Capitolo
1: Lavori
in corso
*Ore
7.00 di mattina.
Appartamento
di Riza Hawkeye*
Puntuale
come un orologio svizzero, la donna aprì gli occhi al nuovo giorno.
Scostò
piano le coperte che le arrivavano fino al collo e stirò le braccia
sbadigliando.
Accucciato
ai piedi del letto stava il fedele Black Hayate, taciturno.
Si
alzò dal letto e gli diede una carezza sulla testolina, sorridendo.
“Andiamo
a fare colazione?” sussurrò appena.
Il
cagnolino sembrò capirla, perché con un piccolo balzo lasciò il letto e la seguì
dritto in cucina.
Riza
gli preparò una bella e abbondante ciotola di latte tiepido e la appoggiò per
terra. Prontamente, il suo adorabile sottoposto cominciò a leccarla con piacere,
il tutto senza che ci fosse
bisogno
di ordinarlo.
“Black
Hayate, tu sì che fai progressi! Magari fossero tutti come te…” sospirò,
rassegnata.
Per
sé preparò una tazza di cappuccino fumante, vi aggiunse un cucchiaino di
zucchero e la sorseggiò lentamente, per gustarne meglio
l’aroma.
Poi
buttò un occhio sull’orologio da tavolo.
Le sette
e mezza.
“E’
meglio che vada a prepararmi per il lavoro” si disse.
Dopo
avere fatto una doccia veloce, indossò la solita uniforme blu con le strisce
bianche e uscì di casa.
Il
quartier generale di Central City distava dieci minuti, quindi lo raggiunse
a piedi.
Mentre
percorreva il corridoio principale di questo immenso edificio, tutti coloro che
incontrava le rivolgevano il saluto militare. Lei ricambiava o allo stesso modo
oppure con un sorriso e un lieve cenno del capo.
Arrivata
davanti alla porta dell’ufficio del suo superiore, il colonnello Mustang, notò
una cosa strana.
C’era
silenzio. Troppo silenzio.
Possibile
che i ragazzi, una volta tanto, stavano lavorando sul serio, senza che lei li
esortasse a farlo?
Per
esserne davvero certa, appoggiò una mano sulla maniglia della porta e l’aprì di
scatto, circospetta.
All’interno
della stanza c'era solo lui, il colonnello, seduto con lo schienale rivolto tra
la scrivania e la finestra. Il suo sguardo era concentrato, intento a leggere un
foglio che teneva tra le mani: senza dubbio una lettera da parte di una delle
sue innumerevoli ammiratrici misteriose.
“Buongiorno,
colonnello!” esordì seria, chiudendosi la porta alle spalle.
“Buongiorno
anche a lei, tenente” rispose, senza distogliere minimamente l’attenzione da ciò
che stava leggendo.
“Signore...
dove sono tutti gli altri?” gli domandò, fingendo sorpresa.
“Uhm…
Fallman è stato richiesto al tribunale militare. A Fury, Breda e Armstrong è
stato ordinato di controllare la zona est di Central City, perché pare vi si
aggiri un pericoloso criminale. Havoc ha preso l’influenza e gli hanno dato un
permesso di tre giorni. Acciaio e suo fratello sono ancora in missione. A quanto
pare, gli unici rimasti qui siamo io e lei” elencò.
“Già…
ma immagino che invece di lavorare sia impegnato in ben altre faccende!”
puntualizzò. Ancora non si era degnato di guardarla in faccia mentre parlava:
per una donna come lei, equivaleva a una mancanza di rispetto. L’avrebbe punito
a modo suo.
“Che
seccatura” sospirò. “Mi hanno dato una marea di scartoffie da firmare. Come se
non bastasse, devo pure recarmi a ispezionare i lavori di un edificio statale in
costruzione. Che diavolo c’entro io con quei lavori, poi?”
“Capisco.
Allora facciamo così, signore. Permette?”
Riza
gli si avvicinò: con il suo spiccato senso del dovere, gli strappò di mano la
lettera con un gesto preciso e veloce.
Roy
sbuffò contrariato: gli mancavano le ultime cinque righe e avrebbe ultimato
la sua lettura.
Fingendo
di non aver sentito il superiore sbuffare di disappunto, riprese, calma come
sempre: “Lei adesso si occupa delle scartoffie, a ispezionare i lavori ci penso
io!”
“Ma
no, tenente, non c’è bisogno che-”
“Insisto!
E questa lettera…” con una mano gliela sventolò davanti al viso, “la porto con
me. Gliela restituirò dopo, ma solo se avrà svolto i suoi doveri, signore!”
“Ma…”
tentò lui.
“Niente
obiezioni! Ormai ho deciso così. Ci vediamo dopo, colonnello” detto questo, Riza
uscì dall’ufficio con un sorrisetto di soddisfazione dipinto sul volto.
Roy
si voltò verso la finestra, offeso come poteva esserlo un bambino delle
elementari. Ma allo stesso tempo apprezzava il fatto che quella donna, in un
modo suo tutto particolare, si preoccupasse per lui.
“Tenente…
cerchi di non cambiare mai” pensò, prima di girarsi e occuparsi della cosa che
odiava fare di più al mondo: riempire noiose scartoffie!
Dopo
aver chiesto in prestito le chiavi di un veicolo da un altro militare, Riza vi
salì e premette l’acceleratore.
In
mezz’ora, arrivò nel luogo dove parecchi operai stavano lavorando intorno allo
scheletro di quello che, a giudicare dall’altezza, sarebbe diventato un grande
palazzo.
Parcheggiò
e scese dalla macchina, proprio mentre una donna con il suo bambino, che doveva
avere all’incirca nove anni, entravano dentro il cantiere. La giovane signora
teneva un cestino del pranzo in una mano. Riza li seguì e il bambino, accortosi
della sua presenza, le sorrise gioviale e agitò la manina per salutarla.
“Che
simpatico…” pensò
lei, ricambiando con un dolce sorriso.
*Al
quartier generale*
“Pronto”.
“Parlo
con il colonnello Mustang?”
“Sì,
sono io”.
“Le
passo il sergente maggiore Fury, signore. Dice che è importante”.
“Va
bene. Passamelo”.
Rimase
in attesa.
“Pronto…”
“Sergente,
che cosa succede?”
“Signore,
volevo informarla che Prinstgral, il criminale che stavamo cercando, non si
trova più nella zona est come ci era stato detto…”
“Ah
no? E dove allora?”
“Un
informatore anonimo ci ha appena informati che si sta dirigendo nella zona sud.
Era sopra una macchina rubata e portava con sé una valigia alquanto sospetta”.
“Zona
sud? Aspetta! Vuoi vedere che…” Il colonnello appoggiò la cornetta del telefono
sulla scrivania, riflettendo. In quel momento, il tenente Hawkeye si trovava
proprio lì, ad ispezionare quei lavori al posto suo.
Dannazione!
“Pronto?
Colonnello? È ancora in linea?” soggiunse la voce cauta del sergente maggiore.
Roy
riprese il ricevitore in mano e lo appoggiò all'orecchio.
“Sì,
ascolta, correte a ispezionare tutta la zona sud. Io vi raggiungo… ma prima devo
fare una cosa!”
“D’accordo,
signore! Agli ordini!”
Roy
chiuse la comunicazione. Lasciò la scrivania con tutti i fogli che gli
rimanevano da firmare, prese il suo cappotto scuro e uscì dall’ufficio,
chiudendo la porta a chiave.
“Ho
un brutto presentimento. Il tenente è una donna che sa cavarsela in ogni
situazione ma… se dovesse succederle qualcosa, sarebbe colpa mia. Dovevo andare
io a fare quello che sta facendo lei!”
Prinstgral
si riteneva un tipo abbastanza furbo e diretto, un genio nel creare scompiglio e
panico tra i cittadini.
Sapeva
anche essere molto crudele e approfittatore.
Con
un ghigno perfido sul volto scavato e pieno di cicatrici, scese dalla macchina
che aveva sottratto sotto il naso ad un povero idiota, ma non prima di aver
recuperato dal sedile posteriore una valigia nera e pesante. Entrò anche lui nel
cantiere, proprio mentre si svolgeva una pausa, e si guardò intorno:
c’erano una coppia con il suo bambino, due operai che mangiavano un panino in
silenzio e una donna in divisa militare che parlava con un addetto ai lavori,
segnando ogni tanto qualcosa sul taccuino che teneva in mano. Senza farsi notare - o almeno, così
credeva - oltrepassò circospetto tutti e raggiunse le prime sbarre di ferro
che sorreggevano il complesso.
Proseguì
oltre, finché non si sentì tirare la mano. Era il bambino che, con tutta
probabilità, mentre i genitori erano distratti, lo aveva seguito curioso.
“Ehi,
signore, posso sapere che cosa contiene questa cosa? Un giocattolo?” domandò con
vocina molto curiosa.
“Uhm…
sì, certo! Diciamo che contiene un giocattolo molto interessante”.
“Wow!
Me lo fa vedere? La prego, mi sto annoiando, voglio giocare!”
L’uomo
si piegò sulle gambe fino a raggiungere l’altezza del piccolo interlocutore e
accennò un mezzo sorriso fintamente intenerito, scompigliandogli i capelli
castani con la mano.
“Presto
lo vedrai, piccolo... Presto lo vedrai…”
“Mio
figlio! Mio figlio è sparito!” strillò la giovane mamma, dopo essersi accorta
che suo figlio non era nei paraggi e attirando l’attenzione di tutti i presenti,
compresa Riza.
“Signora,
non si preoccupi, davvero. Lo cerco io” la rassicurò prontamente.
Si
fece strada tra i lavori senza indugio. Aveva notato, infatti, quell’uomo
sospetto… e anche il bambino che lo seguiva.
Aspettava
soltanto il momento buono per intervenire.
Momento
che era arrivato.
Riza
poteva vederlo: stava piazzando qualcosa per terra, sotto gli occhi ingenui di
quel bambino.
Pensò
subito a una bomba, data la sua forma strana.
“Fermo
lì! Non si azzardi ad attivarla o ne pagherà le conseguenze!” disse ad alta voce
all’uomo, spianando la sua calibro nove.
“Troppo
tardi, soldatessa” la informò irrisorio. “Il timer è già partito, tra cinque
minuti esatti salterà tutto in aria! Ahah!”
Scoppiò
a ridere come un pazzo, il volto una maschera inquietante.
“Che
significa? Salterà tutto in aria? È un nuovo
gioco?” chiese spontaneamente il bambino.
“No,
non è affatto un gioco! Piccolo, vieni qui! Forza! Stai vicino a me. Quell’uomo
è pazzo!” lo incitò Riza, alzando ancora il tono.
E
quando il bambino, ubbidiente, l’aveva ascoltata, lei sparò un colpo, sfiorando
la spalla al malintenzionato.
“EHI!”
“Disattivala
immediatamente, o con il prossimo colpo faccio centro!”
“Non
credo proprio, cara”.
L’uomo
serbava un’altra sgradevole sorpresa, oltre all'ordigno esplosivo. Estrasse
dalla tasca sinistra dei pantaloni un oggetto rotondo e lo gettò in un punto
vicino alla donna. Con un leggero pluff questo oggetto si ruppe, inalando
una sostanza soporifera.
Con
una mano, Riza si coprì velocemente la bocca e il naso, ma ormai aveva respirato
un po’ di quel gas e si sentì mancare. Lo stesso successe al bambino, mentre
quel criminale, indossata una mascherina, si avvicinò a loro. Riza, che non era
ancora svenuta del tutto, gli mollò un pugno sullo stomaco.
Nelle
sue attuali condizioni, però, non gli fece molto male. Lui invece, raccolta una
sbarra di ferro da terra, la colpì violentemente alla testa.
Da
quel momento tutto, intorno a lei, si fece nero.
Mentre
succedeva tutto questo, il colonnello arrivò al cantiere. Vedendolo entrare, la
mamma di quel bambino gli si avvicinò preoccupata.
“Lei
è un soldato, vero? Una sua collega è entrata lì dentro per cercare mio figlio,
ma non è ancora uscita” lo informò la stessa signora di prima, che mostrava gli
occhi lucidi e rossi.
“D’accordo.
Si calmi, vado a vedere!” rispose lui, prendendo la stessa strada.
Arrivato
a metà della costruzione, trovò sia la bomba che segnava due minuti
all’esplosione sia i due svenuti.
“Ma
cosa…? No, adesso non c’è tempo per chiedersi cosa sia successo. Devo portare
fuori di qui Riza e il bambino alla svelta!” pensò.
Prese
in braccio prima il bambino e lo allontanò. Poi tornò indietro a fare lo stesso
con la sua sottoposta. Mancavano trenta secondi all’esplosione. Con tutto
che la teneva in braccio, riuscì ad avanzare veloce. Li depositò in un posto
sicuro, tra delle lunghe sbarre di acciaio resistenti che aveva trovato. Se li
avesse portati direttamente fuori, non ce l’avrebbe fatta.
L’esplosione
avvenne.
Per
un caso fortuito, la bomba di quel pazzo, che in mezzo al trambusto era riuscito
a scappare, non era buona e non aveva provocato seri danni.
Il
boato, però, fece allarmare tutti quelli che stavano vicino al cantiere, che
subito si precipitarono con dei secchi d’acqua, pronti a spegnere il piccolo
incendio per evitare che divenisse più vasto.
Ma
se Riza e il bambino fossero rimasti là vicino… sarebbero
morti.
Roy
era intenzionato a fargliela pagare a quell’uomo. Come si era permesso ad
aggredire Riza?
Mentre
pensava a come incenerirlo meglio se l’avesse trovato, il bambino aprì gli
occhi.
“Che
cosa è successo?” chiese, confuso.
“Niente,
piccolo. Puoi tornare dalla tua mamma, sai? Sarà preoccupatissima per te!”
mormorò, per poi distogliere lo sguardo cupo.
“Okay!
Ma dov’è?”
“Proseguì
sempre dritto, verso la luce”.
“Va
bene! Grazie, signore!”
“Nessun
problema” disse il colonnello, sorridendo appena e guardandolo mentre si
allontanava. Poi tornò a fissare preoccupato il tenente. Provò persino a
scuoterla un poco dalle spalle, ma senza risultato. Decise che era meglio
portarla all’ospedale, la ferita alla testa sanguinava ancora e rischiava di
aggravare le sue condizioni.
Il
medico, dopo averla visitata, constatò che Riza non aveva alcun danno fisico.
Consigliò
ugualmente al colonnello di convincerla a farsi un controllo più approfondito
per vedere se non avesse subito danni al cervello.
Quando,
finalmente, lei riprese conoscenza, in un letto d’ospedale, era già sopraggiunta
la notte.
Eppure
Roy era rimasto lì, a vegliare in attesa del suo risveglio. Non sapeva perché,
ma ci teneva a chiederle scusa.
“Tenente…”
“Mhm…
che mal di testa!”
“Ci
credo. Doveva vedere che brutta ferita le ha causato quell’uomo. Con cosa l’ha
colpita? Perché se lo becco, io…”
Riza
spalancò gli occhi e mise a fuoco la camera. Non riusciva in nessun modo a
ricordare cosa era successo, neanche sforzandosi, constatò.
E
soprattutto… chi era l’uomo che le stava parlando?
Si
mise seduta per guardarlo attentamente.
E
dedusse che no… non l’aveva mai visto prima d'ora!
“Che
cosa c’è, tenente? Perché mi fissa in quel modo?” domandò con una certa
perplessità.
“Tenente?”
Pausa.
“Mi
scusi ma… lei chi è?”
Note
pre-revisione: Ecco
il primo capitolo!
Chiedo
umilmente scusa per l’errorre commesso a postare questa storia la settimana
scorsa e ringrazio Red Robin e Shatzy per avermelo fatto notare.
L’ho
scritta dopo essermi ripresa dall’influenza, dato che non riuscivo a combinare
nulla di buono.
Non
ho altro da dire…
le
spiegazioni al prossimo capitolo^^ aggiornerò appena posso.
Ciao
a tutti!
Rinalamisteriosa
Note
post-revisione: Per
quanto riguarda << L'amnesia del tenente Hawkeye >>, in realtà non
ci saranno cambiamenti importanti.
Ho sistemato molte frasi, corretto la punteggiatura e farò lo stesso nei prossimi capitoli, almeno resterà sul sito in una forma sì decente, ma con la semplicità e la leggerezza dei primi tempi in cui scrivevo ^_^.