusciva a darsi pace. Voleva che Finrod vivesse, ma allo stesso tempo sentiva
un disperato bisogno di averlo di nuovo accanto, di stringersi a lui, di
sentire di nuovo il sapore delle sue labbra e la sensazione delle sue mani su
di sé, di rivederlo sorridere tra i campi dorati di Valinor.
Cosa
desiderava di più, per il suo compagno, Amarië dei Vanyar? Una vita lontano da
lei, o una morte che lo riportasse tra le sue braccia? Per che cosa pregava
Eru? Per la sua salvezza o per poterlo riabbracciare?
Una
risposta non esisteva.
Ed
Amarië aspettava.
Cosa
aspettasse, non lo sapeva.
Un
segno del destino, o una risposta di Eru?
Aspettava.
Guardando
le onde, aspettava.
Aggiungendo
al Grande Mare le sue lacrime.